POMERIO (pomerium)
La delimitazione dei confini di una città per mezzo d'una linea sacra è uno dei riti più antichi delle popolazioni italiche, preso dagli Etruschi, e perseguito in Roma fino all'impero avanzato, anche quando esso non aveva più nessuna importanza. Il fondatore d'una nuova città tracciava con l'aratro questa linea, alzando il vomere là dove le porte dovevano aprirsi; lo spazio entro il recinto, quadrato o circolare secondo la configurazione del terreno, costituiva la zona religiosa destinata all'abitato, mentre lo spazio esterno costituiva l'ager publicus. Questa linea è quella che i Romani chiamavano pomerio.
Livio (I, 44) così lo definisce: "secondo l'interpretazione stessa della parola, pomerio significa postmoerium, cioè al di là del muro, ma esso è piuttosto un luogo intorno al muro, che gli Etruschi usavano una volta di consacrare mediante gli auspici augurali e fissare con cippi di pietra, quando volevano costruire le mura di una città. Pertanto dalla parte interna non si potevano addossare edifici alle mura, come invece avviene oggi, e il terreno doveva rimanere puro da qualsiasi contaminazione di culto umano. Questo spazio, che non era permesso né di arare né di abitare, i Romani chiamarono pomerio, non tanto perché esso è dopo il muro, quanto perché il muro è dopo di esso". La stessa cosa presso a poco dicono Varrone (V, 143), e Aulo Gellio (Notti attiche, XIII, 14, 3).
M. Della Corte, esaminando i testi antichi, esprime l'ipotesi che pomerium derivi da pone murum "dietro il muro", e che questo fosse il termine per indicare complessivamente ambedue le zone, al di qua e al di là del muro stesso, mentre l'una o l'altra di esse dovevano essere dette in origine antemerium o postmerium. Infatti, salvo le differenze sull'interpretazione della parola, gli autori antichi sono concordi nello stabilire che il pomerio era una zona di rispetto da una parte e dall'altra del muro, lasciata libera non soltanto a scopo religioso, ma anche perché più agevole fosse la difesa del muro stesso; ciò, tuttavia, si riferisce soltanto alla fase iniziale della città, perché in seguito la relazione fra il pomerio e le mura andò sempre più scomparendo. Infatti in Roma il pomerio della Roma quadrata, quale è indicato da Tacito (Ann., XII, 24), sorpassava di molto le mura di Romolo sul Palatino, mentre al contrario esso era assai più ristretto della nuova cinta che va sotto il nome di Servio Tullio. Sappiamo infatti che l'Aventino rimase fuori del pomerio almeno fino all'epoca di Augusto, e così pure una parte dell'Esquilino, adibita a pubblico sepolcreto.
Nell'età classica, del pomerio si parla soltanto a proposito della capitale. Non sappiamo se le varie fasi di ampliamento della città, costituite dal Septimontium, dalla urbs quattuor regionum e dalla cinta Serviana corrispondano ad altrettanti allargamenti del pomerio. Stando ad un passo dell'Historia Augusta (Vita Aur., 21) sembrerebbe che soltanto Silla avesse osato di allargare la linea pomeriale in virtù d'una disposizione che dava facoltà di fare questo a coloro che avevano ampliato i confini dello stato, aggiungendo a questo una conveniente area di ager barbaricus. Ora, appunto l'esistenza di una tale disposizione, invocata da Silla e più tardi da Augusto e da altri imperatori, autorizza ad ammettere che essa fosse già usata da altri prima di loro; solo si può pensare che nei tempi più antichi tale facoltà spettasse al Senato, e che Silla sia stato il primo a disporne come dittatore.
Il pomerio di Silla non è conosciuto: forse egli lo fece coincidere con le mura serviane da lui restaurate. Anche di Giulio Cesare e di Augusto abbiamo la notizia che allargarono il pomerio, ma senza indicazioni topografiche. Anzi Augusto compì questa sacra funzione tre volte, negli anni 27, 18 e 8 a. C., come sappiamo dal suo testamento e dalle monete. È probabile che una delle zone da lui incluse fosse quella del Colle Oppio, che fino alla bonifica di Mecenate era rimasta fuori.
Meglio conosciuto è il pomerio di Claudio: questi, in seguito alla conquista della Britannia (43 d. C.), "auctis populi Romani finibus pomerium ampliavit terminavitque".
La terminazione fu fatta piantando nel terreno, preferibilmente vergine, un certo numero di cippi, 142 o 143, alla distanza di circa m. 71 uno dall'altro, pari a piedi 140 (bini actus). I cippi erano costituiti da grossi blocchi di travertino e portavano sopra la faccia rivolta verso l'interno della città l'iscrizione col nome dell'imperatore e il numero ordinale del cippo stesso. Alcuni cippi trovati in posto permettono di integrare l'intero percorso, che aveva inizio, a quanto sembra, dalla Porta Trigemina sotto l'Aventino, seguiva la riva sinistra del Tevere fino al Testaccio, e continuava lungo le pendici meridionali di questo (cippo n. VIII), per la Porta Ostiense, la Valle delle Camene, la Porta Metronia (n. XXXV), la Porta Asinaria, la Porta Maggiore, il lato ovest dei castra praetoria, la Porta Nomentana, Via Salaria fino a circa 400 m. a nord della porta omonima, le pendici meridionali del Colle Pincio (n. CVIII) e la Via Flaminia (n. CXXXIX). Di qui ripiegava verso l'interno della città rasentando la Via Flaminia stessa fino ai piedi del Campidoglio, e poi volgeva di nuovo verso ovest, andando a riunirsi col Tevere all'altezza del ponte Neroniano.
Da questo tracciato si vede come il Campo Marzio restasse quasi interamente fuori del pomerio, a causa del suo antico uso di campo di esercitazioni militari e di luogo di riunione dei comizî centuriati, che erano i comizî ai quali partecipava tutto il popolo in armi.
Vespasiano e Tito, quando pochi anni più tardi procedettero a una nuova limitazione del pomerio, portarono nel Campo Marzio la linea più a nord, staccandola dalla Via Flaminia all'altezza dell'Ara Pacis (palazzo Fiano) e piegandola con un gomito verso sud, in modo da escludere la zona degli ustrini imperiali, fino a ricongiungerla con quella di Claudio presso il Tevere; forse anche compresero nel pomerio la parte del Trastevere fra il ponte di Agrippa e il ponte Emilio.
Altri imperatori curarono il pomerio di Roma, tra cui Traiano, Adriano, Commodo e Aureliano, ma senza apportare notevoli trasformazioni al tracciato di Vespasiano; solo dell'opera di Adriano abbiamo ricordo nei cippi terminali. In generale, durante l'impero, il pomerio seguiva la linea daziaria. Di questa linea si servì Aureliano come base, quando costruì le sue poderose mura, e probabilmente in quel tempo mura e pomerio coincisero di nuovo per ragioni strategiche.
Bibl.: St. Piale, Della fondazione di Roma, del pomerio, ecc., Roma 1833; Th. Mommsen, Der Begriff das Pomerium, in Hermes, 1876, p. 40 segg.; D. Detlefsen, Das Pomerium Roms und die Grenzen Italiens, in Hermes, 1886, p. 497 segg.; Ch. Hülsen, Das Pomerium Roms in Kaiserzeit, Berlino 1887; J. B. Carter, The Pomerium, in J. British and Americ. Society, IV (1908), p. 128; R. Lanciani, in Bull. Com., 1896, p. 246; O. Marucchi, ibid., 1899, p. 270; P. Romanelli, in Notizie Scavi, 1933, p. 240 segg.; M. Della Corte, Il pomerium di Pompei, in Rend. Lincei, 1913, p. 275 segg.; J. H. Olivert, The Augustan Pomerium, in Mem. Amer. Acad. Rome, X, 1932, p. 145 segg.