sussidiarieta, principio di
sussidiarietà, principio di Nel caso di s. orizzontale, principio in base al quale la responsabilità del benessere dei cittadini è demandata ai gruppi sociali (famiglia, comunità locali ecc.), coadiuvati dal ruolo integrativo dello Stato, il cui compito è quello di creare le condizioni per una diffusa responsabilizzazione individuale e collettiva. Nel caso di s. verticale, si indica il criterio di distribuzione delle competenze tra Stato e autonomie locali, ricorrendo, finché possibile, al livello più vicino al contribuente, compatibilmente con gli obiettivi da raggiungere. Questo è il significato che la s. ha in seno all’Unione Europea, dove alcuni compiti di complessa attuazione sono affidati a organismi sovranazionali in ragione di una maggiore efficacia realizzativa rispetto agli Stati membri. Gli elementi fondamentali relativi alla nozione e all’applicazione del principio di s. in Europa sono stati stabiliti con il Consiglio europeo di Edimburgo (dicembre 1992); il principio è stato introdotto nei Trattati di Maastricht (1992) e di Lisbona (2007).
Nell’ordinamento italiano la s. è stata inizialmente recepita dalle l. 59/1997 (legge Bassanini) e 265/1999 (confluita nella l. 267/2000/TUEL), per poi divenire principio costituzionale in seguito alla riforma del titolo V, parte II, Cost., attraverso la l. cost. 3/2001.
Nell’ambito della suddivisione delle competenze tra Stati e Unione Europea, il principio di s. è il criterio generale, già enunciato nel 1975 dal rapporto Tindemans, che privilegia l’attribuzione di una competenza all’ente più vicino al territorio o a una comunità, imponendo all’organo sovraordinato di astenersi dall’azione qualora non strettamente necessario. Si è progressivamente affermato come uno dei cardini del sistema giuridico comunitario. Le competenze sono così distinte in: esclusive dell’Unione, esclusive degli Stati, concorrenti (➔ Unione Europea p).
Il Trattato di Maastricht (➔) ha esplicitamente introdotto il principio di s. affinché fungesse da contrappeso alle più estese competenze della UE. Tale principio, che già nella formulazione di Maastricht svolgeva una funzione articolata di regolazione delle competenze europee e di salvaguardia di quelle statali, riveste dunque un ruolo importante nel regolare i rapporti tra l’Unione Europea e gli Stati membri. Vi sono settori nei quali vi è un’esplicita ripartizione, definita dai trattati, delle competenze tra strutture comunitarie e Paesi membri: in tal caso il principio interviene garantendo il rispetto delle specifiche attribuzioni. Sussistono poi settori in cui i trattati non assegnano alcuna competenza dichiarata esplicita e in questo caso il principio di s. interviene negando funzioni aggiuntive in capo agli organi comunitari. Nei settori che non ricadono nel suo ambito esclusivo, l’Unione Europea interviene solamente nel caso in cui la sua azione venga riconosciuta come più efficace di quella condotta a livello nazionale.
Il Trattato (➔ Trattato di Lisbona che modifica il Trattato sull’Unione Europea e il Trattato che istituisce la Comunità Europea), al quale è allegato il Protocollo sull’applicazione dei principi di s. e di proporzionalità, ha esplicitato, in particolare, i principi guida ai quali attenersi nel valutare gli interventi della UE in materie a essa non esplicitamente attribuite: presenza di aspetti transnazionali inidonei a essere disciplinati validamente dagli Stati membri; conflitto tra le azioni dei soli Stati e le prescrizioni del Trattato o pregiudizio rilevante per i loro interessi; vantaggi evidenti che l’azione portata avanti a livello comunitario andrebbe a produrre rispetto a quella dei Paesi membri, per es. per la presenza di esternalità (➔) cross-border.
Il Trattato ha introdotto anche una ‘clausola di flessibilità’, in base alla quale, in tutti i casi in cui un trattato attribuisca un obiettivo all’Unione senza prevedere le azioni necessarie a conseguirlo, questa potrà egualmente adottare le misure necessarie. In tal modo, si riconosce al principio di s. un carattere dinamico, riprendendo quanto già affermato nel Consiglio europeo di Edimburgo del 1992. Rimane esclusa dall’adozione di questa clausola la Politica Estera e di Sicurezza Comune (PESC). Va tenuto presente che, nell’applicazione del principio di s., anche nella sua ultima formulazione, è necessario fare riferimento a un altro principio dell’azione comunitaria, quello di proporzionalità, che regola l’esercizio delle competenze da parte della UE, inquadrando le azioni delle varie istituzioni entro limiti precisi e al solo scopo di raggiungere gli obiettivi fissati dai trattati: contenuto e forma dell’azione devono quindi essere in rapporto con la finalità perseguita.
Il Trattato ha cercato inoltre di attuare una migliore regolazione dei rapporti tra Unione Europea e Parlamenti nazionali. Viene infatti assegnata a questi ultimi la facoltà di manifestare dissenso verso ogni proposta comunitaria giudicata non conforme al principio di sussidiarietà. Nel caso in cui un terzo dei parlamentari di uno Stato si esprima in tal senso, cade in capo alla Commissione l’onere di riesaminare la proposta e decidere nel senso del ritiro, della modifica o del mantenimento. In quest’ultima situazione, viene attivata una procedura aggiuntiva, che obbliga la Commissione a presentare le motivazioni della sua scelta, attribuendo al Parlamento e al Consiglio la facoltà di decidere se portare avanti il processo legislativo.