Positivismo e neopositivismo
di Pietro Rossi
Il rapporto con il processo di costituzione delle scienze sociali è essenziale, fin dall'inizio, al positivismo. Tanto il progetto di una scienza onnicomprensiva della società quanto lo stesso termine 'sociologia' risalgono ad Auguste Comte, che nel Cours de philosophie positive (1830-1842) l'ha concepita in analogia alla fisica, distinguendola in una "statica" e in una "dinamica" sociale. Ma già prima, nel 1813, Claude-Henri de Saint-Simon si era proposto di fondare una "scienza dell'uomo" intesa come parte della fisiologia, che studiasse la struttura psichica e l'esistenza sociale dell'uomo non più con metodo congetturale ma con metodo positivo, cioè con lo stesso metodo già adottato dalle altre scienze. Questo intento si salda, fin dall'inizio, con il progetto di una 'riorganizzazione' della società dopo gli sconvolgimenti della Rivoluzione francese e il lungo periodo delle guerre napoleoniche. Non a caso, al ritorno dei Borboni sul trono di Francia, Saint-Simon scriveva un saggio dal titolo De la réorganisation de la société européenne (1814), nel quale contrapponeva allo spirito critico (e rivoluzionario) del secolo XVIII l'esigenza di uno spirito nuovo, di uno spirito "riorganizzatore" e costruttivo che doveva condurre all'instaurazione di un nuovo ordine politico.Questo processo coincideva, per Saint-Simon come per il giovane Comte (che gli fu segretario dal 1817 al 1824, succedendo in tale funzione ad Augustin Thierry, il futuro storico della conquista normanna dell'Inghilterra e dell'età merovingia), con l'avvento della società industriale.
L'antico sistema su cui l'Europa si era retta per secoli, il sistema feudale associato con la fede cattolica, è stato messo in crisi dal sorgere dei Comuni e dallo sviluppo della scienza moderna; la Riforma protestante ha poi significato la rottura dell'unità del cristianesimo, e la cultura illuministica ne ha scosso definitivamente i fondamenti. Occorre perciò costruire un nuovo sistema, organizzato in vista di uno scopo alternativo a quello della conquista, che può consistere soltanto nella produzione. La base di questo sistema è data dall'industria e dal sapere positivo; e le classi a cui dovrà esserne affidata la direzione sono perciò quelle degli 'industriali' e degli scienziati, che prenderanno il posto tenuto, nel vecchio sistema, dalla nobiltà feudale e dal clero. Il nuovo sistema sarà dunque una società industriale e al tempo stesso positiva.
Questa prospettiva poggiava, in primo luogo, sull'identificazione del nuovo sistema sociale con la nascente società industriale. Anche se in Saint-Simon - e ancora nello stesso Comte - il termine 'industria' mantiene a lungo un significato assai ampio, coincidente con il lavoro produttivo, e la categoria degli 'industriali' comprende imprenditori e lavoratori impiegati sia nell'agricoltura che nella manifattura, nel corso degli anni venti e trenta si fa gradualmente strada la constatazione del ruolo primario che va assumendo il lavoro in fabbrica. Non soltanto vien meno il privilegiamento fisiocratico dell'agricoltura come unica fonte di ricchezza, ma si fa anche valere la consapevolezza della specificità dell'industria rispetto agli altri settori produttivi. Accanto a essa si afferma la consapevolezza del nesso che intercorre tra il mutamento della struttura sociale e il mutamento del sapere: per Saint-Simon e per Comte, come per i posteriori esponenti del movimento positivistico, la società industriale ha il proprio fondamento nello sviluppo della scienza e della tecnica. Assume così un valore emblematico il richiamo a Bacone, considerato come il filosofo che aveva riconosciuto la rilevanza pratica del sapere, la sua capacità di contribuire in maniera decisiva al dominio dell'uomo sulla natura.
Organizzata in vista del lavoro produttivo e non più della conquista, la società industriale appare irriducibile alle società del passato. Qualsiasi tentativo di risuscitare l'organizzazione militare-feudale che aveva caratterizzato l'epoca medievale è destinato a fallire: su questo punto Saint-Simon e Comte si differenziano nettamente dai teorici della Restaurazione. Il popolo non può più essere "irreggimentato" sotto il comando dei capi militari; deve essere associato alla "direzione" dei capi industriali, cioè degli imprenditori. Analogamente, dopo la rottura dell'unità del mondo cristiano la fede religiosa ha perduto l'autorità che possedeva in passato; al suo posto si è affermata una nuova forma di sapere, il sapere positivo. Il potere feudale è crollato, ad opera della critica che gli uomini di legge hanno rivolto ai suoi fondamenti; non diversamente i 'metafisici', e poi la cultura illuministica, hanno eroso in maniera irreparabile le basi del sapere teologico. La società si sta ormai trasformando in società industriale. Ma il processo che deve metter capo a essa non è ancora compiuto e richiede di venir completato. Spetta quindi alla filosofia positiva dare il proprio contributo a tale 'completamento', favorendo l'instaurazione di un regime politico adeguato alla società industriale e coerente con i suoi principî. Ciò è possibile soltanto costruendo una scienza della società che diventi la base di una politica positiva.In questo senso, dunque, il positivismo ha formulato, nell'età della Restaurazione, una teoria della società industriale che ne costituisce, al tempo stesso, un'interpretazione e un'utopia. Esso offre infatti, negli scritti di Saint-Simon e di Comte, un'interpretazione della società moderna come società industriale, come una società strutturalmente diversa dalle - da tutte le - società del passato. Il nucleo di tale interpretazione è rappresentato dall'analisi del trasferimento del potere, di quello temporale come di quello spirituale, nelle mani di nuove classi sociali: dalla nobiltà feudale agli 'industriali', dal clero agli scienziati positivi. A essa si collega la tesi della correlazione tra mutamento sociopolitico e mutamento intellettuale - due processi che per Saint-Simon sono paralleli ma pur sempre indisgiungibili, mentre Comte sostiene il primato del secondo, e quindi la dipendenza della struttura del sistema sociale, del nuovo come del vecchio, dal sistema di credenze prevalente in una determinata società.
A questa analisi fa riscontro l'intento riformatore - in senso politico, ma anche intellettuale - del positivismo. L'edificio delle scienze positive non è ancora completo: se le scienze della natura e della vita sono pervenute, negli ultimi secoli, allo stato positivo, lo stesso non si può dire della scienza dell'uomo e, tanto meno, della scienza della società. Né la società industriale è riuscita a darsi un ordinamento politico confacente alla sua struttura: falliti i tentativi di costruire un regime politico fondato sui principî rivoluzionari, occorre dar vita a un sistema di governo nel quale gli imprenditori - legittimi rappresentanti anche degli interessi dei lavoratori - assumano il potere temporale, e gli scienziati positivi quello spirituale. In questo modo la teoria della società industriale sfociava in un'utopia sociocratica, quando addirittura non pretendeva di diventare la base di una nuova religione - di un cristianesimo interpretato in chiave filantropica, come nel Nouveau Christianisme di Saint-Simon (1825), oppure di una "religione dell'umanità", come negli ultimi scritti di Comte, dal Discours sur l'ensemble du positivisme (1848) al Système de politique positive (1851-1854) e al Catéchisme positiviste (1852).Questa visione utopica della società industriale, condizionata dall'arretratezza dello sviluppo economico francese rispetto al processo di industrializzazione in atto al di là della Manica, poggiava su un modello interpretativo che il positivismo aveva in comune con la letteratura controrivoluzionaria: il modello di una società 'organica'. Già nell'Introduction aux travaux scientifiques du XIXe siècle (1808) Saint-Simon aveva riconosciuto l'importanza dell'opera di Louis de Bonald, l'autore della Théorie du pouvoir politique et religieux dans la société civile (1796) e della Législation primitive (1802), e al suo nome egli affiancherà in seguito quello di Chateaubriand. Nel corso degli anni venti Comte si richiamava piuttosto a Joseph de Maistre, il teorico di una società teocratica sotto la guida del papa, che doveva rappresentare il ritorno all'unità del mondo cristiano perduta per colpa della Riforma. Egli rifiutava la "dottrina dei re" non meno della "dottrina dei popoli", fautrici rispettivamente di una "direzione retrograda" e di una "direzione critica", e contrapponeva a entrambe la "dottrina organica" della società industriale.
Ma il nuovo sistema sociale condivideva con il vecchio quel carattere organico che il principio della libertà di coscienza, rivendicato dalla Riforma protestante e fatto proprio dalla cultura illuministica, aveva cancellato. Il sistema industriale e positivo doveva riorganizzare la società facendo valere un'autorità morale capace di garantire l'unità del corpo sociale, la solidarietà tra le sue parti, l'armonica cooperazione di tutte le classi sociali, il consenso degli individui a un sistema di credenze condiviso da tutti. Il processo di idealizzazione, che Bonald e Maistre avevano applicato al Medioevo, si trasferiva alla società del futuro, non a caso concepita come lo stato definitivo dell'umanità.
Pur derivando dai teorici della Restaurazione il modello di una società organica, Saint-Simon e Comte se ne distaccavano nettamente per la diversa concezione dello sviluppo storico. Essi erano infatti gli eredi della fiducia illuministica nel progresso, anche se l'esito dello sviluppo storico appare determinato in maniera differente: come Saint-Simon scriveva nel 1814, "l'età dell'oro del genere umano non è affatto dietro di noi, è davanti, nella perfezione dell'ordine sociale". E la teoria della società industriale è infatti legata a una teoria della storia che ha la propria base nella contrapposizione tra due sistemi sociali tra i quali si colloca, in una posizione intermedia, un sistema "transitorio" privo di quel carattere organico che essi hanno invece in comune tra loro.Già Saint-Simon, negli scritti che compongono i primi due volumi de L'industrie littéraire et scientifique (1816-1817), aveva distinto nella storia europea due sistemi politici, quello che chiamava il "sistema cattolico" e il nuovo sistema industriale, indicando nel passaggio dall'uno all'altro la direzione dello sviluppo storico. Ma sarà Comte a tradurre questa distinzione in una teoria della storia, che si trova formulata per la prima volta nella Sommaire appréciation de l'ensemble du passé moderne (1820). La contrapposizione tra l'antico e il nuovo sistema sociale si trasforma in uno schema triadico di successione, in virtù dell'inserimento di un sistema privo di una propria finalità autonoma, che rappresenta la dissoluzione del primo e la preparazione del secondo. Analogamente, la contrapposizione tra sapere teologico e sapere positivo risulta mediata da un'altra forma di sapere, il sapere metafisico, che ha assolto una funzione critica nei confronti del primo ma che risulta privo di capacità positiva. La "dottrina critica" ha sì messo in crisi il sistema di credenze su cui poggiava l'antico sistema, ma non ha dato luogo a un sistema a esso alternativo; essa ha 'disorganizzato' la società, ma non è stata capace di condurre alla sua 'riorganizzazione'. Il contributo che essa ha dato al progresso dell'umanità è stato quindi un contributo esclusivamente negativo.
Questa concezione della storia è stata espressa da Comte, in forma riassuntiva, nella legge dei tre stati, che è la legge fondamentale dello sviluppo intellettuale dell'umanità e dello sviluppo della civiltà. Nel suo sviluppo l'umanità ha percorso (al pari di ciò che avviene nel singolo individuo) tre stati contrassegnati da tre diversi sistemi di spiegazione dei fenomeni, che fanno appello rispettivamente ad agenti soprannaturali, a entità astratte e a leggi scientificamente verificabili. E questi tre momenti si possono rintracciare anche nello sviluppo delle singole scienze, ognuna delle quali perviene allo stato positivo soltanto dopo un lungo cammino, lasciando dietro di sé sia la visione di una natura 'animata' da esseri viventi sia le nozioni di carattere metafisico. Ma essi designano anche le epoche successive dello sviluppo della civiltà, ognuna contrassegnata da un aspetto spirituale e da un aspetto temporale. Lo stato teologico è lo stato originario di esistenza dell'uomo, che nel corso di esso passa dal feticismo al politeismo e poi al monoteismo: il suo culmine è rappresentato dalla società organica del Medioevo, quale si è venuta costituendo con l'affermazione della feudalità e con il dominio universale del papato. Lo stato metafisico è un'epoca di transizione, che copre all'incirca il periodo che va dalla Riforma protestante alla Rivoluzione francese. Lo stato positivo ha la sua base nello sviluppo della scienza moderna e dell'industria, ma affonda le proprie radici nell'affrancamento dei Comuni dal potere feudale e nell'introduzione della scienza araba in Europa. I suoi inizi risalgono all'epoca stessa del prevalere del sistema feudale e teologico: i due sistemi sono infatti coesistiti per alcuni secoli, e alla disgregazione dell'uno ha fatto riscontro il lento emergere dell'altro.Il positivismo condivide quindi con la cultura illuministica una visione 'progressistica' della storia e l'articolazione dello sviluppo storico in una serie di stati successivi, quale si può trovare da un lato negli autori scozzesi, come Ferguson e Adam Smith, dall'altro in Condorcet.
Ma al suo programma di liberazione dai pregiudizi, da realizzarsi attraverso la critica della tradizione, e ai progetti di riforma politica in senso liberale esso sostituisce il progetto di instaurazione di una nuova società organica fondata sul sapere positivo. Delineare lo sviluppo dell'umanità significava, per Comte, non soltanto scoprire il senso del suo cammino, ma anche individuarne il motore nel progresso intellettuale. Proprio su questo terreno avvenne, agli inizi degli anni venti, la rottura tra Comte e Saint-Simon. Questi riteneva infatti che l'ordinamento politico richiesto dalla nascente società industriale potesse sorgere nell'immediato futuro, dall'alleanza tra la classe degli industriali e la monarchia borbonica restaurata; Comte, al contrario, era convinto che il mutamento delle istituzioni potesse venire soltanto dal sorgere di un nuovo sistema di credenze, dal 'completamento' del sistema del sapere positivo. La rivoluzione politica può essere soltanto la conseguenza di una rivoluzione filosofica. Mentre per Saint-Simon mutamento sociale e mutamento intellettuale erano processi paralleli, anzi due aspetti di un medesimo processo, per Comte l'organizzazione della società doveva poggiare su un sistema di credenze condiviso: la trasformazione di questo sistema è la condizione preliminare perché possa cambiare anche la struttura della società.Ne derivava anche una connotazione del progresso diversa da quella datagli dalla cultura illuministica. Per Comte, e dopo di lui per tutto il movimento positivistico, il mutamento intellettuale è un processo irreversibile: una volta che sia pervenuta allo stato positivo, l'umanità non può ritornare indietro.
La ragione di questa necessità del progresso risiede nella differenza strutturale tra il sistema di credenze dell'antico sistema e quello del nuovo. Il primo era un sistema organico, ma falso; una volta che la critica condotta durante lo stato metafisico ne ha eroso le basi dimostrandone la falsità, quel sistema risulta non più proponibile. Il sistema del sapere positivo è anch'esso organico, ma possiede una propria intrinseca verità. Con la sua realizzazione, e con l'instaurazione di un sistema sociale a esso conforme, si compie il cammino del genere umano. Il sapere positivo è il termine ultimo dello sviluppo intellettuale, e la società industriale è lo stato definitivo dell'umanità: uno stato nel quale l'ordine e il progresso non saranno più in conflitto, ma coesisteranno armonicamente.Il positivismo posteriore ha condiviso con Comte sia la fiducia in un progresso necessario, non suscettibile di un ritorno all'indietro, sia il riconoscimento del sapere positivo come la forma definitiva del sapere; spesso, anche se non sempre, ne ha anche condiviso la convinzione che lo sviluppo della scienza sociale potesse contribuire al miglioramento della natura umana, o per lo meno delle condizioni di vita dell'umanità. Non ne ha invece condiviso la concezione della società industriale come assetto sociale perfetto, capace di comporre gli interessi contrastanti delle diverse classi attraverso la loro subordinazione all'autorità morale di un potere fondato sul sapere positivo; meno ancora ne ha condiviso la prospettiva sociocratica, coerente pendant della teocrazia a cui l'umanità era pervenuta nello stato teologico. Del resto, questa prospettiva era stata lasciata cadere dallo stesso Comte, allorché verso la fine degli anni quaranta si era presentato come il sacerdote di una nuova religione, la "religione dell'umanità", additando in essa la base indispensabile della riforma morale e della stessa riorganizzazione della società.
Agli occhi del giovane Comte l'edificio del sapere positivo era però ben lungi dall'essere compiuto. Se l'astronomia e la fisica avevano attinto lo stato positivo all'inizio dell'età moderna, se la chimica le aveva seguite tra Sei e Settecento, soltanto di recente la fisiologia aveva adottato un metodo sperimentale svincolandosi dall'impiego di nozioni metafisiche: la scienza dell'uomo era nata ad opera di Cabanis, di Félix Vicq-d'Azyr, di Xavier Bichat, autori cari, del resto, già a Saint-Simon. Ma essa si era pur sempre limitata a studiare l'uomo nella sua struttura fisica, o nel rapporto tra questa e le funzioni psichiche; non aveva considerato l'uomo come essere sociale, meno che mai la struttura della società. Né si trattava, per Comte, di una semplice successione storica: il momento in cui i diversi ambiti di fenomeni sono diventati oggetto di indagine scientifica dipende, in realtà, da motivi intrinseci. Il passaggio allo stato positivo si è compiuto dapprima per le scienze che studiano fenomeni più semplici, più generali, più astratti e più distanti dall'uomo, e soltanto in seguito per quelle che studiano fenomeni più complicati, più particolari, più concreti e più prossimi all'uomo.
La sequenza di astronomia, fisica, chimica, fisiologia - con la scienza della società per ultima - riflette per Comte un ordine logico di crescente complessità e concretezza dell'oggetto, a cui si accompagna un criterio di crescente vicinanza al soggetto conoscente.Per 'completare' il sistema del sapere positivo occorre quindi costruire la scienza della società: questo appariva, agli occhi di Comte, il compito più urgente, la condizione indispensabile per poter 'riorganizzare' la società. E per costituirsi in forma positiva la scienza della società deve modellarsi sulle scienze già costituite, deve cioè configurarsi come "fisica sociale" - secondo una denominazione che poi cederà il posto al fortunato neologismo 'sociologia'. Il sapere positivo possiede una struttura comune a tutte le scienze: muove dall'osservazione dei fatti e da questa trae delle leggi generali, le quali permettono a loro volta la previsione di eventi futuri e l'azione trasformatrice sulla natura. Come Comte si esprime nel Cours, "dalla scienza deriva la previsione, dalla previsione deriva l'azione". Sulla base di questa struttura comune le diverse scienze si connettono tra loro sistematicamente, nel senso che il sistema di leggi di ogni scienza presuppone quello della scienza o delle scienze che la precedono, pur essendo irriducibile a esso. Così la vita sociale ha leggi sue proprie, le quali presuppongono le leggi che regolano i fenomeni astronomici, fisici, chimici e fisiologici, pur essendo distinte e indipendenti rispetto a queste.Inserita in un'enciclopedia del sapere come la scienza ultima nell'ordine sistematico al pari che in quello storico, la sociologia veniva a configurarsi quale scienza 'globale', che da una parte risolve in sé l'economia politica e la scienza politica, dall'altra esclude la possibilità di scienze sociali specifiche.
All'economia politica Comte rimproverava infatti, nel Cours de philosophie positive, la pretesa di isolare il proprio oggetto dall'insieme dei fatti sociali; e pur facendo eccezione per Adam Smith, coinvolgeva gli economisti in una condanna generale, motivata dal carattere metafisico delle nozioni che essi hanno impiegato. In quanto alla scienza politica, essa veniva identificata senz'altro con la sociologia, in quanto la politica veniva considerata un aspetto particolare (e, in fondo, subordinato) dell'organizzazione sociale, da studiare sulla base dei "principî generali della produzione". Ma la scienza della società finiva per contrapporsi anche alla psicologia, della quale Comte negava la legittimità in quanto la riteneva fondata sull'introspezione anziché sull'osservazione dei fatti. Il dominio della sociologia finiva perciò per abbracciare tutti i fenomeni della vita umana, cioè tutti i fenomeni che si collocano al di sopra del livello fisiologico. A differenza di Saint-Simon, per il quale la scienza dell'uomo doveva far parte della fisiologia, Comte rivendicava l'autonomia dei fatti sociali e delle loro leggi; ma definiva pur sempre la società come "organismo sociale", e nella sua organizzazione scorgeva il "prolungamento" dell'organizzazione degli esseri viventi. Soltanto che, mentre quest'ultima è il risultato dell'azione di leggi biologiche, l'organizzazione sociale è il prodotto di condizioni storiche, tanto è vero che la società può anche 'disorganizzarsi', com'è avvenuto nel sistema transitorio, e richiede perciò di essere 'riorganizzata'.Il carattere 'globale' della sociologia derivava, del resto, dal modello di società organica a cui Comte si era richiamato nella sua analisi dello sviluppo della vita sociale.
Per essere organica, cioè per essere coerentemente organizzata in vista del perseguimento di uno scopo, la società deve avere una struttura unitaria; le sue parti devono essere in funzione della totalità. Anche gli individui devono cooperare alla realizzazione di quello scopo, subordinando a esso gli interessi particolari propri e della classe a cui appartengono. Ma una società dotata di una struttura unitaria può essere oggetto soltanto di una scienza in grado di studiarla nella sua unità, di una scienza 'globale'. Anche nel caso negativo di una società disorganizzata, le cui parti non contribuiscono più alla vita complessiva del corpo sociale, vale pur sempre lo stesso principio metodologico, in quanto si tratta di stabilire per quali motivi sia venuto meno in essa il carattere dell'organicità.
Questa impostazione spiega perché a base delle due parti della sociologia, la statica e la dinamica sociale, Comte abbia posto le nozioni di ordine e di progresso, e perché il problema fondamentale della sociologia - in quanto fondamento di una politica anch'essa 'positiva' - sia per lui quello della coesistenza dei due termini. La statica sociale è infatti una teoria dell'ordine, in quanto determina le condizioni di esistenza della società, cioè le condizioni che garantiscono la solidarietà tra le sue diverse parti e il consenso degli individui alle norme stabilite da un'autorità universalmente riconosciuta. La dinamica sociale è invece una teoria del progresso, in quanto determina le leggi del movimento della società, quelle leggi che presiedono al passaggio da un'epoca all'altra e, all'interno di ogni epoca, da una situazione di minore a una di maggiore perfezione. Ricondotte alla distinzione tra statica e dinamica, le nozioni di ordine e di progresso cessano di essere reciprocamente esclusive: se l'ordine ha contrassegnato lo stato teologico e il progresso quello metafisico, nello stato positivo ordine e progresso sono destinati a essere non solo compatibili, ma complementari.
Il progresso si rivela infatti come lo sviluppo graduale dell'ordine, e l'ordine si manifesta nel progresso.La sociologia si presentava perciò non soltanto come la scienza 'globale' della società, ma anche come il presupposto di una politica su base positiva. Questo aspetto utopistico del programma comtiano sarà presto lasciato cadere, o per lo meno posto in secondo piano (anche se l'aspirazione al governo scientifico della società si ripresenterà sovente nello sviluppo successivo della sociologia), mentre un rilievo sempre maggiore assumerà lo studio 'positivo' dei fatti sociali, condotto con un procedimento osservativo non difforme, nella sostanza, da quello delle altre discipline. Il positivismo si manterrà invece fedele al postulato dell'unità della società, e quindi al carattere unitario della scienza di cui essa è oggetto. Questo sarà infatti ripreso, vari decenni dopo, nei Principles of sociology (1876-1896) di Herbert Spencer, ma sulla base di una diversa impostazione.
Già nel corso degli anni cinquanta Spencer aveva elaborato una prospettiva evoluzionistica che si richiamava a Lamarck; e nel 1852 aveva letto Comte nell'esposizione riassuntiva di Harriet Martineau, dandone però un giudizio negativo. Più importante fu invece l'influenza della Origin of species di Darwin, pubblicata nel 1859, ai cui presupposti Spencer aderì con entusiasmo, trovandovi una piattaforma scientifica per il proprio evoluzionismo. L'opera di Darwin gli offriva infatti la possibilità di precisare le modalità del progresso, in cui egli aveva individuato - nel saggio Progress: its law and cause (1857) - la legge universale della realtà, valida non soltanto per la società ma per qualsiasi genere di fenomeno, sia vivente che non vivente. Il processo di selezione naturale, in virtù del quale certe specie sopravvivono adattandosi alle condizioni ambientali, mentre quelle che non riescono ad adattarsi sono destinate a scomparire, veniva inquadrato in una teoria onnicomprensiva dell'evoluzione, applicabile tanto al sorgere del sistema solare da una nebulosa originaria quanto all'ambito biologico e al mondo sociale. Spencer s'impegnava così nella costruzione di un "sistema di filosofia sintetica", enunciato dapprima nei First principles (1862) e poi sviluppato in una serie di altri 'principî' - della biologia, della psicologia, della sociologia e infine dell'etica. Il cardine di questo sistema era rappresentato dal concetto di evoluzione, definita come passaggio dall'omogeneo all'eterogeneo: da una forma meno coerente a una più coerente, dall'uniforme al multiforme, dall'indefinito al definito, da uno stato di disgregazione a uno stato di integrazione.
Nel corso del processo evolutivo si compie infatti, secondo Spencer, un processo di differenziazione della struttura e delle funzioni, che comporta anche una crescente integrazione tra le parti costitutive; e questo processo, che ha inizio nei corpi inanimati e prosegue negli esseri viventi, culmina nella vita sociale. Il progresso della società si pone quindi in un rapporto di continuità con l'evoluzione precedente, e ne costituisce in qualche modo il livello più elevato. Spencer distingueva infatti, all'interno del processo evolutivo, tre fasi fondamentali - l'evoluzione inorganica, l'evoluzione organica e l'evoluzione superorganica - identificando quest'ultima con lo sviluppo della vita sociale.Lo sviluppo della società appare perciò caratterizzato dal medesimo processo di differenziazione e di integrazione che si riscontra nelle fasi precedenti dell'evoluzione: non diversamente dall'evoluzione organica, anche quella superorganica procede dall'omogeneo all'eterogeneo, cioè da società semplici verso società complesse, anzi sempre più complesse. Spencer riprendeva la contrapposizione di Comte (e già prima di Saint-Simon) tra due forme di organizzazione sociale rivolte l'una alla conquista e l'altra alla produzione, traducendola nella distinzione tra società militari e società industriali; ma la riformulava, al tempo stesso, in base a un'analogia biologica. Nella vita sociale si possono infatti individuare, secondo Spencer, tre sistemi di organi: un sistema diretto al sostentamento dei membri del corpo sociale, un sistema regolativo e un sistema distributivo. Dal grado di organizzazione della società, e dal prevalere dell'uno o dell'altro sistema, deriva la distinzione fra tre tipi di società: le società semplici, cioè quelle primitive, prive di divisione del lavoro e quindi anche di un'articolazione in classi; le società composte, fornite di un apparato di governo; le società doppiamente composte, in cui il sistema distributivo ha acquistato una propria autonomia.
Ma le società si distinguono non soltanto per il grado di organizzazione, bensì anche per lo scopo in vista del quale sono organizzate; da questo punto di vista le società militari e le società industriali diventano momenti successivi del processo evolutivo della società. Nelle società militari prevale il sistema regolativo, e si ha quindi una cooperazione forzata in virtù della quale l'individuo è sottoposto alla coercizione del potere statale e della classe che si dedica all'attività bellica; nelle società industriali prevale il sistema distributivo, e perciò si ha una cooperazione volontaria in vista della produzione che comporta la subordinazione dello Stato all'individuo. Non per questo, però, esse rappresentano il culmine dello sviluppo sociale: lungi dall'attribuire loro un carattere definitivo, Spencer ipotizzava l'avvento di un terzo tipo di società, nel quale la distribuzione dovrà prevalere sulla produzione.Il progredire della differenziazione significava infatti, per Spencer, un grado crescente di autonomia per l'individuo nei confronti dello Stato. A differenza dell'evoluzione organica, quella superorganica procede verso l'indipendenza delle parti dal tutto; procede attraverso la sostituzione dei rapporti di scambio ai rapporti di dominio e di subordinazione, verso la limitazione dei poteri dello Stato, verso l'allargamento della sfera dell'iniziativa individuale, verso istituzioni rappresentative in grado di esprimere la volontà dei cittadini. Spencer perveniva così a identificare la società industriale con il regime liberale-rappresentativo, denunciando negli impedimenti frapposti all'individuo un tentativo di ritorno all'indietro rispetto alla direzione del processo evolutivo. Anche per lui, dunque, la sociologia assumeva una funzione politica; ma questa non aveva nulla in comune con l'ideale sociocratico di Comte. E la distanza da Comte era segnata soprattutto dall'abbandono della nozione di società organica.
Certamente, anche per Spencer la società è un organismo, e il suo sviluppo si lega a quello dell'organismo vivente; ma, a differenza di questo, è un 'tutto discreto', costituito di parti indipendenti che tendono ad accrescere la loro autonomia nel corso del processo evolutivo. Perciò la linea del progresso non va verso una società organizzata sotto la guida di un'autorità superiore, sia pure dell'autorità del sapere, ma verso una società di individui che devono cooperare liberamente in base all'interesse proprio e degli altri. Considerata nelle sue implicazioni politiche, la sociologia comtiana si proponeva come terza via tra restaurazione e rivoluzione, negando il rapporto tra società industriale e istituzioni liberali; la sociologia spenceriana si richiamava invece alla tradizione del liberalismo e del liberismo inglese, accentuandone anzi la carica individualistica.Ciò spiega perché la teoria sociologica di Spencer, per quanto meno originale e gravata dall'ipoteca di una metafisica evoluzionistica, abbia potuto avere un successo assai maggiore di quella comtiana. In Francia il 1848 segnò la fine dell'illusione di una società fondata sulla cooperazione spontanea tra le diverse classi, in grado di comporre quello che Comte chiamava l'"antagonismo" tra imprenditori e lavoratori; e la critica del comunismo formulata nel Système de politique positive era troppo ingenua per poter essere presa sul serio. Ma anche la teoria sociologica di Comte era destinata a una rapida eclisse nella sua stessa patria.
L'interesse scientifico per la società prese ben presto altre strade; si rivolse all'analisi statistica o all'inchiesta sociale, proseguendo del resto una tradizione di studi che risaliva a Condillac e alla "matematica sociale" di Condorcet. Più che l'influenza di Comte, sullo sviluppo della sociologia incise quella di Frédéric Le Play, autore di un'ampia indagine su Les ouvriers européens (1855) e di un'opera come La réforme sociale en France (1864), che era ben lungi dal condividere la fiducia positivistica nel progresso. Invece la teoria di Spencer condizionò a lungo la sociologia inglese, e trovò ampia risonanza anche negli Stati Uniti. La prospettiva evoluzionistica è ben presente nella prima generazione di sociologi americani, formatasi nella seconda metà del secolo - quella di Lester F. Ward, di Franklin H. Giddings, di Albion Small; e anche un'opera come Folkways di William G. Sumner (1906), il testo classico del relativismo culturale, si avvale largamente di strumenti concettuali desunti da Darwin.Ma già negli ultimi decenni dell'Ottocento cominciava a venir meno il rapporto con una concezione generale della storia (o, nel caso di Spencer, dell'intera realtà), che aveva consentito alla scienza della società di configurarsi come una scienza 'globale'. Nel 1887 Ferdinand Tönnies - richiamandosi all'antitesi tra status e contratto, proposta da Henry Sumner Maine in Ancient law (1861) - distingueva tra comunità e società, mentre nel 1893, affrontando lo studio della divisione del lavoro sociale, Émile Durkheim contrapponeva solidarietà meccanica e solidarietà organica: due forme di organizzazione o di solidarietà storicamente successive, ma anche due tipi suscettibili di essere impiegati nell'analisi di società concrete, per determinare la loro diversa struttura. Seppur legata da molti fili alla propria origine positivistica, la sociologia abbandonava la pretesa di costituire la scienza della società, per delimitare un proprio campo di ricerca accanto ad altre scienze sociali.
Nel clima del positivismo evoluzionistico - ma indipendentemente da Spencer e dal quadro di un'evoluzione cosmica - è nata anche un'altra disciplina, l'antropologia, intesa non come studio della struttura fisica dell'uomo e delle caratteristiche delle varie 'razze' umane, ma come scienza dell'origine e dello sviluppo della cultura umana, in particolare delle sue fasi primitive. In realtà, l'interesse per i costumi dei popoli indigeni delle terre assoggettate dai 'conquistatori' europei era di lunga data, e aveva dato frutti cospicui nei secoli precedenti: basti pensare ai resoconti dei missionari gesuiti in Messico o in Paraguay, o a un'opera come i Moeurs des sauvages amériquaines di Joseph-François Lafiteau, apparsa nel 1724. Questo interesse si era poi esteso agli abitanti della Polinesia, in cui un filone della cultura illuministica - emblematicamente rappresentato dal Voyage autour du monde di Bougainville (1771) e dal Supplément di Diderot - aveva visto un esempio felice di libertà sessuale. Più recente è stato invece lo studio degli aborigeni della Melanesia o dell'Australia, intrapreso sistematicamente soltanto a fine Ottocento.
Da parte sua la cultura romantica era andata, sulla traccia di Herder, alla scoperta dei primordi dei popoli europei, in particolare di quelli germanici, e della loro letteratura. Verso la metà del secolo si disponeva ormai di una massa consistente di documentazione relativa sia ai costumi dei popoli extraeuropei sia a quelli degli antichi Germani o dei popoli barbari che si erano insediati in Occidente durante il declino dell'Impero romano; e un etnologo come Gustav Klemm poteva tentare l'impresa di scrivere una Allgemeine Cultur-Geschichte der Menschheit (1843) e poi addirittura una Allgemeine Culturwissenschaft (1854).
L'antropologia riprendeva quindi lo studio delle origini dell'umanità, ma lo collegava a un progetto di più ampio respiro, quello di determinare le tappe che hanno condotto dalla società primitiva alla civiltà. Nel far ciò essa accoglieva dal pensiero illuministico la partizione dello sviluppo dell'umanità in tre fasi fondamentali - lo stato selvaggio, la barbarie, la civiltà - concentrando la propria attenzione sulla prima di esse, sulla condizione originaria della vita umana. Da Voltaire a Condorcet, da Montesquieu a Ferguson, il pensiero illuministico si era occupato assai più del cammino della civiltà in epoca storica che non delle epoche che l'avevano preceduta; e l'immagine dello 'stato selvaggio' che esso offriva era piuttosto elementare. Lo stesso Herder, nell'esaltare i costumi dei popoli dell'Oriente antico, si era avvalso del racconto biblico assai più che dei dati storici già allora disponibili. L'antropologia intendeva appunto colmare questa lacuna, percorrendo un cammino in certo qual modo inverso a quello della sociologia, che era partita da un'interpretazione della società moderna e della sua struttura industriale. Non si trattava però di una semplice integrazione del quadro illuministico dello sviluppo dell'umanità: l'antropologia sorgeva da una svolta concettuale, dal riconoscimento del valore culturale dei modi di vita anche dei popoli 'selvaggi'.
La cultura non è un prodotto della civiltà, ma una dimensione originaria della vita dell'umanità che procede, e progredisce, insieme a essa: ciò consente appunto di parlare, come faceva Edward Burnett Tylor nel 1871, di "cultura primitiva" (così suona il titolo della sua opera principale). L'antropologia nasceva quindi come antropologia culturale.Questo riconoscimento comportava però, al tempo stesso, un mutamento del concetto di cultura, l'abbandono di una nozione che ne limitava l'ambito alle manifestazioni 'superiori' della vita umana distinguendole, al tempo stesso, dalla sfera politica o da quella economica, e il passaggio a una nozione più ampia, suscettibile di essere impiegata nella ricerca etnografica (come aveva del resto già fatto Klemm). La cultura veniva così a comprendere - secondo la definizione datane da Tylor in apertura di Primitive culture - "la conoscenza, le credenze, l'arte, la morale, il diritto, il costume e qualsiasi altra capacità e abitudine acquisita dall'uomo come membro di una società". In questo senso, dunque, ogni società è portatrice di cultura, e i suoi membri partecipano a essa in virtù di un processo di acquisizione. Proprio quest'ultima caratteristica permetteva di far valere l'autonomia della nuova disciplina nei confronti di una considerazione dell'uomo in termini puramente biologici: la cultura si trasmette da una generazione all'altra non per via ereditaria, ma in virtù dell'apprendimento.Per Tylor la cultura primitiva si presentava in maniera uniforme presso tutti i popoli, cosicché essa poteva venir considerata uno stadio a sé dell'evoluzione dell'umanità. Essa poggia infatti sulla fede negli spiriti, su una visione della natura che nei fenomeni scorge il risultato dell'azione di esseri soprannaturali. In conformità alla caratterizzazione che Comte aveva dato dello stato teologico, Tylor rintracciava nella cultura primitiva un passaggio graduale dall'animismo al politeismo, e quindi al monoteismo, che veniva a coincidere con la transizione dalla magia alla religione; mentre lo sviluppo ulteriore verso una forma non primitiva di cultura si configurava come transizione dalla religione alla scienza.
Tra le diverse fasi dell'evoluzione dell'umanità vi è quindi un rapporto di continuità, e le epoche precedenti lasciano una traccia in quelle successive, sotto forma di "sopravvivenze": proprio lo studio di queste consente all'antropologia di risalire all'indietro, ricostruendo una cultura remota com'è quella primitiva.Quello di Tylor e, in generale, dell'antropologia sorta in clima positivistico era uno schema di evoluzione unilineare, applicabile a qualsiasi popolo. A questa prospettiva recava un supporto la ricostruzione del periodo arcaico della storia greca e romana, che metteva capo con Johann Jakob Bachofen alla tesi di un matriarcato originario, dal quale sarebbe derivata l'organizzazione patriarcale, e con Numa-Denis Fustel de Coulanges all'analisi della città antica considerata nei suoi fondamenti religiosi. Ne derivava l'equiparazione tra l'organizzazione sociale (e la cultura) dei popoli europei al momento del trapasso dalla preistoria alla storia e quella delle tribù americane o australiane, con la possibilità di impiegare i documenti storici sul mondo antico per la comprensione dei costumi indigeni e di utilizzare le conoscenze etnografiche a integrazione delle fonti storiche sul mondo greco e romano.
Se le fasi percorse dall'umanità nel suo sviluppo sono identiche, la differenza tra popoli europei e tribù americane o australiane si riduce al fatto che queste si trovano ancor oggi a uno stadio evolutivo che quelli si erano lasciati dietro da oltre due millenni: non il processo, ma la sua velocità, diventava l'unico criterio differenziante.Questa prospettiva è alla base del prodotto più maturo dell'antropologia ottocentesca, Ancient society di Lewis Henry Morgan (1877). Morgan riprendeva la tripartizione tra stato selvaggio, barbarie e civiltà, e l'articolava distinguendo, all'interno delle due prime condizioni di vita dell'umanità, uno stadio inferiore, uno stadio intermedio e uno stadio superiore: in questo quadro trovava posto non soltanto lo sviluppo delle tecniche produttive, ma anche quello delle istituzioni di governo e delle forme di famiglia, nonché delle strutture della proprietà. Il punto di partenza era la distinzione tra due sistemi di organizzazione sociale storicamente successivi, l'uno fondato sui rapporti di parentela e l'altro sul territorio. Il primo di questi, il sistema gentilizio, si è venuto evolvendo attraverso i tre momenti della gens, della fratria e della tribù, fino allo stadio più elevato della confederazione di tribù. Esso si ritrova in tutto il mondo, non soltanto nel continente americano o in quello oceanico ma anche nell'antica Grecia. Il secondo sistema, quello propriamente politico, si è affermato con il sorgere della vita cittadina, e comporta un nuovo criterio di appartenenza determinato su base territoriale: esso nasce con la polis e in stretto rapporto con l'istituto della proprietà, trasmettendosi quindi dal mondo antico alla società moderna.
A questo sviluppo fa riscontro la successione delle forme di famiglia: la famiglia consanguinea, la famiglia panalua, la famiglia sindasmiana, la famiglia patriarcale, e da ultimo la famiglia monogamica. Se il processo evolutivo delle istituzioni di governo ha il suo centro di gravità nel passaggio dal sistema gentilizio al sistema politico, quello dell'organizzazione familiare è caratterizzato dal passaggio dalla discendenza matrilineare alla discendenza patrilineare, che è a fondamento della famiglia monogamica. Con il sistema politico su base territoriale e con la famiglia monogamica l'umanità compie il passo decisivo verso la civiltà: un passo relativamente tardo, tuttora limitato al mondo mediorientale ed europeo.Rintracciando nel periodo arcaico della storia greca e romana istituzioni di governo e forme di organizzazione familiare non dissimili da quelle degli altri popoli, Morgan poteva qualificarlo in termini se non di società selvaggia, almeno di barbarie: lo spartiacque con la civiltà cessava di essere determinato su base rigidamente geografica. Anche gli altri popoli sono infatti destinati a compiere il medesimo cammino, ad approdare cioè alla civiltà. La differenza consiste soltanto nel diverso ritmo del processo, più rapido in Grecia e a Roma (ma anche nei popoli dell'antico Oriente), più lento altrove.
L'antropologia rivelava così la propria carica dirompente nei confronti dell'atteggiamento etnocentrico della cultura europea. Ma questo rispuntava nella conclusione di Morgan, secondo cui la famiglia dei popoli ariani - essendo pervenuta alla civiltà senza aiuto esterno, anche se in virtù di circostanze accidentali - rappresenta "la corrente centrale del progresso umano".Tale conclusione era, del resto, coerente con il modello di un'evoluzione unilineare che aveva il suo culmine nella civiltà europeo-occidentale. Ma proprio quel modello era destinato ben presto a cadere. Anche se la prospettiva evoluzionistica andrà incontro a una ripresa a partire dagli anni trenta del Novecento, già all'inizio del secolo si faceva valere - e proprio nell'antropologia statunitense, con Franz Boas e i suoi allievi - il riconoscimento dell'individualità di ogni cultura, e quindi l'esigenza di determinarne la struttura peculiare. Lo studio dell'evoluzione della cultura umana cedeva il posto allo studio delle singole 'culture', della loro storia e dei loro rapporti. Dopo la sociologia, anche l'antropologia si svincolava dal legame originario con il positivismo.
Già Comte aveva affermato l'unità del metodo scientifico per tutte le scienze, assegnando alla filosofia il duplice compito di determinarne i principî comuni e di costruire un'enciclopedia delle scienze, sul modello non tanto dell'Encyclopédie settecentesca quanto piuttosto di Bacone. Questa impostazione fu ripresa pochi anni dopo da John Stuart Mill nel System of logic, ratiocinative and inductive (1843), attraverso il richiamo diretto alla tradizione empiristica inglese. Al pari di Comte, anche Mill riteneva che la scienza dovesse muovere dall'osservazione dei fatti per pervenire alla formulazione di leggi generali; ma nel suo procedere vedeva un intreccio di metodo induttivo e di metodo deduttivo, il primo rivolto a stabilire uniformità di comportamento sulla base dei fatti osservati, e l'altro a trarre conclusioni logicamente coerenti sulla base di tali uniformità. La struttura unitaria della scienza non impediva quindi che, nelle singole discipline, i due metodi fossero presenti con peso diverso, ed eventualmente anche in maniera esclusiva.Mill condivideva la diagnosi dell'arretratezza della scienza della società, e più in generale della scienza dell'uomo, rispetto agli altri settori della scienza; e anch'egli la imputava, al pari di Comte, alla maggiore complessità del suo oggetto. Ma respingeva il dogmatismo comtiano, e in particolare la riduzione del sistema del sapere positivo alla successione di cinque scienze fondamentali, dall'astronomia alla sociologia. La stessa scienza della società non esaurisce, per Mill, lo studio scientifico dell'uomo. Accanto alla scienza della natura fisica dell'uomo, e in posizione intermedia tra di essa e la scienza della società, Mill poneva infatti due altre scienze: la psicologia, che determina su base sperimentale le leggi del funzionamento della mente, e l'etologia, che procede invece su base deduttiva a determinare le leggi del carattere. La scienza della società era perciò definita come "la scienza delle azioni delle masse collettive dell'umanità e dei vari fenomeni che costituiscono la vita associata". Essa muove dallo studio del comportamento individuale, cercando le cause dei fenomeni sociali nell'azione degli individui che compongono la società, e le leggi a cui perviene sono il risultato delle leggi dei suoi elementi costitutivi. Non soltanto Mill lasciava quindi cadere il modello di società organica, di cui Saint-Simon e Comte si erano avvalsi per elaborare una spiegazione globale della società e del suo sviluppo, ma limitava la capacità esplicativa della scienza della società considerandola, al pari dell'etologia, una semplice "scienza di tendenze".
Analogamente, egli riconosceva che la scienza della società si articola in una pluralità di discipline, tra le quali particolare rilievo assume l'economia politica, di cui Comte aveva invece negato la legittimità, e a cui Mill dedicherà un'apposita trattazione nei Principles of political economy (1848). Lungi dal rappresentare una scienza 'globale', la sociologia si presentava come un insieme di discipline che finiva per comprendere, attraverso lo studio dei caratteri nazionali, anche la storia - e non a caso egli si riferirà positivamente, in seguito, al tentativo di determinare le leggi della storia compiuto da Thomas Buckle nella History of civilization in England (1857-1861).
L'abbandono della concezione della sociologia come scienza 'globale' dell'uomo e della società corrispondeva, del resto, a un diverso modo di intendere l'unità della scienza. Per Comte il sapere positivo doveva realizzarsi come unità sistematica di tutte le scienze e dei rispettivi sistemi di leggi; per Mill l'unità della scienza poteva riguardare soltanto il suo metodo. In questa veste il positivismo, con il rifiuto della metafisica che esso comportava, diventò la filosofia di gran parte degli scienziati ottocenteschi, anche degli scienziati sociali. Mentre la teoria della società industriale cedeva il passo a una visione conflittuale della società moderna, mentre la concezione della storia come progresso irreversibile verso un assetto sociale fondato sul sapere positivo era destinata a declinare dinanzi ai fenomeni non governabili della società di massa, la convinzione dell'unità della scienza e del suo metodo si affermò largamente, anche quando lo storicismo contemporaneo fece valere - in polemica con Comte e con Mill - la contrapposizione epistemologica tra scienze della natura e scienze dello spirito (o della cultura). Ed essa fu recepita, all'indomani della prima guerra mondiale, dal Circolo di Vienna e dal movimento per l'unità della scienza.
Su questa base si costituì il movimento neopositivistico, che nella capitale austriaca ebbe il suo primo centro, per diffondersi ben presto a Berlino e a Praga e per trasmigrare in seguito, verso la fine degli anni trenta, negli Stati Uniti. Il 'manifesto' del Circolo di Vienna, pubblicato nel 1929 con il titolo Wissenschaftliche Weltauffassung, enunciava il programma di unificazione della scienza, da realizzarsi attraverso la riduzione di ogni concetto ad altri concetti più elementari, fino al livello dei concetti che si riferiscono direttamente al dato empirico. Il terreno su cui tale unificazione doveva compiersi era quello linguistico: si trattava cioè di individuare un linguaggio comune a tutte le discipline scientifiche, che potesse garantire non soltanto la loro integrazione, ma anche la traducibilità delle proposizioni di una scienza in quelle di un'altra.Questa prospettiva - estranea invero a Moritz Schlick, che del Circolo di Vienna fu l'esponente più significativo, così come agli esponenti degli altri circoli neopositivistici - venne sviluppata soprattutto da Otto Neurath e da Rudolf Carnap. Per entrambi il problema dell'unità della scienza poteva essere risolto soltanto attraverso la costruzione di un linguaggio unificato, riportando gli enunciati di tutte le discipline scientifiche (a eccezione di quelle 'tautologiche' come la matematica) a enunciati osservativi che denotino eventi spazio-temporali. Neurath ne indicava il modello nel linguaggio della fisica, e si faceva così propugnatore di un programma "fisicalistico". Carnap condivideva questa impostazione, e anzi tendeva a dare una versione più 'forte' del principio di riduzione, sostenendo che le proposizioni di tutte le scienze dovevano essere ridotte ai termini di un linguaggio fondamentale, che era poi il linguaggio "cosale" della fisica, cioè il linguaggio impiegato per parlare delle cose osservabili che ci circondano. Anzi, egli non escludeva la possibilità di ricondurre integralmente, in un futuro più o meno lontano, le leggi delle altre scienze a quelle della fisica. Questo programma veniva fatto valere da Neurath anche in riferimento alla sociologia - e ciò in aperta polemica nei confronti di Dilthey e della sua concezione delle scienze dello spirito. Nel volume Empirische Soziologie (1931) egli affermava che le leggi sociologiche devono venir formulate nel linguaggio della fisica, in quanto i suoi fenomeni possono essere riportati al comportamento dei singoli individui e dei gruppi che essi costituiscono, cioè a fenomeni osservabili al pari di quelli che sono oggetto delle altre scienze. In sociologia, come pure in psicologia, il comportamentismo era il corollario della tesi fisicalistica. Non per questo, tuttavia, Neurath pretendeva che le leggi della fisica fossero trasferibili al dominio degli esseri viventi o degli individui umani: pur essendo formulabili in termini spazio-temporali, le leggi sociologiche mantengono una loro specificità.
Anche in seguito egli respingerà l'idea di una gerarchia delle scienze poggiante sulla fisica; ma l'unità della scienza tenderà ad assumere anche una portata contenutistica. Nel saggio Foundations of social sciences (1944), pubblicato nel secondo volume della Encyclopedia of unified science, Neurath perveniva infatti a concepire le diverse scienze come parti di un'unica scienza, che si presentava come "storia cosmica onnicomprensiva". Se il positivismo ottocentesco ha dato un contributo decisivo al processo di costituzione delle scienze sociali, non si può certamente dire altrettanto del movimento neopositivistico. E il programma della 'scienza unificata' ebbe scarsa influenza sullo sviluppo di queste discipline, impegnate piuttosto - intorno alla metà del secolo - a definire in maniera autonoma il proprio apparato metodologico. Lo stesso legame tra neopositivismo e comportamentismo, che si trova nell'opera di Neurath (e di Carnap), è da intendersi non tanto come un processo di convergenza, quanto come ricezione delle tesi comportamentistiche all'interno di un progetto di traduzione del linguaggio delle scienze sociali in termini "fisicalistici". Anche l'affinità talvolta asserita tra il programma neopositivistico e quello di una teoria generale dell'azione sociale, formulato da Talcott Parsons nel Social system (1951), che indicava nella psicologia, nella sociologia e nell'antropologia culturale le tre scienze sociali di base, assegnando a esse come oggetto rispettivamente il sistema della personalità, il sistema sociale e il sistema della cultura, risulta troppo generica per essere probante.
Altri erano - e altri ancora saranno - gli indirizzi filosofici con cui le scienze sociali sono entrate in rapporto: dal pragmatismo alla fenomenologia, dal funzionalismo allo strutturalismo, dal marxismo alla teoria critica della società, e più di recente all'ermeneutica. Dal neopositivismo le scienze sociali hanno tratto, tutt'al più, una lezione di rigore metodologico, che si coniugava con l'appello a un'indagine empirica priva di presupposti metafisici. Ma questa lezione poteva essere accolta proprio in quanto s'innestava su esigenze che si erano già venute affermando all'interno dei diversi settori disciplinari.
(V. anche Antropologia ed etnologia; Epistemologia delle scienze sociali; Scienze sociali; Società industriale; Sociologia).
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