Abstract
La voce analizza la disciplina di diritto internazionale privato e processuale delle procedure di insolvenza, focalizzando l’attenzione sul regolamento (UE) 2015/848 del 20.5.2015 e sulla giurisprudenza della Corte di giustizia che si è formata in relazione al precedente regolamento (CE) n. 1346/2000 del 29.5.2000.
Le procedure di insolvenza presentano caratteri di internazionalità quando l’attività del debitore si estende oltre i confini di un singolo Stato e, di conseguenza, la massa attiva e passiva è dislocata in più Stati.
Procedure del genere pongono problemi di diritto internazionale privato riguardanti la giurisdizione sulla domanda di apertura della procedura e sulle cd. azioni ancillari (ossia, le azioni derivanti dalla – e strettamente connesse alla – procedura), il diritto applicabile alla procedura e ai relativi effetti, l’efficacia transfrontaliera delle decisioni rese nell’ambito della procedura.
La circostanza che l’attività di impresa sia dislocata in più Stati rende probabile l’apertura di molteplici procedure nei riguardi del medesimo debitore. In particolare, taluni Stati ritengono, da un lato, di poter aprire una procedura di insolvenza e, dall’altro, di non essere ostacolati al riguardo dall’avvio all’estero di una procedura nei confronti del medesimo debitore. Ciò può compromettere l’unitarietà e la coerenza nella gestione dell’insolvenza.
Tale scenario discende essenzialmente dalla coesistenza di ordinamenti ispirati al principio dell’universalità e ordinamenti ispirati al principio della territorialità. L’universalità impone l’estensione degli effetti della procedura a tutti beni del debitore, ovunque localizzati, e a tutti i rapporti di cui egli è parte, così postulando l’unità e l’esclusività della procedura sull’intero patrimonio del debitore. Il principio di territorialità impone, al contrario, che gli effetti della procedura siano circoscritti al territorio dello Stato in cui essa è aperta e ai beni che si trovano in tale Stato.
La United Nations Commission on International Trade Law (UNCITRAL) ha tentato di armonizzare le normative nazionali a livello universale e coordinare i riferiti principi attraverso la Model Law on Cross-Border Insolvency del 1997. Questa funge da modello che gli Stati membri dell’ONU possono seguire al momento di formulare la disciplina nazionale in tema di insolvenza transfrontaliera e si occupa essenzialmente del riconoscimento di procedure aperte all’estero, nonché della cooperazione tra gli amministratori delle procedure. Il modello UNCITRAL si ispira alla cd. universalità attenuata (o limitata), in base alla quale una procedura a carattere universale può coesistere con una procedura a carattere territoriale aperta in un altro Stato.
L’Italia non rientra tra i Paesi che hanno seguito il modello UNCITRAL. Senonché, in attuazione della delega legislativa prevista dalla l. 19.10.2017, n. 155 per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza, il Governo italiano dovrà tenerne conto.
Se il debitore ha il centro degli interessi principali (“COMI”) in uno Stato membro dell’Unione europea, i menzionati problemi di diritto internazionale privato sono risolti dal reg. (UE) 2015/848 del 20.5.2015 sulle procedure di insolvenza.
Il reg. (UE) 2015/848, applicabile dal 26.6.2017, ha sostituito il reg. (CE) n. 1346/2000 del 29.5.2000, a sua volta riproduttivo, con adeguamenti, dei contenuti della Convenzione di Bruxelles del 23 novembre 1995 relativa alle procedure di insolvenza, mai entrata in vigore.
Il reg. (UE) 2015/848 si applica in tutti gli Stati membri, eccetto la Danimarca. Una volta completato il processo della Brexit, ne resterà fuori anche il Regno Unito.
Esso non si applica alle imprese assicuratrici, agli enti creditizi, alle imprese d’investimento che forniscono servizi di detenzione di fondi o di valori mobiliari di terzi e agli organismi di investimento collettivo. La crisi transfrontaliera di tali enti è perlopiù regolata da direttive settoriali e dalle relative disposizioni nazionali di attuazione.
Il reg. (UE) 2015/848 predispone nell’Allegato A un elenco tassativo delle procedure nazionali che rientrano nel suo ambito di applicazione. Le procedure italiane incluse nell’Allegato A sono: il fallimento, il concordato preventivo, la liquidazione coatta amministrativa, l’amministrazione straordinaria, gli accordi di ristrutturazione, le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento del consumatore (accordo o piano) e la liquidazione dei beni.
A differenza del reg. (CE) n. 1346/2000, il reg. (UE) 2015/848 accoglie anche procedure che non implicano necessariamente lo spossessamento del debitore e la nomina di un liquidatore (ad es., le procedure ibride, gli accordi di ristrutturazione e le procedure provvisorie che anticipano l’insolvenza).
In ogni caso, esso copre le sole “procedure pubbliche”, restandone escluse, ad esempio, le ristrutturazioni attuate in via confidenziale.
Il regime “comunitario” consente di aprire nei confronti del medesimo debitore una procedura principale di insolvenza, la quale produce effetti in tutto il territorio dell’Unione, e un numero indefinito di procedure secondarie, le quali producono effetti nel solo territorio dello Stato di apertura.
La procedura principale spetta allo Stato membro del COMI, mentre le procedure secondarie sono suscettibili di apertura negli Stati membri, diversi dal primo, in cui il debitore possiede una dipendenza.
Il COMI funge, pertanto, sia da criterio applicativo del regolamento sia da titolo di giurisdizione per l’apertura della procedura principale di insolvenza. Esso è definito come «il luogo in cui il debitore esercita la gestione dei suoi interessi in modo abituale e riconoscibile dai terzi» (art. 3, par. 1).
Con riguardo alle società (e alle persone giuridiche in generale), l’art. 3 prevede una presunzione secondo cui il COMI coincide con la sede statutaria, con la precisazione (già acquisita in via giurisprudenziale: C. giust., 20.10.2011, C-396/09, Interedil) che «tale presunzione dovrebbe poter essere respinta se l’amministrazione centrale della società è situata in uno Stato membro diverso da quello della sede legale e una valutazione globale di tutti gli elementi rilevanti consente di stabilire che, in maniera riconoscibile dai terzi, il centro effettivo di direzione e di controllo della società stessa, nonché della gestione dei suoi interessi, sono situati in tale altro Stato membro» (v. considerando n. 30). In caso di debitore-persona fisica imprenditore o professionista, il COMI coincide, fino a prova contraria, con la sede principale di attività, mentre negli altri casi si tiene conto della residenza abituale (art. 3, par. 1, co. 3 e 4).
Il COMI ha carattere mobile, risentendo delle scelte compiute dall’imprenditore circa il luogo in cui esercitare (ovvero organizzare) la propria attività.
Tali scelte non incidono sugli interessi tutelati dal reg. (UE) 2015/848 finché non vanno a detrimento dei creditori e dei terzi: finché, in altri termini, esse non sfociano in un forum shopping «fraudolento e pretestuoso» (v. considerando n. 29). Al fine di arginare questo fenomeno, l’art. 3 prevede che le riferite presunzioni operano a condizione che la sede statutaria, la sede principale o la residenza abituale non siano spostate in un determinato arco temporale (tre mesi in caso di sede statutaria o principale, sei mesi in caso di residenza abituale) precedente la domanda di apertura.
La procedura secondaria è aperta nello Stato membro in cui il debitore ha una «dipendenza», definita dall’art. 2, n. 10, come «qualsiasi luogo di operazioni in cui un debitore esercita o ha esercitato nel periodo di tre mesi anteriori alla richiesta di apertura della procedura principale d’insolvenza, in maniera non transitoria, un’attività economica con mezzi umani e con beni».
Analogamente al COMI, il criterio della dipendenza opera in base a criteri oggettivi, suscettibili di accertamento da parte dei terzi, affinché la determinazione della giurisdizione sia conforme ai principi di prevedibilità e di certezza giuridica anche in caso di procedure secondarie.
La procedura secondaria può essere aperta anche prima di quella principale (quando una procedura principale non può essere aperta (art. 3, par. 4, lett. a), oppure l’apertura è domandata da un’autorità pubblica legittimata dalla legge dello Stato della dipendenza o da un creditore con «sede» in tale Stato membro ovvero il cui credito deriva dall’esercizio di attività riferibili alla dipendenza (art. 3, par. 4, lett. b). In tal caso, essa è comunemente denominata «procedura territoriale».
La procedura secondaria svolge la duplice funzione di sostenere la procedura principale e proteggere i creditori «locali» (vale a dire, i creditori «i cui crediti nei confronti [del] debitore derivano o sono legati all’attività [della] dipendenza»: art. 2, n. 11). Pertanto, l’amministratore della procedura principale può domandare ai giudici investiti della domanda di apertura di una procedura secondaria di rifiutarne l’apertura se la procedura collide con le esigenze della procedura principale e non è necessaria per tutelare i creditori locali (art. 38, par. 2).
A garanzia dei creditori locali, l’amministratore della procedura principale può assumere l’impegno di trattarli nella procedura principale come se la procedura secondaria fosse aperta (art. 36). In particolare, l’impegno fa sì che i diritti di ripartizione e le prelazioni che la legge della dipendenza attribuisce ai creditori locali siano rispettati nella procedura principale come se la procedura secondaria fosse aperta (si parla di “procedura secondaria virtuale o sintetica”).
Va da sé che lo stesso amministratore può domandare l’avvio di una procedura secondaria se ciò reca vantaggio alla procedura principale. Peraltro, l’amministratore può avvalersi anche di procedure non liquidatorie.
Sulla scia della giurisprudenza della Corte di giustizia (ben consolidata da C. giust., 22.2.1979, C-133/78, Gourdain, fino a 20.12.2017, C-649/16, Peter Valach), il reg. (UE) 2015/848 prevede che la giurisdizione dello Stato membro in cui la procedura è aperta si estenda in vis attractiva sulle «azioni che derivano direttamente dalla procedura e che vi si inseriscono strettamente» (art. 6, par. 1): si tratta delle menzionate “azioni ancillari”, tra le quali spicca la revocatoria.
Il doppio criterio della «derivazione/connessione» rispetto alla procedura porta a individuare le azioni ancillari nelle sole azioni fondate sulla normativa “fallimentare” che siano strumentali alla procedura.
La previsione della vis attractiva realizza due obiettivi. Il primo è rafforzare l’efficienza della procedura attraverso la concentrazione delle azioni ancillari nello Stato membro della procedura. Il secondo è evitare vuoti normativi nel campo della giurisdizione sul complesso delle azioni in «materia civile, commerciale e fallimentare» (v. tra altre, C. giust, 4.12.2014, C-295/13, H): il reg. (UE) 2015/848, infatti, interviene nello spazio lasciato libero dal reg. (UE) n. 1215/2012 concernente la giurisdizione e l’efficacia delle decisioni in materia civile e commerciale, il quale non si applica alla materia dell’insolvenza (art. 1, par. 2, lett. b).
Poiché, tuttavia, il reg. (UE) n. 1215/2012 copre l’intera materia civile e commerciale, salvo eccezioni, e il reg. (UE) 2015/848 disciplina, appunto, una di queste eccezioni, occorre interpretare in modo estensivo l’ambito del primo regolamento e in modo restrittivo l’ambito del secondo (v. C. giust., 10.9.2009, C-292/08, German Graphics).
Infine, la Corte di giustizia ha riconosciuto alla vis attractiva una portata universale affinché i giudici dello Stato della procedura possano decidere anche sulle cause promosse nei riguardi di soggetti domiciliati in Stati terzi rispetto all’Unione (C. giust., 16.1.2014, C-328/12, Ralph Schmid). A sostegno di tale orientamento, la Corte sottolinea, per un verso, che il regolamento non si occupa di situazioni transfrontaliere limitate al territorio degli Stati membri, e, per l’altro, che il funzionamento della giurisdizione non può oscillare – se non a discapito della prevedibilità e dell’applicazione uniforme – a seconda che il convenuto sia domiciliato dentro o fuori il territorio dell’Unione europea.
Al fine di evitare la dispersione di cause in materia civile e commerciale connesse a un’azione ancillare (si pensi all’azione di responsabilità fondata sul diritto “fallimentare” connessa a una azione di responsabilità extracontrattuale di diritto comune promossa nei confronti del medesimo convenuto), l’art. 6, par. 2 del reg. (UE) 2015/848 conferisce all’amministratore della procedura (o, se del caso, al debitore) la facoltà di chiederne la riunione dinanzi ai giudici dello Stato membro in cui il convenuto è domiciliato, o, qualora le azioni riguardino più convenuti, dinanzi ai giudici del domicilio di uno fra essi, purché tali giudici siano competenti in base al reg. (UE) n. 1215/2012.
Con riguardo alla legge applicabile alla procedura e ai relativi effetti, è regola comune agli ordinamenti statali richiamare la lex concursus, vale a dire la legge “fallimentare” dello Stato in cui la procedura è aperta. Tale regola è accolta anche dal reg. (UE) 2015/848 senza distinzione tra procedura principale e procedura secondaria (artt. 7 e 35).
L’ambito di applicazione della lex concursus è delineato dall’art. 7, il quale elenca non tassativamente le materie che vi rientrano (ad es., la misura dello spossessamento dei beni e la sorte dei beni acquisiti dopo l’apertura della procedura; i poteri dell’amministratore della procedura; i poteri residuali del debitore; gli effetti dell’apertura sulle azioni individuali dei creditori; gli effetti della chiusura della procedura).
Il regolamento prevede tuttavia varie eccezioni al richiamo della lex concursus. In generale, esso predispone tecniche distinte (previsione di norme di conflitto speciali, rinvio al diritto internazionale privato del foro e introduzione di norme materiali uniformi) per conseguire l’obiettivo di proteggere l’affidamento di terzi e creditori circa la certezza di situazioni giuridiche sorte in base alla legge di uno Stato diverso da quello della procedura.
Un esempio di coordinamento tra la lex concursus e la legge di altri Stati è fornito dalla disciplina degli atti pregiudizievoli per la massa dei creditori.
Di regola, nullità, annullamento e inopponibilità degli atti pregiudizievoli sono rimessi alla lex concursus (art. 7, par. 2, lett. m). L’applicazione di tale legge è spiegabile alla luce del nesso di strumentalità che lega le azioni di nullità, annullamento e inopponibilità con le esigenze della procedura, in particolare con l’esigenza di recuperare beni o capitali del debitore da destinare al pagamento dei creditori o al risanamento dell’impresa. La lex concursus disciplina anche i casi di nullità o inopponibilità ope legis.
La lex concursus si può ritrarre in due ipotesi.
La prima riguarda i pagamenti e le transazioni effettuati in un sistema di pagamento o in un mercato finanziario: il regolamento richiama la legge regolatrice del sistema o del mercato (art. 12, par. 2).
La seconda, di portata più ampia, è disciplinata dall’art. 16, secondo il quale la lex concursus non è applicabile alla nullità, all’annullamento e all’opponibilità degli atti pregiudizievoli per la massa dei creditori qualora il terzo beneficiario dimostri che l’atto è sottoposto alla legge di uno Stato membro diverso da quello di apertura e tale legge non consente, nella fattispecie, di impugnare l’atto.
L’art. 16 mira a tutelare l’affidamento di terzi e creditori nei termini indicati in precedenza, ma opera a condizione che l’atto sia stato compiuto prima dell’apertura della procedura. L’art. 16 non fa distinzione a seconda che la legge sia scelta dalle parti o individuata in base a criteri oggettivi, ovvero che l’atto pregiudizievole abbia natura contrattuale o meno.
La decisione di apertura è riconosciuta in tutti gli altri Stati membri destinatari del regolamento non appena produce effetti nello Stato della procedura.
Il combinato disposto degli artt. 19 e 20 reg. (UE) 2015/848 accoglie il principio del riconoscimento automatico delle decisioni, il quale è espressione, a sua volta, della fiducia reciproca tra i giudici dei vari Stati membri.
Il riconoscimento automatico riguarda la decisione di apertura della procedura, ma è esteso, ai sensi dell’art. 32, anche alle decisioni relative allo svolgimento e alla chiusura della procedura (compreso il concordato), alle decisioni che derivano direttamente dalla – o sono strettamente connesse alla – procedura, nonché ai provvedimenti conservativi emanati in relazione alla domanda di apertura.
Quanto all’efficacia esecutiva, il regolamento rinvia alle pertinenti disposizioni del reg. (UE) n. 1215/2012 ad eccezione delle cause ostative al riconoscimento. Il rinvio al reg. (UE) n. 1215/2012 fa sì che l’esecuzione delle decisioni “fallimentari” abbia luogo all’estero automaticamente.
Il riconoscimento della procedura o l’esecuzione di una decisione possono essere rifiutati se contrastano con l’ordine pubblico dello Stato richiesto, in specie con i suoi principi fondamentali, i diritti e le libertà personali previsti dalla Costituzione (art. 33). L’ordine pubblico opera in via eccezionale perché esso impedisce la circolazione delle decisioni in deroga ai principi del riconoscimento automatico e della mutua fiducia.
La decisione di apertura della procedura principale produce gli effetti previsti dalla lex concursus fintantoché in un altro Stato membro non sia aperta una procedura secondaria.
Gli effetti della procedura sulle azioni individuali dei creditori sono determinati dalla lex concursus, salvo che per i giudizi pendenti – inclusi gli arbitrati – ai quali si applica la legge dello Stato in cui il processo pende (artt. 7, par. 2, lett. f, e 18).
Il richiamo della lex concursus invero riguarda tutte le azioni esecutive dei creditori, a prescindere dal momento in cui esse sono promosse (se prima o dopo l’apertura della procedura). In correlazione, il concetto di «processo pendente» di cui all’art. 18 non include le procedure di esecuzione forzata (C. giust., 9.11.2016, C-212/15, ENEFI).
Quanto al processo di cognizione, gli effetti della procedura di insolvenza sono determinati dalla lex concursus, se il processo è avviato dopo l’apertura, o dalla lex fori, nel caso opposto. Naturalmente, se il processo è pendente nello Stato in cui è aperta la procedura di insolvenza, lex fori e lex concursus coincideranno.
Sulla base del riconoscimento automatico, l’amministratore della procedura principale può «esercitare in uno Stato membro tutti i poteri che gli sono attribuiti dalla legge dello Stato di apertura» (art. 21). In tal modo, l’amministratore può utilizzare i beni del debitore situati all’estero e gli strumenti giuridici offerti da leggi straniere per gestire al meglio l’insolvenza.
Si pensi, ad esempio, al potere di agire in via possessoria sulla base della decisione di apertura; alla conclusione di atti a contenuto patrimoniale nell’interesse del debitore e, più in generale, agli atti di amministrazione della massa; o, ancora, alle misure conservative volte a impedire che i beni siano sottratti alla massa.
Tali poteri sono liberamente esercitabili finché nello Stato membro non sia aperta una procedura di insolvenza.
L’amministratore della procedura secondaria «può, in ogni altro Stato membro, far valere in via giudiziaria o in via stragiudiziaria che un bene mobile è stato trasferito dal territorio dello Stato di apertura nel territorio di tale altro Stato membro dopo l’apertura della procedura [e può] esercitare ogni azione revocatoria che sia nell’interesse dei creditori» (art. 21, par. 2).
Una volta aperta la procedura secondaria, gli amministratori e i giudici coinvolti sono tenuti a collaborare e a comunicare tra loro.
I primi sono legittimati a concludere accordi o protocolli finalizzati allo scambio di informazioni (per es., sullo stato della verifica e della insinuazione dei crediti), al coordinamento o all’attuazione di un piano di ristrutturazione, nonché alla gestione del realizzo e alla destinazione dei beni/affari del debitore (art. 41).
I giudici possono scambiarsi informazioni e assistersi reciprocamente (art. 42). Possono designare un apposito organismo a questi fini. La cooperazione riguarda, in particolare, la nomina degli amministratori, la gestione e la sorveglianza dei beni/affari del debitore, la definizione del calendario delle audizioni e l’approvazione dei protocolli conclusi tra gli amministratori.
Amministratori e giudici cooperano tra loro con le stesse modalità.
Il reg. (UE) 2015/848 prevede alcune disposizioni in materia di “insolvenza di gruppo” (capo V), così colmando, sotto certi aspetti, una lacuna del reg. (CE) n. 1346/2000. Il vecchio regolamento ometteva regole sui gruppi in ossequio al principio di autonomia giuridica delle società infra-gruppo, il quale conduce ad aprire tante procedure di insolvenza per quante sono le società, a prescindere dalla rispettiva collocazione all’interno del gruppo.
Senonché, l’unitarietà del fenomeno del gruppo sotto il profilo economico ha indotto il legislatore dell’Unione a un ripensamento allo scopo di facilitare la gestione delle procedure e la cooperazione tra amministratori e giudici preposti alle singole procedure aperte nei confronti delle società infra-gruppo.
Il reg. (UE) 2015/848 prevede espressamente che, quando le società sono molto integrate tra loro, è possibile individuare un COMI ad esse comune, così da aprire le procedure principali in un solo Stato. Parallelamente, esso reca un’articolata disciplina sulla cooperazione, sulla comunicazione e sul coordinamento, qualora più procedure siano aperte (o ne sia domandata l’apertura) in diversi Stati membri.
L’apertura di più procedure impone di cooperare sulla falsariga del regime applicabile quando più procedure sono aperte nei confronti del medesimo debitore (artt. 56-59).
In particolare, gli amministratori possono concludere accordi per gestire e condividere i piani di salvataggio e/o di riorganizzazione purché ciò faciliti la gestione delle procedure e non comporti un conflitto di interessi (art. 56). A tal proposito, essi possono: a) scambiarsi informazioni; b) coordinare la gestione e la sorveglianza degli affari di ciascuna società; c) verificare congiuntamente la possibilità di una ristrutturazione ed eventualmente coordinare una proposta e un piano di ristrutturazione.
L’amministratore di una procedura può esercitare taluni poteri all’interno delle altre procedure (art. 60), a cominciare dalla richiesta di essere sentito.
Il regolamento consente, poi, di collegare le varie procedure infra-gruppo attraverso una «procedura di coordinamento» (artt. 61-77).
Si tratta di un mezzo per rendere più efficiente la gestione delle procedure di insolvenza soprattutto nei casi di ristrutturazione del gruppo ed è suscettibile di apertura soltanto se ha «un impatto generalmente positivo sui creditori» (considerando 57). L’avvio della procedura di coordinamento è richiesto da uno degli amministratori a uno dei giudici che gestiscono le procedure di insolvenza avviate nei confronti delle singole società (art. 61).
Il coordinamento non comporta la riunificazione delle varie procedure di insolvenza. Il regolamento non prevede casi di consolidation tra le procedure: per evitare equivoci si è voluto distinguere tra «procedura di insolvenza» e «procedura di coordinamento», precisando che il «coordinamento» dovrebbe assicurare «l’efficienza ..., rispettando nel contempo la distinta personalità giuridica di ciascuna società del gruppo» (considerando 54).
Naturalmente, una riunificazione potrebbe avere luogo in base al diritto nazionale quando il COMI delle varie società si trova nel medesimo Stato e la lex concursus consente l’apertura di una sola procedura nei loro riguardi.
Il coordinamento opera su base volontaria, tant’è che un amministratore potrebbe opporsi all’ingresso nella procedura (art. 64), senza perciò precludersi la possibilità di accedervi successivamente (art. 69).
La decisione di apertura della procedura di coordinamento reca la nomina del coordinatore, precisa le linee generali del coordinamento e fissa la stima dei costi complessivi, nonché le quote a carico di ciascuna società (art. 68).
Quanto al coordinatore, egli è scelto tra le persone abilitate a svolgere le funzioni di amministratore delle procedure di insolvenza secondo la legislazione di uno Stato membro (non necessariamente quello di apertura di una delle procedure). Per contenere il rischio di conflitti di interessi, il coordinatore non va scelto tra gli amministratori nominati nelle singole procedure.
Il coordinatore è rimosso dalle sue funzioni se agisce a detrimento dei creditori di una società oppure in violazione del regolamento.
Fonti normative
Reg. (CE) n. 1346/2000 del 29.5.2000; reg. (UE) 2015/848 del 20.5.2015.
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Attribuzione: Sailko [CC BY 3.0 (https://creativecommons.org/licenses/by/3.0)]