principio
Dal lat. principium, der. di princeps -cipis nel significato di «primo». L’uso filosofico di questo termine risale ai primordi della tradizione filosofica occidentale. La scuola ionica designa infatti con il nome di ἀρχή («principio, inizio») la sostanza primordiale da cui deriverebbero tutte le cose. Oltre a tale originario significato temporale, il termine ἀρχή viene peraltro insieme ad assumere, con Platone e Aristotele, il significato più generale di «fondamento» o «ragion d’essere» (➔ archè). Così per Aristotele ἀρχαί («principi») sono sia i momenti metafisici determinanti l’essere e il divenire delle cose (la potenza e l’atto, costituenti il sinolo), sia i fondamenti indimostrati che è necessario postulare all’inizio di ogni dimostrazione, dovendo la deduzione avere un principio. ᾿Αρχαὶ τῆς ἀποδείξεως («principi dell’apodissi») sono quindi le premesse di un’argomentazione dimostrativa; ma lo stesso nome hanno, in altro senso, i p. che governano la conoscenza discorsiva, i cosiddetti p. logici, riassunti essenzialmente da Aristotele nella ἀρχή τῆς ἀντιφάσεως o «principio di contraddizione» (➔ contraddizione, principio di; identità, principio di). D’altra parte, con l’espressione petizione di p. (che traduce la locuz. lat. petitio principii, in cui il petere principium corrisponde all’aristotelico αἰτεῖσϑαι τὸ ἐν ἀρχῇ), Aristotele designa il sofisma consistente nel presupporre implicitamente dimostrata la tesi che si intende di dimostrare (De sophisticis elenchis, 13), come avviene nel caso del ‘circolo vizioso’, in cui si dimostra una tesi deducendola da un’altra, che può a sua volta essere dimostrata solo per deduzione dalla prima. Interpretando in senso forte il significato metafisico del termine, la tradizione platonica identificherà il p. con il «Primo», e quindi con l’Assoluto, l’Uno da cui tutte le cose derivano. Nella tradizione medievale, l’aristotelico p. di contraddizione si moltiplica in più aspetti, da un lato, collegandosi con il principium identitatis et contradictionis (che nel suo motivo originario rispondeva invece a una diversa posizione del problema, e, dall’altro, distinguendosi dal principium exclusi tertii (➔ terzo escluso, principio del). Distinto dallo scolastico principium identitatis et contradictionis è invece il particolare principium identitatis indiscernibilium, il quale, basandosi sul concetto dell’impossibilità dell’esistenza di più realtà individuali assolutamente eguali tra loro (perché in tal caso esse sarebbero una sola realtà), considera l’asserzione dell’identità come derivata da una semplice incapacità di distinzione delle diversità degli oggetti definiti identici. Principio che, già affermato da alcuni pensatori antichi e più volte richiamato nel Medioevo, sarà sottoposto a severa critica da Kant. In età moderna, la nozione di p. assume particolare rilievo negli scritti di Leibniz, il quale pone alla base della propria monadologia, assieme al p. di contraddizione, quello di «ragion sufficiente» (➔ ragion sufficiente, principio di), e a questi aggiunge anche il p. di perfezione o «della convenienza» (➔ convenienza, principio della). Ridimensionato da Kant, che gli assegna una funzione unicamente regolativa, il concetto di p. viene dapprima rivalutato dall’idealismo postkantiano, quindi rielaborato criticamente da Hegel; va ricordata in partic. la reinterpretazione dialettica cui il filosofo di Stoccarda sottopone i p. menzionati nella Scienza della logica (1812-16; Dottrina dell’essenza), dove vengono riassorbiti nella deduzione dei concetti di identità, distinzione, fondamento. In seguito, criticata sempre più l’idea della validità e dell’utilità dell’antico metodo apodittico, il termine p. torna ad assumere un significato più generico, di motivo fondamentale e intrinseco, o di presupposto generale, di un dato problema o sistema filosofico o scientifico. Dev’essere infine ricordata la revisione critica dei p. logici che è stata svolta nell’ambito degli studi di metamatematica da parte dei sostenitori dell’intuizionismo (➔), e che ha portato a negare la validità universale del p. del terzo escluso.