Abstract
Vengono esaminati i poteri autoritativi di natura amministrativistica demandati all’Amministrazione finanziaria per il controllo dell’adempimento da parte dei contribuenti, e degli eventuali altri soggetti coinvolti nel procedimento di attuazione dei tributi, delle obbligazioni e degli obblighi fiscali posti a loro carico dalla legge.
Con l’espressione “poteri istruttori” ci si intende normalmente riferire, nel diritto tributario, a quel complesso di poteri autoritativi di natura amministrativistica che sono tradizionalmente demandati all’Amministrazione finanziaria ed oggi in particolare all’Agenzia delle entrate, all’Agenzia delle dogane e alla Guardia di finanza. Poteri finalizzati al controllo dell’adempimento da parte del contribuente (e degli eventuali altri soggetti coinvolti nel procedimento di attuazione dei tributi) delle obbligazioni e degli obblighi fiscali posti a loro carico dalla legge. Poteri che vengono qualificati come “istruttori” in quanto funzionali (anche) all’emissione di atti impositivi e di irrogazione di sanzioni (sanzioni amministrative tributarie) (a cominciare dagli avvisi di accertamento) nel caso di riscontrati inadempimenti.
Si tratta di quattro ordini di poteri, e cioè:
a) il potere di richiedere, sia al contribuente che a terzi, la trasmissione di dati e notizie;
b) il potere di richiedere, sia al contribuente che a terzi, l’esibizione e la trasmissione di determinati atti o documenti;
c) il potere di “invitare” il contribuente a comparire, di persona o a mezzo di un proprio rappresentante, per fornire informazioni o chiarimenti;
d) il potere di procedere all’esecuzione di accessi, ispezioni e verifiche, sia presso il contribuente che presso terzi.
Essi sono variamente articolati relativamente a ciascun tributo. Di seguito si farà riferimento a quanto disposto per i principali tributi (imposte sui redditi ed IVA in particolare) dagli artt. 32-33, d.P.R. 29.9.1973, n. 600 e artt. 51-52, d.P.R. 26.10.1972, n. 633.
Tutti questi poteri di controllo si esplicano imponendo al soggetto passivo o un obbligo di fare (per es. comparire di persona per fornire informazioni), oppure un obbligo di dare (per es. trasmettere un documento), oppure un obbligo di subire (per es. subire un accesso ispettivo).
Ne consegue inevitabilmente un’interferenza nella sfera delle libertà individuali del privato, sia esso un contribuente oppure no. Ci si riferisce in particolare alla libertà personale, alla libertà di domicilio e a quella di comunicazione, al segreto professionale e a quello bancario e finanziario, nonché, più in generale, al diritto alla riservatezza. Posizioni che ricevono riconoscimento e tutela a vari e diversi livelli da parte dell’ordinamento, a cominciare da disposizioni di rango costituzionale (come gli artt. 13, 14 e 15 Cost.) e di diritto internazionale ed europeo (come l’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e l’art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che hanno trovato riconoscimento e rafforzamento nell’art. 6 del Trattato sull’Unione europea, quale riformulato a seguito dell’entrata in vigore, il 1.12.2009, del Trattato di Lisbona).
Tutte le volte che la legge attribuisce alla pubblica amministrazione il potere di produrre delle vicende giuridiche relative a situazioni e rapporti giuridici (come nel caso della costituzione a carico degli amministrati di obblighi di fare, di dare o di subire), queste vicende giuridiche non si producono mai automaticamente, ma richiedono una decisione in tal senso da parte del competente organo amministrativo, destinata a tradursi e formalizzarsi in un atto, che viene appunto definito come “provvedimento”, in conformità al generale schema “norma-potere-effetto” (Capaccioli, E., Manuale di diritto amministrativo, II ed., Padova, 1983, 267-268).
Per quanto riguarda i primi tre poteri sopra elencati, questi comportano, per loro intrinseca natura, l’emissione di un provvedimento, con il quale venga imposto al contribuente o ai terzi di trasmettere o esibire dati, notizie, atti e documenti, ovvero di comparire presso l’ufficio per fornire informazioni o chiarimenti. La natura provvedimentale dei relativi atti è fuori discussione, trovando decisiva conferma nella circostanza che dagli stessi discende per il soggetto passivo un obbligo di dare o di fare, il cui inadempimento comporta in primo luogo l’irrogazione di una sanzione amministrativa a carattere pecuniario (art. 11, d.lgs. 18.12.1997, n. 471), ma anche una serie di ulteriori conseguenze procedimentali e processuali (come ad es. la preclusione di utilizzare notizie, dati, documenti, libri e registri non addotti o trasmessi, prevista dall’art. 32, co. 4, d.P.R. n. 600/1973).
Per quanto invece concerne il potere di procedere all’esecuzione di accessi, ispezioni e verifiche, vanno in esso ravvisati due distinti momenti di attività amministrativa, di cui il primo, imprescindibile, è appunto costituito da un provvedimento (ordine) che costringe obbligatoriamente il destinatario a subire l’attività ispettiva, mentre il secondo, di natura esecutiva, consiste nell’attività materiale di ispezione (Levi, F., L'attività conoscitiva della pubblica amministrazione, Torino, 1967, 111). Il provvedimento (ordine) che crea l’obbligo di subire è costituito dalla cd. “autorizzazione” del capo dell’ufficio finanziario, la quale è specificamente richiesta relativamente ad ogni tipo di accesso ispettivo (art. 52, co. 1, d.P.R. n. 633/1972; in tal senso, La Rosa, S., Amministrazione finanziaria e giustizia tributaria, Torino, 2000, 71).
Tutti questi provvedimenti, indistintamente, devono essere motivati in conformità a quanto previsto dagli artt. 3, l. 7.8.1990, n. 241 e 7, l. 27.7.2000, n. 212, i quali impongono un obbligo generale di motivazione per tutti i provvedimenti amministrativi, ivi compresi quelli a natura tributaria, precisandone il contenuto e richiedendo in proposito l’indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione (Manzoni, I., Potere di accertamento e tutela del contribuente, Milano, 1993, 228 s. e 244-245).
In alcuni casi, l’emanazione dei provvedimenti in questione (dispositivi dell’obbligo di fare, dare o subire) è a sua volta subordinata al rilascio di apposite autorizzazioni preventive, vuoi del procuratore della Repubblica (o dell’autorità giudiziaria), vuoi di un organo amministrativo sovraordinato rispetto all’ufficio operante (direttore centrale o regionale dell’Agenzia delle entrate; comandante regionale della Guardia di finanza).
Cominciando dall’autorizzazione del procuratore della Repubblica, essa risulta in sintesi necessaria nei seguenti casi:
a) per procedere ad accessi in locali adibiti promiscuamente ad abitazione e all’esercizio di attività commerciali, agricole, artistiche o professionali (art. 52, co. 1, d.P.R. n. 633/1972);
b) per procedere ad accessi in locali diversi da quelli di cui al precedente punto, e cioè, in particolare, nei locali adibiti esclusivamente ad abitazione (art. 52, co. 2, d.P.R. n. 633/1972);
c) per procedere, durante qualsiasi tipo di accesso, a perquisizioni personali e all’apertura coattiva di pieghi sigillati, borse, casseforti, mobili, ripostigli e simili (tra cui vanno senz’altro ricomprese le caselle di posta elettronica protette da una password, costituendo questo l’equivalente dei giorni d’oggi di un cassetto chiuso a chiave contenente delle lettere di corrispondenza cartacee) e per l’esame di documenti e la richiesta di notizie relativamente ai quali sia eccepito il segreto professionale (art. 52, co. 3, d.P.R. n. 633/1972).
Si tratta di situazioni particolarmente delicate, nelle quali l’esercizio del potere conoscitivo e di controllo viene direttamente e immediatamente ad incidere su libertà individuali a rilevanza costituzionale (artt. 13, 14 e 15 Cost.). Ed è proprio in considerazione della rilevanza dei diritti e degli interessi coinvolti nell’azione amministrativa, che il legislatore ha ritenuto di subordinarne l’esercizio al preventivo rilascio di un’apposita autorizzazione da parte di un organo appartenente all’ordine giudiziario, qual è il procuratore della Repubblica.
Pur provenendo dall’autorità giudiziaria (anziché dall’autorità amministrativa), le autorizzazioni in questione hanno contenuto sostanzialmente amministrativo (e non giurisdizionale). Come giustamente rilevato dalle sezioni unite della Corte di cassazione, con riferimento all’autorizzazione richiesta per l’esecuzione degli accessi domiciliari, «il provvedimento autorizzativo del Procuratore della Repubblica non ha carattere penale, ma partecipa direttamente della natura amministrativa del procedimento nel quale si inserisce condizionandone la legittimità», consistendo in un «atto (amministrativo) dell’autorità giudiziaria» (Cass., S.U., 8.8.1990, n. 8062).
Si è in presenza, insomma, di un vero e proprio “provvedimento amministrativo”, come le stesse sezioni unite hanno avuto modo di chiarire ulteriormente (Cass., S.U., 21.11.2002, n. 16424). In quanto tale, esso risulta soggetto all’obbligo di motivazione previsto dai già citati artt. 3 l. n. 241/1990 e 7 l. n. 212/2000; obbligo che peraltro si impone anche in forza di quanto direttamente previsto dagli artt. 13, 14 e 15 Cost. in punto di motivazione.
La determinazione dell’autorità giudiziaria in ordine alla concessione o al rifiuto dell’autorizzazione si configura pertanto come un atto interno (se pure necessario) ad un procedimento che rimane amministrativo, così come amministrativa è l’autorità (ufficio delle imposte, Guardia di finanza, ecc.) cui la legge attribuisce il compito di adottare il provvedimento finale destinato ad incidere sulle libertà individuali (ordine di accesso domiciliare, ordine di apertura di pieghi sigillati, borse, casseforti, ecc.).
Non sempre i poteri di controllo tributari sono tuttavia destinati ad incidere in modo diretto e immediato su libertà individuali che trovano nella Costituzione una tutela “forte” del tipo di quella prevista dagli artt. 13, 14 e 15 per le libertà della persona, del domicilio e delle comunicazioni. Non sempre, quindi, si rende necessario l’intervento dell’autorità giudiziaria per legittimare l’amministrazione finanziaria all’esercizio dei poteri di controllo, ancorché questi vengano a incidere su diritti individuali – quali ad esempio il diritto alla riservatezza, il segreto professionale, il segreto bancario e finanziario – la cui copertura costituzionale (di là da quanto specificamente previsto dagli artt. 13, 14 e 15 Cost.) può anche essere controversa, ma che certamente non possono dirsi estranei al nostro ordinamento, trovando riconoscimento e tutela a vari e diversi livelli.
Proprio in relazione a queste ultime ipotesi, il legislatore tributario ha ritenuto, in una prospettiva chiaramente garantista (in senso svalutativo, si veda peraltro Cass., 19.2.2009, n. 4001), di dover comunque subordinare l’emanazione dell’ordine ispettivo del capo dell’ufficio alla previa autorizzazione di un altro organo (direttore centrale o regionale dell’Agenzia delle entrate; comandante regionale della Guardia di finanza): un organo anch’esso amministrativo, ma che, rispetto al capo dell’ufficio operante, si pone in una posizione di superiorità gerarchica (o comunque di sovraordinazione organica). Un organo che, pur non potendo offrire quelle garanzie di indipendenza e imparzialità che sono proprie dell’autorità giudiziaria (in quanto organo incardinato nello stesso ramo dell’amministrazione cui appartiene l’ufficio operante), si pone comunque in una posizione tale (almeno astrattamente) da non risultare condizionato (né in diritto né in fatto) dalle scelte del dipendente ufficio.
Ci riferiamo, in particolare, alle autorizzazioni del direttore centrale dell’accertamento e del direttore regionale dell’Agenzia delle entrate ovvero, per la Guardia di finanza, del comandante regionale, che risultano necessarie:
a) per l’emanazione di ordini diretti a ottenere, dai soggetti sottoposti ad accertamento, ispezione o verifica, il rilascio di una dichiarazione contenente l’indicazione della natura, del numero e degli estremi identificativi dei rapporti intrattenuti con le banche e gli altri intermediari finanziari (art. 51, co. 2, n. 6-bis, d.P.R. n. 633/1972 e art. 32, co. 1, n. 6-bis, d.P.R. n. 600/1973);
b) per l’emanazione di ordini diretti ad ottenere dai suddetti operatori finanziari la comunicazione o il rilascio di dati, notizie e documenti relativi a qualsiasi rapporto intrattenuto od operazione effettuata con i loro clienti e alle garanzie prestate da terzi o dagli stessi operatori finanziari, nonché le generalità dei soggetti per i quali gli stessi operatori finanziari abbiano effettuato le suddette operazioni e servizi o con i quali abbiano intrattenuto rapporti di natura finanziaria (art. 51, co. 2, n. 7, d.P.R. n. 633/1972 e art. 32, co. 1, n. 7, d.P.R. n. 600/1973);
c) per l’emanazione di ordini di accesso presso i predetti operatori finanziari, allo scopo di procedere direttamente all’acquisizione dei dati, notizie e documenti relativi ai rapporti o alle operazioni oggetto delle richieste di cui sopra e non trasmessi entro il termine previsto, oppure allo scopo di rilevare direttamente la completezza o l’esattezza delle risposte allorché l’ufficio abbia fondati sospetti che le pongano in dubbio (art. 52, co. 11, d.P.R. n. 633/1972 e art. 33, co. 6, d.P.R. n. 600/1973);
d) per le richieste di accesso all’anagrafe dei rapporti di conto e di deposito intrattenuti da persone fisiche e giuridiche con gli intermediari creditizi e finanziari e soggetti assimilati (art. 20, co. 4, l. 30.12.1991, n. 413; d.interm. 4.8.2000, n. 269).
Sulla natura amministrativa di tali autorizzazioni non sorgono dubbi, trattandosi in questo caso di atti non solo oggettivamente, ma anche soggettivamente amministrativi. Esse promanano, infatti, da un organo incardinato nell’apparato amministrativo e si inseriscono all’interno di un procedimento amministrativo, quali atti necessari del procedimento.
La motivazione va di conseguenza, palesandosi quale unico elemento in grado di dare garanzia dell’avvenuta valutazione, da parte dell’organo superiore, della sussistenza delle condizioni di legittimità e di merito cui è subordinato il compimento del singolo atto conoscitivo.
Per certi versi assimilabile alle autorizzazioni da ultimo esaminate è infine l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria prevista dagli artt. 63, co. 1, d.P.R. n. 633/1972 e 33, co. 3, d.P.R. n. 600/1973, i quali, con identica formulazione, stabiliscono che «La Guardia di finanza … previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria, che può essere concessa anche in deroga all’articolo 329 del codice di procedura penale, utilizza e trasmette agli Uffici delle imposte documenti, dati e notizie acquisiti, direttamente o riferiti ed ottenuti dalle altre Forze di polizia, nell’esercizio dei poteri di polizia giudiziaria».
Così come le autorizzazioni del direttore centrale o regionale dell’Agenzia delle entrate e del comandante regionale della Guardia di finanza in tema di indagini finanziarie sono poste a tutela del diritto alla riservatezza dei privati circa i propri rapporti economici e finanziari, anche l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria prevista ai fini dell’utilizzazione e trasmissione di dati, notizie e documenti acquisiti dalla polizia giudiziaria risponde ad una ratio di tutela del diritto alla riservatezza dei privati (in senso svalutativo, si veda peraltro Cass., 10.7.2012, n. 11607).
Vero è che le indagini penali sono per loro natura caratterizzate da un’accentuata pervasività nei confronti del diritto individuale alla riservatezza: molto più delle indagini tributarie amministrative. Per il tramite degli incisivi poteri che le sono attribuiti (ad es. intercettazioni telefoniche e ambientali), la polizia giudiziaria può venire a conoscenza di dati, notizie e documenti attinenti alla sfera più intima della persona. Anche perché dati, notizie e documenti potenzialmente rilevanti a fini fiscali possono essere acquisiti non solo nel corso di indagini relative a reati tributari, ma anche nel corso di indagini penali relative a qualunque altro tipo di reato. Né i citati artt. 63, d.P.R. n. 633/1972 e 33, d.P.R. n. 600/1973 contengono alcuna limitazione al riguardo.
È logico e naturale, quindi, che il legislatore fiscale si sia fatto carico, anche in questo caso, di prevedere un “filtro” alla circolazione di dati, notizie e documenti che, direttamente o indirettamente, possono coinvolgere informazioni “sensibili”, attinenti alla sfera più intima dell’individuo.
È all’autorità giudiziaria, quale responsabile dell’attività della polizia giudiziaria, che pertanto compete di dare tutela al diritto di riservatezza dei privati coinvolti nelle indagini penali. Da qui la necessità in ogni caso dell’autorizzazione (anche quando le indagini penali non siano più coperte da segreto), ad evitare che la polizia giudiziaria possa dare indiscriminatamente impulso alla circolazione di dati, notizie e documenti.
Circa la natura, vale quanto si è avuto modo di illustrare in precedenza relativamente alle autorizzazioni del procuratore della Repubblica (o dell’autorità giudiziaria più vicina) di cui all’art. 52, d.P.R. n. 633/1972. Si tratta infatti, anche in questo caso, di un atto dell’autorità giudiziaria a contenuto materialmente amministrativo, che partecipa della natura amministrativa del procedimento cui afferisce.
Della propria valutazione, l’autorità giudiziaria dovrà naturalmente dare conto in motivazione, analogamente a quanto si è visto per le autorizzazioni del procuratore della Repubblica e per le autorizzazioni dei direttori centrale e regionale dell’Agenzia delle entrate e del comandante regionale della Guardia di finanza. Anche in questo caso, infatti, la motivazione si appalesa quale unico elemento in grado di dare garanzia dell’avvenuta valutazione, da parte dell’autorità giudiziaria, della sussistenza delle condizioni di legge.
A differenza dell’attività di accertamento tributario (la quale è rigidamente vincolata, in quanto diretta ad applicare autoritativamente le imposte predefinite dalla legge), l’attività di controllo dell’amministrazione finanziaria è improntata a discrezionalità amministrativa (Gallo, F., L’istruttoria nel sistema tributario, in Rass. trib., 2009, 30 s.), la quale opera a vari e diversi livelli. Può esservi discrezionalità sul se effettuare il controllo, su chi assoggettarvi, su quando effettuarlo, con quale contenuto ed estensione, con quale procedura (richiesta di documenti; invito a comparire; accesso, ispezione, verifica; ecc.). Tutti aspetti (o profili) di discrezionalità che possono in concreto variamente comporsi (in senso contrario, si veda tuttavia Perrone, L., voce Discrezionalità (dir. trib.), in Dizionario di diritto pubblico, diretto da S. Cassese, vol. III, Milano, 2006, 2010).
I poteri di controllo si connotano quindi come poteri discrezionali, e discrezionali sono di conseguenza i provvedimenti finali destinati ad incidere sulle libertà individuali (quelli che determinano in capo al destinatario l’obbligo di fare, dare o subire), cioè l’ordine di accesso domiciliare, l’ordine di apertura di pieghi sigillati, borse, casseforti, ecc., siano essi o meno sottoposti alle autorizzazioni preventive sopra descritte (le quali rivestono pertanto un carattere interno al singolo procedimento discrezionale di controllo).
Nell’effettuare le proprie scelte, l’amministrazione finanziaria deve perseguire il fine primario per il quale i poteri in questione le sono stati attribuiti, cioè l’interesse fiscale al controllo dei contribuenti. Se non lo fa, se agisce cioè perseguendo degli interessi diversi (per es. un interesse personale dei verificatori oppure motivi di “persecuzione” politica o religiosa, ecc.), incorre nel vizio di eccesso di potere per sviamento di potere, cioè nel vizio di violazione della legge attributiva del potere.
Ma nel perseguire l’interesse primario, l’amministrazione, in quanto “parte imparziale” (art. 97 Cost.), deve altresì considerare gli interessi dei privati (interessi secondari) che risultino in concreto coinvolti nella sua azione (libertà personale, di domicilio e di comunicazione, segreto professionale e bancario, diritto alla riservatezza, ecc.). Chi agisce, infatti, non è un privato, ma un’autorità pubblica, la quale non agisce in forza di un diritto, ma in forza di un potere, che in tanto si giustifica e si legittima, in quanto sia esercitato in modo imparziale, cioè con la dovuta considerazione di tutti gli interessi in gioco, pubblici e privati.
Ne consegue che l’amministrazione non deve perseguire isolatamente la “massimizzazione” dell’interesse fiscale, ma lo deve fare scegliendo la soluzione che comporti una restrizione delle libertà individuali dei privati solo nei limiti strettamente necessari al soddisfacimento dell’interesse fiscale. Se non lo fa, incorre in una violazione di legge, sotto specie di violazione del principio della proporzionalità (Manzoni, I., op. cit., 245), il quale è da intendere come necessaria adeguatezza dei mezzi impiegati al fine perseguito. In quanto tale, esso appare idoneo ad assumere rilevanza soprattutto nella fase della scelta di quali e quanti poteri conoscitivi esercitare, tra quelli previsti dalla legge. Per cui, ad esempio, deve considerarsi illegittimo l’accesso domiciliare compiuto per acquisire un documento (ad es. un contratto) che l’amministrazione avrebbe altrimenti potuto ottenere formulando al contribuente una semplice richiesta di trasmissione di atti. La compressione del diritto di libertà domiciliare, in una siffatta ipotesi, sarebbe ingiustificata, in quanto non indispensabile al raggiungimento del fine perseguito.
In proposito, ci limitiamo a ricordare che la Corte di giustizia ha incluso nel diritto comunitario il principio della proporzionalità proprio quale principio fondamentale degli ordinamenti giuridici nazionali. E non è privo di rilievo che di tale principio la Corte di giustizia abbia più volte fatto applicazione proprio con riguardo a violazioni di diritti fondamentali dell’individuo (di recente C. giust., 2.3.2010, C-135/08, Janko Rott- mann c. Freistaat Bayern). Mentre, in ambito nazionale, costituisce puntuale e chiara applicazione del principio della proporzionalità l’art. 12, co. 1, dello Statuto dei diritti del contribuente, il quale testualmente dispone che «Tutti gli accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali sono effettuati sulla base di esigenze effettive di indagine e controllo sul luogo».
Va da sé che l’amministrazione finanziaria deve rispettare (sempre a pena di illegittimità) anche tutti gli altri requisiti e limiti posti da ulteriori principi generali operanti in materia e da specifiche disposizioni di legge. Com’è, ad esempio, per i «gravi indizi di violazioni», solo in presenza dei quali l’amministrazione è legittimata a procedere ad accessi domiciliari e simili (art. 52, co. 2, d.P.R. n. 633/1972).
Nello spazio che residua, una volta rispettati tutti i suddetti requisiti, condizioni e limiti, l’amministrazione finanziaria può dirsi “libera”, nel senso che, tra tutte le possibili soluzioni conformi alla legge (cioè rispondenti alla finalità del potere, proporzionate, ecc.), l’amministrazione può liberamente scegliere quella che ritenga più opportuna, più consona o adeguata al caso concreto, senza che sia data ad alcun giudice la possibilità di sindacare tale scelta. Così, ad esempio, l’amministrazione finanziaria è certamente libera di scegliere se, e a capo di chi, effettuare un controllo (salvo che vengano in rilievo dei profili di sviamento di potere); e altrettanto può dirsi per quanto riguarda il momento in cui effettuare detto controllo. Il decidere se controllare una sola annualità, oppure due o tre, è indubbiamente rimesso alla libera e insindacabile valutazione degli organi ispettivi (salvo, anche qui, lo sviamento di potere). Ma anche la scelta dello strumento di indagine, nel rispetto del principio della proporzionalità, può dirsi libera e insindacabile. E così via.
L’aver qualificato le attività di controllo tributarie come attività discrezionali consente di affermare che ai relativi poteri il privato (sia esso contribuente oppure no) contrappone una posizione non di diritto soggettivo, ma di interesse legittimo.
Perché sussista un diritto soggettivo è necessario che la legge disponga una netta demarcazione tra ciò che è disponibile da parte dell’amministrazione e ciò che non lo è. Là dove manca la disponibilità, lì vi è il diritto soggettivo, e il suo titolare può pretendere dall’amministrazione il soddisfacimento del proprio interesse sostanziale. In tal senso, si è parlato del diritto soggettivo come di una situazione giuridica di immunità dal potere (Casetta, E., Manuale di diritto amministrativo, VI ed., Milano, 2004, 300-301).
Ma, se alcune scelte circa l’assetto degli interessi pubblici e privati, anziché essere effettuate a monte in sede legislativa, sono dal legislatore demandate alla libera determinazione dell’amministrazione, è chiaro che il privato non potrà pretendere dall’amministrazione il soddisfacimento del proprio interesse. Il privato potrà pretendere il rispetto della legge e dei principi (cioè della parte vincolata del potere), ma a sua volta l’amministrazione, nel rispetto della legge e dei principi, ben potrà sacrificare l’interesse del privato (Sorace, D., Diritto delle amministrazioni pubbliche, II ed., Bologna, 2002, 361 s.).
Il privato vanta in tal caso una situazione di interesse legittimo (su cui Giannini, M.S., Diritto amministrativo, vol. II, III ed., Milano, 74 s., spec. 78 e 80). E questa è esattamente la posizione in cui si trova il privato rispetto all’esercizio dei poteri di controllo tributari (Fantozzi, A., I rapporti tra fisco e contribuente nella nuova prospettiva dell'accertamento tributario, in Riv. dir. fin., 1984, I, 238; Salvini, L., La partecipazione del privato all’accertamento, Padova, 1990, 348-350). L’amministrazione finanziaria, nel rispetto delle leggi e dei principi che ne regolano (e quindi limitano) l’esercizio, rimane infatti libera di scegliere se fare o non fare un controllo, quando farlo e per quanto tempo, con quale contenuto e con quali mezzi di indagine. E poiché tali scelte non sono predefinite dalla legge, ma sono appunto demandate all’amministrazione finanziaria, l’interesse del privato a che l’amministrazione finanziaria si astenga dall’interferire sulle sue libertà personali potrà anche trovare in concreto soddisfazione (nel caso che sia questa la scelta dell’amministrazione), senza però che il privato lo possa pretendere.
La vicenda che porta il titolare di un diritto soggettivo assoluto (nel caso una libertà individuale) a contrapporre all’esercizio del potere amministrativo non già il diritto stesso, ma un interesse legittimo, è spiegata dalla giurisprudenza – come è ben noto – in termini di “degradazione” del diritto a interesse legittimo.
Deve pertanto ritenersi che ai poteri di controllo tributari, pur se incidenti su diritti individuali di libertà, il privato contrapponga normalmente una posizione di interesse legittimo. Solo nel caso di attività poste in essere dall’amministrazione al di fuori dei poteri attribuiti dalla legge (come nel caso di mancanza o nullità del provvedimento dispositivo del controllo) il privato conserva l’originaria posizione di diritto soggettivo, come conseguenza del fatto che, in tal caso, il privato non si rapporta con l’esercizio di un potere pubblicistico, ma con una mera attività materiale, in tutto equiparabile a quella di un qualsiasi soggetto privato (Falsitta, G., Manuale di diritto tributario, pt. gen., IV ed., Padova, 2003, 545).
Ne derivano le seguenti conseguenze sul piano della tutela giurisdizionale.
Nonostante il contrario avviso finora espresso dalla giurisprudenza (Cass., S.U., 16.3.2009, n. 6315), deve ritenersi – sulla base di quanto disposto dagli artt. 24 e 113 Cost. – che, contro le attività di controllo illegittime, siano esperibili, a tutela delle libertà individuali, delle azioni dirette e immediate, cioè delle azioni volte a ottenere l’immediata cessazione delle attività lesive di dette libertà (ferme restando, come forme di tutela indiretta e mediata, l’annullamento del conseguente atto impositivo e il risarcimento del danno).
Si tratta di individuare quale sia il giudice competente a conoscere della relativa domanda.
Al giudice speciale tributario è devoluta la «giurisdizione tributaria», cui appartengono «tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie» (artt. 1 e 2, d.lgs. 31.12.1992, n. 546). Rispetto alle attività di controllo, non vengono tuttavia in rilievo questioni relative alla pretesa tributaria (cioè questioni «aventi ad oggetto i tributi»), bensì questioni relative alle libertà individuali. Inoltre, il giudizio dinanzi alle commissioni tributarie può essere introdotto esclusivamente mediante l’impugnazione di uno degli atti tassativamente indicati nell’art. 19, co. 1, d.lgs. n. 546/1992, tra i quali non sono ricompresi gli atti di controllo.
Esclusa la giurisdizione del giudice speciale tributario, non resta che rifarsi ai principi generali che regolano l’attribuzione del potere giurisdizionale ai giudici dei diversi ordini e che trovano il proprio fondamento negli artt. 102, 103 e 113 Cost. (Salvini, L., op. cit., 334 s.; Basilavecchia, M., Il riparto di giurisdizione tra commissioni tributarie e giudice amministrativo ordinario, in Boll. trib., 1990, 814). Ne discende che le controversie relative alle attività tributarie di indagine sono demandate alla cognizione del giudice ordinario ovvero a quella del giudice generale amministrativo (T.A.R. e Consiglio di Stato), a seconda che si faccia valere, rispettivamente, un diritto soggettivo o un interesse legittimo. Nel primo caso potrà instaurarsi un giudizio di accertamento del diritto e di condanna dell’amministrazione a interrompere l’attività illecita (oltre che a risarcire gli eventuali danni già causati), chiedendone in via cautelare (anche ante causam) l’immediata interruzione con provvedimento d’urgenza (art. 700 c.p.c.). Nel secondo caso potrà impugnarsi l’atto dispositivo dell’indagine (cioè il provvedimento che ha “degradato” il diritto a interesse legittimo) al fine di ottenerne l’annullamento, chiedendone in via cautelare la sospensione dell’esecuzione (artt. 55 s., d.lgs. 2.7.2010, n. 104, comprese anche qui le misure ante causam di cui all’art. 61).
Artt. 32-33, d.P.R. 29.9.1973, n. 600; artt. 51-52, d.P.R. 26.10.1972, n. 633; l. 27.7.2000, n. 212.
Oltre alle opere citate nel testo, si vedano: Fantozzi, A., a cura di, Diritto tributario, IV ed., Torino, 2012 (ove in particolare Miceli, R., cap. XIII – L’attività istruttoria tributaria); La Rosa, S., Principi di diritto tributario, IV ed., Torino, 2012, spec. cap. X; Schiavolin, R., voce Poteri istruttori dell’Amministrazione finanziaria, in Dig. comm., vol. XI, 1995; Vanz, G., I poteri conoscitivi e di controllo dell’amministrazione finanziaria, Padova, 2012; Viotto A., I poteri di indagine dell’amministrazione finanziaria, Milano, 2002.