Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La scuola di Port-Royal elabora un sistema di razionalismo filosofico in cui logica, grammatica ed etica giansenista sono profondamente integrate. Ogni ricerca conduce al riconoscimento di una logica divina nascosta che dirige il mondo e organizza razionalmente il pensiero umano. Le opere più note della scuola sono la Logica e la Grammatica, di Arnauld, Nicole e Lancelot.
La scuola di Port-Royal è costituita da una comunità di filosofi, teologi e grammatici che dal 1636 sono ospitati nell’abbazia di Port-Royal-des-Champs, nella valle di Chevreuse, a dieci chilometri da Versailles. Riformata dal 1609 dalla badessa Jacqueline Arnauld, l’abbazia diviene un centro di vita religiosa e di studi per le monache.
Dal 1643 Port-Royal ospita anche le petites écoles, scuole per giovani e fanciulle affidati alla cura dei “solitari” o messieurs, nome dato alla comunità degli studiosi presente nel monastero.
L’insegnamento dura fino al 1660, quando il giansenismo, di cui Port-Royal era diventato il maggior centro in Francia, comincia a essere perseguito.
I “signori” di Port-Royal si dividono tra insegnamento e studio filosofico, logico e grammaticale, trasferendosi anche nel nuovo monastero creato nel 1633 al centro di Parigi, nel Faubourg Saint-Jacques. La loro collaborazione dura fino al 1709 quando su richiesta del re e per decreto papale, durante la persecuzione del giansenismo, l’abbazia di Port-Royal-des-Champs è rasa al suolo.
Port-Royal è un centro di riflessione critica in cui ogni studioso approfondisce una disciplina particolare, ma tutti si rifanno a uno stile filosofico comune: essi intendono ridurre i principi etici e filosofici a un insieme di norme chiare e semplici, e vogliono elaborare criteri razionali che guidino la conoscenza e il giudizio critico.
Le personalità più rilevanti di Port-Royal sono Antoine Arnauld (1612-1694), Claude Lancelot (1615-1695), e Pierre Nicole (1625-1695), dalla cui collaborazione derivano i due trattati filosoficamente più importanti della scuola, la Grammatica e la Logica, opere capitali per la cultura del secolo, ma che eserciteranno la loro influenza anche fino al termine di quello successivo.
La Logica o Arte del pensiero di Arnauld e Nicole è un trattato sistematico che riorganizza in modo completamente nuovo i principi logici riducendoli a pochi elementi essenziali e alla descrizione delle loro conseguenze. La logica di Aristotele e la sillogistica, benché ripetute, sono spesso semplificate e vengono dette superflue alla buona logica.
La logica è definita “arte di ben condurre la propria ragione nella conoscenza delle cose”, ed è quindi un metodo ordinato di analisi e controllo delle operazioni effettive della mente: non è un insieme di regole normative, come la sillogistica, che pretenda di stabilire come dovrebbe funzionare un ideale ragionamento perfetto.
Le operazioni effettive della mente sono quattro: concepire, giudicare, ragionare, ordinare. Gli scopi della riflessione sulla logica sono tre: essere certi di usare bene la ragione, scoprire e spiegare più facilmente l’errore, conoscere meglio la natura della mente umana.
La Logica è divisa in quattro parti, una per ogni operazione della mente. Nella prima parte è analizzata la concezione delle idee: il modo cioè in cui le idee sono presenti nella mente. Di fatto l’“idea” non è analizzata nei suoi processi di nascita, formazione, origine dai sensi o per presenza innata: in questo modo i filosofi di Port-Royal evitano il dibattito sull’origine empirica, sensibile, o innata delle idee, nel quale sono invece coinvolti Cartesio, Gassendi, Hobbes, e poi anche Locke.
Per Arnauld e Nicole, l’idea è intesa come termine primitivo: “La parola idea è tra quelle tanto chiare che è impossibile spiegarle ricorrendo ad altre, in quanto non ce ne sono di più chiare e semplici” (Logica, I, 1).
La prima parte della Logica descrive quindi vari tipi di idee secondo l’oggetto che rappresentano (oggetti, qualità, nozioni astratte, categorie generali), secondo la maggiore o minore astrazione e generalità, secondo la loro chiarezza o confusione.
La seconda parte della Logica esamina il giudizio, operazione in cui si congiungono due idee per valutare se siano compatibili tra loro: ovvero per affermare se una si può dire dell’altra, come quando si dica “un uomo (prima idea) è mortale (seconda idea)”.
Il giudizio si esprime solo con il linguaggio, e perciò questa parte esamina l’organizzazione del linguaggio: le frasi, le proposizioni, i verbi, e la concatenazione delle parole nella proposizione.
La proposizione, espressione unitaria del giudizio, è formata da un soggetto e un predicato uniti da un verbo che afferma la loro identità, il verbo “essere”: “l’uomo (soggetto) è (affermazione) mortale (predicato)”.
La terza parte della Logica esamina il ragionamento: operazione con cui la mente collega due giudizi e ne trae delle conseguenze.
Qui è esposta tutta la dottrina tradizionale dei sillogismi, dopo avere però premesso che è quasi inutile e che si può evitare completamente di leggerla.
La quarta parte della Logica esamina l’ordine, ovvero il metodo con cui la mente dispone gli argomenti e le conoscenze per ragionare nel modo migliore. È la parte più innovativa del trattato: definisce i limiti della ragione e studia il metodo delle discipline storiche, ovvero quanta certezza si può attribuire a ogni ordine di conoscenza (le scienze, i problemi filosofici, il sapere su Dio e l’infinito).
Una tesi di Port-Royal appare estremamente innovativa e sarà adottata da tutta la logica posteriore: la distinzione tra comprensione e estensione di un termine generale.
Viene anche proposta la distinzione tra definizione reale e nominale che sarà poi adottata da Locke.
Il metodo e le analisi logiche di Port-Royal non avrebbero però un’importanza particolare se non fossero strettamente connesse alla grammatica e allo studio del linguaggio. Il valore eccezionale della Logica è nella sua stretta dipendenza dalla Grammatica e dal sistema che insieme formano ed enunciano.
Questa concezione unitaria è il centro di un sistema di pensiero che può essere definito “razionalismo ontologico”, che consiste nel presupposto, utilizzato e organizzato dai filosofi di Port-Royal, pur senza dichiararlo, che vi sia un totale e completo isomorfismo (cioè una corrispondenza formale, punto a punto) tra linguaggio, pensiero e realtà. Questo significa che le categorie reali di cui è fatto il mondo sono quelle stesse che esistono, di riflesso, nel pensiero umano, che rispecchia fedelmente la realtà.
Il linguaggio umano, a sua volta, riflette e riproduce esattamente le categorie del pensiero. Ovvero esiste un’organizzazione parallela della realtà, del pensiero e del linguaggio che si rispecchiano a vicenda e derivano a catena l’uno dall’altro.
Antoine Arnauld e Pierre Nicole
Circoscrivendo la definizione di Anima
Logica di Port-Royal
Se io voglio provare che l’anima è immortale, la parola anima, essendo equivoca (...) farà facilmente nascere confusione in quel che dovrò dire, sicché per evitare questa confusione, io considererò la parola anima come fosse un nome privo ancora di senso, e la applicherò esclusivamente a quello che è in noi il principio del pensiero, dicendo: chiamo anima quel che è in noi il principio del pensiero. Questo è quanto si dice definizione del nome, definitio nominis, della quale i Geometri si servono così utilmente, e che va accuratamente distinta dalla definizione della cosa, definitio rei. Infatti nella definizione della cosa, quale può essere la seguente: l’uomo è un animale ragionevole; il tempo è la misura del moto, si lascia ai termini che si definiscono come uomo o come tempo la loro idea ordinaria, nella quale si pretende che siano contenute altre idee, come animale ragionevole, o misura del moto; mentre invece nella definizione del nome, come abbiamo già visto, si considera esclusivamente il suono, e dopo si determina quel suono ad esser segno di un’idea che si designa con altre parole.
A. Arnauld e P. Nicole, Grammatica e logica di Port-Royal, a cura di R. Simone, Roma, Astrolabio-Ubaldini, 1969
Linguaggio e pensiero riflettono e manifestano l’organizzazione divina del mondo: dubitare della loro verità non è possibile, perché significa dubitare di Dio, o mettere in dubbio che l’organizzazione divina della realtà sia corretta. Questo, secondo i signori di Port-Royal, non è pensato neppure dalle sette protestanti più eretiche.
Una conseguenza di tale impostazione è che tra pensiero e linguaggio ci sia una corrispondenza chiara e definita. Alle singole idee corrispondono le singole parole, al livello della “concezione”.
Alla seconda operazione, il “giudizio”, corrisponde nella lingua la proposizione, unione di soggetto e attributo. Alla terza operazione, il “ragionamento”, corrisponde il discorso completo, che è un insieme di proposizioni collegate. Alla quarta operazione, l’“ordine”, corrisponde il metodo, ovvero il fine a cui tende il discorso.
Il pensiero è universale, uguale per tutti gli uomini. Se il linguaggio rappresenta il pensiero, allora deve esserci una grammatica generale valida per tutti gli uomini, cioè presente in tutte le lingue umane.
Se le lingue hanno grammatiche che appaiono diverse, esiste però una “grammatica generale” nascosta, più profonda o più astratta la cui identità è data dalla funzione che vi svolgono gli elementi grammaticali. Esiste cioè una logica funzionale che regge le grammatiche, ed è uguale in tutte le lingue.
Su questi principi è scritta nel 1660 la Grammatica generale, opera di Arnauld e Lancelot, anche se appare come “opera di Port-Royal”. In essa la grammatica è definita “arte di parlare”, e parlare significa “spiegare i propri pensieri con i segni, che gli uomini hanno inventato a questo scopo” (Grammatica, Prefazione).
Antoine Arnauld e Claude Lancelot
La grammatica, i segni e i suoni
Grammatica e logica di Port-Royal
La Grammatica è l’Arte di parlare. Parlare è esplicare i propri pensieri tramite segni che gli uomini hanno inventato a quel fine. Si è trovato che i segni più comodi erano i suoni e le voci. Ma, dato che i suoni passano, si sono inventati altri segni per renderli durevoli e visibili; questi sono i caratteri della scrittura, che i Greci chiamano grammata, da cui è venuta la parola Grammatica. Con questi segni possiamo considerare due cose: in primo luogo, quel che essi sono per natura, cioè in quanto suoni e caratteri. In secondo luogo, la loro significazione, cioè il modo in cui gli uomini se ne servono per significare i propri pensieri. Dell’una tratteremo nella prima parte di questa Grammatica, dell’altra nella seconda.
A. Arnauld e C. Lancelot, Grammatica e logica di Port-Royal, a cura di R. Simone, Roma, Astrolabio-Ubaldini, 1969
Gli autori della Grammatica di Port-Royal rifiutano l’idea che le parole possano in alcun modo aiutare il pensiero o la memoria, tesi questa centrale per esempio in Hobbes e nella linguistica del Rinascimento. La parola serve solo a comunicare, poiché è solo il risultato finale e il segno esterno del pensiero che esiste autonomamente prima della lingua.
La prima parte della Grammatica analizza e descrive i suoni, distinguendo sillabe, vocali e consonanti.
La seconda parte della Grammatica distingue i tipi di parole in base al criterio tradizionale: nomi, pronomi, articoli, preposizioni, avverbi, verbi, participi, congiunzioni e interiezioni.
Il testo della Grammatica si sofferma a lungo sulla morfologia dei nomi e sui casi della declinazione, con una tesi a quei tempi originale: la declinazione nelle lingue antiche e l’articolo nelle lingue moderne hanno la stessa funzione, quella di esprimere i rapporti reciproci tra i nomi in una frase.
L’analogia funzionale tra declinazione dei casi e articolo è un esempio clamoroso di identità logica profonda di grammatiche diverse che a prima vista appaiono incommensurabili.
L’esempio dimostra anche che le lingue moderne sono logiche ed efficaci come quelle antiche (il che era messo in dubbio da grammatici e logici del tempo, in particolare francesi).
La Grammatica di Port-Royal attribuisce importanza anche alla sintassi e alla costruzione della frase, che erano finora marginali nelle grammatiche. La sintassi è anzi il vero e proprio elemento che differenzia le lingue in superficie, ma tutte le sintassi sono di uguale valore poiché seguono una stessa sintassi logica profonda e generale.
L’educazione è per Port-Royal formazione religiosa: apprendimento della logica razionale con cui Dio ha creato e organizzato il mondo. Non solo, è tentativo di restaurare l’innocenza primitiva dell’uomo persa nel peccato originale, e provvisoriamente recuperata col battesimo. Il bambino deve essere educato a resistere alle tentazioni perché la salvezza dell’anima è l’effettivo obiettivo finale dell’educazione.
Per Port-Royal la scuola è un collegio etico e filosofico dove si forma il comportamento. Vi assume un ruolo fondamentale la figura del maestro, persona di grande rigore morale, privo delle debolezze dei genitori.
L’insegnamento deve essere rivolto perciò a pochi alunni alla volta. Seguono questo criterio le “piccole scuole” create al monastero di Port-Royal.
Arnauld e Lancelot preparano anche nuovi metodi per imparare a leggere e scrivere, sia la lingua materna sia le altre. Col “metodo fonico” propongono di iniziare a distinguere e scrivere dittonghi, sillabe e vocali, e solo in un secondo momento le consonanti, seguendo il modo naturale in cui i bambini iniziano a parlare.
Le lingue antiche (ma anche le straniere) vanno imparate con l’uso: non iniziando dalla grammatica, ma dall’interpretazione di brani e versioni, partendo dalle parole e procedendo a senso, fino a comprendere l’utilità e il significato delle regole grammaticali per comprendere una lingua e comunicare efficacemente.
Il movimento culturale e religioso del giansenismo prende nome dal riformatore religioso Giansenio (1585-1638), e si rifà in particolare alla sua opera Augustinus, pubblicata postuma nel 1640 a Lovanio.
In essa Giansenio esamina il pensiero di Agostino d’Ippona per ritrovare le sue vere tesi sulla grazia, oggetto di dibattito nella Chiesa antica così come nella teologia dei protestanti contemporanei.
Nel terzo tomo dell’Augustinus, Giansenio propone una dottrina della grazia, della predestinazione e della libertà che si avvicina alla posizione dei calvinisti, suscitando scandalo per la sua proposta di assorbirla nella dottrina cattolica.
Giansenio sostiene che occorre abbracciare la fede con abbandono e fiducia nel mistero divino, senza volerla sottoporre a un esame critico o filosofico. L’analisi filosofica razionale non è compito del religioso, né del fedele che si rifanno invece entrambi alla memoria e all’esempio conservati dalla tradizione.
Secondo la teoria della grazia di Giansenio, dopo il peccato originale l’uomo ha perso la libertà, che era invece posseduta da Adamo il quale poteva vivere e perseverare nella giustizia originale. Tuttavia era inevitabile all’uomo cadere nel peccato, perché la volontà divina ha disposto che l’uomo viva nel peccato, e che la salvezza non sia né comune, né disponibile per tutti.
L’unica libertà che veramente resta all’uomo è quella di astenersi dal commettere il male: questo però non è un merito, come sostiene la dottrina cattolica, ma una scelta di giustizia che non porta alla salvezza dell’anima come premio per il proprio comportamento terreno.
Dio ha riservato la grazia, ossia la salvezza dell’anima, solo a un ristretto numero di predestinati, che la otterranno indipendentemente dalle loro azioni. La scelta di Dio è imperscrutabile: nessuno può sapere se gli è riservata la grazia, può solo comportarsi rettamente per seguire la giustizia ovvero l’astensione dal male volontario.
Nel fatto che nulla può far sapere all’individuo se ha ottenuto o no la grazia risiede la principale differenza tra giansenismo e calvinismo: per Calvino vi sono segni terreni che fanno capire di aver ottenuto la grazia, e l’uomo che riceve questi segni può considerarsi beato.
Per Giansenio l’uomo è predestinato e nulla può mutare il suo destino, che tuttavia gli rimane ignoto. Non esiste quindi una vera e propria libertà umana, se non dall’aggressione diretta delle forze terrene.
Cristo è morto solo per i predestinati al cielo e soltanto essi ricevono la grazia. L’uomo può solo scegliere tra una o un’altra azione buona o cattiva, ma non può uscire dal cerchio del bene o del male in cui è rinchiuso.
La pubblicazione dell’Augustinus, che ottiene immediato successo, dà il via a una lunga serie di dibattiti polemici e di interventi di condanna delle tesi di Giansenio e dei teologi e moralisti che accettano le sue tesi da parte delle autorità ecclesiastiche e politiche.
Arnauld, Quesnel, Nicole e tutta la comunità di Port-Royal accettano comunemente il giansenismo, pur senza rivendicarlo pubblicamente, e Port-Royal ne sarà per più di cinquant’anni il principale centro di diffusione e riferimento.
Tra le polemiche più lunghe e complesse vi è quella sulle cinque proposizioni di Giansenio. Nel 1650 l’episcopato francese richiede al papa un giudizio su cinque tesi estratte dall’Augustinus.
Giansenisti e antigiansenisti le esaminano e discutono a Roma per due anni. Alla fine nel 1653 papa Innocenzo X condanna le cinque proposizioni, che riassumono il senso delle tesi di Giansenio, come eretiche.
I giansenisti replicano, guidati da Arnauld, che le cinque proposizioni sono eretiche, ma che né Giansenio, né alcun suo seguace le ha mai sostenute, né in generale, né nella lettera dei brani dell’Augustinus.
Vescovi e teologi riesaminano le cinque tesi e nel 1654 dichiarano che sono state realmente insegnate da Giansenio. I giansenisti rispondono sostenendo una “questione di fatto”, ovvero che dal punto di vista di Giansenio quelle tesi non sono eretiche, benché lo siano “di diritto” per la dottrina cattolica: quindi il credente cattolico non è obbligato a respingerle.
Per stroncare definitivamente le discussioni papa Alessandro VII impone a tutti i credenti il 15 febbraio 1665 un formulario di sottomissione al suo giudizio, che implica la condanna delle cinque proposizioni. Tuttavia alcuni giansenisti si rifiutano di sottoscriverlo, altri rispondono che la sottoscrizione non implica “di fatto” il rifiuto di Giansenio.
Infine Pierre Nicole sostiene, nelle Lettere sull’eresia immaginaria, che questa scomunica è di fatto nulla e che il papa non è infallibile nelle questioni in cui si discute il suo magistero.
La discussione si protrae fino a quando papa Clemente IX decide di non tornare più sulla questione.
Dopo di ciò il giansenismo continua a ottenere successo grazie alla propaganda fattane nei libri di Quesnel, erede spirituale di Arnauld. La storia del giansenismo si chiude con la condanna da parte di papa Clemente XI, l’8 settembre 1713, di 101 proposizioni tratte dai volumi di Quesnel, ridotto così al silenzio.