Pompei
Mai nessuna catastrofe
ha procurato ai posteri
tanta gioia come
quella che seppellì
queste città vesuviane
(Johann Wolfgang Goethe)
Archeologia vesuviana tra scoperte e conservazione
di Pietro Giovanni Guzzo
19 gennaio
Vengono per la prima volta aperte al pubblico le Terme suburbane di Pompei. Il restauro dell'antico complesso, situato fuori Porta Marina, è stato finanziato dalla Compagnia di San Paolo. "L'apertura - spiega il soprintendente Pietro Giovanni Guzzo - fa parte di una strategia di gestione complessiva degli scavi di Pompei, che da un lato procede a organici e complessi interventi sui monumenti per assicurarne la conservazione adeguata, e dall'altro ne offre di inediti, mantenendo così di fatto sempre alto il livello dell'offerta per i visitatori".
L'unicità dell'area archeologica vesuviana
Fin dal 18° secolo l'attività archeologica vesuviana si è caratterizzata, da un lato, per il continuo rinnovellarsi di scoperte e, dall'altro, per il costante impegno alla conservazione di quanto si veniva mettendo in luce. Queste due principali linee di azione hanno conosciuto fino a oggi quelle modifiche che il generale avanzamento metodologico nello studio dell'antichistica, e della pompeianistica in particolare, ha imposto nell'applicazione della disciplina.
L'intreccio fra queste due attività consegue alla particolarità più specifica che distingue le aree archeologiche vesuviane da tutte le altre che sono finora note nel bacino del Mediterraneo. L'essersi, cioè, conservato di Pompei, di Ercolano, di Stabia, di Oplontis, delle numerose ville di vacanza e delle altrettante numerose fattorie che ne costellavano le campagne, tutto quanto vi era in uso al momento del seppellimento causato dall'improvvisa eruzione del Vesuvio avvenuta tra il 24 e il 25 agosto del 79 d.C. E per tutto non ci si riferisce solamente agli arredi e alle decorazioni, agli utensili d'uso quotidiano, alle sculture e alle iscrizioni, alle piante che crescevano nei giardini e negli orti e ai cibi pronti per essere consumati, ma anche agli abitanti che rimasero uccisi dalle esalazioni velenose fuoriuscite dal vulcano.
Questo insieme di reperti, dai quali si può ricostruire lo spaccato della vita che si svolgeva in quelle modeste cittadine periferiche in una qualsiasi giornata dell'impero di Tito, dà ragione del posto predominante che l'archeologia vesuviana ha assunto nell'immaginario medio, non più solamente ormai europeo ma mondiale. Costituisce inoltre un laboratorio di conoscenza archeologica che surroga le lacune documentarie evidenti nella tradizione letteraria antica, permettendo l'applicazione di un particolare metodo ermeneutico dell'antichità. Così che il conservare quell'evidenza cristallizzata dal cataclisma diviene esigenza anch'essa di metodo: non tanto per facilitare la comprensione ai visitatori non specialisti, quanto per doveroso riconoscimento della limitatezza degli attuali strumenti d'indagine, e quindi per assicurare ai ricercatori delle future generazioni campioni d'indagine sicuri dai quali, con gli strumenti più perfezionati di cui sicuramente saranno dotati, trarre informazioni più ampie e più affidabili di quelle che noi oggi possiamo fornire.
Dalla cultura antiquaria alla nuova impostazione degli studi
Se statue e marmi colorati furono i reperti che, tratti dalla buia cavità di un pozzo, diedero la prima indicazione che qualcosa di misterioso si celava nella profondità della terra, furono poi gli affreschi e gli utensili quotidiani a costituire il pregio principale delle escavazioni intraprese da Carlo di Borbone, re di Napoli, nel 1738 a Ercolano (allora Resina), nel 1748 a Pompei (allora Civita di Torre Annunziata) e nel 1749 a Castellammare. I metodi d'indagine adottati erano rivolti principalmente al recupero di oggetti di valore artistico, tali da poter costituire una collezione antiquaria utile a incrementare l'importanza della novella dinastia, da pochi anni giunta a quel trono. E ancorché quanto si andava scoprendo fosse del tutto differente dal concetto di antico, meglio di 'classico', che allora dominava quella branca di studio che ancora si chiamava piuttosto antiquaria che archeologia, tuttavia le nuove scoperte vesuviane svolsero un ruolo cruciale nello sviluppo moderno della disciplina. Prima Johann Joachim Winckelmann, poi Johann Wolfgang Goethe furono i testimoni autorevoli dello svolgersi del tornante che separa l'antiquaria romana, fino ad allora incontrastata dominante, dalla nuova archeologia dell'antichità. Winckelmann e Goethe, ognuno a proprio modo, non nascosero l'imbarazzo e, per così dire, la delusione provati di fronte a quelle evidenze. Il primo passò in ansiosa rassegna quanto era stato ritrovato sino a quel momento, reagendo alle limitazioni imposte alla sua ispezione da parte degli Accademici Ercolanesi anche per il timore che gli venissero nascosti pezzi classici. Da quanto egli riuscì a vedere selezionò pochissimi pezzi nei quali identificò ascendenze classiche: ma non gli sfuggiva che la quantità documentaria della produzione pittorica affrescata, vera novità delle scoperte vesuviane, poteva essere utilizzata per ricostruire i modi della pittura, l'arte più decantata fra quelle antiche ma quella della quale quasi nulla si era conservato.
Goethe, che non era uno specialista come Winckelmann, non poté che definire 'case da bambola' gli edifici scavati fino ad allora: a confronto sia con le imperiali evidenze di Roma sia con le ricostruzioni ideali, le case di Pompei non potevano, oggettivamente, pretendere diversa definizione.
Ma l'intrinseco interesse di quanto si scopriva quotidianamente, e l'attenzione che contemporaneamente il Secolo dei Lumi portava agli elementi della produzione, insieme al fiorire di scoperte archeologiche non più solamente nella culla del classico ma anche nelle periferie galliche e germaniche dell'Impero, fecero sì che Pompei ed Ercolano venissero progressivamente studiate e investigate per sé stesse, mettendo in atto gli accorgimenti che si ritenevano più efficaci per garantirne la conservazione: dalla ricostruzione di parti più o meno estese degli edifici scavati alla predisposizione di tettoie e ricoveri; dall'applicazione di 'vernicette' rivolte a conservare la vivezza dei colori affrescati allo smontaggio e all'integrazione dei mosaici policromi figurati; dalle puliture alle integrazioni degli utensili e delle sculture in metallo, in ceramica, in pietra.
Del complesso sistema che assicurava lo scavo e la conservazione il centro propulsore era costituito dall'Accademia Ercolanese. A questa afferiva il Real Museo, allocato prima in un settore della Reggia di Portici e successivamente trasportato e ampliato nel napoletano Palazzo degli Studi, nel quale trovò allestimento anche la preziosa collezione Farnese giunta a Carlo di Borbone per testamento. Sicché l'archeologia vesuviana già alla metà del 18° secolo costruisce il modello organizzativo della tutela che, sviluppandosi su sé stesso, ha consentito, e tuttora consente, che delle testimonianze materiali del passato lo Stato garantisca la conservazione in funzione dell'accrescimento culturale dei suoi cittadini.
Anche in conseguenza del sistema di scavo seguito, rivolto al recupero di prodotti artistici, l'attenzione agli organismi urbani sepolti dal Vesuvio stentò a evidenziarsi come campo specifico di ricerca. Allo stesso modo in cui quanto si veniva scavando a Ercolano di quella che poi si definì Villa dei Papiri fu a lungo inteso come un ulteriore quartiere della città, così a Pompei una slentata somma di monumenti (e che monumenti!) non veniva interpretata come un insieme organico. Ma non possiamo ascrivere a difetto dei nostri antenati il non essere nostri contemporanei, e quindi partecipi delle nostre stesse domande. A essi dobbiamo l'inizio del cammino d'indagine che noi oggi perseguiamo e che altri domani amplieranno.
Se la denominazione di Ercolano fu immediata per quanto si stava ritrovando sotto Resina, più dibattuta fu l'identificazione con Pompei di quanto si indagava alla Civita di Torre Annunziata, in mezzo a rigogliosi vigneti e alle cautele derivanti dai danni che gli scavi provocavano alle colture. Tanto che solamente sotto il dominio francese si procedette all'identificazione dell'intero circuito delle mura che difendevano la città, così da poterne istruire l'esproprio e acquisire tutta l'estensione al demanio. L'operazione ebbe ovvie difficoltà nel suo completamento, ivi comprese alcune retrocessioni. Essa tuttavia è chiaro segno di un'attenzione all'intero, anziché ai componenti, che deriva da una rinnovellata impostazione dello studio dell'antico. Impostazione che diede poi vita alle tavole della Silloge dei fratelli Niccolini (1854-96) e alle serie di vedute che assolvevano anche il compito di rinfrescare il ricordo di quanti, sempre più numerosi, si recavano in visita agli scavi.
Da quelle lontane impostazioni di ricerca, rivisitate nel 1998 dal convegno internazionale celebrato in connessione con il 250° anniversario dell'inizio degli scavi di Pompei, sono trascorsi secoli. Nel loro consumarsi, il complessivo spazio ricoperto dall'evidenza dell'archeologia vesuviana nel più generale campo dell'antichistica ha conosciuto una parallela evoluzione: impostasi per il peso della novità e della quantità, ma sprovvista di uno statuto che non fosse quello dell'autoreferenzialità, la ricerca sulle antichità vesuviane trasmuta la propria etichetta dall'accentuazione dell'esempio ercolanese a quello pompeiano. Se il primo è conseguenza della novità e della localizzazione a Portici del Museo e dell'Accademia, il dislocarsi delle strutture e lo sviluppo senza rapporto che presero le indagini a Pompei, anche grazie alle meno ostative condizioni di seppellimento e d'interferenza con contesti abitativi contemporanei, giustificano il secondo. Che continua a permanere, anche perché legato a una specifica disciplina accademica incardinata, ormai da più di un secolo, sull'Ateneo fredericiano.
Quest'ultima solo di recente si è liberata dalla limitazione dell'autoreferenzialità quando non addirittura del localismo, rivolgendosi a ricomporre i rapporti che legavano, e facevano vivere, quelle cittadine campane al più ampio contesto politico, produttivo, culturale, istituzionale e giuridico che conosciamo dell'Italia del 1° secolo dell'Impero. L'attenzione si è volta anche alle fasi precedenti che permettono di seguire lo sviluppo della città almeno dal 6° secolo a.C. e poi attraverso le vicende del dominio sannita. In questo Pompei, e anche Ercolano, non sono più riguardate come pezzi a sé isolati: esse sono state reinserite nel contesto territoriale loro proprio nella successione storica, anche grazie a significative scoperte verificatesi nei rispettivi comprensori, a maggiore o minore distanza.
Non nuovo, ma rinnovato è il filone della storia economica, mentre è recente l'attenzione antropologica e sociologica, basata anche sulle acquisizioni che si debbono all'applicazione delle scienze sperimentali.
Le nuove scoperte
Ancorché Pompei ed Ercolano ammettano modelli applicativi comuni, è la prima, in ragione della maggiore quantità di evidenza disponibile, che ha dato più alimento alla ricerca specialmente per quanto riguarda la conoscenza diacronica del suo sviluppo urbano.
Entro la fine del 6° secolo a.C. il rialzo che dominava da nord lo sbocco in mare del fiume Sarno venne circondato da un circuito continuo di mura di difesa, costruite con blocchi di lava tenera, nota come 'pappamonte'. Le indagini svolte al proposito da Amedeo Maiuri negli anni Venti del 20° secolo sono state riprese da Stefano De Caro e dall'Università di Milano, così da precisarne i risultati principali già raggiunti. Si constata come i successivi rifacimenti e rafforzamenti, scaglionati entro il 4° secolo a.C. e tra 2° e 1° secolo a.C., non ne abbiano modificato il tracciato: anche se, per esempio, si è proceduto alla chiusura di un'arcaica porta rivolta a nord, posta allo sbocco settentrionale della direttrice viaria via di Mercurio - lato orientale del Foro - via delle Scuole.
È proprio questa direttrice che organizza su di sé l'ordinamento del primitivo abitato arcaico: su di essa si attestano vie orientate est-ovest che disegnano angoli minori di 90°, così da favorire il deflusso delle acque. La piazza del Foro, il santuario di Apollo e quello, probabilmente di Minerva, nel Foro triangolare ne rappresentano i principali luoghi pubblici. L'abitato è collegato al territorio circostante dalla via costiera, diretta a Ercolano, che vi penetra da Porta Ercolano, posta all'estremità nord-ovest delle mura; e verso sud, nord ed est si dirigono altre vie, dalle rispettive porte. L'ampliamento dell'edificazione abitativa si compie per fasi, sulla cui esatta scansione cronologica non sempre si è raggiunto l'unanime accordo degli studiosi rispetto alle proposte avanzate in maniera organica e completa dall'Università di Leida. Questa difformità di opinioni è dovuta alla mancanza di incontrovertibili evidenze archeologiche che permettano di fissare nella cronologia assoluta la progressiva urbanizzazione. I sondaggi conoscitivi eseguiti fino a questo momento sotto i pavimenti in uso nel 79 d.C. sono ancora troppo lacunosi nei rispettivi risultati per poterli considerare risolutivi del problema. Gli scavi che sono stati condotti dalla British School at Rome nella Regio I, dall'Università 'La Sapienza' di Roma nelle Regiones VIII e VII, dall'Anglo-American Pompeii Project nella Casa delle Vestali, dal Dottorato delle Università di Perugia-Napoli Orientale-Venezia-Trieste nella Regio VI hanno evidenziato cospicui resti di strutture e di altre attività, risalenti in alcuni casi fino al periodo arcaico, ma comunque non perspicui per le fasi immediatamente precedenti il 3°-2° secolo a.C. Sotto la Casa delle Vestali è stato riconosciuto un segmento di muro costruito con terra pressata, tanto da far supporre che anche in altre situazioni elementi del genere possano esser stati evidenziati, ma purtroppo non registrati.
La conoscenza storica dell'urbanistica di Pompei paga il ritardo con il quale si è applicata in essa l'indagine di scavo stratigrafico. Per quanto riguarda Ercolano, si è guadagnata la conoscenza diretta di un suo settore periferico occidentale, peraltro già registrato nelle cartografie dei fratelli La Vega risalenti all'inizio del 19° secolo. In questo settore, si conservano edifici disposti su più piani, con pareti affrescate e pavimenti mosaicati; in un vano si aveva, inserito nella parete, un pinax di marmo decorato a rilievo con la scena di un Satiro che versa da una brocca. Il quartiere periferico si completava con un edificio a destinazione termale, composto di un'aula absidata, le cui pareti erano ornate a falsa roccia, provvista di una piscina riscaldata. Tale collocazione periferica dell'impianto termale si ricollega a quella analoga documentata dalle Terme Suburbane fuori Porta Marina a Pompei: in queste gli impianti decorativi sembrano esser stati in rifacimento proprio nel momento dell'eruzione.
In maniera concentrica rispetto ai centri abitati si disponevano le strutture abitative territoriali, appartenenti sia a differenti fasi cronologiche sia a differenti tipologie produttive. Nell'immediato esterno di Porta Stabia e di Porta Sarno a Pompei si sono identificati settori di necropoli, a oggi solo parzialmente conosciuti. Nel primo sito si tratta di almeno due sepolture a dado, il cui contenuto era formato da urne cinerarie in vetro. Contenitori funerari analoghi, insieme a oggetti d'ambra, facevano parte del corredo dell'edificio funerario di Eumachia, posto all'esterno di Porta Nocera. In rapporto con Porta Sarno, quanto finora rinvenuto appare essere pertinente a sepolture più modeste. Elemento d'interesse è costituito da un'epigrafe sepolcrale di uno speculator.
A Ercolano, nella periferia occidentale, è stato portato alla luce il settore dell'atrio della Villa dei Papiri: questa lussuosa dimora, di incerta proprietà, è stata oggetto di una prima campagna di scavo che, tuttavia, ha aperto problemi più numerosi, anche in ordine alla tutela del monumento, di quanti ne abbia risolti. Tanto che si è provveduto a sospendere le attività di cantiere e a rivolgere l'attenzione a uno studio di fattibilità complessivo, così come non è stato invece fatto prima di intraprendere i lavori. La novità che è emersa dalle indagini così affrettatamente compiute consiste nell'aver evidenziato come questo settore dell'atrio della Villa sia fondato su una basis villae, alta circa 15 m, provvista di almeno un livello interno composto di ambienti voltati e affrescati.
La posizione dominante sul mare che già era stata ipotizzata per la Villa dei Papiri guadagna, così, un'evidenza archeologica. Intorno a quella che possiamo ipotizzare essere stata la sua discesa a mare, si sono iniziati a evidenziare resti di padiglioni, riccamente lastricati di marmi, all'interno dei quali si sono depositati materiali provenienti dai crolli dei livelli superiori. Si ricordano una statua in marmo di Amazzone e una testa femminile diademata.
Lungo la costa, tra Ercolano e Oplontis, si è lavorato per ampliare la conoscenza della villa in contrada Sora di Torre del Greco: alle indagini sul campo si sono aggiunti interventi di restauro che hanno interessato le pareti affrescate, sia distaccate sia lasciate in posto.
Nel suburbio meridionale di Pompei, sono stati ripresi i lavori intorno all'edificio posto in località Moregine, noto fin dal 1959. Si è proceduto allo stacco completo delle decorazioni parietali affrescate, provvedendo a ricomporvi i frammenti già distaccati in occasione della prima esplorazione del complesso. Si è potuto constatare come l'edificio, al momento dell'eruzione, fosse sottoposto a estesi lavori di restauro, a giudicare dai gruppi di materiali da costruzione ammonticchiati in alcuni locali. Si stava completando l'edificio con un quartiere termale, al cui interno, una volta terminato il terrore indotto dalla distruzione del 79 d.C., si è reimpiantata un'occupazione, a sua volta sepolta dall'eruzione avvenuta nella tarda antichità, nota come di Pollena. Accanto all'edificio principale, nel quale si può forse vedere la sede di un'associazione professionale, si è identificato un complesso, di più modesto tenore, per quanto sicuramente costruito su due piani. Al suo interno sono stati rinvenuti alcuni corpi, fra i quali quello di una donna che portava con sé nella fuga il suo corredo di gioielli.
Da un punto di vista storico, le scoperte più interessanti si riferiscono a situazioni risalenti all'età del Bronzo, quando ancora non si era strutturato l'abitato di Pompei, ma tutto il comprensorio era fittamente abitato da nuclei dediti all'attività agricola e all'allevamento del bestiame. Presso Boscoreale si è documentata una successione di livelli, dal periodo neolitico al 79 d.C., che conservano, intervallati con le progressive coperture vulcaniche, chiari segni di lavorazione agricola, costituiti da solchi di aratro, radici, canalette per l'irrigazione. In località Sant'Abbondio, poco a sud di Pompei, si è scavata una necropoli, formata da fosse con inumazioni, risalente alla media età del Bronzo. I corredi funebri consistono in utensili di metallo e recipienti d'impasto; le coperture sono formate da accumuli di ciottoli. Più a est, in territorio di Poggiomarino, è in corso lo scavo di un esteso insediamento documentato dalla media età del Bronzo fino al periodo romano. Esso si trova sulla riva dell'antico corso del fiume Sarno e ha tratto profitto dall'abbondanza di vita animale che tale zona umida offriva. L'eccezionalità della scoperta consiste nell'aver accertato un diffuso uso di palificate, sino a questo momento mai documentate in Campania. A quanto finora sembra giustificato intendere, essendo ancora lo scavo in corso, le palificate servivano sia come rialzi per proteggere le capanne dall'umidità della zona, sia per rafforzare gli argini dei canali nei quali svolgere attività di pesca.
Le scoperte effettuate a Poggiomarino e a Boscoreale, al di là della loro oggettiva 'non monumentalità', rivestono un particolare interesse in quanto documentano come la frequentazione umana della piana del Sarno, oltre a risalire indietro nel tempo, sia sempre stata dedita all'agricoltura, facilitata dalla feracità delle condizioni ambientali di quel comprensorio. Tale continuità produttiva ha fatto rivolgere l'attenzione e l'interesse dei navigatori greci e levantini verso questa zona, ampliando l'attività economica della più antica colonia greca d'Occidente, quella di Pithecusa, impiantata dalla prima metà dell'8° secolo a.C. sull'isola di Ischia. Ed è dai coloni pithecusani che le popolazioni indigene della pianura campana conobbero, tra l'altro, la forma della città.
Il problema del restauro
Ma il fervore delle nuove scoperte è solo un aspetto delle attività che si svolgono tra Pompei, Ercolano e gli altri siti archeologici. In parallelo si procede a lavori di manutenzione e di restauro: non solo per consegnare alle future generazioni nel modo migliore un patrimonio di conoscenze verso il quale si rivolge l'attenzione di una sempre più ampia opinione pubblica, ma anche per indagare in maniera approfondita le singole storie edilizie dei monumenti oggetto degli interventi.
Infatti, le moderne operazioni di manutenzione e di restauro devono rispondere all'esigenza di una completa conoscenza: e non esiste edificio che non abbia conosciuto, finché era in vita, una successione di restauri e di adattamenti, realizzati allo scopo di renderlo sempre funzionale alle mutate esigenze di coloro che lo abitavano. In tale campo di attività la Soprintendenza Archeologica di Pompei, oltre che del lavoro dei propri funzionari, si avvale dell'appoggio e della collaborazione di numerose Università italiane e Scuole straniere di Archeologia, anche per dare sostanza e significato all'iscrizione delle sue aree archeologiche nella Lista del Patrimonio dell'Umanità decretata nel 1997 dall'UNESCO.
Allo scopo di razionalizzare i lavori e poter disporre in maniera organica delle analisi a essi precedenti e dei risultati ottenuti, è stata elaborata e costruita una banca dati e si sta procedendo all'organizzazione di un centro di ricerca per lo studio delle metodologie d'intervento e a quella di una scuola professionale per operatori sulle architetture storiche.
repertorio
Pompei
Cenni storici
Le prime tracce archeologiche indicano che la città antica di Pompei, il cui nome deriva secondo alcuni dal numerale osco pompe (latino quinque) o dal nome della gens italica Pompeia, fu fondata verso l'8° secolo a.C. da popolazioni osche della valle del Sarno. Durante il 7° e 6° secolo a.C. fu soggetta all'egemonia greca di Cuma, come testimoniano il tempio greco arcaico sulla terrazza meridionale e l'introduzione del culto di Apollo presso il Foro, di origine indubbiamente cumana. Gli etruschi della federazione campana, venuti in lotta con Cuma, riuscirono poi, nel 6°-5° secolo a.C., a sottrarre al dominio greco il settore meridionale della Campania e con esso Pompei, finché con la battaglia di Cuma (474 a.C.) venne ristabilita l'egemonia greca sul litorale campano. Intorno al 425 a.C., con l'invasione della Campania meridionale da parte dei sanniti, Pompei entrò a far parte della federazione sannitica, avente per capitale Nuceria, e fu ricostruita e ampliata. Dopo la vittoria di Roma nelle guerre sannitiche (fine del 4° secolo a.C), Pompei ebbe lo status di socio italico, conservando quindi la propria autonomia, le proprie istituzioni e la propria lingua. Come Nola, Nocera e le altre città del litorale, rimase fedele a Roma durante la Seconda guerra punica, senza peraltro subire assedi o distruzioni da parte dei cartaginesi. Insorta durante la guerra sociale, dopo essere stata occupata dalle truppe italiche ribelli a Roma capitanate da Lucio Cluenzio, fu assediata da Silla (89 a.C.) e conquistata in seguito alla sconfitta italica a Nola. A differenza della vicina Stabia non fu distrutta ma, dopo una temporanea occupazione militare e provvisori ordinamenti, fu eretta a colonia romana con un nome ispirato al gentilizio e al culto familiare del dittatore Silla: Colonia Cornelia Veneria (80 a.C.); Silla vi inviò molti suoi veterani. Il processo di assimilazione tra nuovi coloni e veteres cives fu piuttosto rapido e Pompei andò rapidamente romanizzandosi, pur conservando caratteri italici. La costruzione di grandiose opere pubbliche, come le terme, l'odeon, il Capitolium del Foro, l'anfiteatro, la pavimentazione stradale, dovute in massima parte al mecenatismo di esponenti del partito sillano, diede inizio alla trasformazione urbanistica della città e al rinnovamento dei suoi ordinamenti, della lingua e del costume. Liberata dalla soggezione politica a Nocera, Pompei ebbe peraltro con la vicina e più potente città contrasti d'interessi agrari nell'assegnazione delle terre della valle del Sarno, e a questo profondo rancore, più che a un'improvvisa esplosione di furore popolare, si deve la rissa sanguinosa che nell'anno 59 d.C. scoppiò tra nocerini e pompeiani nell'arena dell'anfiteatro, con conseguenti gravi sanzioni da parte del Senato. In quel periodo Pompei, fiorente per i commerci e le industrie, raggiunse forse il massimo di 25.000 abitanti. Nel 62 la città fu colpita da un grave terremoto, dal quale si riprese rapidamente, ma nel 79 la grandiosa eruzione del Vesuvio la seppellì sotto uno strato di lapilli e ceneri alto 6-7 metri. Di questa immane sciagura, nella quale andarono distrutte, oltre a Pompei, Stabia ed Ercolano, rimane la vivida descrizione in due lettere che Plinio il Giovane scrisse allo storico Tacito; nella prima di esse (Epist. VI, 16) narra la fine dello zio Plinio il Vecchio, il grande naturalista che, comandante della flotta di Miseno, morì mentre tentava di portare soccorso agli abitanti della zona.
Gli scavi
L'esplorazione archeologica di Pompei ha portato alla luce una documentazione di incomparabile ricchezza riguardo a tutti gli aspetti della vita e della civiltà artistica di una città romana della prima età imperiale, abitata da una fiorente classe media. Pompei è divenuta così il centro archeologico di epoca romana più noto nel mondo. Questa eccezionale documentazione è dovuta soprattutto al fatto che la vita della città venne interrotta bruscamente nel suo pieno rigoglio dall'eruzione del Vesuvio nel 79, e non passò attraverso le fasi di decadenza e di abbandono subite generalmente da centri più importanti (come per esempio Atene, Roma, Bisanzio), nei quali le epoche successive hanno via via distrutto le testimonianze più antiche.
Il non completo seppellimento della città permise nell'antichità ricerche e spoliazioni. Poi il luogo fu completamente abbandonato e divenne la deserta collina della Civita, finché nel 1594-1600 lo scavo di un canale di bonifica portò alla casuale scoperta di iscrizioni ed edifici affrescati. La prima esplorazione iniziò nel 1748 sotto Carlo di Borbone, quando il complesso archeologico che veniva portato alla luce non era ancora individuato come Pompei. L'identificazione fu resa possibile nel 1763 dalla scoperta dell'iscrizione di Suedio Clemente. Nella prima metà del 19° secolo gli scavi misero in luce gran parte degli edifici del Foro. Nel 1860 Giuseppe Fiorelli iniziò l'esplorazione sistematica della città e anche il restauro scientifico, che si è andato poi sempre più perfezionando nel corso del 20° secolo. La pratica dei saggi stratigrafici ha consentito intanto di fare luce sulle fasi più antiche. Attualmente rimane ancora da scavare circa un quinto della città antica.
I reperti più importanti rinvenuti a Pompei sono conservati nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli, molti altri figurano nelle collezioni dei principali musei del mondo. Nell'Antiquarium pompeiano, ricostruito presso la Porta Marina dopo la distruzione del primo durante la Seconda guerra mondiale, sono stati collocati gli oggetti venuti in luce negli ultimi scavi, tra cui un frontone in pietra e altre sculture del periodo sannitico.
La città antica
Pompei sorge sopra uno degli ultimi contrafforti del versante meridionale del Vesuvio, formato da una colata lavica preistorica (di cui si vedono gli affioramenti sulle scarpate del fronte meridionale e presso l'anfiteatro), con stratificazioni superiori tufacee, in pendio da nord a sud con un fronte a picco nel lato sud-ovest verso il mare. Il contrafforte si distacca con una forte insellatura dalle pendici del Vesuvio e, in forma di una grande terrazza pentagonale, discende prima con sensibile pendenza poi con balze precipiti verso la valle del Sarno. Successive eruzioni di ceneri e scorie hanno in parte livellato le asperità del terreno. L'area dell'abitato è divisa da un'insolcatura mediana (via di Stabia) in due settori: uno occidentale di estensione minore, che comprende il Foro con le Regiones VI, VII, VIII e raggiunge a Porta Vesuvio la massima quota di altezza (42 m s.l.m.); l'altro orientale, più esteso, con le massime depressioni presso l'anfiteatro (12 m) e la Porta di Stabia (8 m). Il ciglio della terrazza segnò, con una linea di naturale difesa, la massima espansione urbanistica della città. Posta quasi a sbarramento della valle del Sarno e delle vie che confluivano da Nola e da Nocera, a breve distanza dal mare e dalla foce del Sarno, Pompei era naturalmente destinata a svolgere i traffici terrestri e marittimi tra la Campania meridionale e le vie che si aprivano verso il sud della penisola. Mancando un qualsiasi rilievo o insenatura costiera, il porto dovette essere formato dallo stesso estuario del fiume con quelle opere di bacino e di banchinamento che erano adottate dai coloni greci delle altre città marittime della Magna Grecia, appoggiate anch'esse a un più o meno ampio bacino fluviale. In epoca romana il lido segnava una più profonda insenatura ed era circa 1 km più vicino alla città rispetto a oggi: l'enorme accumulo dei materiali dell'eruzione del 79, l'apporto alluvionale e le opere di canalizzazione e di bonifica dall'età borbonica in poi hanno infatti prolungato e alterato notevolmente il litorale. Nell'area del porto-canale, presso la foce del Sarno, non lontano dalle mura, si trovava un vero e proprio pago marittimo. A ponente del fiume, lungo la fascia del lido, si apriva un bacino lagunare e presso quella laguna, lungo la spiaggia, vi erano le saline, dedicate a Ercole e documentate da iscrizioni di associazioni (Salinienses) e dal nome della porta (Porta Salinensis) per la quale il prodotto era trasportato in città. La produzione di sale costituiva una delle maggiori risorse economiche di Pompei. All'esterno la città era lambita dall'ultimo tratto della via litoranea che da Napoli conduceva a Nuceria. Un'altra via collegava Pompei a Stabiae e da Stabiae, attraverso la penisola sorrentina, a Surrentum. Anche senza assurgere all'importanza di una grande città, Pompei aveva dunque una posizione preminente nello sviluppo politico ed economico della Campania meridionale.
A differenza di Neapolis e di Ercolano, la pianta di Pompei non segue un unico asse di orientamento; sono invece in essa riconoscibili tre diversi nuclei: un nucleo primitivo osco intorno alla piazza del Foro, caratterizzata da insulae a pianta quadrangolare e vie ad andamento curvilineo (vicolo Storto, strada degli Augustali, primo tratto della via dell'Abbondanza); il quartiere a nord del Foro (Regio VI) che presenta insulae strette e allungate e una rete stradale rigorosamente ortogonale; il quartiere a oriente della via di Stabia, che comprende il maggiore agglomerato urbano, con un diverso orientamento della rete stradale, saldato ai precedenti nuclei mediante insulae a pianta irregolare. Nella parte più pianeggiante sorge il Foro e si conservano altre terrazze minori. Il perimetro delle mura (3,22 km) abbraccia un'area di 662.684 m2, a forma di poligono irregolare, con otto porte: Porta Marina, Porta di Ercolano (l'antica Salinensis), Porta Vesuvio, Porta di Capua, Porta di Nola, Porta di Sarno (l'antica Urbulana), Porta di Nocera, Porta di Stabia. Sono state individuate tracce delle mura anteriori alla fine del 5° secolo a.C., mentre alla fine del 5° secolo-inizio del 4° a.C. risale il muro a doppia cortina parallela in calcare di Sarno. Le fortificazioni ad aggere sono all'incirca dell'età delle guerre sannitiche. Le torri e vasti tratti di cortina in opera cementizia di malta e pietre vulcaniche risalgono all'ultima fase di costruzione, poco prima dell'assedio sillano. Nella parte occidentale della città, dove si trova il Foro, le arterie principali sono la via di Nola e la via dell'Abbondanza, da est a ovest, e la via Stabia e la via Nocera da nord a sud.
Nelle costruzioni della città risultano impiegati vari materiali e tecniche: in epoca presannitica (500-420 a.C.) pietra calcarea e opera quadrata; nella prima epoca sannitica (420-250 a.C.) blocchi parallelepipedi prevalentemente calcarei e inizio dell'uso di tufo, opera quadrata e opera incerta; nella seconda epoca sannitica (250-80 a.C.) materiale prevalentemente tufaceo, opera quadrata e opera incerta; all'inizio della colonia romana (80-23 a.C.) opera quasi reticolata, primo impiego di laterizi negli spigoli; in età augustea e giulio-claudia (fino al terremoto del 62 d.C.) opera reticolata poi con immorsature laterizie, oppure opera incerta e rivestimento di stucco dipinto, colonne laterizie oppure a conci di tufo e laterizi, stuccate, impiego di marmo nei rivestimenti, sviluppo della pittura parietale e dei mosaici pavimentali; nella prima età flavia (63-79 d.C.), nei restauri dopo il terremoto, largo impiego del laterizio.
I monumenti pubblici
I monumenti pubblici si accentrano intorno al grande Foro e al minore Foro triangolare. Al di fuori di queste zone si trovano solo le terme e l'anfiteatro. Il Foro principale (38x142 m), orientato da nord a sud, era chiuso al traffico dei carri e dominato a nord dalla mole del tempio di Giove e a ovest dal tempio di Apollo, impiantati già nella prima epoca sannitica, quando la piazza era contornata da pilastri di opera quadrata tufacea. Nel 2° secolo a.C. fu cinta da colonne doriche e da un loggiato ionico. Fu allora sistemato il lato sud, con la costruzione della basilica, e fu rifatto anche il tempio di Giove. La stipe e le terrecotte architettoniche che vi si sono raccolte rivelano comunque la preesistenza di un culto di Apollo (6°-5° secolo), da ricondurre, come già detto, all'influsso di Cuma. La trasformazione del portico e del loggiato di tufo in travertino, iniziata in età imperiale, fu troncata dal terremoto e dall'eruzione. Sui lati est e sud sorsero il macellum, il Sacrario o Atrio dei Lari pubblici, il tempio al Genio di Augusto, l'edificio di Eumachia, il comitium, la curia, un portico laterizio a ovest per la vendita dei cereali, infine due archi trionfali ai lati del Capitolium, mentre tutta la piazza fu pavimentata di travertino e si ornò di statue onorarie e del suggestum per gli oratori. Nel Foro triangolare, che alcuni ritengono il nucleo primitivo della città, sono i resti di un tempio dorico del 6° secolo a.C. forse dedicato a Ercole (7x11 colonne), pseudodittero, di cui si sono trovati avanzi della decorazione fittile dal 6° al 3° secolo a.C. L'area è circondata da un portico a colonne e comunica con il vicino complesso del Teatro grande, sorto nel 2° secolo a.C., ricostruito sotto Augusto dall'architetto Marco Artorio Primo, per circa 5000 spettatori e con grandioso quadriportico dietro la scena, trasformato sotto Nerone in caserma dei gladiatori. Accanto è l'odeon (o Teatro piccolo), eretto dai magistrati Marco Porcio e Gaio Quinzio Valgo verso l'80 a.C. per 1500 spettatori. Alle spalle della cavea del Teatro è situata una piccola palestra di tipo greco, costruita dal questore sannita Vibio Vinicio per il sodalizio della iuventus pompeiana. Una palestra più ampia (130x140 m), con portici, una natatio per nuoto e viali alberati, fu realizzata in età augustea presso l'anfiteatro come sede della iuventus pompeiana. A Zeus Meilìchios era dedicato un tempietto all'angolo tra le vie di Iside e di Stabia, che forse alloggiò temporaneamente il culto della triade capitolina dopo il 62. Il culto di Iside si svolgeva in un tempio ricostruito dopo il 62 a spese di Popidio Celsino, chiuso da alte mura, su un elevato podio, con ara a fianco delle gradinate, un tempietto per acqua lustrale all'angolo sud-est e sala di riunione degli isiaci.
L'anfiteatro, costruito nei primi anni della colonia romana e compiuto nelle gradinate (non prima del 7 a.C.) per opera di magistrati del pagus suburbano Augusto Felice, sorge all'angolo sud-est della città, appoggiato alle mura e dotato esternamente di scale a doppia rampa.
L'edilizia privata
I quartieri di abitazione hanno reso vari tipi di case, da quello italico del 4°-3° secolo a.C. fino a quello romano del 1° secolo d.C. Le più antiche, in opera quadrata di pietra del Sarno, hanno l'atrio tuscanico e presentano facciate massicce e austere (Casa del Chirurgo). Nel 3° e 2° secolo a.C. sotto l'influsso ellenistico, la struttura delle abitazioni si fa più articolata: viene aggiunto un portico intorno all'antica area dell'hortus, l'atrio adotta talvolta la copertura tetrastila, la facciata si arricchisce di elementi architettonici, si distinguono le stanze della servitù; contemporaneamente cresce d'importanza l'apparato ornamentale, con le pareti decorate a stucco o dipinte a finto marmo e i pavimenti coperti di raffinati mosaici policromi (tra gli esempi più famosi le Case del Fauno, di Pansa, delle Nozze d'argento, di Sallustio, del Labirinto, di Meleagro, di Epidio Rufo, dei Capitelli figurati). Nel periodo imperiale la decorazione pittorica parietale delle case patrizie assume una maggiore ricercatezza, si riscontra grande cura nell'ornamentazione dei giardini, mentre dal punto di vista dell'architettura si nota la tendenza a frazionare le aree, a sopraelevare, a costruire ballatoi, avancorpi, muri e tramezzi leggeri con intelaiature lignee e muratura povera; si aggregano talvolta più case aprendo solo vani di passaggio (Case del-le Vestali, dell'Ancora, di Castore e Polluce, di Sirico, del Citarista, dell'Efebo). Tra gli esempi più significativi del periodo imperiale sono le Case dei Vettii, degli Amorini dorati, del Poeta tragico, di Lucrezio Frontone, quelle lungo la via dell'Abbondanza, e soprattutto la Casa detta del Menandro, da cui proviene un ricco tesoro di argenterie.
Per la pittura pompeiana si parla, seguendo la tradizionale classificazione introdotta da A. Mau alla fine del 19° secolo, di quattro stili. Il gusto decorativo passa da quello semplicemente strutturale di tradizione ellenistica del primo stile a quello architettonico del 1° secolo a.C. del secondo stile (quando per la prima volta si assiste all'introduzione dell'elemento paesaggistico), a quello più schematico ed egittizzante del terzo stile, fino a quello illusionistico, fantasioso ed esuberante del quarto stile. I soggetti sono attinti dal mondo mitico degli dèi e degli eroi, dai poemi omerici e ciclici; una complessa rappresentazione di un'azione religiosa è il tema degli affreschi della Villa dei Misteri, mentre quelli della Villa di Boscoreale hanno carattere storico e commemorativo. Si è già detto della ricca decorazione pavimentale rinvenuta in molte case. Il già copioso repertorio di pavimentazioni musive (fra tutti i mosaici policromi ellenistici di Pompei merita di essere citato quello che rappresenta la battaglia di Alessandro, proveniente dalla Casa del Fauno e conservato al Museo Archeologico Nazionale di Napoli) si arricchì ulteriormente nell'età dei Flavi di pavimentazioni di marmi colorati a formelle geometriche (opus sectile). I templi, gli edifici pubblici e le case erano poi ampiamente ornati di statue marmoree e bronzee, rinvenute in gran copia nel corso degli scavi. Da ricordare, in particolare, i bronzi dell'Apollo Citaredo (Casa del Citarista) e dell'Efebo (Casa di Cornelio Tagete), l'Artemide pompeiana e il Doriforo policleteo (dalla Palestra), l'Apollo e Artemide (dal tempio di Apollo), nonché la ricca serie dei ritratti, sia di Livia e di altri membri della famiglia imperiale giulio-claudia, sia di cittadini pompeiani (Olconio Rufo, Eumachia, Suedio Clemente, Norbano Sorice, Lucio Cecilio Giocondo, Cornelio Rufo, Vesonio Primo e tanti altri non identificati), sia di letterati e filosofi greci. A queste opere maggiori si affianca una gran quantità di statuette ellenistiche, piccole erme, gruppi di animali, ornamenti di fontane e giardini. Ma Pompei è soprattutto importante per la conservazione di tutto il vario arredamento delle case: letti, casseforti, candelabri, tripodi, bracieri, vasellame di bronzo e di terracotta fino alle preziose argenterie cesellate e ai vetri policromi, ai gioielli e agli avori.
Da iscrizioni e graffiti è documentata un'organizzazione collegiale del ceto lavoratore, con associazioni di caeparii (orticultori), pomarii (fruttivendoli), gallinarii (pollaioli), piscicapi (pescatori e pescivendoli), muliones (mulattieri), saccarii (facchini), cisiarii (fabbricanti di carri), pistores (fornai), textores (operai tessili), fullones (tintori), questi ultimi particolarmente attivi, come attestano varie fulloniche conservate nelle case e la sede stessa del collegio, costruita dalla sacerdotessa Eumachia. Le insegne dipinte offrono un vivace quadro del commercio e dell'industria che si esercitano nella città. Lungo la via dell'Abbondanza sono ben conservate molte botteghe, fra le quali l'officina del vestiarius Verecundus. Numerose le cauponae od osterie, i thermopolia per mescita di bevande, le bische (tabernae lusoriae), le stalle e locande (stabula e hospitia). Molte case hanno torchi e presse per l'olio (torcularia) e il commercio fiorente dell'olio, del vino, dei cereali è attestato dal gran numero di anfore, spesso iscritte, e di doli. L'altissimo numero di graffiti, eseguiti per le ragioni più diverse sulle pareti esterne e interne delle case, testimonia la notevole diffusione dell'uso della scrittura nella città del 1° secolo d.C. Di grande importanza dal punto di vista giuridico, storico e paleografico sono anche le 127 tavolette cerate contenenti documenti privati di vario genere, rinvenute nell'abitazione del banchiere Lucio Cecilio Giocondo e conservate nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli (15-62 d. C.).
All'edilizia urbana fa riscontro una fitta corona di ville situate nell'agro circostante. Le tipologie sono quanto mai diverse, passando dalle modeste fattorie alle grandiose dimore patrizie. Le ville più signorili sono costruite vicino alla città (Ville di Cicerone, delle Colonne a mosaico, di Diomede, e soprattutto la celebre Villa dei Misteri che prende nome dal grande affresco con scene d'iniziazione ai misteri dionisiaci), ma sono presenti anche in zone più lontane e aperte (Ville di Fannio Sinistore, di Agrippa Postumo, di Boscoreale, dalla quale proviene un famoso tesoro di argenterie). Le ville rustiche avevano ambienti disposti intorno a una corte scoperta.
Le terme
Oltre a molti bagni privati in case signorili, all'interno della città vi erano almeno tre terme pubbliche: le Stabiane, risalenti nella forma generale al 2° secolo a.C., rifatte in età romana e danneggiate dal terremoto del 62; le terme del Foro, dei primi anni della colonia, con tutti gli impianti e la decorazione in stucco ben conservati; le terme centrali, iniziate poco prima dell'eruzione.
All'esterno delle mura, all'ingresso di Porta Marina, erano situate le Terme Suburbane, di età augustea. Il complesso, il cui restauro è stato recentemente portato a termine, presentava in sequenza, oltre a uno spogliatoio (apodyterium) unico per uomini e donne, un ambiente con vasca a bagno freddo (frigidarium), una stanza con vasca a temperatura moderata (tepidarium), un piccolo ambiente per bagni di sudore e una stanza con vasca per bagno caldo (calidarium). In seguito fu aggiunto un ulteriore ambiente, con una grande piscina riscaldata, realizzata (così come in un altro edificio a Ercolano) con una tecnica molto innovativa che, attraverso la creazione di una doppia camera, manteneva costante la temperatura dell'acqua. L'area della piscina fredda era ornata da una fontana a mosaici policromi, decorata anche con affreschi raffiguranti soggetti marini e navi. Lo spogliatoio era invece affrescato con quadretti erotici (ne sono visibili otto, di altri otto restano solo le tracce), sotto i quali il disegno di una cassetta in legno numerata richiamava quella in cui si ponevano gli abiti. Secondo la ricostruzione di alcuni studiosi le varie posizioni sessuali rappresentate negli affreschi costituivano una sorta di 'catalogo' delle prestazioni che i clienti delle terme potevano ottenere dagli schiavi - uomini e donne - probabilmente al piano superiore (è da notare che i proprietari delle terme non avrebbero potuto dichiarare esplicitamente l'attività di prostituzione in quanto, colpiti dalle sanzioni previste dalla legge, sarebbero diventati infames, perdendo, per esempio, il diritto di voto e la possibilità di presentarsi alle elezioni). Secondo altri, invece, gli affreschi avrebbero un ruolo puramente ornamentale e un intento umoristico. Tra le particolarità, oltre all'immagine di un poeta nudo, c'è anche l'unica scena di amore saffico dell'epoca romana arrivata sino a noi.
repertorio
Ercolano
Secondo la leggenda, la città antica fu fondata da Eracle al ritorno dall'Iberia, donde il nome greco di Eraclea. In realtà, sembra che l'influsso greco, esercitato attraverso le colonie di Napoli e di Cuma, fosse modesto e che Ercolano piuttosto fosse un insediamento degli opici (7° secolo a.C.). Sottoposta al dominio prima degli etruschi (6° secolo a.C.) poi dei sanniti (fine del 5° secolo a.C.), passò sotto quello romano dopo le guerre sannitiche alla fine del 4° secolo a.C. Ribellatasi a Roma nella Guerra sociale ed espugnata da un legato di Silla nell'89 a.C., divenne municipio e poi forse colonia. Al pari di Pompei fu gravemente danneggiata dal terremoto del 63 d.C. e fu distrutta dall'eruzione del Vesuvio del 79, quando venne seppellita da un'alluvione di fango.
I primi saggi di scavo furono praticati nel 1709-1716 dal principe austriaco E.M. d'Elboeuf, il quale identificò il teatro, spogliandolo delle sculture. In seguito Carlo di Borbone patrocinò scavi regolari, che furono effettuati dal 1738 al 1765 sotto la direzione dell'ingegnere spagnolo R. Alcubierre, coadiuvato dall'architetto svizzero C. Weber e da F. la Vega; furono allora esplorati, attraverso una rete di cunicoli sotterranei, la basilica, alcuni templi e poi la ricca Villa dei Papiri. Tra il 1828 e il 1835 furono condotti altri scavi non più con il sistema dei cunicoli, ma a cielo aperto, con lo scopo di mettere in luce le rovine, così come si faceva a Pompei. Un'altra campagna si tenne fra il 1869 e il 1875. Dal 1927, pur limitati verso monte dal sovrastante abitato moderno, gli scavi sono stati ripresi sistematicamente. La pianta di Ercolano appare molto regolare, suddivisa da cardini e decumani, i primi in notevole pendio per il terreno molto acclive. Verso il mare le case giungevano fino all'estremo ciglio del piccolo promontorio ed erano sostenute da terrazzamenti. A nord del decumano massimo erano situati la basilica, adorna delle statue dei Balbi e di pitture (oggi conservate nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli), un edificio identificabile con un macellum, vari templi e il teatro, di 53 m di diametro, costruito dall'architetto Publio Numisio, con la cavea sostenuta da due ordini di colonnati e riccamente decorato. Si sono messi allo scoperto poi due edifici termali, una palestra e tutto il quartiere meridionale, dove le case, ben conservate, hanno balconi, tetti spioventi, ricchi pavimenti marmorei e musivi, pitture parietali; vi si sono ritrovati molti elementi lignei carbonizzati (scale, tramezzi, porte). Il tipo dell'abitazione è simile a quello pompeiano (atrio, peristilio e botteghe), ma la città ha un carattere più signorile e tranquillo. Nella casa detta del Bicentenario è stato rinvenuto un pannello in stucco con un emblema cruciforme, in cui si è voluto vedere un simbolo cristiano.
Il principale monumento di Ercolano è la Villa dei Papiri, detta anche dei Pisoni, la più ricca dimora patrizia suburbana conosciuta dell'antichità. Aveva fronte di 250 m, al quartiere di alloggio era collegato un grandioso peristilio, cui seguiva una terrazza (solarium) aperta verso il mare e terminante con una rotonda. La villa possedeva una galleria di sculture e bronzi (oggi conservati nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli) e una ricca biblioteca, nella quale furono riportati alla luce tra il 1752 e il 1754 più di 1800 papiri (compresi semplici frammenti), contenenti opere filosofiche, soprattutto testi greci epicurei, e raccolte di notizie riguardanti i rappresentanti delle scuole filosofiche.
A Ercolano sono state inoltre rinvenute, già in piccola parte durante gli scavi del 1752, ma soprattutto nel corso di quelli intrapresi a cominciare dal 1927, centinaia di tavolette cerate, sorta di archivi privati, provenienti da sei o sette abitazioni diverse. Raggruppate per la maggior parte in trittici (circa 100), le tavolette contengono atti legali di grande interesse per la conoscenza del diritto privato di età claudia e flavia, atti pertinenti a procedimenti arbitrali e perfino sentenze di giudici, liste di signatores ecc.