POVERTÀ ECCLESIASTICA
ECCLESIASTICA Nei suoi termini più precisi la questione della povertà ecclesiastica, che viene designata anche come della "povertà evangelica" o della "povertà teoretica" (in contrapposizione alla "povertà pratica"), verte intorno alla proposizione che Cristo e gli apostoli non avrebbero posseduto nulla, né singolarmente né collettivamente, per diritto di proprietà: questione dibattuta nell'ordine francescano specialmente al tempo del generalato di Michele da Cesena (v.) e decisa dal papa Giovanni XXII con la bolla Cum inter nonnullos del 12 novembre 1323, che condannava tale proposizione come eretica. Ma, in senso più largo, e quando se ne voglia valutare appieno l'importanza storica, la questione stessa ha origini ben più remote e ripercussioni fino ad epoca molto più recente. Uno studio accurato di essa porterebbe a ricostruire, da un punto di vista particolare ma forse non infecondo, l'intera storia della religiosità medievale, dalla riforma ecclesiastica del sec. XI che si accentra attorno a Gregorio VII, sino alla vigilia della Riforma religiosa o almeno a quelli che si considerano come i precursori di Lutero: John Wycliffe e Jan Hus.
Come manifestazione di ascetismo, come distacco dal mondo e dai suoi beni, l'esaltazione e la pratica della povertà religiosa si può dire antica quanto l'ascetismo stesso; e si può pertanto ricondurre alle origini medesime dell'ascetismo cristiano. Ma non si tratta qui della vita monastica, o del voto di povertà e della virtù morale correlativa. La predicazione medievale della povertà, non si occupa, infatti, dei soli monaci, ma di tutto il clero, anche secolare; anzi, spesso, di tutti i cristiani, e della Chiesa come società. L'esaltazione di questa virtù nasce spontanea nei riformatori che combattono la simonia e l'immoralità che le è strettamente connessa e che, nella fase più acuta della lotta, pongono momentaneamente in seconda linea il concetto dell'oggettività dell'efficacia dell'opera spirituale della Chiesa (onde le incertezze sul valore dei sacramenti amministrati dai simoniaci e nicolaiti); ma, nello stesso tempo, è espressione di aspirazioni, dapprima ancora confuse e incerte, di carattere sociale; le quali, a loro volta, nella cultura e nella spiritualità medievale, tendono irresistibilmente ad assumere una formulazione di carattere teologico. Onde il permanere, anche terminata la lotta delle investiture, di tali tendenze, in cui la predicazione della povertà (che è uno dei principî in base ai quali si pretende di riformare la Chiesa) assume un carattere nettamente antigerarchico: alla Chiesa attuale si contrappone una Chiesa ideale, quella delle origini, di Cristo e degli apostoli; e, attraverso la gerarchia, si colpiscono non soltanto la giurisdizione, le immunità, le decime, ma anche i sacramenti, il culto dei santi, ecc. Onde la predicazione delle varie sette ereticali, che esercitano un vicendevole influsso tra di loro e per di più si colorano un poco tutte dell'ascetismo a base dualistica dei catari: apostolici e petrobrusiani, tanchelmiani e patarini, enriciani e arnaldisti, umiliati, valdesi (poveri di Lione e di Lombardia), ecc. Ma la prova che il fermento ereticale è nei presupposti antigerarchici (strettamente connessi con gli altri principî anticattolici) di tale predicazione, è nel fatto che la povertà viene esaltata anche in gruppi, che dimostrano con i fatti la loro ferma volontà di rimanere fedeli alla Chiesa e di accettarne la disciplina: cappucciati, poveri cattolici e, soprattutto, S. Francesco d'Assisi e i suoi seguaci. Qui, e specialmente nel francescanesimo, la povertà è segnacolo, non di una riforma da compiere fuori della Chiesa e contro la gerarchia, bensì nell'interno della prima e d'accordo con la seconda, in pieno spirito di disciplina.
Contribuiscono, ad alimentare questa predicazione e a farle trovare favore, motivi pratici varî: avversione all'usura e alle nuove forme di ricchezza mobiliare; reazione contro un clero, specialmente il secolare, che in troppi luoghi rimane corrotto, e contro i sistemi seguiti nel conferimento dei benefici; avversione crescente di signori e sovrani o (in Italia) di comuni contro le immunità ecclesiastiche: onde i tentativi d'impadronirsi dei beni della Chiesa. Si spiega perciò che i dissensi interni dell'ordine francescano circa l'interpretazione della regola, e soprattutto del testamento, del fondatore, suscitino largo interesse, mentre alle polemiche aggiunge esca l'ostiìità di gran parte del clero secolare contro gli ordini mendicanti; e si spiega come la predicazione della povertà, l'affermazione che sia illecito al clero e alla Chiesa di essere proprietarî, trovi consensi pronti ed entusiastici da parte dei poteri civili, ansiosi di rivendicare la propria indipendenza, teoretica e pratica, dal papato. Interessi concreti e motivi teorici concorrono nel determinare l'alleanza tra principi e scrittori regalisti, da una parte, e spirituali francescani accesi di gioachimismo, dall'altra: presso Ludovico il Bavaro, Marsilio da Padova e Michele da Cesena (o il movimento parallelo dei fraticelli) e, tra i due, in quanto le diverse tendenze confluiscono nel suo insegnamento, Guglielmo di Occam; nell'Inghilterra di Edoardo III e Riccardo II, Giovanni di Gaunt sostenitore del Wycliffe, che manda in giro i suoi "poveri predicatori" a diffondere la sua versione della Bibbia e la teoria che i "politici" possono, anzi debbono, togliere alla Chiesa quei beni che sono causa di tutti i suoi mali, e nega intanto la transubstanziazione; mentre i contadini si ribellano, aizzati da quel John Ball che domanda dov'erano i gentiluomini al tempo in cui Adamo zappava ed Eva tesseva; e dopo che Marsilio ha già - ben prima che scoppi lo scisma d'Occidente - negato il primato di S. Pietro, e al concilio ecumenico, non al papa, riconosciuto l'autorità suprema in materia di fede. Le aspirazioni a una riforma morale del clero si concentravano nel sogno di un ritorno alla povertà, cioè alla purezza della primitiva vita cristiana ed evangelica, o all'avvento di un'era nuova che tale perfezione realizzasse per impulso dello Spirito Santo; e, al di là degli abusi combattendo la gerarchia, finirono inevitabilmente per colpire alle basi l'edificio della Chiesa, in quanto società visibile costituita per amministrare sacramenti validi per sé stessi; e, nella loro tendenza ascetica annullando la distinzione tra consigli e precetti, distrussero implicitamente il valore delle opere buone; mentre chi voleva sottrarre il potere civile alla tutela del papato formulò una dottrina politica che conferisce al principe un'autorità arbitraria, e parallelamente, come pienamente arbitraria si concepì - con Occam - la stessa sovranità di Dio. Si preparano così, da lontano, le condizioni che porteranno gran parte dell'Europa ad accogliere le varie predicazioni della rivoluzione religiosa del sec. XVI.