Previsione
di Italo Scardovi
Da sempre l'uomo s'interroga sul futuro. Da sempre cerca nei dati del mondo i segni di ciò che l'aspetta. Tra intuizioni e illusioni, tra speranze ed errori, quella che Hume ha definito "l'abitudine a prevedere" si è avvalsa di ritualità sempre più complesse, alla ricerca di un disegno nascosto o di una immanente necessità negli eventi: dalle antiche pratiche divinatorie alle procedure razionali della scienza. A questa è infatti assegnato il compito di 'spiegare' e 'prevedere'. Se la 'spiegazione' è oggetto di discussione nel pensiero filosofico e scientifico, sulla previsione non sembrano sussistere dubbi. Anche nelle concezioni più riduttive, si chiede al sapere scientifico di 'anticipare l'esperienza'. Rientra in questa categoria l'anticipazione del futuro, nel suo autentico significato: ciò che sarà.
L'identità teorica di sapere e prevedere è il connotato della grande fisica cresciuta sulle scoperte di Galileo, di Keplero, di Newton e giunta nell'Ottocento al suo apogeo intellettuale: la fisica di un universo ordinato e immutabile. In quel sistema meccanico, il futuro ha una sua inesorabile necessità. Imitando Leibniz, Laplace poteva infatti enunciare il suo celebre atto di fede nel determinismo universale: "Un'intelligenza che per un istante dato conoscesse tutte le forze da cui è animata la natura e la situazione rispettiva degli esseri che la compongono, e se per di più fosse così vasta da sottoporre questi dati all'analisi, abbraccerebbe in una stessa formula i movimenti dei più grandi corpi dell'universo e quelli dell'atomo più leggero: niente sarebbe incerto per essa e l'avvenire, come il passato, sarebbe presente ai suoi occhi". Unificando meccanica celeste e meccanica terrestre, astronomia kepleriana e dinamica galileiana, il paradigma newtoniano aveva dato le coordinate istantanee del 'sistema', così da dedurne lo stato in qualunque altro momento, passato o futuro: il passato e il futuro di una natura non soggetta al divenire.
La matematica di quel sistema era la sintassi dell'ordine e, insieme, della previsione; e se non si riusciva a predire con esattezza - rassicurava Laplace - era solo per l'insufficiente conoscenza delle condizioni iniziali: incertezza soggettiva, non oggettiva indeterminatezza. Così doveva essere anche per i fenomeni della vita: come il cielo di Newton, la specie di Linneo non ha storia. Se i pianeti percorrono ellissi inderogabili, le forme viventi si riproducono sempre uguali. In quel rigido modello nomologico, la previsione è inferenza certa, è deduzione. La precisione con cui si anticipavano i movimenti dei corpi celesti faceva dell'astronomia il prototipo di un sapere capace di trarre dal presente l'avvenire: un sapere che dettava la gnoseologia, escludendo ogni altro sapere che non s'adeguasse alle regole ferree del determinismo meccanicistico; a cominciare dalla ricerca sulle vicende umane, così irregolari, così imprevedibili.
Ma presto l'idea di un divenire, nell'universo e sulla Terra, avrebbe cominciato a insinuarsi nel pensiero scientifico, insieme con la crescente consapevolezza della non riducibilità di tanti fenomeni naturali a quel grande sistema meccanicistico. Accostando a una fisica di corpi che cadono nello spazio di Newton, attratti dalla gravità, una fisica di eventi che precipitano nel tempo di Boltzmann, spinti dalla probabilità, la dinamica del calore avrebbe offerto l'immagine di un divenire irreversibile, indipendente dallo stato iniziale. La biologia evoluzionistica vi avrebbe aggiunto una irriducibile imprevedibilità: gli eventi combinatori accidentali all'origine della variabilità, essenziale all'evoluzione, non ammettono predestinazioni arcane, necessità determinate, finalità immanenti. Il tempo dell'evoluzione della vita, il tempo di Darwin, è il tempo di una natura che diventa storia, di un'immanenza che si fa contingenza.Il canone di lettura meccanicistico, che ha sorretto per secoli le scienze della natura, conserva tuttavia una sua ragion d'essere strumentale, nei limiti di un proprio dominio di validità. Non al di là di quei limiti: non nella fisica del micromondo, dove vengono meno - ai vari livelli: molecolare, atomico, subatomico - le categorie della oggettività e della atemporalità, e dove svanisce ogni pretesa di codificare l'evento singolo, la sua necessità causale, la sua prevedibile ripetitività; e nemmeno negli ordini di grandezza macrodimensionali, dove si rivela impossibile il calcolo esatto dello stato futuro di un sistema composto da più di due gravi che si attraggono secondo la legge di gravitazione universale.
È il "problema dei tre corpi" (Poincaré), all'origine della teoria dei sistemi dinamici non lineari, da cui è venuta la consapevolezza della imprevedibilità a distanza del più determinato e deterministico sistema fisico.Sussiste sempre un orizzonte temporale al di là del quale la previsione si inoltra nell'indefinito: una minima imprecisione o una irrisoria variazione nelle coordinate iniziali possono suscitare conseguenze rilevanti, nel volgere del tempo, allontanando esponenzialmente il sistema dal proprio stato. "Perché [...] molte persone trovano del tutto naturale pregare per avere la pioggia o il sereno, mentre giudicherebbero ridicolo invocare un'eclisse con la preghiera?" - si domandava Poincaré sul far di questo secolo. È questione di misura del tempo. Lo stato caotico dell'atmosfera si produce in tempi brevissimi, quello di un pianeta in tempi molto lunghi rispetto ai tempi dell'uomo: la metrica antropomorfa che aveva indotto a ritenere invariante ciò che sembrava non variare nell'unità di misura degli osservatori.
"A memoria di rosa non s'è mai visto morire un giardiniere" - recita un aforisma di Fontenelle, che Diderot amava ricordare a chi non volesse accorgersi di tutta una realtà in divenire. In questa nuova filosofia naturale sono entrate l'insidia del caso e la dimensione del tempo: il tempo non simmetrico dei processi irreversibili, resi tali da una immanente casualità. Cadono così gli steccati tra scienza e storia, tra uomo e natura. Questa non è più lo sfondo immobile della scena su cui si rappresenta la commedia umana.
Le leggi della scienza uscita dai lacci della filosofia naturale meccanicistica non prevedono l'evento singolo, bensì la sua probabilità. Non predicono la traiettoria di una molecola di gas: traggono la risultante collettiva (che è legge statistica) dei movimenti di un insieme di molecole; non anticipano il nucleo atomico che sta per decadere: calcolano il periodo di dimezzamento (che è legge statistica) di un aggregato di atomi radioattivi; non indovinano il genotipo che uscirà dall'incrocio di due eterozigoti: determinano le probabilità (ancora una legge statistica) dei genotipi possibili; non presagiscono una linea evolutiva: identificano gli algoritmi (e sono algoritmi statistici) degli eventi combinatori attraverso i quali la vita si tramanda e si rinnova nelle generazioni di una specie. Anche se fossero note, a un dato istante, tutte le coordinate di quei fenomeni, non sarebbe possibile dedurne lo stato in un istante diverso. Tutto ciò che si può delineare è la partizione di probabilità dei possibili stati, ove siano tutti prefigurabili. Così, una teoria deterministica dell'evoluzione biologica ne farebbe un cammino unidirezionale e necessario, tutto implicito nei dati iniziali: in questo assunto, due popolazioni isolate, geneticamente identiche, in ambienti uniformi, devono evolvere parallelamente; e invece le cose non vanno così, perché una casualità genetica profonda le differenzia irreversibilmente e imprevedibilmente nel divenire, aleatorio e combinatorio, delle generazioni.
L'incertezza, che da Platone in qua si riteneva connaturata alla vicenda umana - retaggio e limite di ogni pretesa scienza del sociale -, è entrata anche nei fenomeni naturali fino a minare un dogma rimasto integro per secoli: l'immagine deterministica del reale e l'interpretazione causale di tutti gli eventi. Forse, l'irreversibilità e la complessità dei processi - è la tesi di Prigogine - possono assumere un significato transdisciplinare, riavvicinare le diverse culture, offrire una falsariga metodologica alla conoscenza della società e della storia dell'uomo; un uomo che non soltanto tenta di intuire il proprio domani, ma vuole anche sceglierlo, e che, alle soglie del terzo millennio dell'era cristiana, interroga questa scienza, cercandovi un'immagine del futuro. Ma proprio questa scienza gli svela i limiti di ogni previsione, offrendogli una nuova intuizione del mondo, dove il tempo non è più la variabile indipendente della meccanica newtoniana-laplaciana.
È il tempo di una natura che si trasforma, il tempo di un divenire che può essere 'convergente', qualunque sia lo stato iniziale, per il suo tendere verso lo stato più probabile, e perciò prevedibile nella dimensione statistica (è il modello del secondo principio della termodinamica), e può essere 'divergente', per il suo dipendere dalle condizioni iniziali (è il modello dei sistemi dinamici non lineari, del caos deterministico), o da un'accidentalità combinatoria immanente (è il modello dell'evoluzione biologica). Ed è sempre possibile l'evento innovativo elementare dalle conseguenze macrodimensionali rilevanti. Come scrive Albert (v., 1993, p. 597),"nell'ambito del naturalismo i processi storici possono essere meglio intesi in base all'analogia con l'idea darwiniana di un processo determinato dalla mutazione e dalla selezione, sostituendo alla mutazione la scoperta di nuove soluzioni (innovazioni) e all'ereditarietà la tradizione e l'imitazione". Si può aggiungere che l'ereditarietà passa attraverso gli algoritmi combinatori mendeliani ed è ugualmente capace, a caso, di tradizione e di innovazione. Diversi canoni di lettura, dunque, e diversi gradi di prevedibilità. Essi non rappresentano soltanto momenti separati del pensiero scientifico (dal tempo-geometria al tempo-storia, dal tempo della caduta dei gravi con accelerazione costante al tempo modellato sul divenire dei processi): sono schemi di riferimento e paradigmi linguistici ai quali può essere commisurata l'induzione predittiva di qualunque realtà.
La previsione storica è dunque un'induzione che si avventura nel tempo e si dà assetti metodologici diversi a seconda che si postulino processi causali ininterrotti, deterministicamente configurabili, o che invece si adotti un'immagine non deterministica della realtà. Nella prima fattispecie, prevedere è cercare di anticipare il futuro che deve accadere; nella seconda, è identificare lo spazio delle alternative compatibili con il divenire dei fenomeni. Questo spazio, o parte di esso, è tutto ciò che si può razionalmente rappresentare. Ogni identificazione di un punto di quello spazio diventa presunzione profetica; non perché sfida agli dei, ma perché il futuro appare non necessario e non univoco. In quanto è razionalizzazione dell'incertezza, la previsione-induzione fa del futuro un orizzonte virtuale di realtà possibili (non tutte ugualmente possibili) a partire da una realtà presente, intesa come un divenuto e, insieme, come un diveniente. Cadute le illusioni dell'età aurea di Laplace, questa è la filosofia della previsione in tutti i domini della conoscenza: diversa, da dominio a dominio, è la metrica temporale, è la sfasatura fra i tempi dell'attesa umana e i tempi dello svolgersi dei fatti del mondo.In questo sapere, che ha sostituito ai necessari i possibili, agli assoluti i probabili, vien meno ogni inesorabilità deterministica. Non per questo il pensiero scientifico ha rinunciato all'ideale classico del conoscere per prevedere. Ha dato piuttosto alla previsione il linguaggio che le è proprio: il linguaggio della probabilità. Che non è necessariamente sinonimo di imprevedibilità, a cominciare dai processi in cui s'avvera il determinismo statistico dei grandi numeri.
Uno schema, questo, essenziale a tutta una fenomenologia. Ancor più lo sono, negli eventi della società umana, il paradigma evoluzionistico - l'indeterminismo degli insiemi - e quello del caos deterministico: anche nelle res gestae umane, un evento elementare apparentemente trascurabile può diventare rilevante sul piano collettivo. Il sistema sociale, qualunque sistema sociale, ha sempre più gradi di libertà dei sistemi fisici dinamici. Ciò non significa ridurre la previsione all'ambito delle sole attività operative e strategiche, del decidere per agire attraverso utili scommesse: nella scienza la previsione ha una propria ragion d'essere in quanto sia esperimento ideale sul presente, inteso a esplicitarne, esaltandoli, i costituenti.
La previsione di un evento che potrebbe anche non avverarsi è sempre 'materia di fatto', nel senso humiano, e "il contrario di ogni materia di fatto è sempre possibile", ammonisce il filosofo scettico, avvertendo che il principio di causa, sorto dall'esigenza di razionalizzare un istinto dell'essere vivente, è il tentativo di legare i fatti tra loro, di dare una parvenza logica all'abitudine di indurre l'ignoto dal noto, il futuro dal passato. Un'inferenza induttiva rivolta al futuro non cerca la propria ragione nel colpire un bersaglio empirico, nel trovare una puntuale verifica nel tempo: la ragione è nel suo metodo. Nelle materie di fatto, la prossima volta può sempre essere diversa.
Ma pure un'inferenza deduttiva coerente con un sistema nomologico può inverarsi, o no, in un contesto empirico, e se non si invera è perché è andata oltre il dominio di validità del sistema. Valga l'esempio della scoperta, a calcolo, del pianeta Nettuno, 'dedotto' dalle equazioni del sistema newtoniano, e, per contro, dell'esigenza di cambiare sistema di riferimento per spiegare l''anomalia' orbitale del pianeta Mercurio. Occorre distinguere, allora, la previsione-deduzione, riferita a sistemi di leggi tratte da fenomeni resi astorici per astrazione, dalla previsione-induzione, riferita a processi che divengono in un tempo che non ritorna; e non si deve confondere la previsione come riflessione critica sul presente con la previsione come scommessa sul futuro: la prima è prefigurazione di una pluralità disgiuntiva di trame possibili; la seconda è tentativo di cogliere la trama che si avvererà.
Se certo pensiero fisico è avanzato traendo leggi astoriche e proprietà invarianti, spogliando i fatti di ogni contingenza e astrattizzandoli in artefatti nomotetici, tutto un altro sapere ha proceduto osservando la storia, le storie. Così anche le scienze sociali che, non riuscendo a darsi sistemi di leggi, pativano l'opinione diffusa secondo cui una scienza è tale solo se è capace di predire con precisione. E poiché non si può prevedere una rivoluzione con la certezza di una prossima eclisse - era l'argomento di Schopenhauer - si negava loro ogni carattere di scienza. Quanto più le scienze naturali riuscivano ad anticipare un avvenire, tanto meno le discipline dell'umano riuscivano ad andare oltre il contingente, a trarre sistemi isolati, stazionari e ricorrenti (tale è appunto il sistema solare, se si astrae dall'espandersi dell'universo; tale è il ciclo biologico degli organismi, se si prescinde dal divenire evolutivo delle specie).
Il tema del riconoscimento di leggi scientifiche, negli eventi sociali, capaci di dare certezza alle previsioni, rimbalza da Comte a Saint-Simon; da Spencer a Marx e a Stuart Mill; da Pareto a Neurath e a von Mises; da Toynbee a Hempel, e ad altri ancora. Le scienze sociali nulla hanno lasciato di intentato per imitare la gnoseologia meccanicista, dandosi alla teorizzazione di sistemi astorici: così alcuni assunti dell'economia classica, così l'idea comtiana di una 'fisica sociale', che Quetelet aveva delineato, more statistico, cercando "nel gran corpo sociale [...] leggi fisse altrettanto immutabili di quelle che reggono i corpi celesti [...]; leggi indipendenti dal tempo e dal capriccio degli uomini [...]". Sarà l'ultima illusione del sapere deterministico. Più tardi si sarebbe cominciato a capire che anche le costanti fisiche dell'universo non sono immutabili, come non sono immutabili le specie viventi.
Ecco allora le scienze sociali darsi alla ricerca di un ordine naturale nel divenire storico, entro un paradigma rassicurante proteso a fare di ogni epoca l'adempimento di un messaggio lasciato da quella che l'ha preceduta: un divenire tra causalità e fatalità. Da Herder a Hegel, da Comte a Marx e a Spencer le teorie della storia come progresso componevano variamente un'interpretazione univoca del cammino umano. E la sociologia nasceva appunto come scienza dell'evoluzione sociale, intesa come "una [...] catena necessaria di trasformazioni successive attraverso le quali l'umanità è progredita ininterrottamente" (Comte), e "la società è condotta progressivamente verso la perfezione" (Spencer). Una visione deterministica e ottimistica, carica di necessità: la storia come rappresentazione dell'inevitabile, modellata su una interpretazione impropria dell'evoluzione biologica, di cui si dava un'immagine deterministica e unidirezionale, nel senso delle "magnifiche sorti e progressive". Era la suggestione di certa mitologia storicistica.
L'evoluzionismo biologico può rappresentare uno schema ideale di riferimento, ma in quanto processo storico aperto a una virtualità di futuri possibili, non necessari. Resta, tuttavia, una differenza fondamentale, ed è che nella fenomenologia sociale la previsione s'imbatte in un ulteriore elemento di indeterminatezza: la 'variabile umana', carica di instabilità e di imprevedibilità. È questo elemento, e non tanto quello della storicità, a differenziare le inferenze induttive delle scienze sociali da quelle delle scienze naturali. Nella società umana le relazioni interindividuali possono spostare equilibri, determinare unidirezionalità di gruppo con accelerazioni e ritardi, nel senso di una essenziale non linearità. Le volontà, gli intenti, le ragioni e le passioni, i processi mentali cognitivi ed emotivi, possono assumere direzioni improvvise; e all'apporto del singolo può sovrapporsi una sorta di volontà collettiva.
È appunto la variabile umana - il fattore 'volizione' - l'elemento di imprevedibilità in più, che condiziona e confonde le previsioni storico-sociali. È questa variabile a rendere sempre incombente la domanda di Skinner: "Perché è tanto difficile trattare scientificamente del comportamento umano?".La previsione del fenomeno sociale deve conciliare l'impossibilità di addurre sistemi astratti e isolati con l'esigenza di postulare la stabilità delle variabili identificate. Ecco allora ridursi le previsioni al breve periodo, perché il presupposto della stabilità perde inerzialmente il suo valore quanto più ci si allontana dai dati di partenza. Le previsioni andate lontane dal bersaglio, in re sociali, anche di quelle effettuate da autorevoli organizzazioni politiche nazionali e internazionali e da prestigiosi centri della ricerca scientifica, compongono ormai un divertente florilegio. E tuttavia la previsione, ogni previsione, in campo demografico, economico, sociale, conserva una propria funzione euristica, quando agisca da lente di ingrandimento dei fattori in gioco: una sorta di 'acceleratore' (Heisenberg chiamava infatti "macchine filosofiche" gli acceleratori di particelle usati per scrutare la struttura della materia). E il confronto, ex post, tra l'atteso e l'accaduto può dare ancora un apporto conoscitivo.In quanto immagine diacronica delle coordinate di una realtà in atto, una previsione può mirare alla prefigurazione di una realtà futura (previsione 'morfologica') e può attenere altresì al tempo in cui la trasformazione di uno stato di cose potrà avverarsi (previsione 'cronologica').
Nell'una e nell'altra prospettiva, l'atto del prevedere impone di evincere la dinamica interna del divenire, di scomporla nei suoi costituenti, di definirne la direzione e la velocità; e impone quindi di postulare invarianze. Senza postulare invarianze, nessuna previsione è possibile. Ma prevedere significa anche cogliere i fatti emergenti, riconoscerne i pur tenui segnali (quasi un ritorno alla mantica dei presagi), sebbene non tutti i segnali siano rivelatori e non in tutte le circostanze. Nell'antichità si traevano indizi dal volo o dal canto degli uccelli (donde l'etimologia di auspicio), e certo v'era qualche motivo per vedervi l'annuncio di un imminente acquazzone, non dell'esito di una guerra.Nel contesto umano, è naturale precorrere il futuro cercando indicazioni nella storia, nei dati del passato. Già Comte propugnava "la conoscenza dell'avvenire delle società attraverso il passato" e Stuart Mill pensava a una scienza capace di "prevedere con certezza gli avvenimenti storici e sociali". Ma in una società non statica, in una realtà non ridotta a sistema nomologico, passato e futuro non sono simmetrici. La società è un divenire, come lo sono, nell'ordine di grandezza dei rispettivi tempi, l'universo e la vita. E se in fisica o in genetica la previsione è prefigurazione di una distribuzione probabile degli stati di natura compatibili con uno stato presente, in economia, in demografia, in sociologia non si può certo fare di più, ancorché le attese utilitaristiche restino insoddisfatte. È della scienza l'induzione, ossia la previsione di uno spazio probabilizzato; è della strategia la decisione, ossia la scelta di un punto in quello spazio.
Anche nell'indagine sulla società umana la previsione razionale si traduce in un ventaglio aperto sui futuri possibili, sebbene la ragion pratica di ogni procedura previsiva ponga l'esigenza di decidere, di richiudere il ventaglio.Se le previsioni strategico-decisionali mirano ad andare il più possibile vicino alla realtà che finirà per avverarsi, le previsioni scientifico-investigative hanno diversa giustificazione metodologica: esse esprimono una sorta di asserzione ipotetica del tipo "se..., allora..."; e se, posto l''antecedente', il 'conseguente' previsto non si invera nel reale, la previsione può sempre valere come schema di riferimento. Da quando Hume ha colto il salto logico tra esperienza e predizione, all'inferenza induttiva non si può chiedere di assicurare il successo; tuttavia, la previsione strategica può conseguirlo assumendo una funzione normativa: diventando informazione, la previsione può diventare una variabile del sistema. E può talora rispondere a una sorta di rito apotropaico inteso a scongiurare un avvenire indesiderato: il successo di una previsione strategica può allora risiedere nel suo insuccesso. Dopo il crollo delle borse dell'ottobre 1987, fu immediato predire una recessione economica mondiale, ma tale prospettiva suscitò una manovra monetaria su larga scala, che diede l'avvio a una forte fase di sviluppo.
I metodi matematico-statistici di previsione s'avvalgono ormai di un apparato tecnico imponente, che può rivolgersi verso un tempo ignoto o verso uno spazio ignoto. Entrambe le fattispecie trovano la loro base sperimentale in successioni dinamiche di dati statistici: nelle previsioni rivolte al futuro (alle quali si riferiscono queste annotazioni essenziali) esse vengono dette 'serie storiche'. Il primo fondamento di un'anticipazione del futuro è appunto nei fatti del passato, riassunti in una sequenza cronologica di informazioni. Spesso una serie storica è tutto ciò che è dato di sapere. E non soltanto nella ricerca sulla realtà umana. In fisica terrestre, ad esempio, la sequenza nel tempo degli eventi tellurici, in un'area data, costituisce la principale e talora l'unica base empirica per interpretare i fenomeni sismici (entro quadri teorici tra il deterministico e l'indeterministico, tra il caotico e lo stocastico), e per tentare di prevedere il 'dove' e il 'come', se non il 'quando', dei futuri terremoti.
Da una serie storica (univariata o multivariata) si può evincere una regola di variazione nel tempo attraverso opportuni confronti tra i dati consecutivi della serie, talora riassunti in una espressione analitico-formale così da estendere la serie al di là del conosciuto: un atto induttivo tanto più esposto all'errore quanto più proteso nel tempo; e si può proiettare anche una legge relazionale tra variabili interagenti. All'interno di una medesima 'catena causale' l'andamento della serie passata può offrire una linea di tendenza dei dati della serie a venire; non così se si va oltre quei limiti. In questo senso va inteso il distinguo tra previsione di breve e previsione di non breve periodo: un implicito riconoscimento dell'esistenza di catene deterministiche non illimitate e del fatto che non sempre il miglior modello esplicativo è anche il miglior modello previsivo. Se il futuro non è determinato univocamente dal passato, perché "natura facit saltus" anche nell'umano, quanto più il modello ripercorre il passato, tanto più è esposto al rischio di non prefigurare l'avvenire.Il significato della causalità nelle serie storiche economiche è oggetto di dibattito.
Quanto più si è tradotto il principio di causa in una successione temporale, tanto più si sono cercate nel passato le ragioni del presente: così, cronologia e causalità sono divenute kantianamente interdipendenti. Ma è discutibile ogni procedimento teso a trarre il giudizio di causalità dalla sola serie storica in esame e non anche da congetture sulle leggi generali. Ciò vale ancor più nella previsione. Essenziale è la ricerca del legame tra i dati della serie storica attraverso metodi assai diffusi nella ricerca econometrica: una varietà concettuale di canoni e di algoritmi cui si può appena accennare in questa sede, e per rilevare l'inevitabile automatismo di molte tecniche, pur suggestive; un automatismo tanto più rischioso quanto più le procedure tendano a precorrere un avvenire non immediato. In una serie storica di dati economici si possono riconoscere: una tendenza di lungo periodo ('trend'), una componente di alternanza espressa da ampie oscillazioni periodiche ('ciclo'), una variazione stagionale, e infine una fluttuazione residua dovuta al concorso di fattori singolarmente imprevedibili, ma statisticamente prevedibili come insieme aleatorio. Tutte queste componenti, anzitutto il trend e il ciclo, possono essere pure intese come un particolare processo stocastico.
Le maggiori difficoltà concettuali attengono alla ricerca del trend: il lungo periodo è infatti legato alla dimensione temporale del processo, e non sempre è agevole identificarlo quando la serie non sia sufficientemente ampia. La traduzione dei fenomeni in vere e proprie variabili passa attraverso le fasi della scelta, dell'acquisizione e della classificazione dei dati quantitativi. Le variabili possono riferirsi ai soli fenomeni oggetto di analisi (variabili 'endogene') ovvero ad altri caratteri assunti come antecedenti causali di quelle (variabili 'esogene').
A scopo interpretativo, e anche previsionale, le variabili possono comporsi in un 'modello formale', ossia in una immagine semplificata della realtà, ridotta ad alcune relazioni matematiche essenziali. Nella tipologia dei modelli hanno grande rilievo i 'modelli econometrici', tratti della schematizzazione di legami statistici tra variabili economiche per simularne il divenire attraverso relazioni causali atemporali o attraverso più complesse strutture dinamiche, nel quadro di una specifica teoria. Sono inoltre da menzionare i 'modelli a variabili latenti', di largo impiego nelle scienze sociali, riferiti a caratteri non osservabili direttamente, bensì attraverso altri che ne siano in qualche modo espressione. In tutti i criteri, dal più complesso al più semplice, è sottintesa un'ipotesi (empirica o funzionale) di invarianza, è postulata una qualche simmetria tra passato e futuro. Ciò anche nei modelli econometrici. A chi trova certi modelli incapaci di 'spiegare' perché troppo meccanici e perché una serie di dati non può spiegare se stessa senza ipotesi, si risponde - alla Mach - che essi non hanno finalità interpretative ma soltanto previsive (Ernst Mach assegnava infatti alla scienza il compito di dare regole, anche false, purché capaci di anticipare l'esperienza).
La struttura razionale dei modelli econometrici è controversa. Un motivo di contraddizione è che un modello è tanto più esplicativo quanto più è un artefatto semplice e schematico, articolato su variabili essenziali, mentre un modello di previsione è in astratto obbligato a tener conto di tante variabili per contenere i gradi di libertà del sistema. Ma con l'aumentare del numero delle variabili (oggi i computer consentono di trattare modelli che ne comprendono centinaia), il sistema è sempre più esposto all'instabilità caotica, all'imprevisto che rompe la continuità. È un'illusione pensare che un modello sia tanto più efficace quanto più è grande il numero delle variabili: la dipendenza dalle condizioni iniziali pone un limite conoscitivo intrinseco, un orizzonte temporale. Meglio è, talora, ripiegare su un numero ridotto di variabili e trarne qualche indicazione operativa circa gli interventi da adottare per giungere a un futuro atteso. Anche in re oeconomica, dove l'incertezza delle strategie, dei programmi, delle scelte è un elemento del sistema, prevale il criterio di limitarsi prudentemente ai futuri più prossimi, di estendere dati e parametri nel breve e nel medio termine (non più di tre-quattro anni), quando sia fondato l'assunto di inerzialità degli stessi. L'implicito postulato è "che qualcosa resterà costante" (H. Theil). Il 'qualcosa' può essere un livello di domanda, un tasso d'inflazione, un indice di produttività, oppure, nella fattispecie di un modello formale, qualche coefficiente incluso nelle equazioni.
Dai primi schemi pionieristici ai più recenti modelli econometrici introspettivi, la metodologia è avanzata, e molto suggestivamente. Non per questo la portata predittiva dei particolari strumenti si è fatta meno incerta: all'inadeguatezza dei dati empirici immessi nei modelli si aggiungono spesso le carenze strutturali degli stessi. Quale che sia l'esito di previsioni di questo genere, esse hanno pur sempre una ragion d'essere sperimentale, in quanto schemi ideali di confronto e di interpretazione.
La previsione statistica attraverso serie storiche può avvalersi altresì di metodi non vincolati a modelli teorici e rivolti al solo aspetto estrapolativo. Fra questi sono da ricordare i metodi riferiti allo 'spazio degli stati' e i metodi detti della 'scatola nera'. Molto usati sono inoltre i 'metodi autoregressivi a medie mobili', definiti attraverso l'identificazione della forma matematico-funzionale, la stima dei parametri, il controllo dell'adattamento ai dati empirici, e utilizzati soprattutto per la loro essenzialità nel breve periodo; in particolare nell'ambito operativo, dove non è la struttura razionale del modello a essere preferita, bensì la sua efficacia predittiva. Le due cose non vanno sempre insieme. Circa i risultati, spesso i metodi più complessi si rivelano meno efficaci di una semplice estrapolazione, anche soltanto lineare, di un tratto più o meno breve di una serie, o addirittura degli ultimi termini della serie: un criterio di grande successo pratico, nel breve periodo.
Non meno avventurose sono le previsioni demografiche, le prime a disporre di ampie serie di dati numerici attendibili, le prime a incontrare le puntuali smentite della storia. Vasto è il repertorio delle previsioni demografiche su compagini nazionali e regionali andate clamorosamente fuori bersaglio. Anche le previsioni sulle popolazioni hanno saputo avvalersi di modelli matematico-statistici, soprattutto nell'analisi di lungo periodo. Il più noto è il 'modello logistico' ideato da Verhulst e rielaborato da Pearl: una legge di sviluppo di popolazioni naturali, dipendente da un fattore di crescita in progressione geometrica e da un fattore tendente a contrastare il primo con una forza direttamente proporzionale al quadrato della quantità di popolazione.Se l'attenzione scientifica del demografo è soprattutto rivolta alla ricerca di leggi evolutive generali, l'interesse di chi governa è proteso all'anticipazione del prossimo assetto demografico di una comunità: un'anticipazione tanto più possibile quanto più riferita a fenomeni dotati di qualche stabilità. Sotto questo aspetto, è più sicura una previsione sulle componenti del 'movimento naturale' di una popolazione (natalità e mortalità) che non su quelle del 'movimento migratorio', tanto più difficile da antivedere quanto più la mobilità sociale della comunità è vivace.
L'inerzia delle variabili naturali del ricambio demografico consente infatti previsioni affidabili non necessariamente limitate al breve periodo. Quando, ancora negli anni sessanta, si annunciava l'approssimarsi di una catastrofe malthusiana nell'Europa meridionale, e in particolare in Italia, dovuta all'eccessiva fecondità delle popolazioni, bastava osservare la lunga tendenza storica al progressivo declino dei tassi di natalità per capire che, in un breve volger d'anni, altro e più grave e più allarmante sarebbe stato il problema demografico di quelle società: la trasformazione della struttura per età delle popolazioni, sempre più invecchiate, sempre più prive di generazioni di ricambio.
Quanto più è quantitativa e formalizzata, tanto più una previsione tende a concepire il futuro come un passato che continua: un determinismo obbligato e obbligante. Ed è vero il viceversa: una previsione che miri a prefigurare un futuro innovativo sfugge in parte al rigore delle determinazioni quantitative. Soprattutto nel medio e nel lungo periodo (e i vocaboli 'medio' e 'lungo' mutano di significato al mutare del contesto) sembra ormai preferito il criterio di affidarsi a una 'giuria' (panel) di esperti, così come, nell'antica Roma, ci si affidava al 'collegio degli auguri': sacerdoti che, nel beccare dei polli e nel volteggiare degli uccelli, leggevano i segreti voleri di Giove, arbitro del destino. Se nelle previsioni fondate su schemi matematico-statistici è decisiva la selezione delle variabili del modello, nelle previsioni fondate su opinioni lo è, ovviamente, la scelta degli esperti.La più nota di queste procedure è il cosiddetto 'metodo Delphi' (dal luogo della celebre Sibilla dell'antica Grecia, sacra ad Apollo). Tale metodo consiste nel consultare, uno a uno, un certo numero di esperti e nell'invitare successivamente ciascuno di essi a riconsiderare i giudizi espressi nel confronto con quelli formulati dagli altri, resi noti in forma anonima. Una reiterazione da interrompere quando sia realizzata una relativa convergenza diagnostica e prognostica. Il 'Delphi' è criterio molto pratico, con intenti previsionali e strategici: vi fecero ricorso, ad esempio, gli USA, nel 1953, in un'indagine rimasta a lungo segreta sulle prospettive di una guerra con armi nucleari.
L'assunto metodologico, che l'esperienza sembra confermare, è che il giudizio di un gruppo sia più perspicuo del giudizio di un singolo, che la consultazione a più stadi valga a migliorare la previsione di primo stadio, che la pluralità dei responsi, raccordata attraverso progressivi aggiustamenti, possa convergere verso una previsione attendibile. Ciò esclude, ovviamente, l'anticipazione dell'inatteso, del grande evento suscitato da un piccolo evento in sé irrilevante: il cosiddetto 'effetto farfalla', alle origini di un fenomeno caotico meteorologico. "L'inevitabile non accade mai, l'inatteso sempre" - diceva John Maynard Keynes, commentando la crisi del 1929, famosa per il suo drammatico incombere e per aver colto di sorpresa i più accreditati barometri economici. D'altronde, quale esperto (o gruppo di esperti) avrebbe saputo prevedere, intorno alla metà degli anni ottanta, che prima della fine del decennio il 'muro di Berlino' sarebbe caduto? Condorcet non aveva forse previsto, soltanto cinque anni prima della Rivoluzione francese, un lungo periodo di tranquillità sociale?Ancora per sottrarre la previsione alla rigidità di certe tecniche, rischiosa soprattutto nelle stime di lunga gittata, e più ancora per non escludere fenomeni non immediatamente traducibili in variabili quantitative coerenti, hanno trovato accoglimento altri criteri, aperti duttilmente a un orizzonte di possibili futuri.
Tale è il metodo detto degli 'scenari', inteso a prefigurare una virtuale pluralità di traguardi sui quali ripartire un'eventuale distribuzione di probabilità. In questo inventare il futuro sembra riflettersi un paradigma metodologico delle scienze naturali: la virtuale plurivocità degli esiti evolutivi. Se nelle specie viventi le tappe future sono affidate al giocar del caso con la necessità, nelle vicende umane la motivata pretesa del futurologo è di non lasciar scegliere tutto alle circostanze.La prefigurazione di scenari, forse più normativa che esplorativa, si affida anzitutto agli elementi rilevanti del passato e del presente. Essa presuppone la conoscenza dello stato del sistema e delle interazioni strutturali tra i vari fattori, e l'identificazione di traiettorie di avvenimenti capaci di portare dall'esistente ai futuri prefigurati. Gli scenari possono pure avere parte attiva, tradursi a loro volta in eventi, così da intervenire sulle tendenze in atto, accelerandole, ritardandole o addirittura dirottandole.
Non esistono regole codificate per costruire immagini del futuro e delineare i rispettivi tracciati. Ci si può avvalere di una varietà di procedure, dall'analisi quantitativa e formale delle interrelazioni sincroniche e diacroniche tra le variabili dominanti alla consultazione di esperti: una programmazione del futuro in qualche modo attenta ai segnali di cambiamento.L'aspetto metodologico rilevante degli scenari è nell'ammettere immagini alternative condizionate, più che nella tentazione di impartir precetti. Certo, c'è conoscenza e c'è strategia; e protendersi nel tempo non è mai, soprattutto nei fenomeni sociali, pura conoscenza. Ma anche nelle scienze non naturali ogni metodo vive all'ombra di una matrice culturale, riflette un quadro teorico, un'interpretazione del divenire storico. Un divenire per variazioni graduali o per salti, con continuità o attraverso svolte? Ancora un'alternativa tra paradigmi, che non sono una novità nel panorama metodologico della scienza: fino a Cuvier, la teoria 'catastrofistica' ha dettato la ricostruzione della storia della Terra e della vita sulla Terra; ma la geologia ha tratto i suoi maggiori risultati da un metodo di indagine ispirato al principio 'uniformistico' di Lyell, oggi in qualche misura ridiscusso.
Oggi si esplora il tempo con la stessa ansia con cui si esplora lo spazio. È sorta addirittura una disciplina specifica, la 'futurologia', intesa a pensare l'avvenire come costruzione mentale - insieme indagine e progetto - nello spirito dell'enunciato di Herbert G. Wells: "Le scienze sociali devono rivolgersi al futuro". Scienze dell'essere e del dover essere, tali discipline possono davvero inventare l'avvenire. È da sempre il sogno dell'uomo. Se agli oracoli dei tempi andati si chiedeva di svelare le intenzioni della divinità, di scrutare i segni di un futuro già scritto, ai previsori dell'epoca nostra si chiede di anticipare i tratti di un avvenire possibile, ancora da scrivere; di prefigurarlo attraverso più moderni strumenti, nei quali sembra tuttavia rivivere qualcosa dell'antica vaghezza oracolare. Non per questo le previsioni riescono a sottrarsi alle puntuali smentite dei fatti: o perché il divenire non ha confermato una linea di tendenza estesa al futuro nell'ipotesi di permanenza dei fattori causali riconosciuti nel passato, o perché le ipotesi innovative addotte non si sono, in tutto o in parte, avverate. È il grande gioco della storia.
Il pensiero scientifico offre l'immagine di una realtà ovunque in divenire: nell'espandersi dell'universo, nell'evolversi della vita, nel farsi della storia dell'uomo. Le scienze ne traggono categorie, regolarità, leggi valide entro assegnati limiti di tempo e di spazio. Tutto sta nel vedere quei limiti; tutto sta nell'intendere che ogni legge astorica è un'astrazione; tutto sta nel capire l'irripetibilità delle condizioni fenomeniche in cui gli eventi accadono singolarmente. Se l'astronomia sa prevedere il passaggio di una cometa, la data di un'eclisse, è perché ha identificato, astraendo dal divenire, regolarità e invarianze: ma è sempre questione di ordine di grandezza del tempo di riferimento. Nella metrica dell'universo, l'universo non si ripete: è un processo. Forse, l'indefinito allontanarsi delle galassie sulla spinta dell'esplosione primitiva donde ebbero origine il tempo e lo spazio, oppure - in diversa ipotesi - una futura implosione, il ricompattarsi gravitazionale della materia scagliata lontano dal big-bang delle origini. Su una siffatta scala, le previsioni dell'astrofisica hanno lo stesso grado di incertezza delle previsioni sulla composizione di una popolazione umana di qui a qualche anno, o sul tasso di inflazione di una nazione di qui a qualche mese.
E non v'è dubbio che, nell'ordine di grandezza del vivere e dell'agire umano, sono queste le previsioni che più premono, queste le uniche ad apparire incerte, anche perché entrano in gioco giudizi di valore e il tempo ha lo spessore del vissuto. È la nostra attesa a porre la differenza. Una differenza che vale sulla scala umana dei tempi, ma è ontologicamente ed epistemologicamente irrilevante. Non è senza significato che Neurath facesse della previsione l'elemento unificante di scienze naturali e scienze sociali. Certo, le scienze della natura hanno tratto grande vantaggio dalla costruzione di sistemi atemporali, e si sa cos'abbia significato rileggere il sistema linneano come un percorso macroevolutivo e cosa significhi oggi vedere nella classificazione delle stelle secondo il tipo spettrale il tracciato storico delle fasi dell'universo. Nelle stelle, come nei viventi, la conoscenza avanza attraverso l'ordine sistematico del simultaneo e attraverso la genesi temporale dei fenomeni. Ma la capacità di previsione illimitata non è della scienza, di nessuna scienza. Tanto meno delle scienze sociali, ove interviene la variabile umana. È questa a imporre la dualità di euristico e normativo, di predittivo e prescrittivo.
Nella vicenda umana il futuro incombe come interrogativo e come fine. La profezia è uno dei miti più radicati nell'umanità, così come la predestinazione è il dettame di ogni religione. Entrambe espressione di un bisogno dell'uomo in tutti i tempi: conoscere il futuro per adeguarvisi, quando non per sottrarvisi. L'uomo ha sempre fatto ricorso all'oracolo, e questo non l'ha mai lasciato senza risposta. Che i responsi fossero oscuri e non univoci - così da restare praticamente inconfutabili - era nelle regole del gioco: un modo anche quello di prevedere, più che un futuro, una plurarità di futuri. Ma l'uomo vive facendo continue induzioni e continue previsioni - un'attitudine fissata dalla selezione naturale - e decide affidandosi alle ripetitività del quotidiano. "Tutta la nostra conoscenza del mondo è sospesa a questo filo sottilissimo: la regolarità delle nostre esperienze" - dice un personaggio pirandelliano. E tuttavia anche quelle regolarità si prestano a interpretazioni contrastanti; e ancor più di fronte a eventi intrinsecamente aleatori.
L'uomo ha imparato allora a scommettere, cercando nei metodi della scienza, o nelle magie della superstizione, un qualche principio vincente. Eppure, anche al cospetto del più elementare evento fortuito, gli atteggiamenti possono essere diversi, perché diversi sono i possibili modi di valutare l'esperienza e di sfidare la sorte. Ad esempio, davanti alla semplice urna del gioco del lotto si possono ritenere ugualmente probabili, prima dell'estrazione, tutti i numeri che vi sono contenuti, non avendo l'urna né coscienza del futuro né memoria del passato; si può invece scegliere di puntare su un numero in ritardo rispetto alla frequenza attesa, perché quel numero dovrà prima o poi uniformarvisi (un criterio molto seguito dai giocatori). L'alternativa è dunque tra il principio dell'uguaglianza delle probabilità a priori entro sistemi simmetrici e quello dell'approssimazione empirica di tali probabilità nei grandi numeri.
Ma si può dare anche un terzo atteggiamento: rifiutare ogni 'principio' e affidarsi al solo dato dell'esperienza; e perciò scommettere su un numero uscito più volte dell'atteso. Certamente una scelta ingenua; eppure questo si fa, nella pratica statistica, quando si estende un dato di frequenza al di là dell'osservato. Se un evento così elementare ammette interpretazioni (e previsioni) diverse e addirittura opposte, non deve far meraviglia che tanti e tanto dibattuti possano essere i canoni di lettura degli eventi storico-sociali, sempre intrisi di causalità e di casualità. L'atto del prevedere si regge sempre sul presupposto che certe condizioni fenomeniche restino invariate e alcune leggi permangano nel tempo: una garanzia che è facile addurre ovunque la previsione possa tradursi in una sorta di esplicazione deduttiva del principio di inerzia, ma che vien meno quanto più la previsione vada lontano, perdendo in necessità empirica ed esponendosi all'incertezza delle materie di fatto. La conclusione, ovvia e malinconica, è che le previsioni possono avere effettivo successo in un mondo ordinato, isolato e stabile; ma un mondo ordinato, isolato e stabile non ha bisogno di previsioni.
La realtà è storia, storia irreversibile, nella natura e nella società, nei grandi e nei piccoli eventi; e l'unica certezza è l'incertezza, l'unico metodo è l'ipotesi, l'unico linguaggio è la probabilità. Forse è vero che "la profezia storica è una specie di ciarlataneria" (Popper), ma, senza anticipare in qualche modo il domani, il pensare e l'agire dell'uomo si fanno ancora più incerti. Anche la realtà di tutti i giorni è irreversibile, come l'evoluzione naturale della materia e della vita.Etimologicamente, evoluzione sta per 'srotolamento', per svolgimento di un papiro arrotolato: il testo del divenire nel tempo. La parte ancora nascosta del papiro è il futuro, e prevedere significa inoltrarsi anzitempo in una 'storia' non ancora divenuta tale. Una storia già scritta, che si rivela via via con l'aprirsi del rotolo, o che invece si scrive, riga per riga, nel momento stesso del suo dispiegarsi? In una concezione teleologica, tutto è già dettato, e si ricorra pure a veggenti e a profeti per 'strologare' in anticipo ciò che dovrà accadere; in un'immagine rigidamente deterministica, il testo si sta componendo sulla falsariga della necessità, e allora ha senso scrutare tra le righe per coglierne la trama causale, per prefigurare ciò che potrà accadere; in un assunto indeterministico, invece, è vano spiare la parte nascosta del papiro: perché nulla ancora vi è scritto. La storia, quella storia, viene scritta nel momento in cui si compie.
(V. anche Econometria; Epistemologia delle scienze sociali; Futuro; Metodo e tecniche nelle scienze sociali; Previsioni economiche; Statistica applicata alle scienze sociali).
AA.VV., Atti della XXXI Riunione scientifica della Società Italiana di Statistica, Torino 1982.
AA.VV., Futuro e complessità, Milano 1987.
Aitchison, J., Dunsmore, I.R., Statistical prediction analysis, Cambridge 1975.
Albert, H., Epistemologia delle scienze sociali, in Enciclopedia delle scienze sociali, vol. III, Roma 1993, pp. 592-605.
Anderson, T.W., The statistical analysis of time series, New York 1971.
Bee Dagum, E., The X-11-ARIMA seasonal adjustment method, Statistics Canada, Catalogue N. 12-564, 1980.
Bee Dagum, E., The future of forecasting, in "International journal of forecasting", 1989, II, pp. 155-167.
Box, G.E.P., Jenkins, G.M., Time series analysis: forecasting and control, San Francisco 1970.
Bunge, M., Causality, Cambridge, Mass., 1959 (tr. it.: La causalità, Torino 1970).
Carnap, R., Statistical and inductive logic, New York 1955.
Comte, A., Cours de philosophie positive, 6 voll., Paris 1830-1842.
Dagum, C., On structural stability and structural change in economics, in "Proceedings of the American Statistical Association, Business and Economic Statistics Section", 1983, I, pp. 654-659.
Dagum, C., Structural stability, structural change and economic forecasting, in Optimalité et structures (a cura di G. Ristchard e D. Royer), Paris 1985, pp. 153-171.
Dalkey, N.C., The Delphi method: an experimental study of group opinion, Rand Corporation Memorandum, Rm 5888-Pr, 1969.
Diderot, D., Le rêve de d'Alembert, Paris 1782.
Fisher, R.A., The logic of inductive inference, in "Journal of the Royal Statistical Society", 1935, XCVIII, pp. 39-54.
Geschka, H., Delphi, in Langfristige Prognosen, Wien 1977.
Gini, C., La logica nella statistica, Torino 1962.
Godet, M., Crise de la prévision, essor de la prospective, Paris 1987.
Godet, M., Scenarios and strategic management, London 1987.
Goldberger, A.S., Duncan, O.D. (a cura di), Structural equations model in the social sciences, New York 1963.
Granger, C.W.J., Newbold, P., Forecasting economic time series, New York 1977.
Hempel, C.G., Aspects of scientific explanation and other essays in the philosophy of science, London 1965.
Hume, D., Enquiries concerning human understanding, London 1748 (tr. it.: Ricerche sull'intelletto umano, Bari 1957).
Jeffreys, H., Scientific inference, Cambridge 1957.
Jouvenel, B. de, L'art de la conjecture, Monaco 1964 (tr. it.: L'arte della congettura, Firenze 1967).
Laplace, P.S., Essai philosophique sur les probabilités, Paris 1814 (tr. it.: Saggio filosofico sulle probabilità, Bari 1951).
Laszlo, E., Footnotes to a history of the future, in "Futures", 1988, IV, pp. 480-489.
Mill, J.S., A system of logic ratiocinative and inductive, London 1843 (tr. it.: Sistema di logica raziocinativa e induttiva, Roma 1968).
Pearl, R., Studies in human biology, Baltimore, Md., 1922.
Peirce, C.S., A theory of probable inference, Boston 1883.
Poincaré, H., Science et méthode, Paris 1909.
Popper, K.R., Conjectures and refutations, London 1963 (tr. it.: Congetture e confutazioni, Bologna 1972).
Prigogine, I., From being to becoming. Time and complexity in the physical sciences, Bruxelles 1978 (tr. it.: Dall'essere al divenire. Tempo e complessità nelle scienze fisiche, Torino 1986).
Quetelet, A., Physique sociale, ou essai sur le developpement des facultés de l'homme, Bruxelles 1869.
Russell, B., Human knowledge: its scope and limits, London 1958 (tr. it.: La conoscenza umana, Milano 1963).
Scardovi, I., Inductive prevision, in Logica e filosofia della scienza, oggi, Bologna 1986.
Scardovi, I., Certezza dell'incertezza, in Il mondo incerto, a cura di M. Pera, Roma-Bari 1994.
Scardovi, I., Monari, P., Statistical induction: probable knowledge or optimal strategy?, in "Epistemologia", 1984, VII, 6, pp. 101-120.
Skinner, B.F., Problems of scientific revolution. Progress and obstacles to progress in the sciences, London 1975 (tr. it. in: Rivoluzioni scientifiche e rivoluzioni ideologiche, a cura di R. Harré, Roma 1977).
Slutsky, E., The summation of random causes as the source of cyclic processes, in "Econometrica", 1937, 5, pp. 105-146.
Theil, H., Economic forecasts and policies, Amsterdam 1961.
Yule, G.U., On a method of investigating periodicities in disturbed series with special reference to Wolfer's sunspot numbers, in "Philosophical transactions of the Royal Statistical Society of London, A", 1927, CCXXVI, pp. 267-298.
Zellner, A., An introduction to bayesian inference in econometrics, New York 1971.
Zellner, A., Time series analysis and econometric model construction, Amsterdam 1975.