popolazione
Un insieme di individui con caratteristiche in comune
La popolazione umana più semplice da definire è quella dell’insieme degli individui che popolano la Terra. La definizione di popolazione può applicarsi altrettanto bene a una qualsiasi frazione di questo insieme, isolata sulla base di uno o più criteri che permettano di identificare gli individui che ne fanno parte: per esempio, territorio, religione, lingua, nazionalità, istruzione, attività economica, malattia, sesso, gruppo sanguigno. Si può quindi parlare della popolazione italiana o di quella lombarda, della popolazione di religione ebraica o di quella di lingua francese, e così via
In ogni momento una popolazione è caratterizzata, prima di tutto, dalla sua dimensione (il numero di individui che ne fanno parte), dalla sua composizione per sesso (gli uomini e le donne che la compongono) e per età (i bambini, gli adolescenti, i giovani, gli adulti o altre fasce d’età).
Altri aspetti essenziali riguardano la distribuzione geografica della popolazione e il suo ammontare in un dato momento storico, ma anche i meccanismi che modificano tutti gli aspetti e che ne determinano le trasformazioni nel tempo. Per esempio, l’evoluzione della popolazione della Terra in un dato periodo è il risultato del suo ammontare iniziale, al quale si aggiungono i nati e si sottraggono i morti registrati dall’inizio alla fine dello stesso periodo. Il nuovo ammontare di popolazione è più elevato se i nati superano i morti (e viceversa nel caso opposto), mentre le caratteristiche per sesso e per età vengono modificate per effetto del declino temporale della natalità e della mortalità.
Per popolazioni diverse da quella mondiale, l’evoluzione è determinata non solo dall’andamento delle nascite e delle morti, ma anche dai flussi migratori registrati nel periodo di riferimento: si devono così aggiungere gli immigrati e sottrarre gli emigrati.
Sei miliardi e mezzo di uomini popolano il mondo alla fine del 2005: è questo un numero provvisorio che cambia continuamente e non descrive le diverse realtà geografiche. È un numero, inoltre, molto difficile da calcolare con precisione.
Facciamo un esempio: è facile sapere quanti sono gli scolari della terza A della scuola media Dante Alighieri di Roma il 31 gennaio del 2005, alla prima ora di lezione, poiché si tratta di un insieme ben definito e di piccole dimensioni. Più complicato è conoscere allo stesso tempo il numero degli scolari dell’intera scuola, più difficile ancora quello dell’insieme degli scolari delle scuole medie di Roma, o del Lazio, o dell’Italia. Le stesse difficoltà si presentano quando si vuole conoscere la popolazione di una città, di una regione o dell’intero paese. C’è un solo momento preciso in cui il preside di una scuola e il sindaco di una città possono fornire l’ammontare esatto della loro popolazione. Per il sindaco è quando ha luogo il censimento della popolazione. Per la popolazione di un intero paese, questo momento può ripetersi a intervalli più o meno lunghi (ogni dieci anni, per esempio). L’Italia, alla data dell’ultimo censimento, il 21 ottobre del 2001, aveva 56.995.744 abitanti: 27.585.982 uomini e 29.408.762 donne; 9.103.185 erano bambini e giovani di età inferiore ai 15 anni, 38.246.685 adulti di età compresa tra i 15 e i 65 anni e 10.645.874 anziani di età superiore ai 65 anni.
La distribuzione della popolazione mondiale. In numerosi paesi, in particolare in quelli africani, i censimenti si fanno raramente e tra mille problemi. Purtroppo, l’assenza di statistiche, le difficoltà di comunicazione e l’elevato grado di analfabetismo degli abitanti dei paesi più poveri del mondo, rendono il censimento difficile da realizzare e gli errori di rilevazione delle informazioni sono molto elevati. Esistono, però, altri metodi di stima della popolazione, come quelli seguiti dalla Divisione della popolazione delle Nazioni Unite, che consentono di fornire cifre più o meno esatte della popolazione dei diversi paesi e di ottenere per somma la popolazione totale del Pianeta.
I sei miliardi e mezzo di individui che popolano la Terra abitano in 228 paesi, raggruppati convenzionalmente in 15 Grandi Regioni. Poco più di un miliardo di individui, circa il 19% del totale mondiale, vive nei paesi più sviluppati (Europa, America Settentrionale, Oceania, Giappone e paesi petroliferi del Golfo Arabico), mentre i rimanenti cinque miliardi e più, l’81% del totale, vivono nei paesi meno sviluppati.
Sovrappopolazione e crescita zero. La Cina e l’India raccolgono insieme quasi il 40% della popolazione del mondo, e i paesi asiatici, che sono anche i più popolati della Terra, hanno complessivamente al loro interno il 60% della popolazione mondiale. La Cina, che attua da circa vent’anni una politica di forte controllo delle nascite (ogni donna fa in media 2 figli), riesce a contenere la crescita della sua popolazione, mentre l’India che ha ancora una elevata natalità (le donne indiane fanno ancora 3 figli in media) vede la sua popolazione crescere rapidamente. Secondo calcoli demografici, la popolazione indiana, se continuerà a registrare un tasso di crescita annuo come quello attuale (pari all’1,6%), raddoppierà in circa 40 anni. A metà di questo secolo potrebbe, quindi, aver raggiunto i 2 miliardi.
Tra i paesi meno sviluppati ci sono situazioni molto diverse. Per questo, soprattutto da un punto di vista economico, si divide questo insieme di paesi in Terzo e Quarto mondo, considerando Quarto mondo i paesi più poveri dell’Africa e dell’Asia, che sono anche quelli in cui la popolazione cresce più rapidamente. I 700 milioni di abitanti dell’Africa subsahariana potrebbero diventare il doppio tra soli 30 anni.
Attualmente, l’unico continente che ha una popolazione a crescita zero è l’Europa. Al suo interno vi sono anche paesi nei quali la popolazione è in diminuzione: in Russia, per esempio, la popolazione diminuisce dello 0,5% ogni anno.
Per sintetizzare, si può dire che mentre la popolazione dei paesi più ricchi è soggetta a lievi modificazioni quella dei paesi meno sviluppati continua a crescere a un tasso medio annuo pari all’1,4%. Le Nazioni Unite stimano che nel 2050, in questa parte del mondo, vi saranno circa 8 miliardi di individui, di cui quasi 2 miliardi vivranno nelle zone più povere del Pianeta.
Fino al 19° secolo, quando ha raggiunto il primo miliardo, la popolazione mondiale ha percorso un lungo cammino, durante il quale la sua crescita era del tutto impercettibile. All’alba dei tempi moderni, le differenze di popolamento tra i continenti erano il risultato di trasformazioni millenarie. Durante centinaia di migliaia di anni l’uomo è rimasto una specie rara.
Si stima che mezzo milione di anni prima della nascita di Cristo la popolazione umana fosse pari a circa 1 milione di individui. Diecimila anni a.C. la stima è di 5 milioni, mentre nell’anno zero dell’era cristiana è di 225 milioni. La crescita della popolazione è estremamente lenta fino al 5° millennio a.C., mentre aumenta con l’avvento dell’agricoltura, per ritornare lenta dal 4° millennio a.C. fino al 18° secolo d.C. Tra il 13° e il 16° secolo d.C. la popolazione mondiale sperimenta le più importanti epidemie della storia (nel 1346-53 la peste nera), che riducono drasticamente il numero di individui. Il Rinascimento favorisce la ripresa della crescita della popolazione ma, dal 16° al 20° secolo, vi sono altre epidemie, e le prime importanti crisi alimentari rallentano nuovamente lo sviluppo delle popolazioni. È solo nella prima metà dell’Ottocento che la popolazione mondiale raggiunge per la prima volta il miliardo, mentre nei successivi 100 anni raddoppia.
Con la rivoluzione industriale, il mondo sperimenta il primo shock demografico, che pone l’Europa in una posizione dominante: nel 1900, nel Vecchio Continente abitano 422 milioni di individui, che costituiscono il 26% della popolazione mondiale. Presto, a metà del 20° secolo, si assiste a un nuovo shock demografico, ben più violento del primo: l’esplosione demografica del Terzo mondo. Dal 1950 al 2000, la popolazione mondiale passa da 2 miliardi e mezzo a 6 miliardi, e nel 2050 potrebbe raggiungere o superare i 9 miliardi. Perché questa rapida evoluzione?
Mutamenti demografici. La popolazione del Pianeta per millenni non ha avuto a disposizione alcun mezzo efficace per lottare contro la morte, né per controllare il numero delle nascite. Fino al 18° secolo l’umanità ha conosciuto contemporaneamente livelli altissimi di mortalità e di natalità, contenendo in questo modo la crescita demografica. Inoltre, le crisi di mortalità che periodicamente si succedevano nei diversi paesi, dimezzavano la loro popolazione. Difatti, più la crescita era rapida, più era probabile che si verificasse una crisi alimentare tale da eliminare tutti gli individui più fragili, soprattutto i bambini. Per secoli, la fame è stata il principale regolatore della crescita della popolazione.
L’emancipazione culturale e scientifica, le grandi scoperte tecnologiche, l’accumulazione delle ricchezze, la crescita della produzione agricola e molti altri fattori, ai quali si sono aggiunti negli ultimi secoli i progressi in campo medico e sanitario, hanno consentito alle popolazioni europee di ridurre dapprima la mortalità e molto più tardi di controllare la fecondità (cioè il numero medio di figli per donna). La fase di declino della mortalità, accompagnata da una fecondità ancora elevata, pari a circa 5 figli per donna, ha determinato la grande crescita della popolazione sopra ricordata. Crescita che è rallentata solo quando anche le nascite hanno iniziato a diminuire, e che è terminata quando il numero medio di figli per donna è arrivato a 2 e le popolazioni hanno raggiunto un livello di sopravvivenza media di 70÷80 anni.
Un nuovo equilibrio. A metà del Novecento, il mondo sviluppato sembra trovare un nuovo equilibrio. Questo equilibrio ha un prezzo, prima di tutto demografico: diminuiscono i bambini e aumentano gli anziani. Si fanno sempre meno figli, tanto che le famiglie numerose sono ormai un ricordo del passato, mentre si affermano i nuclei familiari di una o due persone. Crescono soprattutto le famiglie con un solo individuo, spesso anziano e quasi sempre di sesso femminile.
Nello stesso tempo, i comportamenti demografici dei paesi meno sviluppati si allontanano sempre di più da quelli dei paesi ricchi. Il divario è importante soprattutto rispetto al controllo delle nascite. Per esempio, le donne africane ancora oggi partoriscono in media 5 figli, mentre le italiane si fermano a poco più di 1. Questi comportamenti, accompagnati da un consistente aumento della sopravvivenza media registrato in gran parte di questi paesi, produce una crescita complessiva della popolazione senza precedenti.
Popolazione maschile e femminile. Finora si è parlato di popolazione senza fare distinzione tra gli individui che la compongono: gli uomini e le donne, i bambini e i giovani, gli adulti e gli anziani. Se si considera il sesso, la popolazione mondiale è composta di 3 miliardi e 248 milioni di uomini e da 3 miliardi e 215 milioni di donne. Trattandosi di popolazione mondiale la differenza tra i due sessi non è rilevante. Il peso delle differenze cambia quando si considerano i singoli continenti e, ancor più, i singoli paesi. Nei paesi sviluppati, per esempio, ci sono 94 uomini ogni 100 donne, mentre nei paesi meno sviluppati gli uomini sono 103 ogni 100 donne. All’interno dei primi, vi è la Russia con la più bassa proporzione di uomini, addirittura 87 a 100, mentre tra i secondi si trova la Cina con la più alta proporzione, 106 a 100. La ragione di queste differenze varia da paese a paese.
Da un punto di vista biologico, al momento della nascita il rapporto tra i due sessi è di 105÷106 maschi ogni 100 femmine. Considerando la mortalità dalla nascita fino alle età estreme, quella degli uomini è sempre più alta di quella delle donne. Pertanto, se non ci sono interventi esterni, all’aumentare dell’età il numero degli uomini si riduce di più del numero delle donne. In generale, alla fine dell’età riproduttiva femminile, più o meno attorno ai 45÷50 anni, i due sessi sono in parità; a partire da queste età le donne superano gli uomini, con differenze crescenti al progredire delle età.
Nei paesi asiatici, in particolare in Cina, il rapporto dei sessi alla nascita è attualmente attorno a 108÷109 maschi ogni 100 femmine (in alcune zone rurali può arrivare anche a 120). Questo rapporto è regolato dall’esterno mediante l’aborto pilotato: se il concepito è femmina si abortisce più frequentemente. Sono anche questi comportamenti indotti a determinare una composizione per sesso della popolazione favorevole agli uomini.
Giovani e anziani. Anche la proporzione di giovani varia da popolazione a popolazione. A livello mondiale la popolazione di età non superiore ai 25 anni è il 48% del totale, mentre gli anziani con più di 60 anni sono il 10%. Nei paesi ricchi queste proporzioni sono rispettivamente del 31 e del 37%, mentre nei paesi poveri sono del 52 e dell’8%. La ragione di queste differenze è legata al complesso e intrecciato meccanismo di modelli diversi di fecondità e di mortalità. Nei paesi ricchi i giovani sono pochi perché le donne fanno pochi figli, e il numero di anziani è così elevato perché essi appartengono a generazioni numerose alla nascita, che grazie ai più bassi livelli di mortalità in tutte le età della vita hanno raggiunto età avanzate. Nei paesi poveri, al contrario, si fanno molti figli, e ci sono pochi anziani perché le cause di morte precoce sono sempre state tanto numerose da consentire solo a pochi di raggiungere la vecchiaia.
La popolazione del Pianeta è lontana dall’essere un insieme omogeneo. Le differenze nell’evoluzione e delle caratteristiche legate all’età e al sesso sono certamente il risultato dei complicati meccanismi demografici, ma soprattutto sono l’effetto delle forti disuguaglianze economiche e sociali esistenti tra le diverse aree geografiche del Pianeta. Meno di un terzo dell’umanità (il 19% del quale si trova nei paesi più ricchi del Pianeta) detiene più di due terzi del reddito mondiale prodotto (il 78%). Gli indicatori ambientali vanno nello stesso senso: il consumo energetico a persona dei paesi ricchi è pari all’84% del totale e altrettanto rilevante è il livello di inquinamento dell’atmosfera determinato da ciascun abitante di questi paesi.
È facile immaginare cosa potrebbe succedere tra pochi anni, quando i paesi emergenti (la Cina in primo luogo), dove vive il 60÷65% della popolazione mondiale, cercheranno di adeguare i loro consumi, alimentari ed energetici, a quelli degli attuali paesi ricchi. La crescita del benessere per tutti è un processo auspicabile, ma per limitare i danni dello sviluppo i popoli devono organizzarsi per fare fronte alle ripercussioni negative.
Le Nazioni Unite prevedono che la popolazione mondiale rallenterà il suo ritmo di crescita, ma le cifre fornite sul suo ammontare al 2050 non sono affatto rassicuranti (v. tab.). Essa potrebbe raggiungere i 9 miliardi, secondo la stima più attendibile; meno dei 15 miliardi previsti solamente qualche decennio fa, ma pur sempre 2,5 miliardi in più degli attuali. Il rallentamento della crescita è ancora meno rassicurante se si osserva la distribuzione finale della popolazione tra i maggiori paesi del mondo: i paesi poveri domineranno sempre più la scena mondiale.
Il Sud del mondo afferma e potenzia il suo ruolo di primo piano. Tra le aree più ricche, l’Europa perde importanza, poiché la sua popolazione diminuisce, mentre quella degli altri paesi, Stati Uniti compresi, continua a crescere. La crescita della popolazione pone all’uomo nuove sfide, due in particolare: riuscire a produrre cibo a sufficienza per un numero crescente di individui, e mettere a punto strumenti per controllare gli effetti negativi dell’impatto sociale, economico e ambientale di tale crescita.