Abstract
Nell’ordinamento vigente i poteri di ordinanza di necessità e di urgenza si segnalano soprattutto perché, secondo la dottrina prevalente, recano all’emanazione di atti non predeterminati quanto al contenuto. In proposito si esaminano gli orientamenti della giurisprudenza costituzionale, le tendenze normative e le prassi amministrative degli ultimi anni, per poi riferire dei termini del dibattito sulle questioni di maggiore attualità, in particolare sulla compatibilità del potere di ordinanza con il principio di legalità.
L’espressione ordinanza nel linguaggio giuridico assumeva e assume significati diversi.
In passato veniva impiegata per indicare vari atti del sovrano, anche a contenuto normativo (Morrone, A., Le ordinanze di necessità e urgenza, tra storia e diritto, in Vignudelli, A., a cura di, Istituzioni e dinamiche del diritto. I confini mobili della separazione dei poteri, Milano, 2009, 133 e ss.), mentre attualmente viene usata principalmente in due accezioni.
In primo luogo viene impiegata come sinonimo di ordine, per indicare gli atti del Sindaco e dei dirigenti degli enti locali (Cavallo, B., Ordine e ordinanza nel diritto amministrativo, in Dig. disc. pubbl., X, Torino, 1995, 435 ss.): quest’uso linguistico si ritrova ad esempio nelle disposizioni del t.u. edilizia (d.P.R. 6.6.2001, n. 380), per indicare gli ordini di demolizione dei fabbricati abusivi.
Si tratta delle cosiddette ordinanze ordinarie, che per quanto riguarda il contenuto non differiscono da ogni altro provvedimento amministrativo (Rescigno, G.U., Ordinanze e provvedimenti di necessità ed urgenza, in Nov.mo dig. it., XII, Torino, 1965, 91), e che dunque non rivestono nessun particolare interesse.
In secondo luogo viene impiegata per indicare le ordinanze che sono emanate in casi di necessità e di urgenza.
Ossia atti che, secondo la dottrina prevalente, si distinguono dagli altri provvedimenti amministrativi perché «non sono predeterminat(i) quanto al contenuto» (Rescigno, G.U., Ordinanze, loc. cit.), e quindi meritano senz’altro una trattazione a parte: anche perché, come vedremo, a questa stregua si dubita della coerenza del relativo potere con la sistematica amministrativa, e, soprattutto, con le norme della Costituzione.
Peraltro sempre a questa stregua si può definire il potere di ordinanza di necessità e urgenza anche come potere di ordinanza extra ordinem (Bartolomei, F., Ordinanza, dir. amm., in Enc. dir., XXX, Milano, 1980, 976).
Se invece si impiega la definizione di ordinanze libere, occorre considerare che, come meglio vedremo in seguito, anche secondo l’orientamento dottrinale prevalente è innegabile che nell’ordinamento vigente il contenuto delle ordinanze di necessità e urgenza non è del tutto libero, ma, piuttosto, è soggetto a diversi limiti.
Va poi segnalato che da tempo si è precisato che il potere di ordinanza non dev’essere confuso con altri poteri previsti dalla legge per far fronte a situazioni di urgenza, che recano all’emanazione dei cosiddetti atti necessitati, dato che questi provvedimenti invece hanno contenuti predeterminati (Giannini, M.S., Potere di ordinanza e atti necessitati, in Giur. compl. cass. civ., 1949, 949 e ss.): ad esempio, l’occupazione d’urgenza preordinata all’espropriazione ex art.22-bis del t.u. espropriazioni (d.P.R. 8.6.2001, n. 327).
Non è inutile ricordare che il problema di come reagire a situazioni di emergenza nei casi in cui la legge non prevede strumenti adeguati s’era già posto nell’ordinamento statutario (Angiolini, V., Necessità ed emergenza nel diritto pubblico, Padova, 1986).
Esso era stato risolto in primo luogo impiegando lo stato di assedio, uno strumento che originariamente era stato elaborato nell’ordinamento francese per far fronte alle eccezionali esigenze di una parte del territorio della nazione sottoposta ad attacco nemico; e che in seguito, sempre sull’esempio francese, era stato utilizzato anche per fronteggiare episodi di turbamento dell’ordine pubblico, e sinanco catastrofi naturali, quale il terremoto di Messina e Reggio Calabria del 1908: e in questi casi si parlava dunque di stato di assedio politico, o fittizio (Agamben, G., Stato di eccezione, Torino, 2003, 13 s.; Motzo, G., Assedio, stato di, in Enc. dir., III, Milano, 1958, 250 ss.).
Quando poi non veniva impiegato questo strumento, in situazioni siffatte il Governo era comunque solito emanare ordinanze, anche di contenuto normativo, le quali nella più parte dei casi venivano ratificate, a volte anche a distanza di anni dalla loro emanazione, da parte del Parlamento con apposita legge (Morrone, A., Le ordinanze, cit.).
Una parte della dottrina pubblicistica aveva cercato di giustificare questi poteri.
Una prima corrente di pensiero riteneva che ciò fosse possibile impiegando istituti previsti dal diritto positivo a tutt’altri fini, quali la legittima difesa, o lo stato di necessità (per questa seconda tesi v. Ranelletti, O., La polizia di sicurezza, in Trattato Orlando, IV, Milano, 1904, 1201 e ss.).
Una seconda linea di pensiero invece sembrava svolgere il vecchio brocardo necessitas facit legem, perché considerava la necessità stessa come fonte di diritto, in base all’assunto che possa «verificarsi una data condizione di cose che costituisca una manifestazione esplicita, impellente e categorica di bisogni e di forze sociali, nel senso che da essa emani immediatamente e direttamente, senza incertezze e senza possibilità di sottrarvisi, una norma obbligatoria» (Romano, S., Sui decreti-legge e lo stato di assedio in occasione del terremoto di Messina e di Reggio-Calabria, in Riv. dir. pubbl., 1909, 261; cfr. anche Miele, G., Le situazioni di necessità dello Stato, in Arch. dir. pubbl., 1936, 377 e ss.).
Nonostante l’evidente ispirazione istituzionalista, opinioni di questo genere sono state considerate espressione di un’ottica statualista (cfr. Giuffré, F., Calamità naturali ed emergenza nella transizione costituzionale italiana: spunti a proposito di retaggi statalistici e nuova ispirazione autonomista, in Dir. soc., 2001, 120 ss.): e in effetti pare singolare che esse non ammettano che lo Stato e il suo ordinamento non possano essere in grado di far fronte tempestivamente a ogni evenienza, quasi che a differenza di ogni altro costrutto sociale essi siano perfetti, anziché perfettibili.
Altra dottrina invece segnalava che in molti casi delle ordinanze non si faceva uso «per vere ragioni di necessità e d’urgenza», ma, piuttosto, al fine di ampliare i poteri del Governo, e affermava che esse non erano consentite dall’art. 6 dello Statuto, che attribuiva al Sovrano solo il potere di emanare «i decreti e regolamenti necessarii per l'esecuzione delle leggi», ma «senza sospenderne l'osservanza, o dispensarne» (Cammeo, F., Della manifestazione della volontà dello Stato nel campo del diritto amministrativo, in Trattato Orlando, III, Milano, 1901, 192 ss.).
Negli anni venti e trenta del novecento il problema del fondamento dei poteri in discorso era stato comunque risolto emanando leggi le quali disciplinavano in via generale i poteri emergenziali, e che così ovviavano ai dubbi di costituzionalità, dato che lo Statuto albertino al tempo veniva considerato una costituzione flessibile (cfr. Pace, A., Presentazione a Bryce, J., Costituzioni flessibili e rigide, Milano, 1998, XXX s.): in particolare, la l. 31.1.1926, n. 100, in ordine ai decreti legge, e il t.u. di pubblica sicurezza ex R.d. 18.6.1931, n.773, in relazione al potere di ordinanza prefettizio.
Peraltro che in precedenza il potere di ordinanza spesso fosse stato impiegato in modo surrettizio è confermato dal fatto che la legge del 1926 poté «presentarsi – non senza ragione – come un rimedio ed un freno ai precedenti abusi» (Paladin, L., Art.77, in Commentario Branca della Costituzione, Artt.76-82, Bologna, Roma, 1979, 47).
Venendo all’ordinamento repubblicano, il testo della Costituzione per risolvere il problema delle emergenze prevede solo due istituti speciali (lo stato di guerra ex art. 78 e lo scioglimento dei Consigli regionali, ex art. 126), e uno di applicabilità generale e residuale, ossia il decreto-legge di cui all’art. 77, che in sostanza riprende l’istituto che era previsto già dalla l. n. 100/1926.
Nessun cenno invece viene fatto alle ordinanze di necessità e urgenza, quali le ordinanze prefettizie previste dal t.u. di pubblica sicurezza, delle quali s’è appena detto, o le ordinanze sindacali che al tempo erano disciplinate dall’art. 55 del R.d. 3.3.1934, n. 383 (sulle ordinanze previste dalla legislazione vigente all’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, v. Galateria, L., I provvedimenti amministrativi di urgenza. Le ordinanze, Milano, 1953, spec. 41 ss., Gargiulo, U., I provvedimenti di urgenza nel diritto amministrativo, Napoli, 1954, 108 ss.).
Una parte della dottrina ha dunque sostenuto che dovrebbe ritenersi vietato ogni potere extra ordinem di necessità e urgenza diverso da quelli espressamente previsti dalla Carta costituzionale (v. tra gli altri Esposito, C., Decreto-legge, in Enc. dir., XI, Milano, 1962, 866 s.; Mortati C., Istituzioni di diritto pubblico, II, Padova, 1976, 718 ss.; e cfr. da ultimo Marazzita, G., L’emergenza costituzionale. Definizione e modelli, Milano, 2003, 421 ss.).
La giurisprudenza costituzionale invece sin dalle sue prime pronunzie è stata di diverso avviso.
La questione della legittimità costituzionale del potere di ordinanza di necessità e urgenza è stata esaminata per la prima volta dalla Corte Costituzionale nella sentenza 2.7.1956, n. 8, in relazione alle ordinanze emanate ex art. 2 del t.u.p.s. da diversi prefetti «per disciplinare lo strillonaggio dei giornali nelle pubbliche vie e la vendita degli stessi a domicilio», le quali in sostanza erano intese a ostacolare la diffusione del quotidiano “L’Unità” (l’ampio dibattito dottrinale sulla vicenda viene riferito da Cavallo Perin, R., Potere di ordinanza e principio di legalità, Milano, 1990, 79 ss.).
In sostanza si tratta di una sentenza che nel lessico odierno verrebbe definita interpretativa di rigetto, in cui la Consulta manda indenne da censure l’art.2, affermando in primo luogo che esso «non appare in contrasto con i principii costituzionali che regolano la produzione delle leggi», perché le ordinanze «hanno il carattere di atti amministrativi, adottati dal Prefetto nell'esercizio dei compiti del suo ufficio, strettamente limitati nel tempo e nell'ambito territoriale dell'ufficio stesso e vincolati ai presupposti dell'ordinamento giuridico», e dunque «non sono da confondersi né con le leggi né con i decreti-legge, che hanno altro carattere ed altri effetti».
In secondo luogo, che l’art. 2 di per sé non viola la libertà di manifestazione del pensiero ex art. 21 della Costituzione, perché, anche se «nella sua latitudine, potrebbe dare adito ad arbitrarie applicazioni», «giudicare se l'ordinanza prefettizia leda tali diritti è indagine da farsi di volta in volta dal giudice, ordinario o amministrativo, competente».
La Corte tornava però a esaminare l’art. 2 del t.u.p.s. pochi anni dopo, nella sentenza 27.5.1961, n. 26, perché le prassi amministrative e gli orientamenti giurisprudenziali occorsi medio tempore non erano coerenti con l’interpretazione della disposizione data dalla sentenza del 1956 (le Sezioni Unite della Cassazione avevano addirittura sostenuto che questa disposizione darebbe al Prefetto «il potere eccezionale di disporre temporaneamente di qualsiasi diritto dei cittadini»; Pizzorusso, A., Le fonti del diritto, in Commentario Scialoja-Branca del Codice civile, Bologna, Roma, 2011, 557).
La sent. n. 26/1961 svolge ulteriormente le affermazioni fatte cinque anni prima, rilevando in primo luogo che di per sé i poteri di ordinanza non violano la Costituzione, dato che «non possono in nessun modo considerarsi di carattere legislativo, quanto alla loro forma e quanto ai loro effetti»: «anche a volerli considerare in ogni caso come aventi carattere normativo ... ove non contrastino con i principi dell'ordinamento, restano legittimamente nella sfera dell'attività spettante agli organi amministrativi».
Inoltre ricorda che l'art. 77 dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, emanato dall’Assemblea costituente, «richiama espressamente l'applicazione dell'art.2 della legge di pubblica sicurezza; dal che può dedursi che l'Assemblea … ritenne che l'istituto non fosse in contrasto con la Costituzione».
Viene poi riconfermato che le ordinanze di necessità e urgenza non possono violare i principi dell’ordinamento, e, riguardo alle riserve di legge, si impiega il distinguo – da poco elaborato da dottrina e giurisprudenza – tra riserve assolute e relative, e dunque si esclude che le ordinanze possano essere emanate nelle materie oggetto di riserva assoluta; per quelle oggetto di riserva relativa la Corte richiama invece la propria giurisprudenza che «ha ritenuto ammissibile che la legge ordinaria attribuisca all'Autorità amministrativa l'emanazione di atti anche normativi, purché la legge indichi i criteri idonei a delimitare la discrezionalità dell'organo a cui il potere è stato attribuito».
Questa volta però la Consulta, preso atto del fatto che «la omessa prescrizione, nel testo dell'art. 2, del rispetto dei principi dell'ordinamento giuridico renderebbe possibile - ed in realtà ha reso, di recente, possibile - un'applicazione della norma, tale da violare i diritti dei cittadini e da menomare la tutela giurisdizionale», dichiara l’illegittimità della disposizione, ma «nei limiti in cui … attribuisce ai Prefetti il potere di emettere ordinanze senza il rispetto dei principi dell'ordinamento giuridico».
E’ il caso di ricordare che dopo questa pronunzia s’era osservato che gli orientamenti della Corte sull’esercizio dei poteri nelle materie oggetto di riserva relativa in realtà affermavano che «non sarebbe conforme a Costituzione una legge che abbandonasse alla piena discrezionalità dell’amministrazione il contenuto … dei provvedimenti adottabili nelle anzidette materie. Non occorre altro, per accorgersi che la formula dell’art.2 t.u. di p.s. non soddisferebbe neppure lontanamente tali condizioni minime» (Crisafulli, V., Il “ritorno” dell’art. 2 della legge di pubblica sicurezza dinanzi alla Corte costituzionale, in Giur. cost., 1961, 891).
In seguito la Corte è tornata a più riprese a pronunciarsi sul potere di ordinanza: tra le numerose pronunzie in proposito va richiamata la sent. 4.1.1977, n. 4, nella quale si rileva che le ordinanze «anche se e quando (eventualmente) normative, non sono certamente ricomprese tra le fonti del nostro ordinamento giuridico; non innovano al diritto oggettivo; né, tanto meno, sono equiparabili ad atti con forza di legge, per il sol fatto di essere eccezionalmente autorizzate a provvedere in deroga alla legge».
E la sent. 28.5.1987, n. 201, ove si ammette che le ordinanze possano anche derogare alla legge, ma in presenza di alcune condizioni, ossia «1) che le ordinanze si fondino su una “specifica autorizzazione legislativa che, anche senza disciplinare il contenuto dell’atto … indichi il presupposto, la materia, le finalità dell’intervento e l’autorità legittimata”; 2) che abbiano efficacia derogatoria e non abrogativa o modificativa della normativa primaria; 3) che rispettino il limite delle riserve di legge, assolute o relative, secondo la graduazione teorizzata nella sentenza n.26/1961; 4) che siano adeguate al fatto» (Marazzita, G., L’emergenza, cit., 440).
Considerazioni queste che poi vengono ulteriormente svolte in seguito, ad esempio nella sent. 14.4.1995, n. 127, relativa alle ordinanze di protezione civile ex l. 24.2.1992, n. 225, nella quale peraltro si precisa che la deroga deve rispettare il principio di proporzionalità (Rescigno, G.U., Sviluppi e problemi nuovi in materia di ordinanze di necessità e urgenza e altre questioni in materia di protezione civile alla luce della sentenza n. 127 del 1995 della Corte costituzionale, in Giur. cost., 1996, 2185 ss.).
In sostanza, la giurisprudenza costituzionale nel corso degli anni ha elaborato un insieme di limiti al potere in discorso, quali il rispetto dei principi dell’ordinamento, la proporzionalità tra evento e misura adottata, il carattere meramente provvisorio delle ordinanze, la capacità solo derogatoria, anziché abrogativa o modificativa, delle norme di legge, l’indicazione adeguata dei settori dell’ordinamento derogati e la strumentalità della deroga alla soluzione della emergenza (Marzuoli, C., Il diritto amministrativo del’emergenza: fonti e poteri, in AA.VV., Il diritto amministrativo dell’emergenza, Milano, 2006, 12 ss.).
Negli ultimi decenni sono state previste numerose nuove ipotesi di ordinanze di necessità e urgenza in diverse leggi di settore (in particolare in materia di ambiente: cfr. da ultimo Renna, M., Le misure amministrative di enforcement del principio di precauzione per la tutela dell'ambiente, in Jus, 2016, 61 ss.), ed è stata emanata la già citata l. n. 225/1992, che nell’art. 5 dettava disposizioni generali sulle ordinanze del Presidente del Consiglio dei Ministri in caso di dichiarazione di emergenza, tra cui la clausola per cui «le ordinanze emanate in deroga alle leggi vigenti devono contenere l'indicazione delle principali norme a cui si intende derogare e devono essere motivate» (Severi, F., Le ordinanze della legge n.225/92 sulla protezione civile, Milano, 1996) – i contenuti della l. n. 225/1992 di recente sono stati ripresi nel d.lgs. 2.1.2018, n. 1, che detta il nuovo codice della protezione civile.
Soprattutto dopo che l’art. 5-bis della l. 9.11.2001, n. 401, di conversione del d.l. 7.9.2001, n. 343, aveva consentito l’impiego dei poteri di ordinanza anche per i “grandi eventi” che fossero «diversi da quelli per i quali si rende necessaria la delibera dello stato d’emergenza», per un decennio era invalsa la prassi di impiegare le ordinanze persino per fare fronte a eventi che spesso non solo non avevano natura emergenziale, ma che avrebbero potuto essere risolti facendo uso dei poteri amministrativi ordinari (cfr. Gnes, M., I limiti del potere d’urgenza, in Riv. trim. dir. pubbl., 2005, 641 ss.).
L’impiego a tal fine delle ordinanze di protezione civile era divenuto un fenomeno di dimensioni tali da far parlare dell’instaurazione di «un vero e proprio sistema di diritto amministrativo parallelo a quello ordinario, che si estende alle categorie più diverse di fatti di amministrazione» (Cerulli Irelli, V., Principio di legalità e poteri straordinari dell’amministrazione, in Dir. pubbl., 2007, 377; v. anche Brocca, M., L’altra amministrazione. Profili strutturali e funzionali del potere di ordinanza, Napoli, 2012).
In dottrina s’era proposto di spiegare il fenomeno richiamando la dialettica tra legge e amministrazione, per cui la seconda spesso cerca di svincolarsi dai vincoli sanciti dalla prima (Ramajoli, M., Potere di ordinanza e Stato di diritto, in Studi in onore di A. Romano, Napoli, 2011, 735 ss.), oppure sostenendo che l’impiego delle ordinanze sarebbe funzionale a porre rimedio ai disagi della cd. società dell’incertezza (Fioritto, A., L’amministrazione dell’emergenza tra autorità e garanzie, Bologna, 2008).
Per vero qui per molti versi sembrava essersi riproposto quell’impiego surrettizio delle ordinanze inteso al fine di ampliare i poteri del Governo, che, come s’è visto, s’era già verificato nel periodo statutario, perché il potere di ordinanza finiva per essere un succedaneo del decreto-legge, e, anzi, spesso persino «un modo per eludere l’art. 77 Cost.», dato che le ordinanze di protezione civile sfuggono al controllo del Parlamento (Rescigno, G.U., Sviluppi e problemi nuovi, cit., 2189; v. anche Pinelli, C., Un sistema parallelo. Decreti-legge e ordinanze d’urgenza nell’esperienza italiana, in Dir. pubbl., 2009, 317 ss.; Razzano, G., L’amministrazione dell’emergenza. Profili costituzionali, Bari, 2010, 253 ss.)
E non a caso anche la dottrina che escludeva l’illegittimità della prassi in discorso la collocava nel contesto della crisi del parlamentarismo (Cardone, A., La “normalizzazione” dell’emergenza. Contributo allo studio del potere extra ordinem del Governo, Torino, 2011).
Questa prassi pare però aver avuto una battuta d’arresto quando il d.l. 24.1.2012, n. 1 ha abrogato la clausola dell’art. 5-bis della l. n. 401/2001 sui “grandi eventi”, e quando i poteri del Presidente del Consiglio sono stati in parte ridimensionati dal d.l. 15.5.2012, n. 59, che ha attribuito la competenza sull’emanazione delle ordinanze al capo del dipartimento della protezione civile (Fioritto, A., La riforma della protezione civile, in Giorn. dir. amm., 2012, 1059 ss.).
Un ulteriore limite ai poteri di ordinanza è poi venuto dall’art. 42 del d.lgs. 14.3.2013, n. 33, che ha imposto alle amministrazioni «che adottano provvedimenti contingibili e urgenti e in generale provvedimenti di carattere straordinario in caso di calamità naturali o di altre emergenze, ivi comprese le amministrazioni commissariali e straordinarie costituite in base alla legge 24 febbraio 1992, n. 225, o a provvedimenti legislativi di urgenza» l’obbligo della pubblicazione di questi provvedimenti, e «in tale sede, sia l'obbligo di indicazione espressa delle norme di legge eventualmente derogate e dei motivi della deroga, nonché l'indicazione di eventuali atti amministrativi o giurisdizionali intervenuti, sia i termini temporali eventualmente fissati per l'esercizio dei poteri di adozione dei provvedimenti straordinari sia anche il costo previsto degli interventi e il costo effettivo sostenuto dall'amministrazione» (Morbidelli, G., Delle ordinanze libere a funzione normativa, in Dir. amm., 2016, 37).
Da segnalare inoltre che la prassi di cui s’è detto probabilmente aveva ispirato pure la riforma recata all’art. 54 del t.u. enti locali ex d.lgs. 18.8.2000, n. 267, dal d.l. 23.5.2008, n.92, che aveva consentito ai sindaci di emanare, «al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana», oltre alle consuete ordinanze di necessità e urgenza, anche ordinanze ordinarie: in questo modo si era prevista la possibilità di emanare provvedimenti di contenuto non predeterminato anche a prescindere dai presupposti di necessità e urgenza, in sostanza come accadeva a fronte dei “grandi eventi”.
Ma questa previsione è stata dichiarata illegittima da C. cost. 7.4.2011, n. 115, in base alla considerazione che essa viola la riserva di legge relativa ex art. 23 Cost. «in quanto non prevede una qualunque delimitazione della discrezionalità amministrativa», e il principio di legalità sostanziale, data «l'imprescindibile necessità che in ogni conferimento di poteri amministrativi venga osservato il principio di legalità sostanziale, posto a base dello Stato di diritto. Tale principio non consente “l'assoluta indeterminatezza” del potere conferito dalla legge ad una autorità amministrativa, che produce l'effetto di attribuire, in pratica, una “totale libertà” al soggetto od organo investito della funzione … non è sufficiente che il potere sia finalizzato dalla legge alla tutela di un bene o di un valore, ma è indispensabile che il suo esercizio sia determinato nel contenuto e nelle modalità, in modo da mantenere costantemente una, pur elastica, copertura legislativa dell'azione amministrativa» (v. Tropea, G., Una rivoluzionaria sentenza restauratrice (in margine a Corte cost. n. 115/2011), in Dir. amm., 2011, 623 ss.).
Nonostante gli orientamenti della Corte costituzionale, parte della dottrina ha sempre dubitato della legittimità del potere di ordinanza sotto vari aspetti.
Per vero la Consulta sin dalle sue prime sentenze pare aver risolto quelli che nei primi anni dell’epoca repubblicana erano sembrati i principali problemi posti dalle ordinanze, ossia la collisione con la regola per cui solo la Costituzione può prevedere fonti primarie, e la sovrapposizione al principale istituto previsto dalla Costituzione per risolvere le emergenze, ossia il decreto-legge.
Come s’è visto lo ha fatto escludendo recisamente che le ordinanze possano avere forza di legge, e rimarcando che esse hanno natura amministrativa, sicché si collocano su un piano diverso rispetto alle leggi e agli atti con forza di legge.
Il che spiega anche la prudenza della giurisprudenza costituzionale nell’ammettere che le ordinanze possano avere natura normativa, espressa nelle formule ipotetiche che si leggono nelle sent. nn. 26/1961 e 4/1977.
In realtà se si considerano i contenuti che in concreto si riscontrano soprattutto nelle ordinanze di protezione civile pare difficile negare che esse spesso costituiscono atti normativi, se tali sono quelli dotati di generalità e astrattezza (Rescigno, G.U., L’atto normativo, Bologna, 1998, 22): caratteri questi che non sono esclusi dalla provvisorietà e temporaneità degli atti in parola (Morbidelli, G., Delle ordinanze, cit., 51), ché se così non fosse in definitiva si dovrebbe dubitare pure della natura normativa dei decreti-legge, i quali hanno anch’essi un’efficacia temporanea, e per di più “sotto condizione risolutiva” (Zagrebelsky, G., Manuale di diritto costituzionale, Torino, 1999, 184).
La violazione delle norme costituzionali di cui s’è detto però non si verifica se si ritiene che le ordinanze possano essere fonti secondarie: le quali, a differenza delle fonti primarie, non sono un numerus clausus, e ben possono essere previste dalla legislazione ordinaria (Morbidelli, G., Delle ordinanze, cit. 54 s.).
Peraltro a questa stregua si sostiene (ad es., da parte di Cerase, M., Ordinanze di urgenza e necessità, in Diz. dir. pubb. Cassese, IV, Milano, 2006, 3989, e Morbidelli, G., Delle ordinanze, cit., 59) che le deroghe e le sospensioni recate alla legge dalle ordinanze possono ritenersi giustificate perché ci si trova di fronte a un fenomeno analogo a quello dei regolamenti di delegificazione ex art. 17, co. 2, della l. 23.8.1988, n. 400: secondo cui è alla legge che prevede il regolamento che «va imputato l’effetto abrogativo della disciplina legislativa destinata a essere sostituita da quella regolamentare» (Parodi, G., Le fonti del diritto. Linee evolutive, Milano, 2012, 310).
A questo punto si pone però il problema della compatibilità del potere in parola con il principio costituzionale secondo cui, nelle materie oggetto di riserva relativa di legge, la legge che autorizza la fonte secondaria deve dettare una disciplina generale e di principio (Zagrebelsky, G., Manuale, cit., 53).
In altri termini, si pone il problema del rapporto con il principio di legalità, di cui l’istituto della riserva di legge può considerarsi espressione (sui rapporti tra l’uno e l’altro v. Rescigno, G.U., Sul principio di legalità, in Dir. pubbl., 1995, 247 e ss., Sorrentino, F., Lezioni sul principio di legalità, Torino, 2007, 25 e s.): un problema che peraltro si presenta anche quando le ordinanze hanno contenuti puntuali anziché normativi.
Il potere in parola infatti è senz’altro rispettoso della legalità in senso formale, perché è previsto dalla legge, ma non della legalità in senso sostanziale, perché la legge che lo prevede non detta criteri – almeno, non detta criteri stringenti – per il suo esercizio: per usare i concetti della sistematica di diritto amministrativo, esso risulta dunque coerente con il principio di nominatività, ma non con il principio di tipicità (Villata, R.-Ramajoli, M., Il provvedimento amministrativo, Torino, 2017, 41 ss.; sulle diverse accezioni del principio di legalità v. Carlassare, L., Legalità, principio di, in Enc. Giur. Treccani, XVIII, Roma, 1990, Guastini, R., Legalità, principio di, in Dig. disc. pubbl., Torino, 1994, IX, 84 e ss.).
E d’altro canto se la legge dettasse principi stringenti per l’esercizio di questo potere, verrebbe meno la duttilità che gli consente di fare fronte alle emergenze.
Ovviamente il problema non ha ragion d’essere ove si ritenga (come ritiene una parte della dottrina) che la Costituzione non predichi la legalità sostanziale; oppure ove si sostenga che la legalità può considerarsi rispettata già in considerazione della vigenza dei principi generali dell’ordinamento (cfr. Cavallo Perin, R., Potere di ordinanza, cit.), perché in questa prospettiva il distinguo tra legalità formale e sostanziale in sostanza viene meno.
Vero è che in proposito non va dimenticato che ogni discorso sul principio di legalità sconta una buona dose di perplessità: in dottrina da tempo si è rilevato che in proposito «sono state scritte intere biblioteche e ancor oggi si controverte circa il suo significato e anche circa la sua esistenza» (Nigro, M., L’azione dei pubblici poteri. Lineamenti generali, in Amato, G.-Barbera, A., a cura di, Manuale di diritto pubblico, Bologna, 1984, 715; in questo senso anche Scoca, F.G., Attività amministrativa, in Enc. dir. aggiornamento, VI, Milano, 2002, 85).
Se però si guarda al diritto vivente, va detto che la giurisprudenza costituzionale sin dalla sent. n. 1/1956 afferma che non sono ammissibili «poteri discrezionali illimitati», e l’orientamento secondo cui nel nostro ordinamento vige il principio di legalità sostanziale nel complesso sinora pare essere rimasto costante (De Pretis, D.-Marchetti, B., La discrezionalità della pubblica amministrazione, in Dugato, M.-Della Cananea, G., a cura di, Diritto amministrativo e Corte costituzionale, Napoli, 2007, 341 ss.; sulle tendenze, in parte diverse, della giurisprudenza amministrativa, v. Travi, A., Giurisprudenza amministrativa e principio di legalità, in Dir. pubbl., 1995, 91 e ss.).
Detto questo, risulta evidente che il potere in discorso appare destinato a non poter essere agevolmente ricondotto a sistema (v. Bassi, N., Principio di legalità e poteri amministrativi impliciti, Milano, 2001, 440 ss., e cfr. Cassese, S., I paradossi dell’emergenza, in AA.VV., Il diritto amministrativo dell’emergenza, cit., 221 ss.).
Gli è che la Corte costituzionale con le sent. nn. 8/1956 e 26/1961 ha dato avvio a un indirizzo secondo cui in tema di ordinanze è richiesto solo il rispetto dei principi dell’ordinamento, anziché una legge che detti criteri di esercizio del relativo potere.
Il che in definitiva equivale ad affermare che riguardo al potere di ordinanza di necessità e urgenza il principio di legalità si applica in senso solo formale (Migliarese, F., Ordinanze di necessità, in Enc. Giur. Treccani, XXII, Roma, 1990, 3).
E s’è visto che fin dagli anni sessanta dello scorso secolo si era notato che questo indirizzo particolare risulta senz’altro opinabile perché risulta disallineato rispetto all’orientamento generale che afferma che nel nostro ordinamento il principio di legalità si applica anche in senso sostanziale (Crisafulli, V., Il “ritorno”, cit.), ossia all’orientamento che da ultimo è stato riconfermato anche da C. cost. n. 115/2011 in relazione alle ordinanze ordinarie ex art. 54 del d.lgs. n. 267/2000.
Peraltro la giurisprudenza costituzionale non ha mai adeguatamente esplicitato la ragione per cui in quest’ambito si può derogare ai principi generali (cfr. Migliarese, F., Ordinanze, cit., loc. cit.; Morrone, A., Le ordinanze, cit., 159), e, piuttosto, ha preferito costruire per il potere di ordinanza una sorta di rete di contenimento tramite il corpus di limiti del quale s’è detto più sopra, che in certa misura serve a compensare la deroga alla legalità sostanziale.
Fonti normative
L. 24.2.1992, n. 225; d.lgs. 2.1.2018, n. 1; art. 54, d.lgs. 18.8.2000, n. 267.
Bibliografia essenziale
AA.VV., Il diritto amministrativo dell’emergenza, Milano, 2006; Andronio, A., Le ordinanze di necessità e urgenza per la tutela ambientale, Milano, 2004; Angiolini, V., Necessità ed emergenza nel diritto pubblico, Padova, 1986; Bartolomei, F., Potere di ordinanza e ordinanze di necessità, Milano, 1979; Bartolomei, F., Ordinanza (dir. amm.), in Enc. dir., XXX, Milano, 1980, 970 ss.; Brocca, M., L’altra amministrazione. Profili strutturali e funzionali del potere di ordinanza, Napoli, 2012; Cardone, A., La normalizzazione dell'emergenza. Contributo allo studio del potere extra ordinem del Governo, Torino, 2011; Cavallo Perin, R., Potere di ordinanza e principio di legalità, Milano, 1990; Cavallo Perin, R., Ordinanze (dir. amm.), in Diz. dir. pubb. Cassese, IV, Milano, 2006, 3981 ss.; Cerase, M., Ordinanze di urgenza e necessità, in Diz. dir. pubb. Cassese, IV, Milano, 2006, 3985 ss.; Fioritto, A., L’amministrazione dell’emergenza tra autorità e garanzie, Bologna, 2008; Galateria, L., I provvedimenti amministrativi di urgenza. Le ordinanze, Milano, 1953; Latini, C., Governare l’emergenza. Delega legislativa e pieni poteri in Italia tra otto e novecento, Milano, 2005; Marazzita, G., L’emergenza costituzionale. Definizioni e modelli, Milano, 2003; Migliarese, F., Ordinanze di necessità, in Enc. Giur. Treccani, XXII, Roma, 1990; Pinna, P., L’emergenza nell’ordinamento costituzionale italiano, Milano, 1988; Razzano, G., L’amministrazione dell’emergenza. Profili costituzionali, Bari, 2010; Rescigno, G.U., Ordinanze e provvedimenti di necessità ed urgenza (diritto costituzionale e amministrativo), in Nov.mo dig. it., XII, Torino, 1965, 89 ss.; Satta, F., Ordine e ordinanza amministrativa, in Enc. Giur. Treccani, XXII, Roma, 1990; Severi, F., Le ordinanze della legge n. 225/92 sulla protezione civile, Milano, 1996.
Attribuzione immagine: Maria Felicita Bertelli - Divieto di balneazione [1]