principale-agente
Relazione di agenzia che si determina quando l’esito di un accordo contrattuale per una parte dipende dal comportamento dell’altra. Agente (o mandatario) è il soggetto che agisce; principale (o mandante) è il soggetto su cui incide l’azione dell’agente.
Sono ampiamente diffuse nel sistema economico: sono casi tipici quelle fra proprietari e manager di un’impresa, fra direttore generale e responsabili divisionali, fra imprese manifatturiere e distributori del prodotto, fra compagnie di assicurazione e assicurati, fra datori di lavoro e lavoratori, fra proprietari di immobili e agenzie immobiliari, fra gli stessi e le imprese di manutenzione e riparazione, fra banche e affidati, fra governi e istituzioni finanziarie.
Nei casi menzionati si manifesta, successivamente alla stipula del contratto di agenzia, una situazione di asimmetria informativa (➔), dato che l’esito dell’accordo dipende per il p. dall’impegno, in generale non direttamente osservabile, con cui l’a. esegue il contratto. Questa situazione è nota nella letteratura economica con il termine, desunto dal mondo delle assicurazioni, di azzardo morale (➔) o comportamento sleale. L’analisi della relazione p.-a. si incentra sullo studio del tipo di contratto che il p. può proporre all’a., in modo da incentivarne l’impegno in conformità con gli obiettivi del p. stesso. Si consideri, a titolo esemplificativo, la relazione fra proprietario (p.) e manager (a.) dell’impresa. Obiettivo del p. è la massimizzazione del profitto; quello del manager un elevato compenso, oltre alla stabilità dell’incarico, allo status sociale e a un tranquillo rapporto con i dipendenti. Gli obiettivi delle due parti non sono quindi necessariamente coincidenti. Lo strumento incentivante di cui il p. dispone è rappresentato dalla determinazione del compenso in funzione del profitto. Se questo dipendesse unicamente dall’impegno, purché osservabile, del manager, il contratto ottimale per il p. consisterebbe nello scegliere il livello di impegno chiesto all’a. e il relativo compenso, in modo da rendere massimo il profitto. L’unico vincolo alla scelta del p. sarebbe in tal caso quello di accertarsi di proporre all’a. un contratto conveniente (vincolo di partecipazione). Il punto è che il profitto dell’impresa non dipende solo dall’impegno, ancorché osservabile, del manager, ma anche dalle condizioni strutturali e congiunturali dell’economia, nonché da eventi imprevedibili, fuori dal controllo dell’agente. Emerge in questo caso un risultato generale: l’alea del risultato ricade interamente sul soggetto neutrale al rischio; così, in particolare, se il manager è il contraente avverso al rischio, egli riceverà un compenso fisso, indipendente dallo stato di natura che si realizzerà, al contrario di quanto avverrà per il profitto del proprietario.
Più complessa è la natura del contratto ottimale nell’ipotesi che l’impegno del manager non sia osservabile. Se, per confronto con il caso precedente di osservabilità dell’impegno, si suppone che il manager sia avverso al rischio, il contratto ottimale deve garantire che questi scelga il livello di impegno che massimizza il profitto del principale. Il contratto deve pertanto tenere conto sia del vincolo di partecipazione sia di un vincolo di incentivo, la cui natura è rendere conveniente per il manager il livello di impegno ottimale per il principale. Conseguenza della non osservabilità è che si possa realizzare un livello di impegno inefficiente, in quanto troppo basso.