pragmatismo
La filosofia delle azioni e dei fatti
Il pragmatismo (dal greco pràgma «azione», «fatto») è una corrente filosofica che si sviluppò tra la fine del 19° e gli inizi nel 20° secolo negli Stati Uniti. Tale corrente si caratterizzò in quanto oppose un criterio pratico di verità ai criteri astratti tipici delle teorie della conoscenza di tipo idealistico o metafisico. I pragmatisti si consideravano eredi dell’empirismo anglosassone, di cui ripresero e svilupparono l’interesse per l’analisi linguistica, ancorandolo fortemente alla realtà
I pragmatisti avevano forti riserve sul modo tradizionale di affrontare il problema della conoscenza da parte della filosofia, riserve che emergono chiaramente dal seguente brano di William James: «Uno scoiattolo – scrive il filosofo statunitense – è aggrappato a un lato di un tronco di un albero, mentre dal lato opposto dell’albero si trova un essere umano. L’osservatore cerca di vedere lo scoiattolo girando rapidamente attorno al tronco, ma per quanto si muova velocemente lo scoiattolo si muove altrettanto velocemente in direzione opposta, così che non è mai possibile vederlo». Si può dire che l’uomo gira intorno allo scoiattolo o no? A due osservatori in disaccordo sulla questione, il filosofo fa notare che la domanda è ambigua. L’uomo, infatti, occupa via via i quattro punti cardinali secondo una sequenza opposta a quella dello scoiattolo, e in questo senso si può dire che gli gira attorno; ma in un altro senso non riesce a farlo, perché lo scoiattolo si muove conservando la propria posizione, con il ventre rivolto verso l’uomo. La questione si riduce all’analisi della parola «intorno», ma non ha risposta.
Il pragmatismo è un metodo, affermò James, che ha i suoi precedenti nel perpetuo interrogare di Socrate e nell’analisi linguistica tipica dell’empirismo inglese. Charles Sanders Peirce, nel saggio Come rendere chiare le nostre idee (1878), aveva indicato il motivo più sottile di ogni nostra scelta negli effetti pratici che attribuiamo ai nostri pensieri o atti di volontà. Peirce e James avevano fondato nel 1875 un Metaphysical club («club metafisico») presso l’università statunitense di Cambridge e si influenzarono a vicenda. Peirce, passato dalla geodesia alla logica e alla matematica, derivò il criterio di verità dalla ricerca sperimentale e applicò ai problemi della conoscenza un’impostazione ‘realista’. James, medico e psicologo, fu piuttosto un ‘nominalista’ attento al flusso del pensiero, all’analisi delle idee e degli atti di volontà.
Peirce, affermando che ogni pensiero è un segno strettamente legato alla natura del linguaggio, propose l’analisi dei segni linguistici per ottenere il massimo di chiarezza nella comunicazione. La sua tecnica si applicava in particolare alle parole difficili e ai concetti astratti con due criteri, uno negativo e uno positivo. Il criterio negativo è quello di vagliare i problemi filosofici privi di soluzione condivise, cioè posti da parole che hanno significati diversi o sono prive di significato, mostrando come ogni proposizione ontologico-metafisica è irrilevante o assurda. Il criterio positivo è quello di spiegare o ricostruire il significato di concetti poco chiari. Peirce si dedicò all’analisi di termini correnti in fisica, come durezza, forza, peso, mediante ‘ricette’ capaci di precisare in quali condizioni queste o altre qualità si presentano. Qualora un segno sia intraducibile in una proposizione di questo tipo, secondo Peirce il suo significato è vuoto.
La nostra concezione di un oggetto, secondo Peirce, coincide dunque con la cognizione che noi abbiamo delle sue conseguenze pratiche. Il che è diverso dal dire che il significato di un concetto coincide con l’effetto pratico che esso ha per noi quando lo usiamo. Questo criterio ‘utilitario’ fu introdotto da James, per il quale la verità di un’idea sta nel suo cash value, nel suo «valore in contanti».
I due cofondatori del pragmatismo constatarono che le loro vie divergevano: Peirce preferì ridefinire la sua teoria generale dei segni, mai compiuta, con il termine pragmaticismo. James scelse come terreno di prova i fatti di esperienza vissuta e rivolse le sue raffinate attitudini di psicologo ai valori morali e alla fede religiosa, definendo la volontà di credere un «beneficio vitale». Il pragmatismo, assai discusso in Europa, negli Stati Uniti ha avuto i suoi continuatori in John Dewey e nei neopragmatisti George H. Mead, Donald Davidson, Richard Rorty.