ARRIGONI, Pompeo
Nacque a Roma da Giovanni Giacomo. La data della sua nascita è con ogni probabilità il 2 marzo 1552, anche se un documento contemporaneo della corte di Madrid la fa risalire al 1548, il Moroni al 1541 e lo Spampanato addirittura al 1532.
Studiò a Perugia, Bologna e Padova: nello Studio di quest'ultima città si addottorò in diritto civile e canonico. Tornato a Roma, esercitò a lungo l'avvocatura ordinaria e difese in più occasioni gli interessi del re di Spagna, il quale nel 1584 gli ottenne dal papa Gregorio XIII la nomina ad avvocato concistoriale. In questa qualità presentò a Sisto V, a nome di Filippo II, un'istanza per la canonizzazione di Diego d'Alcalá e il 25 giugno 1588 pronunzio in proposito un'orazione in concistoro.
Uditore della Sacra Rota nel 1590, la grande competenza giuridica e la finezza diplomatica fecero presto dell'A. una delle personalità di maggior rilievo della Curia. Clemente VIII lo ebbe tra i suoi più ascoltati consiglieri e nel giugno 1596 lo nominò cardinale del titolo diaconaledi S. Maria in Aquiro, mutato poi in quello di S. Balbina il 24 genn. 1597.
Lo stesso pontefice ammise l'A. nella Congregazione del Sant'Offizio e gli affidò delicatissimi incarichi: nel 1598 si fece accompagnare da lui nel viaggio fatto a Ferrara per prendere possesso della città devoluta alla S. Sede; lo elesse l'anno successivo nella commissione per l'annullamento del matrimonio del re di Francia Enrico IV con Margherita di Valois; nel 1601 volle la sua assistenza nella difficile questione dottrinale sollevata dall'opera del Molina e nel 1604 lo incaricò di presiedere al capitolo romano dei teatini per l'elezione dei nuovo generale dell'Ordine. L'A. mantenne sempre una notevole indipendenza di giudizio e di azione rispetto alle varie forze politiche che tentavano di influire sulla Chiesa; lo stesso governo di Madrid, che pure aveva a lungo rappresentato presso la Curia, lo riteneva così poco arrendevole alle proprie esigenze che una commissione di statisti spagnoli nel 1601 incluse l'A. in una tema di cardinali che i membri spagnoli del futuro conclave non avrebbero in nessun caso dovuto eleggere.
Nel 1605, alla morte di Clemente VIII, l'A. sembrò avere qualche possibilità di essere eletto al soglio pontificio, ma eglistesso finì per schierarsi tra i sostenitori di Alessandro de' Medici, alla cui proclamazione dette un deciso contributo.
Leone XI lo volle tra i suoi più vicini collaboratori e gli affidò la Dataria, che l'A. resse come prefetto, e successivamente come prodatario (21 maggio 1605). Lo chiamò inoltre a far parte, insieme con i cardinali Baronio, Cesi e Du Perron, della Congregazione sopra la stamperia e gli affidò l'incarico di dirigere una nuova edizione delle decretali.
Nel conclave seguito alla morte di Leone XI la candidatura dell'A. fu sino alla fine contrapposta a quella del cardinale Camillo Borghese; ma allorché questi fu eletto conservò all'A. la fiducia che per lui avevano avuto i precedenti pontefici: lo chiamò a far parte della Congregazione dell'Indice e di quella di Propaganda Fide, approvò la sua elezione a protettore della Congregazione dell'Osservanza e dei regolari del SS. Salvatore, gli affidò nella diocesi di Benevento l'abbazia di S. Bartolomeo e lo confermò nella carica di datario. Lo volle inoltre nel comitato di cardinali preposto ai lavori per l'amphamento della basilica di San Pietro. Quando, nel 1607, per l'aggravarsi dei contrasti teologici tra gesuiti e domenicani, la controversia sulla grazia si impose nuovamente all'attenzione dei pontefice, questi chiamò a far parte del ristretto gruppo di cardinali dai quali volle essere assistito in quell'occasione anche l'A., che propose a Paolo V una posizione il più possibile cauta, sconsigliando la proibizione dell'opera del Molina, opponendosi alla formulazione di troppo rigide proposizioni teologiche, che avrebbero provocato una ripresa della polemica protestante, e chiedendo un nuovo esame del problema.
Sul finire del 1607, per dissensi sulla cui natura non si hanno notizie, l'A. cadde in disgrazia del pontefice, il quale lo privò della carica di datario, che affidò al cardinale Michelangelo Tonti, e lo allontanò da Roma, incaricandolo di reggere l'arcivescovato di Benevento, al quale era già stato destinato il 7 febbr. 1607. Da allora si dedicò quasi esclusivamente alla sua diocesi, pur partecipando talvolta ai lavori delle Congregazioni di cui faceva parte: fu presente per esempio ad una delle sedute (maggio 1611) in cui il tribunale dell'Inquisizione esaminò le posizioni di Galileo. Morì a Torre del Greco il 4 apr. 1616.
Fonti e Bibl.: G. Galilei, Opere, XII, Firenze 1902, p. 127; XIX, ibid. 1907, p. 275; G. Bentivoglio, Memorie e lettere, a cura di C. Panigada, Bari 1934, pp. 66 s.; G. Moroni, Diz. di erudizione stor.-ecclesiastica, III, Venezia 1840, pp. 27 s.; L. v. Pastor, Storia dei Papi, IX, Roma 1925, p. 919; X, ibid. 1928, p. 165; XI, ibid. 1929, passim; XII, ibid. 1930, passim; V. Spampanato, Sulla soglia del Seicento, Milano-Roma-Napoli 1926, pp. 185 s.; P. Gauchat, Hierarchia catholica, IV, Monasterii 1935, pp. 5, 40, 52, 113.