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ANTIOCHIA, PRINCIPATO DI

di Jean Richard - Federiciana (2005)
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Antiochia, principato di

Jean Richard

Il principato, fondato nel 1098 da Boemondo di Taranto e dal nipote Tancredi, aveva conosciuto una notevole espansione all'inizio del XII sec., ma in seguito ad alcuni rovesci militari era andata perduta la parte orientale; sotto Manuele Comneno era stato per breve tempo un protettorato bizantino. La campagna condotta dal Saladino nel 1188 aveva sottratto al principato le sue piazze meridionali (Laodicea, Jabalah, Saona) e ne aveva distrutte numerose altre, tra cui Baghrās, principale fortezza dei Templari. Il principe Boemondo III aveva avviato la riconquista, quando nel 1193 cadde nelle mani di Leone, barone armeno 'della Montagna'. Questi, tuttavia, non riuscì a ottenere la sovranità su Antiochia a causa della resistenza opposta dai borghesi francesi e greci e dai nobili, che istigati dal patriarca si costituirono in comune. Leone dovette liberare Boemondo, ma in cambio della rinuncia da parte dei principi alla sovranità sulla Cilicia, in particolare su Tarso. Questa cessione permise la nascita del Regno della Piccola Armenia nel 1199 e Leone si assicurò il possesso della costa del golfo di Alessandretta, precisamente di Baghrās, che restituì ai Templari solo nel 1216.

Boemondo morì nel 1201, lasciando suo erede il nipote Raimondo Rupèn, figlio di una nipote di Leone, che si era schierato in suo favore. Ma gli abitanti di Antiochia aprirono le porte al figlio cadetto del principe Boemondo IV, già conte di Tripoli. Ne nacque un conflitto, in cui Boemondo poteva contare sul sostegno dei sultani di Aleppo e di Konya, mentre il papa appoggiava Leone, schierandosi tuttavia con i Templari per il possesso di Baghrās. Questa situazione indusse Boemondo a sostituire con un greco il patriarca latino Pietro I (la popolazione della città, fedele al principe, era in gran parte di rito melchita), il quale morì in prigione. Nel 1214 Leone prese Antiochia e intronizzò Raimondo Rupèn, sostenuto anche da alcuni baroni franchi. Nel 1219 Boemondo riconquistò la città e finì per concludere un accordo con Leone, che diede in matrimonio la figlia ed erede a uno dei figli del principe; ma una fazione di baroni armeni si sbarazzò del principe franco che fu assassinato nel 1224.

Quando Federico II sbarcò nell'isola di Cipro nel 1229 per condurre la sua crociata, Boemondo gli portò le sue truppe; ma l'imperatore pretese da lui un giuramento di fedeltà al quale il principe non ritenne di doversi assoggettare, in quanto i principi di Antiochia non erano vassalli del re di Gerusalemme. Boemondo finse una crisi di follia e fuggì; tornò comunque per ricongiungersi all'armata imperiale nella Siria franca, mostrando in tal modo che si comportava da alleato e non da sottoposto di Federico. Il trattato di Giaffa, stipulato fra l'imperatore e il sultano, non era esteso al principato, la cui indipendenza fu quindi rispettata.

Quando il conflitto fra il rappresentante dell'imperatore, Riccardo Filangieri, e gli Ibelin deflagrò, Boemondo cercò di mantenersi neutrale pur conservando buoni rapporti con Filangieri; alcuni dei suoi baroni si erano schierati a favore di quest'ultimo, e Boemondo tenne a distanza gli Ibelin. Morì nel 1233 senza aver cambiato posizione.

Il principato aveva perso parte della sua importanza economica, in quanto il possesso di Laodicea e Saona da parte dei musulmani aveva aperto una via che da Aleppo conduceva fino al mare aggirando Antiochia; da qui passava il cotone della Siria settentrionale acquistato dai mercanti italiani. Il traffico ad Antiochia e nel suo porto di S. Simeone era dunque calato, ma sembra che questo ridimensionamento non abbia comportato conseguenze gravi; in ogni caso, il principato intratteneva relazioni pacifiche con i vicini musulmani. Tuttavia, essendo riunita nella stessa persona la sovranità del principato e della contea di Tripoli, il peso politico e militare del primo si era indebolito: infatti il principe era solito risiedere soprattutto nella contea tripolina ‒ e il sultano Baybars, quando si impadronì di Antiochia, non mancò di far notare a Boemondo VI che non aveva più il diritto di fregiarsi del titolo di principe.

Un nuovo pericolo si profilò nel 1244: il generale mongolo Baiju, che aveva schiacciato l'armata selgiuchide nella battaglia di Kose-Dagh (lasciando il principato esposto alle incursioni e ai saccheggi dei turcomanni), indirizzò un ultimatum a Boemondo V, esigendo un atto di sottomissione, lo smantellamento delle sue fortezze e il pagamento di un tributo che comprendeva tremila fanciulle. Il patriarca ne diede notizia a papa Innocenzo IV, che in questo frangente si decise a prendere contatti con i mongoli inviando i suoi ambasciatori. Ma sembra che i cristiani orientali, e precisamente il celebre Simeone Rabban-ata, siano intervenuti per convincere il mongolo a ritirare le sue richieste. Il riavvicinamento fra il principato e i mongoli si intensificò quando Boemondo VI sposò la figlia del re Hethum d'Armenia nel 1254. Il sovrano armeno si era reso vassallo dei mongoli e ne assecondava la politica. Quando il khān Hūlagū intraprese la conquista della Siria musulmana, Boemondo raggiunse la sua armata e partecipò alla presa di Damasco, un atto che gli attirò la scomunica, comminata attraverso il legato pontificio, a causa della sua alleanza con i pagani. Hūlagū aveva sostituito il patriarca latino di Antiochia con un greco, Eutimo, favorito della moglie del khān, e quest'alleanza aveva consentito, di fatto, al principe di Antiochia di recuperare le piazze sottratte al principato dal Saladino, in particolare Jabalah e Laodicea, insieme ai castelli che difendevano Antiochia a oriente.

Ma la disfatta dell'armata mongola ad Ain Jalūt, nel 1260, determinò le rappresaglie del sultano mamelucco Baybars, che innanzitutto affrontò Hethum invadendo la Cilicia nel 1266 e travolgendo l'armata armena, privando così il principato dell'appoggio di quest'ultima. Poi, nel 1268, dopo aver attaccato i territori franchi del sud si mosse su Antiochia, che riuscì a opporre solo una debole resistenza. I musulmani s'impadronirono della città, la saccheggiarono e ridussero in schiavitù gran parte della popolazione scampata ai massacri. Il sultano si compiacque di informare personalmente il principe di questa catastrofe coprendolo di scherno. La città fu distrutta insieme a molte altre piazze. Fino al 1275 fu consentito a un signore franco di restare a Qoseir, che apparteneva al patriarca.

La grande cittadella degli Ospitalieri di S. Giovanni di Gerusalemme, Margat (che era stata acquistata dall'Ordine nel 1186 e sorvegliava i territori occupati nelle montagne dalla setta degli Assassini), riuscì a resistere fino al 1285, ma alla fine dovette capitolare. L'ultima piazza del principato, Laodicea, cadde il 20 aprile 1287.

fonti e bibliografia

C. Cahen, La Syrie du Nord à l'époque des croisades et la principauté franque d'Antioche, Paris 1940.

P. Deschamps, Les châteaux des Croisés en Terre Sainte, III, La défense du Comté de Tripoli et de la Principauté d'Antioche: 1 (texte), 2 (planches), ivi 1973.

H.E. Meyer, Varia Antiochena. Studien zum Kreuzfahrerfürstentum Antiochia im 12. und frühen 13. Jahrhundert, Hannover 1993.

J. Richard, L'Orient Latin, les chrétiens orientaux et la menace mongole, "Altaica", 5, 2001, pp. 139-148.

Traduzione di Maria Paola Arena

Vedi anche
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Vocabolario
principato
principato s. m. [dal lat. principatus -us «primato, sovranità», der. di princeps -cĭpis: v. principe]. – 1. ant. o letter. Primato, come condizione o situazione di preminenza: Giotto ... teneva fra i pittori in Italia il p. (Vasari); dirigo...
princìpio
principio princìpio s. m. [dal lat. principium, der. di princeps -cĭpis nel sign. di «primo»: v. principe]. – 1. a. L’atto e il fatto di cominciare, inizio: il p. di una azione, di un’impresa; il p. di una nuova vita; dare p., avviare,...
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