VARIAZIONALI, PRINCIPÎ
. Si designano con questo nome alcune leggi fisiche, di cui sono esempî tipici il principio di Fermat in ottica (v. fermat), quello di Hamilton, quello della minima azione e altri in meccanica (v. azione minima; dinamica; hamilton, sir william rowan).
Per spiegare le loro caratteristiche fondamentali prenderemo come esempio il principio di Fermat. Esso serve a determinare la traiettoria dei raggi di luce attraverso a un qualsiasi sistema di specchi e di mezzi rifrangenti (anche con indice di rifrazione variabile con continuità, come per es., nel miraggio), e la sua formulazione precisa è la seguente: la traiettoria s di un raggio luminoso tra due punti A e B è tale che, quando essa si faccia variare infinitamente poco (mantenendo fissi A e B), non varia, a meno d'infinitesimi di ordine superiore, il tempo impiegato dalla luce a portarsi da A in B. Analiticamente ciò si esprime con la formula
dove v è la velocità della luce (funzione del posto), ds è l'elemento d'arco della traiettoria, δ è il simbolo di variazione (v. variazioni, calcolo delle), e si sottintende la condizione che i due estremi A e B non vengano variati. Ora, come insegna il calcolo delle variazioni, la (1) è la condizione necessaria (ma non sufficiente) perché l'integrale che in essa figura, e che rappresenta il tempo che impiega la luce a percorrere l'arco AB, sia massimo o minimo. Nei casi più comuni il tempo risulta effettivamente minimo, e perciò il principio di Fermat si enuncia talora dicendo che "la luce sceglie il cammino che le permette di giungere nel minimo tempo possibile". Questo enunciato, sebbene assai suggestivo, è inesatto, anzitutto perché, come si è detto, la traiettoria seguita dalla luce può anche corrispondere a un tempo massimo, o non corrispondere né ad un massimo né ad un minimo, pur soddisfacendo sempre la (1); inoltre si badi che parlando di massimi o di minimi s'intende sempre confrontare la traiettoria in questione solo con quelle immediatamente vicine ad essa (massimi e minimi relativi: v. massimi e minimi), cosicché se anche una traiettoria corrisponde, per esempio, a un tempo minimo, non è escluso che possa esservene un'altra, discosta da essa, per la quale il tempo è più breve. Chiarito così il significato del principio di Fermat, diremo che esso si può dimostrare partendo dalle note leggi della riflessione e della rifrazione; viceversa, ammesso per vero quel principio, tali leggi ne discendono come conseguenza necessaria: il gruppo di quelle leggi e il principio di Fermat sono dunque logicamente equivalenti.
Considerazioni analoghe a queste che abbiamo fatto a proposito del principio di Fermat valgono per gli altri principî variazionali. Quelli della meccanica determinano il moto di un sistema materiale, affermando che è nulla (a meno d'infinitesimi di ordine superiore) la variazione δG che subirebbe una certa grandezza G qualora al moto effettivo si sostituisse un "moto variato" infinitamente prossimo ad esso, ed eventualmente soggetto a qualche altra restrizione. Questa grandezza G può essere, analogamente a quanto accade nel principio di Fermat, un integrale esteso a tutta la durata del moto o a una sua parte qualunque: p. es., nel principio della minima azione G è l'integrale (detto appunto azione)
dove T è la forza viva (e tale integrale risulta effettivamente minimo se la sollecitazione è conservativa); nel principio di Hamilton, per sistemi conservativi, G è l'integrale
dove U è il potenziale (e tale integrale risulta minimo); e non va sottaciuto che in questi due principî sono diverse le condizioni imposte al moto variato (v. dinamica). Vi è poi un'altra categoria di principî variazionali in cui G è una quantità relativa non a un qualunque intervallo finito di tempo ma a un intervallo infinitesimo o a un istante qualunque del movimento: tali sono il principio della minima costrizione del Gauss (v. dinamica, n. 21) e il principio della direttissima del Hertz (v. hertz). Tutti i principî variazionali della meccanica non contengono nulla di più delle equazioni differenziali della dinamica, da cui si possono ricavare con procedimento puramente matematico.
Oltre che nell'ottica e nella meccanica anche in altri campi della fisica le leggi fondamentali si possono esprimere sotto forma di principî variazionali. Così le equazioni di Maxwell per il campo elettromagnetico si possono dedurre da un principio analogo a quello di Hamilton. Nello schema della relatività generale è poi possibile condensare in un unico principio hamiltoniano le equazioni del campo elettromagnetico, quelle della dinamica del punto e quelle del campo gravitazionale (v. per es.: H. Weil, Temps, espace, natière, Parigi 1922).
Ai principî variazionali fu talvolta attribuito un significato metafisico, considerandoli come espressioni di una specie di "tendenza all'economia" manifestata dalla natura (economia di tempo in ottica, d'azione in meccanica, ecc.). Prescindendo però da tali interpretazioni teleologiche non sempre sostenibili, e che ad ogni modo esulano dal dominio della fisica, grandissima rimane l'importanza speculativa dei principî variazionali, i quali, per il loro carattere estremamente compendioso e maneggevole, sono strumenti preziosi nello studio delle leggi fisiche da un punto di vista generale; invece, nella risoluzione di problemi particolari generalmente conviene prendere le mosse piuttosto dalle equivalenti equazioni differenziali.