priscillianesimo
Dottrina di tipo agnostico-manicheo, antitrinitaria, che fa capo a Priscilliano. Nato in Spagna il p. si estese anche in Gallia, ma qui l’episcopato reagì violentemente; quindi i priscillianisti, già condannati al Concilio di Saragozza (380), si spostarono in Italia: male accolti da papa Damaso e da s. Ambrogio, poterono far ritorno alle loro sedi per l’appoggio del potere civile. Dopo il colpo di Stato che diede il potere delle Gallie a Massimo, questi ordinò che i priscillianisti fossero sottoposti al giudizio di un concilio, che si svolse a Bordeaux. Priscilliano presentò allora ricorso al tribunale civile dell’imperatore: ma il processo tenutosi a Treviri (385) si concluse con la condanna a morte di sette priscillianisti (Priscilliano, Felicissimo, Armenio, Latroniano, Eucrozia, Asarivo, Aurelio), che furono decapitati. Il fatto destò grande scalpore e scandalo in tutta la cristianità e una decisa reazione degli stessi s. Martino di Tours e s. Ambrogio, e giovò indubbiamente alla diffusione, in Spagna e nella Gallia meridionale, del movimento che, favorito anche dall’invasione vandalica, sopravvisse fino al sec. 6° (sinodo di Braga del 563).