positivismo
Corrente di pensiero affermatasi in Europa nella seconda metà del 19° sec., la quale, contro l’astrattezza e la sterilità della metafisica, riteneva che il solo sapere reale fosse quello delle scienze (fisica, astronomia), e che anche la riflessione sulla storia dovesse ispirarsi al metodo delle scienze. I maggiori rappresentanti del p. sono stati A. Comte in Francia, J.S. Mill e H. Spencer in Inghilterra, e R. Ardigò in Italia. Comte ha enunciato la legge dei tre stadi: la storia (con riferimento particolare alla storia europea) è passata per lo stadio teologico, poi per lo stadio metafisico, e infine è giunta nella sua piena maturità nello stadio positivo o scientifico. In questo ultimo stadio gli uomini, nella considerazione dei fenomeni, non ricorrono più a entità immaginarie soprannaturali, come nello stadio teologico, o ad astrazioni personificate, come nello stadio metafisico, bensì si attengono rigorosamente ai fatti e alle loro relazioni. La visione che Comte aveva della storia era dunque fondata sull’idea di progresso. Nello stadio positivo la società era, secondo Comte, organica e gerarchica, al suo vertice stavano i filosofi positivi, ai quali spettavano le funzioni di arbitrato e di controllo. In tale società venivano conservate tutte le classi della società moderna e i suoi istituti (famiglia, proprietà), ma essa era regolata in vista del bene comune. La concezione di Mill era invece individualistica e, sul piano etico-politico, liberale. Lo Stato milliano doveva intervenire nella vita economica, ma in senso antimonopolistico, per rimuovere gli ostacoli alla concorrenza. Mill auspicava un progressivo associazionismo e la partecipazione degli operai ai profitti, ma anche in questa prospettiva egli restava fedele al principio della concorrenza fra le varie aziende cooperative. Spencer, che concepiva lo sviluppo sociale come un processo evolutivo, prevedeva un punto di approdo in cui i contrasti sociali sarebbero stati appianati, e in cui privato e pubblico si sarebbero conciliati. In vista di questo punto di approdo, Spencer si oppose a qualunque intervento dello Stato: bisognava lasciar svolgere il processo evolutivo senza favorire i «meno adatti», avendo fiducia nel suo risultato positivo.