MANCINI, Poliziano
Figlio di Iacomo di Giovanni, nacque a Montepulciano presumibilmente nel 1579.
La data di nascita si desume da un medaglione sui frontespizi dei due volumi del M. stampati a Padova nel 1644 (Il principe Altomiro di Lusitania fortunato e Il principe Altomiro di Lusitania travagliato), nel quale il M. è rappresentato in età matura pomposamente vestito e con attributi di appartenenza a illustre lignaggio. Sulla cornice del ritratto si legge che egli aveva "A[nni] LXV".
La famiglia, di antica nobiltà, era imparentata con i Cervini e i Piccolomini. Il fratello maggiore del M., Lelio, ebbe un cursus importante ed esercitò una notevole influenza sul Mancini. Dopo aver studiato filosofia presso lo zio paterno Bartolommeo, Lelio si addottorò nello studio di Pisa, dove fu ordinato sacerdote e da dove fu richiamato a Montepulciano come canonico onorario. Presto tornò a Pisa, invitato per chiara fama a rivestire diverse cariche religiose e a reggere varie cattedre. Da Pisa, dove aveva acquistato grande autorità per meriti intellettuali e relazionali, passò a Padova, invitato a tenere la cattedra primaria dei canoni. In quella città, nel corso di 42 anni, ricoprì una serie di cariche importantissime, fra cui quelle di protonotaro apostolico della chiesa metropolitana, di giudice sinodale, di presidente del Collegio veneto e di vicario generale del vescovo Giorgio Corner. Si interessò, da teologo e giurista, di numerose vertenze interne alla Repubblica di S. Marco e internazionali, dove erano in causa principi e altri nobili. Al termine, tornò a Montepulciano, sua patria, dove fu nominato arcidiacono della cattedrale e, insieme, vicario del vescovo Antonio Cervini. Contemporaneamente, dovette attendere anche a missioni in altre parti della Toscana e in Emilia. Diede alle stampe numerosi testi, tra cui sei volumi di carattere legale, due tragicommedie, una vita in prosa di s. Antonio da Padova, e lasciò numerosi scritti inediti, prevalentemente di carattere giurisprudenziale e teologico (Storie di santi e Notizie genealogiche). Morì nel 1654.
Il M. studiò dapprima in famiglia come Lelio, quindi fu mandato a Pisa a compiere la sua formazione in logica e filosofia, e nello Studio pisano si addottorò in teologia e in utroque iure. Messosi al servizio di Domenico Pinelli - creato cardinale da Sisto V nel 1585 e morto nel 1611 -, si trasferì a Roma per un breve periodo. Nel 1603 propose istanza presso l'Ordine dei cavalieri di S. Stefano per essere riconosciuto titolare dei diritti della commenda istituita il 14 ag. 1599 sopra diversi censi, per un cespite di 2000 scudi, presso il medesimo Ordine dal prozio Iacomo, che era stato al servizio del marchese Giorgio Spinola a Genova, città dove era stato ucciso in circostanze oscure nell'aprile del 1603. Così, il 21 sett. 1603, il M. fu dichiarato erede titolare della commenda.
Forte di questo riconoscimento ufficiale, riprese residenza a Roma e, quindi, per conto del cardinale Pinelli e della Curia pontificia, svolse una missione in Francia presso il cardinale François de Joyeuse, noto in Italia come duca di Gioiosa. Affrontò, tra Roma, la Toscana e Padova, dov'era il fratello Lelio, un'intricata serie di missioni giuridiche e diplomatiche che lo resero esperto delle "onde fallaci, e tempestose del Mondo" e dei gravi "perigli della corte", come scrive riguardo a un personaggio non marginale del Principe Altomiro di Lusitania (ed. 1641, p. 4), l'eremita Filermo, che diventa ispiratore e consulente del giovane protagonista e sembra essere una proiezione dell'autore. Nell'Ordine di S. Stefano tenne la carica di "riveditore del tesoro e per vari anni fu uno dei dodici "cavalieri del consiglio" (Storie di santi, p. 61). Ebbe la protezione di Ferdinando II de' Medici e svolse missioni per suo conto. Al termine di una lunga e intensa attività, ultrasessantenne, decise di dedicarsi in tranquillità agli studi e alla pace familiare. Dalla moglie, la nobildonna poliziana Anna, figlia di Gasparo Bellarmino, nipote del cardinale Roberto, anch'egli originario di Montepulciano, ebbe in tarda età (4 apr. 1658) il figlio Antonio.
Non è nota la data di morte del M., da collocarsi, in base alla data di nascita del figlio, almeno dopo il giugno del 1657 e non - come è stato talvolta ipotizzato - nel 1650, anno di pubblicazione della sua ultima opera.
Antonio propose istanza al vescovo di Montepulciano di essere ammesso come cavaliere nell'Ordine di S. Stefano e di subentrare al padre nella titolarità della sua commenda, allegando documenti e testimonianze dai quali risultava che egli era "figlio naturale e legittimo" (Casini, p. 581). Il processo di nobiltà si svolse a Montepulciano il 24 ag. 1675 con esito favorevole per l'istante, il quale accrebbe il cespite della commenda di altri 500 scudi e vestì l'abito di cavaliere milite di S. Stefano dal 23 dic. 1675.
Il M. è illustre soprattutto per l'attività letteraria, che doveva apparire rilevante quando l'autore era in vita se fu soprannominato "il novello Seneca" per la fluenza e la suggestiva icasticità della scrittura. Di tale attività restano da recuperare l'epistolario e le composizioni poetiche, mentre sono note la traduzione giovanile, dal latino in italiano, di un'opera di medicina e di erbe officinali del portoghese Roderigo Fonseca, professore allo Studio di Pisa (Del conservare la sanità, Firenze 1603), e una trilogia narrativa in prosa incentrata sul principe portoghese Altomiro, che si assume l'epico compito, con l'assistenza della grazia celeste, di creare un impero cattolico in una Cina convertita al cristianesimo.
La traduzione, dedicata all'arcivescovo di Pisa, Carlo Antonio Dal Pozzo non senza fare cenno al granduca Ferdinando I de' Medici, "splendor de principi del nostro secolo", dimostra la duttilità di un ingegno capace di confrontarsi con varie discipline ed è significativa per l'incontro con la cultura portoghese, che fu centrale per la trilogia narrativa.
La trilogia narrativa comprende Il principe Altomiro di Lusitania fortunato (Padova 1644) che nella prima edizione del 1641 era semplicemente Il principe Altomiro di Lusitania (ibid.), Il principe Altomiro di Lusitania travagliato (ibid. 1644), Il principe Altomiro di Lusitania regnante (Roma 1650). Quest'ultima, che è opera della piena maturità, rappresenta scenari planetari di vasto respiro concernenti situazioni politiche e militari d'Europa, Africa, Asia e, per via mediata, del Nuovo Mondo, viaggi su mari e oceani (dal Mediterraneo all'Oceano Atlantico, Indiano, Pacifico), aspetti culturali vari ed esotici, eventi straordinari e meravigliosi, che coinvolgono schiere di angeli e arcangeli, e di contro le potenze infernali, collocando al centro come argomento unificante un'impresa utopica e da leggenda.
Tale si può qualificare l'impresa del principe portoghese Altomiro, che lascia la reggia, la patria e la donna amata, la principessa Lorinda, per andare alla ricerca dell'acqua miracolosa della fonte Borica che restituisce le forze e la giovinezza a chi ne beve e si trova in un'isola in mezzo all'oceano. Altomiro raggiunge l'isola e la preziosa acqua, ma in un contesto di eventi che si fanno sempre più complessi. Imbattutosi in un saggio e illuminato eremita, Filermo, apprende di essere predestinato, secondo i disegni della divina provvidenza, a un compito eccezionale: arrivare nell'Estremo Oriente, diventare signore della Cina, favorire la conversione di questo immenso paese al cristianesimo e farne la piattaforma per unificare i popoli della Terra nella fede in Cristo e nell'ubbidienza al pontefice romano. Nel primo libro, che è il più interessante della trilogia, si racconta il viaggio da Occidente a Oriente del protagonista, l'arrivo in Cina e l'accoglienza benevola accordatagli dall'imperatore cinese. Il secondo libro è dedicato alle imprese militari, diplomatiche e di governo di Altomiro, per consolidare il suo potere di imperatore. Il terzo celebra le virtù dell'imperatore Altomiro, la sua abilità nel conquistare il consenso di principi e popoli sia sul terreno politico sia su quello religioso. L'asse del racconto è costituito dall'ideologia dell'universalismo totalitario cattolico, che ha come scopo l'operare con tutti i mezzi, compresi quelli bellici, per il trionfo della Cristianità guidata dal romano pontefice e la costruzione di una repubblica che amministri la verità per tutte le genti. Significative sono le parole con cui si inizia Il principe Altomiro di Lusitania travagliato: "Le due più alte prove che l'uom possa dare fra' mortali d'animo grande ed eroico sono senza dubbio il Guerreggiare e il Regnare", ovviamente ai fini dell'ecumenismo politico cattolico-romano, il quale va difeso all'interno da scismi ed eresie - la più grave delle quali risulta la Riforma, condannata senza attenuanti - e all'esterno dagli infedeli, cioè i Turchi e tutti i popoli musulmani nonché dagli ebrei, a cui sono dedicate pagine di severa e sprezzante condanna.
Accanto a questi temi, altrettanto centrale è l'esaltazione della missione civilizzatrice e colonizzatrice del Portogallo. Sotto questo aspetto, notevoli e corpose sono le concordanze con il poema epico di L. Vaz de Camões I Lusiadi: dalle narrazioni delle origini della Lusitania secondo il mito classico a un'infinità di motivi tematici, come la condanna della Cristianità che si divide e si dilania, indebolendosi e favorendo l'espansionismo islamico, e il compito di riparazione che spetta al popolo portoghese nella sua interezza.
La scrittura è assoggettata a calcoli e progetti ideologici, dottrinari e allegorici, tuttavia diventa interessante quando abbandona il taglio ottativo e parenetico. Il che avviene non di rado: sotto l'urgenza, infatti, dell'invenzione di aspetti e vicende mai precedentemente narrati, l'opera finisce per essere un romanzo fantastico, che però in controluce lascia intravedere un reticolo di concrete situazioni storiche. Di ciò il M. è conscio, come già Camões, che egli tiene presente anche per questo riguardo; e lucida è la consapevolezza del distacco dai modelli epici precedenti, soprattutto classici. Interessanti sono gli scenari fantastici che il M. rappresenta con notevole abilità plastica, soprattutto quelli concernenti i luoghi esotici, gli animali favolosi e bizzarri come l'uccello rucco, avventure marine, battaglie terrestri, duelli, interventi di forze extraumane. D'altra parte, la trilogia è una miniera di interessanti riferimenti storici, finora poco utilizzati, perché, attingendo alla sua esperienza diplomatica e a fonti e documenti disponibili presso il cardinale Pinelli, presso biblioteche di vescovi e di principi, soprattutto a relazioni diplomatiche di portoghesi, il M. fornisce notizie di attualità storica e antropologica, come quelle su varie regioni d'Europa dalla penisola iberica alla Fiandra, dall'Italia alla Francia, sulle navigazioni di lungo corso, su aspetti delle coste e dei popoli dell'Africa e soprattutto dell'Asia meridionale, dell'Estremo Oriente e della Cina, come quando parla dell'uso e degli effetti dell'oppio, dei datteri, del ginseng (che egli registra come "ginsema"), dei difficili e precari equilibri di pace tra Cina e Giappone, delle città, dei conventi, dei personaggi storici, come Nobunaga (1534-82), che egli chiama Nabunanga, dei terremoti e della densità degli abitanti nei territori cinesi, riguardo ai quali cita il gesuita Nicolas Trigault italianizzato in Niccolò Trigauzio (Il principe Altomiro di Lusitania, 1641, p. 569).
Fonti e Bibl.: Montepulciano, Arch. capitolare (in riordinamento), Libro dei nati del duomo; Ibid., Biblioteca comunale: Microfilm, A 34: Lanci, Nobili di Montepulciano e alberi genealogici della nobiltà, 1699; Mss., 1: Notizie genealogiche e storiche appartenenti a varie famiglie poliziane all'anno 1841; 3: Storie di santi, e famiglie di Montepulciano; Arch. di Stato di Pisa, Arch. stor. dell'Ordine di S. Stefano, ad nomen; G. Guarnieri, I cavalieri di S. Stefano nella storia della Marina italiana (1562-1859), Pisa 1960, ad ind.; B. Casini, I cavalieri dello Stato senese membri del Sacro Militare Ordine di S. Stefano papa e martire, Pisa 1993, ad ind.; D. Galoppi - R. Pizzinelli, Panorama di Montepulciano. Restauro di tre dipinti in palazzo Cervini, Montepulciano 1995, ad ind.; L'Ordine di S. Stefano e la nobiltà senese. Atti del Convegno, 1998, Pisa 1998, ad ind.; C. Varese, Il Seicento, in Storia della letteratura italiana, V, Milano 1967, pp. 675-679; M. Capucci, Introduzione, in Romanzieri del Seicento, a cura di M. Capucci, Torino 1974, pp. 39-44; M.F. Petaccia, Il contributo dell'antichità classica alla Lusitania fantastica (note a margine de "Il principe Altomiro regnante" di P. M.), in A Lusitania entre os mitos e a realidade. VI Mesa-redonda, Cascais, 2004 (in corso di stampa).