Principi fondamentali e riforme costituzionali
Si esprimono delle perplessità sul ricorso a procedure speciali di revisione costituzionale che riducono la pubblicità della fase istruttoria e accelerano l’approvazione delle leggi di revisione. La necessità e l’urgenza di una legge costituzionale dovrebbero fondarsi su elementi di fatto e non essere date per scontate in nome del processo di integrazione europea, anche in considerazione del fatto che le istituzioni, dal punto di vista costituzionale, sono ancora in fase di assestamento. Si auspicano maggiori informazioni sui contenuti delle riforme costituzionali e sulle fasi del relativo procedimento. In un ordinamento democratico i principi fondamentali della Costituzione non si individuano in base a criteri formali e la loro non modificabilità non deriva meccanicamente dalla rigidità della Costituzione, ma dalla loro condivisione da parte del popolo.
La lettura del disegno di legge costituzionale presentato dal Governo Letta, per l’istituzione del Comitato parlamentare per le riforme costituzionali, attualmente in fase di approvazione definitiva, ripropone interrogativi di fondo in tema di innovazioni istituzionali, di storia nazionale e sociale, non disgiunti da altri riguardanti il processo di integrazione europea. Si tratta di un progetto che mostra quanto possano essere travagliati i percorsi delle riforme costituzionali in Italia e quanto sia evidente la tendenza del Governo e dei partiti ad avanzare in questa materia con circospezione, cercando di assicurarsi la fiducia dell’opinione pubblica sul processo in corso, prima ancora di rivelare quali saranno i contenuti specifici e le conseguenze che ci si aspetta dalle “attese” riforme. Il progetto merita di essere esaminato da diversi punti di vista, a cominciare dalle anomalie della procedura seguita, facendo di tutto per evitare che, in presenza di proposte che investono i principi dell’ordinamento costituzionale vigente, il discorso resti limitato agli specialisti e non si avverta invece l’esigenza di dare più approfonditamente conto delle ragioni e dei contenuti delle riforme a tutta l'opinione pubblica. Prima di affrontare l’esame della legge costituzionale per l’istituzione del Comitato parlamentare per le riforme, vorrei dedicare qualche parola ai principi fondamentali della Costituzione repubblicana, che, secondo il disegno di legge costituzionale che contempla la revisione, non sembrerebbero neppure venir formalmente in discussione.
Il disegno di legge indica i grandi temi della forma di governo, delle autonomie locali, della rappresentanza parlamentare, nonché quello della procedura legislativa e della eliminazione delle Province; basta considerare attentamente ciascuno di questi temi nel loro ambito complessivo, per accorgersi che si tratta di una grande riforma, che abbraccia i massimi problemi della nostra storia sociale e politica e non solo profili tecnici e di ingegneria costituzionale. La compatibilità dei progetti di riforma con i principi fondamentali della Costituzione potrebbe anche richiedere modifiche esplicite al testo di altri articoli della Costituzione, ma occorrerebbe riflettere di più sull'intensità delle modifiche che si vorrebbero introdurre nell'ambito dei principi costituzionali. Si pone perciò il problema se non si tratti di una riforma o di riforme che, pur essendo previste come tendenti solo ad emendamenti parziali della Costituzione che si articolerebbero per temi, incidono sui valori supremi della Repubblica, quegli stessi valori che la Corte costituzionale in un celebre obiter dictum e poi, più o meno implicitamente, in altre pronunce ha indicato come limite di ogni legge costituzionale o di revisione della Costituzione (C. cost., sent. 29.12.1988, n. 1146; sent. 27.7.1992, n. 366; sentt. 24.10.2007, n. 344 e 348). Molti sono gli interrogativi che suscita il disegno di legge n. 813, a cominciare da quello se si possa presentare nei panni di revisione parziale della Costituzione un’effettiva riforma totale di essa, che, eliminando i suoi pilastri fondamentali, raggiunga il risultato di far crollare l’intera struttura della Costituzione del 1947. Pur chi sia convinto che ogni principio giuridico può mutare il suo significato e la propria ragione d’essere nel corso del tempo, non può ignorare che, modificando i contenuti della disciplina e i rapporti tra diversi istituti giuridici, si può persino mutare il senso complessivo dell’insieme dei principi della convivenza che costituiscono il presupposto di una Costituzione. Riformare il principio della rappresentanza politica, il procedimento di approvazione delle leggi e l’articolazione delle autonomie locali equivale a toccare i reciproci equilibri tra i poteri dello Stato; non dovrebbe perciò meravigliare se gli organi dell’assemblea dinanzi alla quale si proponga un disegno in tal senso si interrogassero sull’ammissibilità di esso in relazione ai principi supremi della Costituzione (si ricorda che l’on. Violante, presidente della Commissione bicamerale del 1997, dichiarò inammissibile una proposta di revisione costituzionale presentata dalla Lega per l’indipendenza della Padania, che contemplava la possibilità di secessione delle Regioni dalla Repubblica). Non si può negare inoltre, d’altra parte, che la Corte costituzionale possa persino sindacare l’abuso dello strumento della legge costituzionale utilizzata al fine di ottenere l’approvazione parlamentare di riforme che investono tutto l’insieme dell’ordine costituzionale, trasformando la procedura di revisione in uno strumento per l’esercizio di nuovo potere costituente.
La storia dell’interpretazione della Costituzione repubblicana è lunga, ha prodotto vere e proprie modifiche tacite del testo costituzionale e su di essa hanno operato persino convenzioni che hanno caratterizzato le vicende dei partititi politici italiani, mentre, d’altra parte, nuove consuetudini e prassi costituzionali si sono affermate soprattutto a partire dalla svolta costituzionale rappresentata dall’adesione dell’Italia all’Unione europea. Si sono posti di conseguenza una serie di problemi relativi al rispetto dei principi costitutivi di un ordinamento europeo, che si rifà attualmente ad un’ispirazione dello sviluppo sociale ed economico diverso da quello verso cui tenderebbero i valori fondamentali della Repubblica italiana. Anche per queste ragioni si è fatta strada l’idea che la Costituzione repubblicana debba essere ammodernata e rinvigorita attraverso una serie di leggi di revisione, che fanno emergere la possibilità di conflitti tra i principi fondamentali della Repubblica e le esigenze del processo di integrazione europea. Va infine ricordato che l’immodificabilità dei principi fondamentali della Costituzione non è un problema di gerarchia degli atti normativi, ma di condivisione dei principi e valori fondamentali dell’ordine costituzionale. Anche per questo per il mantenimento dei principi supremi e per la continuità delle istituzioni è fondamentale garantire tempi lunghi e un’adeguata pubblicità alle riforme costituzionali, evitando che i contenuti delle riforme proposte restino celati all’opinione pubblica.
Un ultimo punto merita di essere segnalato ed è costituito dall’uso di un metodo antico che ha avuto in Italia molti cultori: si tratta di usare il metodo comparativo in funzione della proposta di riforme costituzionali. Tale metodo più che imporre frettolosi innesti di frammenti di istituzioni straniere nel nostro ordine giuridico, dovrebbe consentire approfondimenti in grado di ampliare il confronto dei singoli modelli presi in esame. Occorre insistere nell’affermare che il ricorso alla comparazione costituzionale non può essere inteso come un invito agli specialisti di allestire propri laboratori, in cui mettere all’opera strumenti tecnici raccolti in più ordinamenti contemporanei, al fine di rafforzare i vertici delle istituzioni, ma solo come un’occasione di riflessione e valutazione sulle ragioni della attuale crisi istituzionale e delle sue ripercussioni sullo sviluppo sociale.
In ogni ordine giuridico e politico, il ricorso alla revisione costituzionale è considerato un momento di grande rilievo formale e perciò in alcuni Paesi è persino previsto lo scioglimento delle assemblee che abbiano approvato un progetto di revisione costituzionale, in modo che l’approvazione definitiva avvenga ad opera di nuove camere successivamente elette; sono inoltre previsti altri aggravi procedurali e la distinzione in più fasi del procedimento di revisione, onde consentire una ponderata istruzione e deliberazione dei nuovi testi. Nella maggior parte delle costituzioni è esclusa l’adozione di un testo di riforma attraverso procedure extra ordinem, così come non sono consentite riduzioni dei tempi di riflessione, né eliminazioni delle fasi preparatorie o di quelle di approvazione articolo per articolo. Le leggi di revisione richiedono momenti di riflessione in ordine all’opportunità di rivedere il dettato costituzionale e all’esigenza di riscrivere dei testi che tendono a orientare la convivenza, ad interpretare le aspettative del popolo e a guidare l’interpretazione delle leggi da parte dei giudici, delle amministrazioni e dei cittadini. Le proposte di revisione costituzionale debbono essere perciò formulate nel modo più chiaro e comprensibile per tutti, evitando di far passare per aggiustamenti tecnici o modifiche solo parziali modificazioni profonde che si traducono talora in vere e proprie revisioni totali, in grado di rovesciare principi riconosciuti dallo stesso testo costituzionale e condivisi da gran parte dei cittadini. Si devono evitare perciò deleghe a comitati di esperti di fiducia dei partiti cui affidare la scrittura delle proposte di revisione costituzionale.
Il disegno di legge sulla procedura di revisione costituzionale n. 813 contiene molte novità che si discostano dal procedimento previsto dall’art. 138 Cost.; esso ritorna su precedenti progetti in deroga alle previsioni di questo articolo, i cui lavori in passato non giunsero in porto1. Anche l’esperienza delle riforme costituzionali del 2005, che furono respinte dal popolo nel 2006, dovrebbe ammonire contro il ricorso ad eccessive facilitazioni del percorso parlamentare delle leggi di revisione. Il tema delle riforme istituzionali non può essere banalizzato e ridotto a uno spettacolo, perché la maturazione da parte dell’opinione pubblica di convincimenti adeguati all’importanza dei temi in discussione rappresenta un momento molto importante per assicurare la vitalità di una Costituzione. La nuova procedura di revisione è stata perciò oggetto di riflessioni critiche da una rilevante parte della dottrina costituzionale, che ha sottolineato l’esigenza di un esame non improvvisato dei nuovi testi da inserire nella Costituzione, anche in vista del referendum facoltativo previsto alla fine del procedimento e in particolare della funzione della pronuncia popolare2.
Si può aggiungere che resta persino qualche dubbio sull'ampiezza dei poteri di proposta del Comitato nel corso del procedimento di revisione. A questo proposito, può essere interessante ricordare che, in occasione dell’esame da parte della commissione referente del Senato, fu inserito nel testo del disegno di legge costituzionale un secondo comma nel testo dell’art. 2, che nel testo originario prevedeva che fossero oggetto della revisione solo articoli contenuti nei titoli I, II, III, e V della seconda parte della Costituzione; nel testo approvato, è stato inserito un secondo comma, secondo cui «il comitato esamina o elabora, in relazione ai progetti di legge costituzionale di cui al comma 1, anche le modificazioni strettamente connesse ad altre disposizioni della Costituzione o di legge costituzionale». La nostra Costituzione contempla espressamente solo riforme parziali che tocchino singoli punti del testo costituzionale, ma questa testualità della procedura di revisione non comporta che il significato e le connessioni interpretative a proposito dei grandi temi del diritto costituzionale possano essere oggetto di riflessioni e connessioni interpretative di volta in volta solo con riferimento a singole enunciazioni testuali, perchè l'ermeneutica costituzionale nel trarre elementi di prova da queste enunciazioni, si muove in una sfera più ampia rispetto alla lettera delle singole disposizioni costituzionali e perchè il significato valutativo delle singole proposizioni testuali eccede il loro tenore testuale.
Durante lo svolgimento della procedura di esame e approvazione della legge si è aggiunta la nomina da parte del Governo di una commissione che ha svolto il compito di formulare proposte di revisione nelle materie previste nel disegno di legge costituzionale e che ha concluso i suoi lavori a fine settembre, presentando al Presidente del Consiglio dei ministri una relazione sui propri lavori.
Con d.P.C.m. dell’11.6.2013 il Governo ha istituito una commissione di quaranta esperti incaricati di predisporre proposte di revisione nelle stesse materie che dovranno costituire l’oggetto dei lavori del Comitato parlamentare, con riferimento in particolare alle materie della forma di Stato, della forma di governo, dell’assetto bicamerale del Parlamento, ivi incluse proposte di riforma della legislazione ordinaria, ad esse connesse e conseguenti. Nella prassi è stata ritenuta compatibile con la fase dell’esame in commissione delle proposte di revisione costituzionale l’utilizzazione di una procedura informale non prevista da alcuna legge ordinaria, né da un regolamento, al fine di rendere più facilmente realizzabili gli accordi di vertice tra i partiti politici. Per venire incontro all’urgenza di procedere rapidamente verso le agognate riforme della Costituzione si è preferito promuovere incontri tra saggi ed esperti di comune fiducia dei partiti politici, evitando che si sviluppasse un effettivo dibattito tra tutti i cittadini sul contenuto dei mutamenti da introdurre nella Costituzione. La Commissione, che ha operato fuori del Parlamento, ha elaborato varie proposte di massima come indicazioni di scelte possibili in materia di bicameralismo, procedimento legislativo, Titolo V (autonomie locali), forma di governo, sistema elettorale, istituti di partecipazione popolare. Le proposte avanzate, finora limitate ad indicazioni tendenziali di intervento, insistono sulla necessità di congegni e rimedi organizzativi che tendono a rafforzare il potere nei partiti politici, riducendo nello stesso tempo il ruolo del Parlamento che viene configurato come un organo posto a disposizione del Governo, lasciando intravedere un potenziamento degli organi di vertice dello Stato e una nuova disciplina del procedimento di formazione della legge. Pur non potendo dedicare a tutte le proposte della Commissione l’attenzione necessaria, vorrei limitarmi a ricordare che sono state presentate proposte alternative in tema di forma di governo, che riguardano l’introduzione del semi-presidenzialismo alla francese, o “razionalizzazione” dei compiti del Parlamento, o infine una forma di governo parlamentare del Primo Ministro. Nel primo caso il Capo dello Stato sarebbe eletto direttamente dal popolo e eserciterebbe “congrui” poteri di governo, mentre per i membri della Camera elettiva l’elezione avverrebbe con allineamento della durata della Camera sui tempi del mandato presidenziale; la nomina del Presidente del Consiglio verrebbe deferita al Capo dello Stato e alla Camera elettiva spetterebbe il compito di dare la fiducia al Presidente del Consiglio, oltre alla funzione legislativa; il Senato eserciterebbe la funzione di controllo sull’attività del Governo, oltre a rappresentare le autonomie locali e a concorrere in alcuni casi ad esercitare la funzione legislativa; esso potrebbe essere eletto separatamente in sede di elezione dei Consigli regionali direttamente dai cittadini o, in alternativa, dagli stessi Consigli. Vorrei osservare soltanto che le proposte di creare una Camera delle Regioni e di mettere sempre di più le redini dell’attività parlamentare nelle mani del Governo e del Presidente del Consiglio, se accolte potrebbero limitare fortemente le scelte delle Camere, i diritti delle minoranze e le esigenze di pubblicità di ogni fase del procedimento parlamentare. Nel frattempo, il Governo e molti esponenti dei partiti di maggioranza hanno enfatizzato la necessità del ricorso alle riforme, senza insistere particolarmente nell’approfondire i contenuti di esse, per cui la maggior parte dei cittadini è rimasta all’oscuro delle ragioni che sono alla base delle possibili soluzioni. La prassi seguita ricorda quella utilizzata per la revisione dell’art. 81 Cost. nella precedente legislatura che pure suscitò delle proteste.
Oggi si fa riferimento alla necessità e all’urgenza delle riforme costituzionali per giustificare il ricorso alla legge costituzionale per l’avvio di una procedura anomala di revisione costituzionale, mentre la prassi di utilizzare la legge costituzionale come strumento per adottare provvedimenti in deroga alla Costituzione sembra aver messo radici nel nostro ordine giuridico a partire dal referendum consultivo per l’integrazione europea. Si può ricordare che in Assemblea costituente non v’è stato alcun cenno in tal senso e sembra che l’espressione “leggi costituzionali”, accanto a quella “leggi di revisione costituzionale”, sia stata introdotta non tanto per imitare il Costituente austriaco, che poteva almeno fare riferimento a una prassi in tal senso anteriore al 1920, quanto in vista dell’esigenza di adottare con tale strumento gli Statuti delle Regioni ad autonomia speciale, contenenti deroghe alla Costituzione. È appena il caso di ricordare che si è fatto anche troppo spesso ricorso in Europa a leggi di rottura della Costituzione per dar vita ad atti normativi in deroga alle rispettive costituzioni; ma per approfondire questo discorso sarebbe indispensabile esaminare situazioni storiche e politiche molto diverse tra loro. L’urgenza di allinearci con le istituzioni europee e con i principi fondamentali dell’Unione rappresenta già di per sé un problema, non solo perchè non è ben chiaro quale futuro attenda l’Europa, ma soprattutto perché i principi fondamentali dell’ordine costituzionale europeo, quelli che potranno guidare il processo di integrazione politica ed economica europea, non possono ancora dirsi sufficientemente stabilizzati.
Se si guarda all’Europa contemporanea, a prescindere dalla Francia che ha preso dal 1958 una strada che ha contribuito a isolarla rispetto a gran parte degli altri Paesi europei per aver concentrato le istituzioni intorno a un apparato governativo che si trova diviso tra i poteri del Presidente della Repubblica e quelli del Presidente del Consiglio, in Germania il ricorso alla revisione costituzionale appare sempre più frequente, tanto che una parte della dottrina ha parlato persino di “revisionite” come di un virus che ha colpito il diritto costituzionale federale per portarlo verso un federalismo sempre più dominato dai partiti politici (Hans Meyer). D'altra parte, i rapporti esistenti tra Governo, amministrazioni e commissioni parlamentari nella Repubblica federale tedesca rappresentano un tale unicum che, per creare anche da noi un terreno favorevole all’introduzione di un analogo sistema di governo, occorrerebbe operare molto più profondamente che non attraverso l’elezione di un Cancelliere da parte del Parlamento o l’adozione delle stesse limitazioni di quote minime nei suffragi richiesti per avere una rappresentanza parlamentare.
Molto più costruttiva della propaganda governativa intesa a sottolineare l’importanza di riforme i cui contenuti attendono spesso di essere meglio chiariti, sarebbe un maggiore impegno delle istituzioni a diffondere lo studio della storia costituzionale e civile del nostro Paese, non tanto tra gli esperti e i tecnici della materia, quanto tra i comuni cittadini. Sarebbe opportuno, ad esempio, promuovere la cultura civile e tutte le iniziative culturali che possano illustrare i rapporti tra lo sviluppo delle arti e del pensiero politico italiano con la storia civile, incoraggiare incontri e trasmissioni televisive a più voci sulle travagliate vicende della storia politica del nostro Paese, più che iniziative soltanto celebrative di un glorioso passato3.
Quando è stata approvata la Costituzione italiana, sembrava evidente che essa sarebbe stata duratura e suscettibile solo di aggiustamenti e revisioni parziali e forse non si è insistito in modo adeguato sulla necessità di far fronte al rischio che essa potesse essere privata del suo contenuto democratico o della sua ispirazione umanitaria e sociale. Costantino Mortati cercò di far valere l’esigenza di rendere più difficile la modifica di alcuni dei valori essenziali per l’ordine giuridico repubblicano, richiamando la necessità di non indulgere al divorzio del diritto costituzionale dalla storia e dalla politica e affermando nello stesso tempo che occorreva mantenere il carattere di garanzia della revisione costituzionale, con la conseguenza che non ogni revisione può considerarsi ammissibile. La dottrina prevalente, impegnata in una quotidiana battaglia per assicurare la vigenza effettiva della Costituzione repubblicana, si orientò piuttosto verso l’affermazione del carattere precettivo della Costituzione, giungendo fino a sostenere che occorreva riconoscere ai valori costituzionali un carattere di vere e proprie norme giuridiche, talmente esclusivo di altri possibili significati o valori da separare del tutto il dettato delle enunciazioni testuali da quello dei valori storici, etici o politici che possono averle ispirate. Le enunciazioni di valore sarebbero così diventate per il giurista solo portatrici di una volontà normativa in nessun modo diversa da quella che ispira tutte le altre norme. Si ricorda soltanto, per comprendere meglio tale concezione, che secondo un opposto orientamento interpretativo, quello valutativo, le enunciazioni di principi giuridici presentano un’eccedenza di significato assiologico e deontologico – come Betti aveva affermato per i principi enunciati dal codice civile –, per intendere il quale sarebbe indispensabile approfondire i presupposti valutativi delle enunciazioni di principio. In un momento di crisi della nostra cultura politica e giuridica, la dottrina giuridica prevalente vide nel positivismo normativo una garanzia della effettiva vigenza dei nuovi principi democratici e sociali e prevalse allora l’affermazione di un costituzionalismo normativo privo di agganci all’opinione pubblica, alla storia e alla tradizione filosofica del Paese. Tale concezione ha condotto verso un accentuato formalismo ermeneutico che si trova a mal partito nel tentativo di difendere i contenuti valutativi della Costituzione nel momento in cui essi sono attaccati da concezioni utilitaristiche e semplicemente legate ai valori dell’espansione della concorrenza e dell’economia privata in ogni settore delle attività umane.
Il rapido succedersi di progetti di revisione costituzionale, che, nonostante il loro aspetto apparentemente tecnico e le formali assicurazioni in senso contrario, mirano in realtà ad una profonda trasformazione dei principi fondamentali della Costituzione repubblicana, offre un panorama di crisi delle istituzioni e di incertezza sui rapporti tra lo Stato e i cittadini. Il solo modo per superare tale situazione è l’apertura di un dibattito aperto a tutte le componenti della società che siano in grado di partecipare a un discorso sulla comune cultura costituzionale europea, che non può equivalere ad una rinuncia al principio democratico e all’impegno sociale dello Stato e di tutte le istituzioni pubbliche.
I temi oggetto delle proposte di riforma costituzionale meriterebbero migliore meditazione sia dal punto di vista politico e giuridico che da quello di tutta l’opinione pubblica sui punti specifici che si vorrebbero migliorare. Alla crisi dei partiti che si reggevano su credenze e valori condivisi da una larga parte dell’opinione pubblica, non si possono contrapporre dogmi o false certezze diffuse dalla comunicazione di massa o dall’obbedienza alle decisioni delle autorità europee; occorre a tal fine uno sforzo culturale che non impegni solo il Governo e la propaganda ufficiale, ma risponda alle aspettative e alla sensibilità culturale della maggioranza del popolo. I valori costituzionali non si possono creare e disfare a seconda che un certo numero di politici di professione affermino che essi rispondono ai valori costitutivi della convivenza, per la ragione che questi ultimi hanno radici nella collettività e non possono essere creati artificialmente dai mezzi di comunicazione. I continui tentativi di riscrivere alcuni articoli di una Costituzione come quella italiana, che costituisce tuttora in Europa uno dei modelli più avanzati di scrittura di un testo costituzionale, dopo le tragiche esperienze dei regimi autoritari e totalitari, testimoniano più la crisi dei partiti politici che la crisi della Repubblica e dei principi democratici e pluralistici che hanno dato vita allo Stato italiano. Oggi infatti non è l’opinione pubblica che chiede una riscrittura quasi totale della Costituzione, sul presupposto che essa confliggerebbe con le attuali esigenze di sviluppo economico e istituzionale, ma sono piuttosto i partiti politici che, in un momento di particolare smarrimento delle idee, sembrano marciare compatti verso riforme costituzionali che consentirebbero di riconquistare quella fiducia dell’elettorato che sembrano aver perduta. Si crea così l’aspettativa di riforme salvifiche che dovrebbero servire a inserire il nostro Paese nel quadro costituzionale di un’Europa unita. Quest'ultima è anch’essa alla ricerca di valori costituzionali comuni e non dovrebbe temere di farsi carico delle contraddizioni tuttora presenti in ciascun popolo, ma rivolgere maggiore attenzione alle aspettative dei cittadini europei e non avere di mira solo esigenze di organizzazione istituzionale.
Tutto si può cambiare, ma le riforme costituzionali dovrebbero avere dalla loro parte il consenso almeno di una parte rilevante della collettività, soprattutto in un momento in cui quasi tutta l’Europa è impegnata in un disegno istituzionale nuovo e pieno di rischi, che potrebbe aver gravi ripercussioni sulle istituzioni democratiche. Appare pericoloso mettere in discussione così intensamente i principi democratici e pluralisti dell’ordinamento italiano, puntando verso soluzioni verticistiche, anziché impegnarsi con tutti gli altri cittadini europei a diffondere una cultura costituzionale comune, che non dimentichi la tradizione democratica e sociale dell’Europa. Occorrerebbe dimostrare con argomenti più convincenti la necessità di allinearci ai principi costitutivi dell’Unione europea, che sono principi dinamici e non possono coincidere con la pura garanzia della crescita e del rafforzamento dei potentati economici, delle organizzazioni bancarie e dei rappresentanti dei partiti politici. L’Unione europea deve dare prova di avere un respiro più ampio delle polemiche nazionali, che sorgono tra gruppi politici che non sono in grado di sviluppare azioni adeguate alle esigenze delle diverse situazioni locali. I tentativi finora non riusciti di scrivere una Costituzione europea che testimoni il comune riconoscimento, da parte dei diversi Stati membri, di alcuni valori storici di democrazia e di progresso, sono la riprova del fondamento della continua denuncia di un deficit reale di democrazia, di una effettiva concezione comune dell’appartenenza ad una stessa comunità e nello stesso tempo riaffermano l'esigenza di maggiore rispetto per i diritti delle minoranze e per le aspettative di tutti i cittadini europei.
1 Cfr. Ridola, P., atti del seminario svoltosi l’11.7.2013 presso l’Università di Roma Tre.
2 Si segnala in particolare la pubblicazione a cura di M. Siclari degli atti del seminario svoltosi l’11.7.2013 presso l’Università di Roma Tre, concernente l’esame del disegno di legge costituzionale n. 813, nel corso del quale è stata, tra l’altro, ampiamente denunciata la semplificazione delle fasi di approvazione dei testi costituzionali, la riduzione dei tempi di definitiva approvazione ed è stato posto in dubbio il valore oppositivo e di garanzia del referendum in esso previsto.
3 Sull’importanza della diffusione della cultura al fine di una migliore educazione civica, si veda Ridola, P., nel citato convegno di Roma Tre.