potere
Capacità di influenzare o determinare il comportamento altrui
Il potere è presente in ogni aspetto della vita sociale, dai rapporti privati (per esempio, nella famiglia) a quelli pubblici (per esempio, nel lavoro o nei rapporti tra le classi sociali). Ma il campo nel quale il potere raggiunge la sua massima estensione è senz’altro la politica, giacché attraverso di essa si stabiliscono le regole della vita sociale e si prendono decisioni che, nella forma di leggi, devono essere rispettate da tutti. Non a caso, quando nel linguaggio corrente si usa il termine potere, senza farlo seguire da alcun aggettivo, ci si riferisce al potere politico, cioè al potere dello Stato
Potere è un termine dal significato molto ampio: esso può applicarsi sia ai fenomeni naturali, sia all’uomo. Nel primo caso indica una determinata proprietà fisica, come quando diciamo che una sostanza ha la capacità di assorbire il calore (potere assorbente) o di asportare lo sporco da una superficie (potere detergente).
Nel caso dell’uomo, invece, indica la capacità di raggiungere un determinato fine, anche in presenza di forze o volontà contrarie. Da sempre l’uomo lotta contro le malattie e le catastrofi, cercando, al tempo stesso, di sfruttare al meglio le risorse dell’ambiente: egli tenta, in altre parole, di affermare il suo potere sulla natura. Gli uomini, tuttavia, combattono anche con sé stessi, con i propri istinti e le proprie passioni, che a volte si rivelano distruttivi: il fine di questa lotta è l’autocontrollo, che è una forma di potere su sé stessi. Infine, gli uomini entrano in contrasto con i loro simili per soddisfare bisogni e realizzare aspirazioni: è questo il vasto campo del potere sociale, che permette a chi lo detiene di far prevalere la propria volontà su quella degli altri.
Il potere sociale – che è l’unica forma di potere di cui ci occuperemo in questa voce – comporta maggiore disponibilità di risorse da parte di un soggetto (sia esso un individuo, un gruppo o un’istituzione) rispetto a un altro: tali risorse possono essere la forza, la ricchezza, l’autorevolezza, il diritto, la conoscenza scientifica, le convinzioni ideologiche e religiose, le capacità comunicative, il carisma.
Le condizioni necessarie. Non basta, tuttavia, disporre di ingenti risorse per esercitare un potere sociale. Facciamo un esempio: uno Stato che disponga delle risorse per produrre l’energia nucleare (la tecnologia e l’uranio) può costruire e far funzionare una centrale atomica; il possesso di tali risorse lo mette automaticamente in grado di esercitare un potere sulla natura. Ma se quello stesso Stato disponesse di un forte esercito, la minaccia del suo uso non sarebbe sufficiente per imporre la sua volontà a uno Stato vicino: sarebbe necessario che quest’ultimo preferisse perdere la propria indipendenza piuttosto che affrontare una guerra. Analogamente, un individuo che disponga di ingenti ricchezze può indurre un altro a comportarsi secondo i suoi desideri, ma soltanto se l’altro riconosce il medesimo valore al denaro.
Cosa indicano tali esempi? Che il potere sociale, a differenza del potere sulla natura, non si esaurisce nel possesso di una risorsa, ma implica una relazione: esso richiede che il valore di quella risorsa sia riconosciuto non soltanto da chi la possiede, ma anche da altri.
Sfera di applicazione e modalità di esercizio. Per determinare la natura del potere sociale, inoltre, dobbiamo individuare la sua sfera di applicazione, che può essere più o meno grande. Il potere di un medico sui propri pazienti, per esempio, riguarda soltanto la sfera della salute e si basa sul riconoscimento di una conoscenza specifica (il sapere medico); il potere esercitato da un padre sui figli, invece, riguarda una sfera di comportamenti molto ampia e si basa sul riconoscimento generico dell’autorevolezza; il potere di un giudice si esercita, entro forme rigorosamente prestabilite, soltanto all’interno di un processo e si fonda sul diritto; il potere di un leader sui propri seguaci riguarda l’ampia sfera delle scelte politiche e si basa sulle sue idee, sul suo prestigio, sulle sue capacità comunicative.
Fondamentale è infine il modo in cui il potere viene esercitato. Si parla di potere coercitivo, se viene esercitato ricorrendo alla minaccia o all’uso della forza; di potere persuasivo, se si cerca di ottenere il consenso degli altri tramite argomentazioni; di potere manipolatorio, se si tenta di condizionare la volontà altrui in modo subdolo e nascosto.
La preminenza del potere politico. Molti sono i soggetti che, in una moderna società pluralistica, detengono forme di potere sociale: dai partiti (potere politico-ideologico) alle burocrazie (potere amministrativo), dalle imprese (potere economico) ai rappresentanti dei lavoratori (potere sindacale), dalle comunità scientifiche (potere culturale) alle Chiese (potere religioso), sino ai sempre più influenti mezzi di comunicazione (potere mediatico).
Ma il massimo detentore di potere sociale rimane lo Stato, che concentra in sé il monopolio della forza e del diritto, ingenti risorse economiche e culturali, una grande organizzazione amministrativa e potenti mezzi di comunicazione. Il potere politico rappresenta dunque la forma più estesa di potere sociale.
La prima analisi moderna del potere politico è rintracciabile in Thomas Hobbes. Per il filosofo inglese il potere nasce da un patto o contratto – quindi su basi consensuali – ma deve essere assoluto, cioè privo di limiti: gli uomini sono infatti creature egoiste e violente e soltanto un simile potere, con la paura che incute, può garantire una pacifica e ordinata convivenza. Già Niccolò Machiavelli, del resto, aveva sostenuto – un secolo prima – che per i sovrani è meglio essere temuti che amati; egli aveva inoltre affermato che quando è in gioco la salvezza dello Stato il sovrano può e deve ricorrere all’astuzia e alla violenza.
I pensatori liberali (liberalismo), invece, non si pongono dal punto di vista del potere (lo Stato), ma dal punto di vista di chi il potere lo subisce (gli individui): essi vedono il pericolo maggiore non nell’anarchia, cioè nell’assenza di potere, ma nel dispotismo, ossia nell’eccesso di potere. I pensatori liberali reclamano quindi uno Stato il cui potere sia limitato dai diritti degli individui (vita, libertà, proprietà) e dal predominio della legge, che deve valere per tutti. Essi teorizzano inoltre – sempre al fine di evitare il dispotismo – la divisione dei poteri, cioè l’assegnazione delle diverse funzioni dello Stato (legislativa, esecutiva, giudiziaria) a organi differenti (parlamento, governo, magistratura), al fine di creare un bilanciamento e un controllo reciproco (checks and balance).
Per Karl Marx – che per molti aspetti appartiene alla tradizione realista di Machiavelli e Hobbes – il potere politico si fonda sul potere economico, ossia sul possesso dei mezzi di produzione da parte di una classe sociale. Lo Stato non è altro che lo strumento con il quale la classe dominante organizza e realizza il suo dominio. Marx è quindi convinto che una volta realizzata la società comunista – cioè una società senza classi e senza proprietà privata – lo Stato si estinguerà progressivamente e la società stessa si autogovernerà.
Particolarmente acuta, infine, è l’analisi svolta nella prima metà del Novecento da Max Weber. Secondo il sociologo tedesco le varie forme di potere politico non si basano sui rapporti socioeconomici (che nondimeno sono importanti), ma su differenti principi di legittimazione. Egli individua tre modelli di potere politico – legale, tradizionale, carismatico – ai quali corrispondono tre diversi tipi di apparato amministrativo (ogni potere ha infatti bisogno, per essere esercitato, di un apparato amministrativo).
Il potere tradizionale, tipico delle società premoderne, si fonda sulla credenza nella tradizione, che è sacra perché esiste ‘da sempre’: l’apparato amministrativo è composto di servitori legati al signore da un rapporto di fedeltà personale, come avveniva nel sistema feudale.
Il potere legale, tipico dell’età moderna, si fonda invece sulla credenza nella razionalità della legge, alla quale sottostanno non soltanto coloro che prestano obbedienza, ma anche coloro che comandano: l’apparato amministrativo è costituito dalla burocrazia, cioè da un insieme di uffici diretti da funzionari dotati di specifiche competenze.
Il potere carismatico, infine, si fonda sulla dedizione alla persona del capo, al quale vengono riconosciute qualità personali di tipo eccezionale. Chi comanda è un grande demagogo, cioè un individuo capace di trascinare le masse in virtù di un grande fascino personale (carisma). L’apparato amministrativo è scelto sulla base del carisma e della dedizione personale e non costituisce perciò né una burocrazia, né un apparato di servitori. Quest’ultimo tipo di potere politico si attaglia in modo particolare alla descrizione di alcuni regimi dittatoriali sviluppatisi nel corso del Novecento.