Propaganda
di Jacques Ellul
Propaganda
sommario: 1. Introduzione. a) La propaganda come oggetto di studio. b) Caratteri della propaganda moderna. c) Tipologia della propaganda. d) Disinteresse della ricerca per la propaganda. 2. Recenti trasformazioni della propaganda. 3. Fattori della nuova propaganda. 4. Tre nuove caratteristiche della propaganda. □ Bibliografia.
1. Introduzione
a) La propaganda come oggetto di studio
La propaganda è una realtà estremamente mutevole, difficile da studiare. Nei suoi tipi, metodi, mezzi e forme si rileva una notevole variabilità e quel che si può dire riguardo a una determinata tecnica non è più valido a distanza di soli dieci anni. Ciò deriva dalla precarietà degli effetti; quando una tecnica ha ottenuto un certo numero di risultati, viene ovviamente sottoposta a un'analisi critica che la rende progressivamente inefficace: infatti, nel momento in cui la si può spiegare, si mettono anche in guardia quanti la subiscono. D'altra parte appare sempre più evidente che la propaganda è legata all'ambiente e alle circostanze in cui la si usa: essa dev'essere adattata all'attualità. Inoltre, una propaganda di un certo tipo può attagliarsi a un regime autoritario, che non ha un'opposizione politica, mentre in un'altra situazione, occorrerà adottarne una di tipo diverso. Questo fatto non implica assolutamente che essa abbia un carattere aleatorio e incerto, ma è invece in connessione con il suo carattere tecnico. Il primo passo consiste nell'analizzare l'ambiente per sapere quale tipo di propaganda gli si adatti meglio. Se la propaganda dei nostri giorni è molto diversa da quella di trent'anni fa, è perché gli ambienti che essa deve raggiungere non sono gli stessi e perché le strutture delle società in cui agisce sono cambiate.
Un'altra difficoltà deriva dall'incertezza dei risultati: non si sa mai, da un punto di vista scientifico, se una propaganda sia efficace o no. Tutti i sistemi adottati dalla sociologia classica per ottenere misure di efficacia sono fondamentalmente inadeguati, in quanto si riferiscono tutti a periodi di tempo brevi, sono rivolti a misurare mutamenti di opinione espliciti e riguardano gruppi ridotti; ora, si ha propaganda solo se l'azione dura per un periodo sufficientemente lungo da ottenere trasformazioni del comportamento e se si rivolge a gruppi numerosi. La stessa importanza del gruppo è un fattore di propaganda. C'è un ‛effetto di gruppo', una suggestione reciproca, un'azione della massa; ne consegue che esperienze su piccoli gruppi sperimentali (da dodici a quindici persone) sono prive di significato. Inoltre, pur nel mutare delle tecniche, un fatto rimane costante: non si tratta con la propaganda di modificare opinioni, ma di ottenere comportamenti; ho cercato di mettere in luce questo fenomeno opponendo l'‛ortoprassia', che è il vero scopo della propaganda, all'‛ortodossia', che ne era stata considerata per lungo tempo lo scopo effettivo (v. Ellul, 1962). Quindi non serve a niente tentare di quantificare le opinioni, né cercare di conoscere i mutamenti d'opinione; bisogna piuttosto considerare i cambiamenti di comportamento. Ma ciò non può riguardare che azioni ‛reali', impegni ‛effettivi', in relazione a problemi d'attualità che si pongono realmente all'individuo. È un'altra costante della propaganda: essa agisce soltanto in riferimento a questo genere di problemi e non a problemi superati o fittizi; ciò comporta però che non si possa studiare la propaganda altro che in vivo, mai in vitro, nessuna sperimentazione sociologica di tipo scientifico può essere condotta a questo proposito.
Occorre considerare la situazione reale, prendere in esame sempre la propaganda effettivamente in atto e mai quella che si può ricostruire artificialmente imitando le tecniche che si sono viste all'opera nei dibattiti politici. Non si possono dunque avere che valutazioni globali. Ma ciò dipende dal fenomeno stesso, che è globale e non può essere considerato nei dettagli. È questo uno dei casi in cui è assolutamente impossibile passare dalla microsociologia alla macrosociologia. Bisogna dunque accontentarsi di un'osservazione diretta, che non sarà d'altra parte meno scientifica, ma solamente meno soddisfacente per quel che riguarda la quantificazione dei dati, impossibile da ottenere. La natura stessa della propaganda non consente di sperarlo, visto che tutte le indicazioni quantificate che si possono ottenere sono esse stesse inserite nel contesto della propaganda.
È tuttavia possibile avere determinate certezze e fissare la problematica del fenomeno. Infine un'ultima osservazione preliminare che conviene fare è che, attraverso modificazioni e adattamenti, la propaganda conserva da una parte un certo numero di caratteristiche costanti (ne ho dato esempio più sopra), dall'altra una certa continuità: voglio dire cioè che, se le forme e i modi della propaganda attuale sono assai diversi da quelli della propaganda del 1940 o del 1950, non c'è tuttavia né rifiuto né ritorno indietro. Nessun rifiuto: si cambia non in considerazione dell'inefficacia o dell'inaccettabilità di una data tecnica, ma perché, avendola ‛assorbita', si è andati oltre. Non bisogna pensare a un regresso da una propaganda tecnica (condotta dai mezzi di comunicazione di massa e del tipo propaganda verticale) a una propaganda più umana, più democratica, trionfo dell'uomo e del contatto umano sulla macchina: in realtà, ci troviamo di fronte a un progresso della tecnica e a un sistema dotato certamente di maggior efficacia. Nessun ritorno indietro dunque: per alcuni il trionfo del manifesto nella propaganda moderna (manifesti del maggio 1968, ta-tzu-pao cinesi, posters) rappresenta un ritorno a metodi primitivi e denota un regresso della propaganda stessa, dato che il manifesto, molto importante nel XIX secolo, era stato abbandonato come mezzo di propaganda verso il 1920.
Ma non è così: il manifesto moderno si inserisce infatti in un contesto completamento diverso e, in particolare, si rivolge a persone che, d'altronde, sono sottoposte alla diffusione permanente di informazioni da parte dei mezzi di comunicazione di massa e sono sature di influenze collettive. È da questi presupposti che la propaganda a mezzo di manifesti trae la sua nuova efficacia.
b) Caratteri della propaganda moderna
La propaganda è sempre esistita ogni qual volta c'è stato un potere organizzato che ha operato su una massa di popolazione relativamente concentrata. Poteva trattarsi o d'integrare maggiormente i gruppi e gli individui nella società, o di stabilire la legittimità del potere politico, o di ottenere un determinato numero di comportamenti e di adesioni, o infine di lottare contro le influenze esterne. La propaganda delle società tradizionali, tuttavia, non presentava gli stessi caratteri della propaganda moderna. Si trattava allora di una propaganda generalmente legata a una persona, un capo carismatico, un propagandista che agiva per intuizione, per abilità personale. Era dunque un fenomeno occasionale e limitato, che appariva e scompariva a seconda delle circostanze. Si trattava sempre d'interventi circoscritti, fondati spesso su sentimenti religiosi, e che non presentavano nessun carattere di razionalità o, ancora meno, di tecnicità.
È in Occidente, a partire dal sec. XVI, che la propaganda assume progressivamente il carattere di un'attività razionalizzata e tecnicizzata, diventando un fenomeno sempre più costante e diffuso. Ciò avviene per il concorrere di due fattori: da una parte una certa disponibilità di mezzi tecnici (tra i quali la stampa ha certamente svolto un ruolo decisivo), dall'altra un più accentuato bisogno di legittimità: il cristianesimo aveva nello stesso tempo fornito una certa giustificazione del potere e creato un vivo senso della necessità della giustificazione e della legittimità (a causa dell'idea di peccato). Man mano che il cristianesimo entra in crisi, lascia sussistere questa esigenza senza però soddisfarla; da questo momento in poi sarà quindi necessario per il potere elaborare un adeguato sistema di autogiustificazione. La propaganda verrà incontro a questa esigenza. Le prime regole precise riguardo all'uso della propaganda vengono poste durante la Rivoluzione francese (creazione del primo servizio di propaganda ufficiale col Bureau d'Esprit nel 1792). Napoleone tende a utilizzare tutte le attività ideologiche e artistiche (teatro, chiesa, scuola) nel quadro di un vasto piano di propaganda e fissa le prime precise regole tecniche.
Nel XIX secolo e poi nel XX il fenomeno persisterà, tecnicizzandosi sempre di più. Ancora una volta ciò si verifica per la compresenza dei mezzi, i cosiddetti mezzi di comunicazione di massa, e dei bisogni. Si è anzi determinato un doppio bisogno di propaganda: quello del potere e quello del cittadino. Uno Stato moderno non può funzionare senza propaganda: l'accesso delle masse a una certa coscienza politica, la concorrenza nella società moderna di regimi diversi, la necessità di una partecipazione popolare alle decisioni del potere implicano, anche se non c'è alcuna intenzione machiavellica o aspirazione a un potere assoluto, che lo Stato intervenga sul piano psicologico e tenda a formare l'opinione pubblica. Le democrazie non possono evitare di fare della propaganda. In realtà uno Stato moderno si regge con la propaganda, la quale d'altra parte risponde anche alle esigenze del cittadino. Essa non può ottenere alcun effetto reale se non corrisponde a una certa aspettativa del propagandato.
Naturalmente, non si tratta del contenuto della propaganda. Il propagandato non si aspetta questa o quella ‛verità', ma, su un piano assai più profondo, la sua posizione nella società moderna lo porta ad aver bisogno della propaganda; le troppe informazioni, la complessità dei problemi che gli si presentano, l'appello che gli viene rivolto alla partecipazione a una vita politica ch'egli capisce sempre meno, la scomparsa dei valori, il sentimento d'impotenza in una società tecnicizzata, la rapidità del cambiamento in ogni campo, tutto ciò lo porta a ricercare una verità semplice e sicura che non presenti alcun carattere metafisico, ma riguardi situazioni concrete, una chiara spiegazione del mondo in cui vive, un quadro in cui collocare tutti gli avvenimenti, un mezzo per discernere il bene dal male e, soprattutto, una valorizzazione dell'azione e della personalità individuali. Ora questo corrisponde esattamente a ciò che la propaganda moderna offre all'uomo. Egli accetta quest'influenza (di cui non si rende ben conto) non in relazione al contenuto del messaggio, ma al servizio psicologico e ideologico che la propaganda gli rende. Il ‛raggiro' della propaganda consiste proprio nel far passare, con il servizio, il messaggio.
Questa propaganda presenta ora un certo numero di caratteri nuovi. È ‛scientifica', nel senso cioè che pretende di fondarsi su di una conoscenza obiettiva dell'uomo: psicologia sociale, psicologia applicata, psicologia del profondo. Utilizza tutta la gamma dei mezzi tecnici di comunicazione: tende a raggiungere nel medesimo tempo l'individuo e la massa (cioè non cerca di agire né sull'individuo isolato, né sui movimenti di massa, ma tenta piuttosto d'intervenire sull'individuo inserito nella massa e sulla massa tramite gli individui). Si fonda su un'organizzazione: si può infatti avere un uso massiccio dei moderni mezzi di propaganda solo se potenti organizzazioni sono in grado di possederli e di utilizzarli; inoltre l'organizzazione è indispensabile per recuperare gli uomini influenzati dalla propaganda.
Questa in effetti non appartiene esclusivamente al campo della psicologia: essa, come si è già detto, non mira a stabilire un'ortodossia, ma un'ortoprassia (vuole cioè che l'uomo agisca ‛bene', come ci si aspetta da lui; ciò che pensa, la sua opinione, conta poco: ciò che interessa il propagandista è l'atteggiamento, l'impegno nell'azione). Abbiamo in ciò una radicale differenziazione rispetto a quanto finora si è chiamato propaganda. Una volta ottenuto un atto d'impegno per effetto della propaganda, questa si nutre di se stessa: si determina una sorta di punto di non ritorno e il propagandato comincia egli stesso a far propaganda per giustificare il suo primo atto. Ma occorre che questo atto sia pubblico, abbia dei testimoni, ed è a questo punto che l'organizzazione risulta indispensabile: il propagandato deve innanzitutto trovarsi in un ambiente ricettivo che gli sia favorevole. Infine, la moderna propaganda dev'essere continua, non ci si può accontentare di un'azione limitata a brevi periodi di tempo. L'uomo è chiamato a vivere in una sorta di clima di propaganda che, combinato con la massa delle informazioni, finisce per costituire un universo d'immagini; sarà questa manipolazione d'immagini che lo influenzerà; il suo universo è infatti divenuto quello di queste immagini. Una propaganda che agisca casualmente o saltuariamente non è una vera propaganda moderna, la quale deve viceversa agire piuttosto attraverso la costanza e l'evidenza continua che non tramite grandi e schiaccianti interventi.
c) Tipologia della propaganda
Si può tentare una tipologia della propaganda. Ricorderemo qui i tipi già noti: si distingue una propaganda politica (che proviene da gruppi politici e cerca di suscitare un determinato intervento nell'ambito politico, di stabilire una certa relazione fra il potere e i cittadini, di provocare delle scelte politiche) da una propaganda sociologica, in cui il corpo sociale tutto intero si comporta come agente di propaganda ed esprime la sua verità attraverso tutte le sue voci. Questa propaganda sociologica non è necessariamente cosciente, volontaria, esplicita: il corpo sociale trasmette l'evidenza della sua stessa verità. Si distingue poi la propaganda di agitazione (sovente sovversiva e a carattere d'opposizione, che si propone di sollevare le masse e spingerle all'azione) dalla propaganda d'integrazione, che ha come scopo di produrre conformismo e assimilare gli oppositori.
Esistono anche una propaganda verticale e una orizzontale: la prima si fonda sulla presenza di un capo eccezionale e consiste in un insieme di impulsi che provengono da un vertice o da un centro; la seconda agisce tramite interrelazioni, si propone cioè di far sì che i membri di un gruppo diventino ‛autopropagandisti'. Si può infine parlare di propaganda razionale (che fa appello alla dimostrazione, a un atteggiamento e a una decisione in realtà suggeriti ma apparentemente razionali) e di propaganda irrazionale, che agisce a livello dell'inconscio, del subconscio, dell'inconscio collettivo ecc., con tutti i rischi che questo comporta, ma che pare più adatta a produrre un'ortoprassia.
d) Disinteresse della ricerca per la propaganda
È d'altro canto interessante constatare che gli studi psicologici o sociologici sulla propaganda sono considerevolmente diminuiti negli ultimi anni. Mentre erano innumerevoli nel periodo dal 1936 al 1950, sono ora pressoché inesistenti (v. Ellul, 1962). L'attenzione dei ricercatori si è evidentemente spostata: numerosi sono gli studi dedicati alla pubblicità, alle comunicazioni, ai consumi, all'informazione (v. Burgelin, 1970; v. Institut Solvay, 1968; v. Klapper, 1960; v. Rose, 1967; v. Weiss, 1968; v. Wilson, 1962), i mass media presi in generale (per es. Mac Luhan) o considerati uno per uno (per es. i numerosissimi studi sulla televisione di questi ultimi anni: v. AA. VV., 1969; v. Arons e May, 1963; v. Blumler e MacQuail, 1968; v. Cazeneuve, 1963 e 1970; v. Lang e Lang, 1968; v. Melon-Martinez, 1969; v. Platte, 1965; v. Sur la télévision, 1971). Gli studi sull'opinione pubblica, sulle pubbliche relazioni e sulla propaganda sono al contrario praticamente scomparsi (v. Psychologie..., 1970; v. Psychosociologie..., 1970). Questo può essere dovuto alla minore importanza oggettiva del fenomeno o a uno spostamento della ricerca causato dalle circostanze. Mi sembra che la grande attenzione prestata alla propaganda nel periodo precedente fosse dovuta all'accecante evidenza della propaganda hitleriana e staliniana da una parte e ai problemi della guerra dall'altra. Non si poteva dunque sfuggire al problema della propaganda.
Al contrario, con la scomparsa dei due grandi regimi propagandistici e con la fine della guerra mondiale si è potuta avere l'impressione che il ruolo della propaganda fosse diminuito. Quest'impressione corrisponde sempre alla convinzione che la propaganda sia un fenomeno eccezionale, legato sia a regimi totalitari sia a circostanze straordinarie (la guerra), e che essa scompaia allorché subentri un regime democratico, o un periodo di pace. In realtà, mi pare che si assista al contrario a una normalizzazione, a una permanenza, a una universalizzazione della propaganda (v. Choukas, 1965; v. Fulchignoni, 1969; v. Zöller e altri, 1965). Tutti i regimi senza eccezioni sono attualmente impegnati in una continua propaganda. Gli Stati Uniti sono immersi in un complesso di propagande contraddittorie, ma è evidente che il governo americano si dedica, sia all'interno che all'estero, a una propaganda intensiva. Ancora, tutti i paesi del Terzo Mondo sono oggigiorno a un tempo bersagli e promotori di propaganda. Mentre si poteva dire che vent'anni or sono, se esisteva al limite una propaganda di tipo sociologico e culturale, dovuta ai colonizzatori, non c'era quasi propaganda intensiva, dopo la liberazione di questi popoli e a partire dal loro ingresso nel sistema politico attivo, la propaganda si è generalizzata, sia che la esercitino i governi di questi stessi paesi sia governi stranieri.
Tutte le guerre che si sono succedute, quella d'Algeria come quella del Vietnam, quella del Biafra, quella dei ‛sei giorni' o quella del Bangla Desh, quella della Cambogia o quella dell'Afghanistan, sono state l'occasione per intensificare una propaganda del resto già costantemente presente. Infine non si può non sottolineare la propaganda dei movimenti di rivolta, dei gruppi giovanili e delle opposizioni di sinistra. Non si può dunque parlare di una riduzione del fenomeno propaganda: se esiste chiaramente un minor interesse da parte dei ricercatori, ciò è dovuto da un lato alla difficoltà della ricerca e dello studio, dall'altro al fatto che la propaganda attuale non corrisponde più ai concetti che si erano precedentemente formulati a suo riguardo e agli schemi prestabiliti; si ha perciò l'impressione che quanto accade non appartenga più veramente alla sfera della propaganda e in particolare che, dopo un periodo di accentuata tecnicità, si assista ora all'impiego di sistemi approssimativi e meno convincenti.
2. Recenti trasformazioni della propaganda
Si tratta anzitutto di illustrare le principali novità degli ultimi anni per cercare quindi di capire il senso di queste trasformazioni.
1. Un fatto anzitutto si impone: i grandissimi successi ottenuti dalla propaganda moderna. Essa si trova frequentemente a far parte integrante della guerra psicologica e può trasformare le circostanze come mai in passato. Un tempo, in caso di guerra, c'erano solo due tipi di propaganda: all'interno per rafforzare il morale dei soldati, all'esterno per far crollare il morale dei nemici. La situazione è poi interamente cambiata: la propaganda si rivolge, attualmente, soprattutto all'opinione internazionale. Esiste una sorta di opinione generale dei popoli (e non più solo dei governi). Si tratta da una parte di formare quest'opinione, e chi vi riesce per primo è praticamente padrone della situazione, dall'altra di sfruttarla: cioè, si agisce sul piano internazionale come un tempo si agiva nei confronti dell'opinione pubblica nazionale. Ma questo sistema presenta una difficoltà complementare: un governo non può agire direttamente sull'immagine della ‛sua' nazione. Per esempio, Israele in occasione della ‛guerra dei sei giorni' è riuscito a impadronirsi per primo dell'opinione internazionale e, con un complesso di mezzi e d'argomenti assai convincenti, ad apparire come il popolo giusto e la vittima. La propaganda successivamente impiegata dai Palestinesi non è riuscita per molto tempo a rovesciare la situazione, malgrado la sua intensità, la varietà dei sistemi impiegati e la solidarietà dei popoli del Terzo Mondo.
Lo stesso è accaduto per la guerra d'Algeria: l'F.L.N. (Front de la Libération Nationale) era riuscito a far sua l'opinione internazionale e a mettere il buon diritto dalla sua parte. L'opinione internazionale si è formata e cristallizzata su tre semplici temi (anticapitalismo, sfruttamento coloniale, volontà di accedere allo statuto di nazione) e sull'assimilazione con situazioni passate (Algeria assimilata alle altre colonie resesi libere). Nonostante gli argomenti addotti poi dal governo francese, il suo operato non è mai apparso legittimo e giustificato agli occhi dell'opinione pubblica internazionale, e nemmeno di quella interna: infatti la propaganda dell'F.L.N. aveva trovato un'eco negli ambienti intellettuali francesi che hanno minato dall'interno l'opinione pubblica del loro paese. Ci si è trovati così nella situazione in cui la nazione combattente ha essa stessa una cattiva coscienza, derivante da un lato dall'opinione pubblica internazionale che la indica come colpevole agli occhi di tutti, e dall'altro dal giudizio degli intellettuali, che appaiono come l'espressione della coscienza nazionale; ma su ciò si avrà modo di ritornare. L'accusa grava in primo luogo sull'esercito, che a sua volta matura una cattiva coscienza e viene a trovarsi nella situazione meno favorevole per svolgere il suo compito. Ci troviamo dunque di fronte a uno dei più importanti successi della propaganda: secondo gli esperti militari, infatti, la guerra d'Algeria era stata, sul piano strettamente militare, virtualmente vinta dall'esercito francese alla fine del 1960. L'A.L.N. (Armée de Libération Nationale) era praticamente allo stremo delle forze, i capi ribelli si arrendevano, aumentavano i dissensi fra l'A.L.N. e il G.P.R.A. (Gouvernement Provisoire de la République Algérienne). Ma l'opposizione intellettuale interna e l'opinione internazionale si facevano sempre più violente nei confronti del governo francese che, messo interamente dalla parte del torto e sotto la spinta di questa duplice pressione, fu infine costretto a intraprendere i negoziati di Évian. È stata certamente la prima volta che si è vista una vittoria ottenuta esclusivamente per la pressione dell'opinione pubblica, montata dalla propaganda, e contro i risultati delle operazioni militari.
D'altra parte il governo americano si è trovato nella medesima situazione a proposito della guerra del Vietnam, con due differenze però: anzitutto il governo americano non era il virtuale vincitore (ma è stata comunque la pressione internazionale a impedirgli di portare a termine l'offensiva invadendo il Vietnam del Nord), in secondo luogo gli Stati Uniti sono talmente potenti che hanno potuto per un certo tempo tener testa all'opinione mondiale nonché alle resistenze interne degli intellettuali e dei giovani. Fatte queste riserve, si può almeno dire che il governo è stato tenuto in scacco da una vasta operazione di propaganda.
2. Tutto ciò ci porta a un altro aspetto dell'odierna propaganda. Ancora poco tempo fa, si poteva affermare che per fare la grande propaganda di carattere scientifico, che implica l'utilizzazione di considerevoli apparecchiature tecniche, occorreva porsi a livello dello Stato o rappresentare un gruppo ricco e numeroso. La principale propaganda era quella del governo, alla quale poteva contrapporsi solo un partito considerevole. Ora la situazione è completamente cambiata. Assistiamo a una propaganda di paesi poveri e scarsamente attrezzati dal punto di vista tecnico; in questo caso occorre però considerare che tale propaganda è ripresa in Occidente da gruppi di fautori dei paesi in questione (dell'Africa Nera, dell'Asia o del Maghreb), e sono in realtà questi fautori che fanno la vera propaganda che crea e influenza l'opinione pubblica (v. Shibutani, 1966). Questi gruppi svolgono ora lo stesso ruolo che svolgevano per esempio, nella propaganda staliniana i partiti comunisti nazionali; è noto che la propaganda non può avere una grande influenza dall'esterno: perché sia efficace occorre che sia condotta dall'interno.
Così la propaganda staliniana in Francia o in Italia non proveniva direttamente dall'URSS ma, ispirata dal centro, veniva ripresa e modellata all'interno del paese interessato dai suoi stessi cittadini: solamente a questa condizione, infatti, poteva operare efficacemente. La differenza sta nel fatto che i partiti comunisti nazionali costituivano un insieme sistematicamente organizzato, mentre i gruppi di intellettuali, di studenti ecc., che riprendono la propaganda dei paesi non attrezzati, sono generalmente spontanei: essi agiscono spontaneamente, partendo dalla loro adesione alla causa, ma non sono meno sottoposti a condizionamenti di quanto lo fossero i membri del partito staliniano. Questa è d'altronde una delle condizioni richieste per l'efficacia della propaganda. Occorre peraltro segnalare un effetto notevole di quest'opera di tramite: i fatti non assumono importanza, sul piano dell'opinione, se non nella misura in cui sono manipolati da questi gruppi; così, alcune vicende del Terzo Mondo vengono letteralmente ignorate perché non sono prese in considerazione dai gruppi di propaganda interna. Come abbiamo detto spesso, l'informazione non è mai sufficiente, occorre che sia molto insistente e prolungata perché gli interessati la facciano propria.
C'è dunque una sorta di cernita effettuata da questi gruppi tra le informazioni che possono essere utili alla loro causa, e che essi elaborano e assumono come spunto per manifestazioni, pressioni, ecc., e altri fatti che, benché obiettivamente conoscibili, sfuggono all'attenzione semplicemente perché non sono stati scelti come temi di propaganda da questi gruppi. Nel grande martellare della propaganda, i fatti che non sono presi in considerazione è come se non esistessero più. Così per anni il conflitto del Biafra fu ritenuto trascurabile, come quello del Pakistan Orientale: solamente a partire dal momento in cui si è ritenuto che potessero essere utili ai fini di una propaganda essi hanno assunto un'importanza di primo piano: quando cioè, vi si sono potuti intravvedere gli interessi della Cina, la difesa o l'attacco all'imperialismo. Ma altre vicende come quelle del Sudan meridionale o della popolazione del Tibet non saranno mai considerate degli avvenimenti importanti, perché il gruppo di rilancio della propaganda del mondo occidentale non li fa propri. È attraverso questo sistema, dunque, che i paesi del Terzo Mondo riescono a fare una propaganda efficace.
D'altra parte tutto ciò pone l'accento sull'importanza di questi gruppi, generalmente composti da un ristretto numero di militanti molto attivi e impegnati, che utilizzano mezzi semplici: manifesti, contatti personali, riunioni ripetute, bollettini ciclostilati, nel caso migliore meetings e sfilate, senza un'attrezzatura tecnica vera e propria. Sembrerebbe, quindi, che la propaganda ufficiale sia battuta in breccia da queste propagande, che richiedono pochi mezzi ma un considerevole materiale umano, esattamente come, in campo industriale, in Cina si sostituiscono le macchine con un enorme impiego di forze umane. È quindi essenziale rendersi conto del fatto che la grande propaganda di Stato, tecnicamente elaborata, non ha conquistato tutto il ‛mercato degli influssi' e non è riuscita a eliminare le altre forme di propaganda. Si può dunque in un certo senso ritenere che questo fatto segni la sua sconfitta e una riaffermazione della libertà, poiché si costituiscono gruppi di tendenze diverse, nonché una riconferma del primato del rapporto umano. Quindi, se esiste una possibilità di creare una pluralità di propagande partendo da convinzioni preesistenti, utilizzando dei mezzi che si giudicano superati, l'importanza della propaganda come fenomeno globale decresce.
Esamineremo in seguito in che senso questa nuova forma di propaganda corrisponda alle attuali tendenze evolutive della società tecnologica. Possiamo comunque anticipare che non si tratta di un regresso, ma di una nuova avanzata, come abbiamo accennato nell'introduzione.
3. Si assiste contemporaneamente in tutto l'Occidente a una frattura della società in due settori. Da una parte troviamo gruppi relativamente poco numerosi, dei quali abbiamo appena parlato, fortemente politicizzati, composti da militanti che si dedicano anima e corpo alla loro causa e all'azione che essa richiede; dall'altra, una massa considerevole, che si potrebbe calcolare per esempio in Francia pari al 90%, quasi del tutto spoliticizzata (v. Charlot, 1970). Questa massa accetta di continuare a votare, senza credervi, ma non s'interessa a nessun problema politico ed è praticamente priva di opinioni. I suoi interessi sono rivolti altrove (il lavoro, la felicità, il consumo) e poiché la società in cui viviamo è estremamente invadente, esigente, soffocante, questi adulti non sono capaci di avere diversi centri d'interesse e sono di fatto distratti dal problema politico. A ciò si aggiunga (non considero il 1968 come uno sconvolgimento rilevante) la relativa tranquillità dell'Occidente nei primi anni settanta, che ha attenuato la tensione politica e reso di conseguenza il pubblico meno sensibile a una propaganda di agitazione. Bisogna infine tener conto delle innumerevoli disillusioni procurate dalla politica: gli adulti in Occidente ci credono sempre meno, e non se ne aspettano più nulla.
Tutto ciò porta a una società che si presenta molto agitata e satura di propaganda in ambienti piuttosto limitati (una parte dei giovani e una parte dei lavoratori proletari), e viceversa, nella gran massa, del tutto indifferente e insensibile a qualsiasi influenza della propaganda di agitazione. Questo coincide con quanto dicevamo poc'anzi; consideriamo, per esempio, l'utilizzazione dei nuovi mezzi: sono mezzi poveri (i ‛gruppuscoli' sono composti di gente povera), e implicano il contatto diretto (sono dunque poco numerosi). Solamente a questo livello si potrà parlare di una propaganda di agitazione. Vi è una netta flessione della propaganda rivolta dal potere politico alle masse. Ma occorrerà chiedersi se non si tratta solo di un'apparenza, poiché in realtà la propaganda d'integrazione nella ‛grande società' ha fatto il suo lavoro, che corrisponde esattamente a questa spoliticizzazione delle masse. Comunque sia, vediamo dunque degli individui attivi nell'ambito della propaganda, che sono nello stesso tempo soggetti e oggetti di propaganda e che, costituendo quasi un circuito chiuso, non raggiungono la massa della popolazione e rinforzano in vitro opinioni estreme. La propaganda diventa allora una forma di autoconsumo. Si scelgono le notizie che possono alimentare la convinzione; le si elabora in modo che possano effettivamente servire per la propaganda; le si consuma nel gruppo venendo così fortificati nelle proprie convinzioni, mentre ci si distacca progressivamente da una massa che si vorrebbe raggiungere e convincere ma che si allontana sempre più, proprio nella misura in cui questa propaganda diventa più intensa.
Esiste tuttavia un modo attraverso cui il contatto avviene o dovrebbe avvenire: stabiliscono la relazione alcuni mezzi di comunicazione di massa, come quei giornali di larga informazione che prestano un'attenzione continua a questi movimenti e gruppi e riprendono questo tipo di propaganda; in effetti è solo in questo modo che accade qualcosa. Così, non può verificarsi una manifestazione di gruppi estremisti, per quanto ridotta, senza che immediatamente la grande stampa la riprenda e la ponga in primo piano, e lo stesso dicasi per certe emittenti radiotelevisive (v. Belson, 1967; v. Chester, 1969; v. Cohn-Seat e Fougeyrollas, 1961; v. Istituto A. Gemelli, 1966; v. Rubin, 1967). Ora, alcuni pensano che tutto ciò non abbia presa sul pubblico e non lo inlluenzi: i lettori non prenderebbero molto sul serio queste cronache e questi fatti. Ma proprio questo ci ricorda il limite dell'impatto dei mezzi di comunicazione di massa, quando siano abbandonati a se stessi e non siano utilizzati da un'organizzazione globale di propaganda tecnica.
L'uso dei mezzi di comunicazione di massa implica necessariamente una rigorosa organizzazione della propaganda, altrimenti essi hanno un'influenza poco rilevante. (Tralasciamo per il momento la propaganda d'integrazione, su cui torneremo in seguito). Bisogna allora domandarsi se questa osservazione circa una massa scarsamente reattiva e alquanto spoliticizzata, nei paesi occidentali e negli Stati Uniti, non venga a contraddire la mia affermazione circa l'universalizzazione della propaganda. Ma bisogna ricordare che ogni propaganda ha sempre funzionato a partire dall'iniziativa di piccoli gruppi di élite, e in funzione di una massa indifferente. Il problema attuale è che questi gruppi non sembrano aver presa sulla massa: non si stabilisce il contatto. Bisognerà però domandarsi, allora, se questa mancanza di relazione sia favorevole o no all'azione, e se il fine di questa propaganda sia di far sì che la massa sia portata ad agire, oppure, al contrario, di ridurla al silenzio, di annichilirla in modo che non sia d'ostacolo all'azione politica dei gruppi: in questo secondo caso, il bersaglio della propaganda sarebbe pienamente centrato.
Comunque sia, ci troviamo di fronte alla contrapposizione di due forme diverse: la propaganda dev'essere estremamente organizzata, molto tecnica, proporsi come obiettivo la mobilitazione della massa e utilizzare i mezzi di comunicazione di massa, o al contrario dev'essere prodotta da un apparato umano molto impegnato, basarsi su un'attività di élite e tendere a paralizzare la massa stessa.
3. Fattori della nuova propaganda
C'è dunque un certo rovesciamento dei principi e dei metodi quali erano stati codificati dalla propaganda staliniana e hitleriana. A che cosa può corrispondere questo fatto dal punto di vista dell'evoluzione generale della società? Pare che si sia passati in questi ultimi vent'anni da un tipo di società cosiddetta industriale, in cui l'azione politica aveva ancora un'importanza di primo piano, a una società che si può chiamare ‛tecnologica', e che altri chiamano ‛dei consumi'. In essa l'attività e la passione politiche non sono ormai che accessori, cui la massa s'interessa poco e che diventano per gli altri semplicemente ‛occasione' di propaganda.
Basti considerare fino a che punto ci s'impadronisca subito di un avvenimento politico, di un incidente (un operaio ucciso durante uno sciopero), per ribadire una propaganda che, generalmente, non ha nessun vero legame con il fatto che ne è in realtà solo l'occasione (v. L'événement, 1972). Se questo schema è esatto, assistiamo dunque a una propaganda che presenta un duplice aspetto e un duplice orientamento: da un lato è una reazione contro lo sviluppo della società tecnologica e dei consumi, dall'altro facilita l'integrazione; ciò avviene a due livelli: come sistema per sterilizzare la rivolta attraverso lo sfogo, e come propaganda emessa dalla società globale a giustificazione delle sue strutture. Si tratta allora a questo punto di due tipi di propaganda che hanno provenienze opposte, ma finiscono per rivelarsi complementari.
1. L'uomo mal sopporta l'integrazione nel sistema della società tecnologica. È questa l'origine della rivolta dei giovani, ma anche della reazione degli intellettuali, che hanno poi una ragione ulteriore: nella società tecnologica non c'è più posto, non c'è più spazio per l'intellettuale. Gli intellettuali affermeranno dunque la preoccupazione per la dimensione umana contro l'oppressione della tecnica e siccome questa preoccupazione si esprime ideologicamente in forme politiche, riaffermeranno l'importanza del fattore politico in contrapposizione all'oppressiva situazione reale (v. Enzensberger, 1965).
Ora, gli intellettuali sono anzitutto i depositari dei ‛messaggi': essi sono gli specialisti della parola, possono agire sul pubblico, perché sono quelli che maggiormente utilizzano mezzi di comunicazione di massa o, piuttosto, coloro che operano attraverso i mezzi di comunicazione di massa vogliono tutti farsi passare per degli intellettuali e da questi ultimi prendono modelli, espressioni e modi di analisi.
Il modo normale di intervento degli intellettuali sarà dunque la propaganda. E proprio perché non sopportano l'aspetto ‛razionale-inumano' della società tecnologica e perché da essa si sentono messi in questione, gli intellettuali si lanciano nella propaganda e divengono gli ispiratori di quei piccoli gruppi dei quali abbiamo sottolineato l'importanza a proposito della propaganda moderna.
Ciò coincide col maggior peso appunto, in questa propaganda, del fattore politico che, per il suo carattere aleatorio, ripristina agli occhi degli intellettuali l'idea di libertà alla quale sono attaccati e, per il fatto che è anzitutto ideologico, li ricolloca in un mondo che è proprio quello al quale sono abituati. Ma non si rendono conto che l'accentuazione del fattore politico, in questa propaganda, la rende bensì assai efficace per quanti non sono alle prese con la vita reale (tecnica, economica), né hanno l'esperienza degli ultimi trent'anni di politica, ossia i giovani, ma nello stesso tempo la rende assolutamente inefficace e insignificante per gli altri. L'intellettuale propagandista odierno rappresenta la naturale continuazione dell'intellettuale impegnato degli anni 1944 e seguenti. Infine questi intellettuali reagiscono fortemente contro il conformismo totalizzante della società tecnologica, e questa reazione si traduce nella loro propaganda, che non si propone di sollevare le masse, ma di ‛sensibilizzare', di ‛scuotere', di ‛risvegliare la coscienza' ecc. Vogliono combattere la società del conformismo e dei consumi, ma non vagheggiano che una rivoluzione elitaria (benché parlino di masse) e romantica.
Queste preoccupazioni spiegano chiaramente i caratteri della propaganda di agitazione che si rifiuta di rivestire forme tecniche, torna al rapporto umano e riprende un carattere intellettuale e ideologico. Il manifesto contiene un discorso, ma può influenzare solo un ristretto numero di persone che costituiscono i lettori privilegiati e formano già fra loro un gruppo con interrelazioni privilegiate (v. Moles, 1970). Il manifesto è inoltre strumento di pressione sui passanti o su quanti sono riuniti in un luogo di lavoro o hanno un comune centro d'interesse prefissato. È l'occasione di uno scambio, in cui alcuni militanti svolgono un ruolo determinante: è un ‛coadiuvante' della propaganda orale e di contatto. E in quanto mezzo, attesta la preoccupazione per il rapporto umano nell'ambito della propaganda; rappresenta di per se stesso la protesta contro i mezzi di massa, anonimi, incoscienti, ciechi, che trattano gli uomini come dei numeri. Questa propaganda insiste sul carattere unico di ciascun interlocutore. Riafferma una premessa essenziale: è necessario che l'uomo sia uomo (è solamente a questa condizione che lo si può influenzare).
2. Quest'azione degli intellettuali coincide dunque con una scoperta importante nel campo della propaganda: non può esistere una propaganda puramente meccanica, tecnica, astratta; o piuttosto, per raggiungere il suo più alto livello tecnico, la massima efficacia, la propaganda deve trovar sostegno in un fattore umano e poggiare su dei valori (v. Katz e Lazarsfeld, 1964; v. Browne e Cohn, 1958). Tutto ciò nella propaganda hitleriana e staliniana era stato dissimulato dal suo carattere strettamente commisto di elementi meccanici e di fattori umani. Ma quando si ritenga possibile utilizzare una tecnica di propaganda ‛in sé', staccata dal suo riscontro umano, paracadutata sulla massa solo dall'esterno, si finisce per provocare immediatamente una violenta reazione di rigetto: l'uomo non può tollerare questo tipo di utilizzazione, ha bisogno di essere anche parte attiva dei meccanismi che lo influenzano. La propaganda più moderna implica dunque un veicolo umano. È la scoperta fatta già da tempo nel sistema delle human relations: occorre un contatto umano perché abbia luogo l'adesione. Si era osservato che la propaganda orizzontale è spesso più efficace della propaganda verticale, senza che d'altra parte possa esservi un'esclusiva. È infine in questo senso che lavorano la maggior parte di quanti ricorrono alla ‛non direttività': questa ha, sì, per obiettivo di permettere al soggetto di esprimersi, ma assolutamente non quello di permettergli una vera autodeterminazione: la dinamica di gruppo nasconde sempre degli obiettivi che si devono raggiungere, ma che nel complesso meglio si raggiungeranno mediante l'adesione del soggetto.
Occorrerebbe, perché fosse altrimenti, non solo una totale buona fede di chi pratica la dinamica di gruppo non direttiva, ma molto di più: uno svincolamento radicale da ogni ideologia, un'indifferenza totale nei confronti di ciò che il gruppo delibererà di fare e, al limite, l'estraneità a qualsiasi sistema sociale o gruppo: quando queste tre condizioni non coesistono, non si può avere una vera non direttività collettiva, pedagogica (anche se la non direttività del Rogers conserva il suo pieno valore sul piano psicoterapeutico). È in questa stessa prospettiva, dunque, che la propaganda moderna colloca l'importanza del fattore umano: occorre che la propaganda si effettui tramite un veicolo umano e non solo tramite dei mezzi tecnici; ciò presuppone dunque un contatto, una relazione da uomo a uomo. Ma questo implica forse un'autonomia del veicolo e un processo cosciente da parte del propagandato? Per quanto riguarda il propagandista, egli è necessariamente inserito in un'organizzazione e in un sistema di propaganda. Chiaramente, non è lasciato libero nella sua iniziativa: è in verità un vettore. È solo il punto di contatto, il necessario momento di relazione fra il propagandato e il sistema di propaganda. Vi apporta la sua specificità umana, il suo calore, la sua convinzione. Fornisce un viso riconoscibile, un nome indispensabile perché il propagandato non venga respinto da una propaganda anonima. Ma non è mai il creatore né del messaggio né del suo contenuto. Egli si riallaccia al messaggio globale proposto dai mass media limitandosi a renderlo più determinato, più efficace. Ed è così che agisce l'influenza degli intellettuali.
Abbiamo detto che costoro hanno peso perché si esprimono, grazie ai mass media, in modo privilegiato: mettono allora in movimento quanti, in qualche modo, divenendo dei discepoli, riprenderanno il messaggio diffondendolo tramite la loro presenza. Questi propagandisti sono quindi in un certo qual modo presi nella rete collettivizzante della propaganda: ciascuno porta egli stesso a domicilio la propaganda perché è inserito nel sistema, come chi spaccia droga al consumatore fa parte di un'organizzazione internazionale di traffico, che resta anonima e non agisce mai direttamente.
Si deve dire inoltre che le esperienze degli ultimi anni sulla propaganda fatta in Cina, nell'URSS, nel Vietnam, in Algeria, in Francia all'epoca del 1968 provano che non esiste una tecnica di propaganda in sé, astratta, e che tutto deve passare attraverso la convinzione del propagandista. Ma su questo punto bisogna fare una distinzione. L'analisi dei grandi propagandisti del periodo 1920-1960 portava a ritenere che il propagandista non deve credere a ciò che dice: se crede in una dottrina, in un'idea, in una politica, non è più libero di scegliere ciò che sarà veramente efficace, decisivo. Questo concetto rimane valido, ma al livello degli organizzatori di vertice. Al contrario, è essenziale che il vettore umano sia persona che crede, profondamente impegnata e convinta, sia dunque un idealista. Questo era già vero nei partiti nazisti o comunisti, ma diventa molto più importante oggi, quando il rapporto umano è considerato un fattore essenziale. Si pone allora l'altro problema: in questa relazione il propagandato è attualmente considerato come un uomo da convincere? Nel dialogo che si stabilisce, che ruolo giocano l'argomentazione e la persuasione? Se in ciò stesse l'essenziale ritorneremmo a un tipo di propaganda ‛razionale', che agisce cioè attraverso prove, dimostrazioni ecc. Ora, noi abbiamo mostrato che questo è uno stadio assolutamente primitivo della propaganda, e che le nuove tecniche tendono a evitare il giro vizioso attraverso la riflessione, la persuasione, la scelta, la decisione: bisogna ottenere l'adesione ‛riflessa', l'ortoprassia.
Tutto ciò ha subito cambiamenti? In realtà no, perché il tipo di contatto umano impostato dal propagandista non è quello del dialogo persuasivo. Questo dialogo è solo l'occasione perché abbia luogo una relazione affettiva più profonda. L'obiettivo di questa propaganda dal volto umano non è, allora, niente affatto quello di riuscire a convincere, ma di creare una forma di solidarietà: occorre che il propagandato si trovi in un rapporto di fiducia, di apertura, di simpatia (in senso etimologico) con l'altro, un rapporto che gli faccia accettare il discorso senza troppo riflettervi, lo spinga a confidare i suoi problemi personali, le sue incertezze, le sue difficoltà, e soprattutto lo spinga a solidalizzare con il propagandista (che beninteso, essendo una persona convinta, non si considera tale, né tale è considerato dall'altro), a fare con lui un tratto di strada, a dividere le esperienze e gli impegni dell'amico. Sono i tre stadi attraverso i quali deve passare il propagandato, che lo legano strettamente, in modo che a un certo momento egli non può più tornare indietro.
Ora, se l'elemento umano nella propaganda è divenuto essenziale, è precisamente perché l'individuo è integrato in una ‛cultura massmediale' (v. Baudrillard, 1972; v. Dizart, 1966): quanto gli viene dai mass media è in un certo modo assorbito automaticamente ma ‛insieme al resto', cioè l'azione di propaganda specifica è in realtà immersa in un flusso continuo di informazioni e di spinte anonime. L'individuo è travolto da una corrente generale, che è essenziale nella propaganda di tipo sociologico, ma che anestetizza e ingenera conformismo.
Per spingere l'individuo ad agire, occorre un intervento del tutto diverso: il rapporto umano assumerà dunque uno straordinario rilievo in una società sentita come anonima; il dialogo avrà un'influenza considerevole perché sarà una parola che spicca sul generale grigiore delle informazioni di massa. Il contatto faccia a faccia è decisivo proprio perché se ne è progressivamente perduta l'abitudine. È in rapporto alla cultura massmediale che la base umanizzata della propaganda assume tutta la sua forza senza che, beninteso, possa esserne separata. Potrà però porsi in contraddizione con essa, quando la dimensione umana sia abbastanza potente per contraddire l'informazione anonima; ma occorrerà allora il sostegno di un altro sistema collettivo.
Un chiaro esempio di azione combinata dei mass media e del fattore comunitario e umano è il teatro politico moderno. Ci troviamo di fronte alla più originale invenzione propagandistica di questi ultimi anni, in cui si rileva chiaramente il passaggio dall'intellettuale impegnato stile 1945 all'intellettuale propagandista degli ultimi anni. Avevamo già un teatro politico che presentava delle tesi e un discorso politico; esso poneva lo spettatore di fronte a un dibattito ideologico, orientandolo verso una scelta, ma si rivolgeva anzitutto alla sua intelligenza, alla sua cultura e, se c'era un tentativo di influenzare, avveniva però attraverso un dibattito al quale lo spettatore poteva sempre rifiutarsi di partecipare, ponendosi appunto come semplice spettatore. Il teatro ‛per spettatori' è quello che preserva la libertà degli spettatori. Tale è stato il teatro di Montherlant, di Camus, di Sartre. Tuttavia con Sartre assistiamo alla svolta, precisamente con Le diable et le bon Dieu che assume un chiaro carattere dimostrativo e abbandona l'ambiguità di Les mains sales.
Un passo ulteriore è stato compiuto da Brecht, ma la sua teoria dello straniamento permette tuttavia all'ascoltatore di mantenere una certa indipendenza, malgrado l'intenzione dimostrativa. E in effetti fin qui si resta ancora alla dimostrazione, cioè al fattore intellettuale: questo teatro ideologico è un teatro per persone colte. Al contrario, dal 1966 negli Stati Uniti e dal 1968 in Europa il teatro cambia funzione e ciò sulla scorta di nuovi principi estetici del teatro, affatto innocenti in se stessi: la partecipazione dello spettatore, che cessa di essere tale per divenire creatore dell'opera, l'alea dell'invenzione in situ, l'evocazione, il cogliere il vivente sul vivo nel suo farsi. Non c'è più una storia da raccontare, fissata in precedenza da un autore, ma una storia da fare, che non sarà mai più rifatta allo stesso modo. C'è un appello alle forze nuove di tutti quelli che sono presenti, senza distinzione fra autore e spettatori poiché tutti diventano degli attanti. È un teatro d'invenzione, che implica la partecipazione attiva (non passiva e consumistica) di tutti.
Si aggiungono in seguito le tecniche di creazione gestuale, di espressione corporea. È il living theater. Tutto ciò sarebbe perfetto se il tema di un tale teatro fosse innocente o anche esistenziale in senso profondo, interrogazione sul significato e sui valori ultimi. Ma in realtà non è niente di simile. Tutto questo teatro è impegnato in una lotta politica, vi sono solo temi politici, poiché tutti questi creatori ritengono in effetti che la politica sia la sola verità possibile. Ci troviamo dunque non in presenza di una teoria estetica nuova ma di una tecnica di propaganda (v. Ellul, 1972; v. Duvignaud, 1970). Non è la presenza di un tema politico che determina la propaganda (per quanto le due cose siano intimamente legate), ma il fatto che non si tratta assolutamente di portare l'uomo a una più profonda coscienza di sé, né di farne un creatore, ma d'inserirlo nell'ambito di un'azione che ha un obiettivo politico determinato (se l'obiettivo fosse religioso, direi ugualmente che si tratta di propaganda), di farlo partecipare a una comunione non spirituale ma di agitazione e di adesione, d'impegnarlo, che lo voglia o no, secondo un certo orientamento politico nel cui ambito egli non esercita alcuna scelta. La convinzione nasce nello spettatore dalla sua stessa partecipazione, dall'azione che egli stesso conduce; ecco perché la famosa espressione corporea è così importante: è la chiave del teatro di propaganda, è nello stesso tempo l'utilizzazione formalizzata dell'imitazione (nel vedere agire il proprio vicino) e l'attuazione della fascinazione (il movimento del corpo provoca l'adesione per ipnosi).
Tutte queste tecniche, all'apparenza puramente teatrali, sono in effetti adattate allo scopo di propaganda del teatro politico. L'intervento avviene a due livelli: da una parte facendo partecipare lo spettatore alla prima fase di un'azione (la pièce intitolata: 1789) che dovrà poi proseguire per esempio nella strada; dall'altra, agendo sull'inconscio con emozioni violente e rompendo l'equilibrio della personalità, grazie a un bombardamento di immagini shock. Ritroviamo qui, con altri mezzi, esattamente lo stesso procedimento dei grandi meetings hitleriani e delle grandi parate. Lo spettatore diviene creatore di un'azione destinata a intossicarlo. Egli non può materialmente esercitare il minimo spirito critico, non può sottoporre il fenomeno a esame dato che, se assumesse quest'atteggiamento, il fatto stesso non esisterebbe più, mentre non può non esistere a causa della massa cogente degli altri spettatori, che si comportano, secondo un gioco in verità drammatico, come i detonatori dell'insieme; ciascuno gioca, entra a far parte di un gioco, ma questo gioco non ha che uno scopo, quello di determinare quanto più rigorosamente possibile certi comportamenti in riferimento a problemi reali che non fanno parte del gioco. Una volta che si sia cominciata l'azione in teatro, si continua ad agire nella strada in maniera irreversibile.
Il teatro deve ottenere un ‟risultato lapidario" - dice M. Frisch - attraverso procedimenti basati interamente sulla suggestione visiva, con l'esclusione del linguaggio e della razionalità. E io apprezzo molto questa formula che è ricca di significato: si è ‛lapidati' dalle immagini shock, si è trasformati in un blocco ‛monolitico' di convinzioni attraverso l'adesione comune. Tale è il senso della propaganda fatta dal teatro impegnato contemporaneo.
3. Questa propaganda si presenta anzitutto come propaganda di agitazione. Ma ecco che, con un effetto contrario, porta in realtà all'integrazione. In altri termini, non mi pare che questa propaganda rimetta in discussione nessuno dei principi fondamentali e dei grandi orientamenti, delle grandi opzioni della società moderna. Si tratta infatti di chiedersi in primo luogo in quale ambito s'inserisca questa propaganda di agitazione. L'attuale esperienza non fa che confermare le analisi precedenti: se la propaganda vuole essere efficace, dev'essere l'espressione di un'organizzazione politica potente e rigorosa, che manda avanti emissari e che raccoglie i frutti dei primi investimenti. Quindi, in questa nuova propaganda, il fattore umano non è che un modo per renderla efficace, e s'inserisce forse nell'ambito di un nuovo tipo di organizzazione politica di cui parleremo in seguito.
D'altra parte, se non esiste un ‛apparato', questa propaganda si diluisce molto rapidamente in un insieme di vane agitazioni. Così, la propaganda svolta dal teatro o dal cinema è resa ‛fin dall'inizio' radicalmente sterile dal carattere stesso del teatro e del cinema. Se non c'è qualcuno all'uscita che inquadri l'animazione del pubblico, talché divenga movimento di massa, il tutto si diluisce in una folla che finisce per considerare spettacolo anche quest'esperienza. È allora lo stesso spettatore che si presta a essere oggetto di consumo in quanto rivoluzionario, ma questo favorisce paradossalmente il conformismo. C'è sempre in effetti il rischio di una sterilizzazione della rivolta attraverso l'espressione. Una propaganda con vettori umani agisce necessariamente al primo stadio della rivolta. Provoca l'indignazione, l'odio, l'esigenza di giustizia immediata, tutte azioni dirette verso obiettivi vicini e limitati. Ma se la rivolta si esprime troppo, si afferma, si proclama, senza mai sboccare in un intervento effettivo, si esaurisce. È errore comune ritenere che una proclamazione sempre rinnovata di rivolta determini un accumulo, una maggiore disposizione a passare all'azione, credere che si produca una specie di somma delle spinte di propaganda: succede anzi il contrario.
Più la propaganda parla di rivolta, più rende sterile l'azione. Ora, come abbiamo visto, è solo l'azione che conta. Quindi la propaganda con i mezzi audiovisivi, o ancora la propaganda fatta dai piccoli gruppi, è profondamente ambivalente: può risolversi nell'autosoddisfazione di chi ha partecipato a una pregevole creazione teatrale e favorire perciò l'integrazione nella società globale attraverso uno svuotamento del problema. Diventa una specie di operazione di catarsi: propagandista e propagandato, insieme, comunicando, si purificano di ciò che è oggetto del loro odio, della loro rivolta, traducendola in parole e cercando di comunicarla. Ma, fatto ciò, non possono andare più in là, ed è in ultima analisi la stessa società globale che viene purificata dal loro intervento.
Tutta l'attuale propaganda gauchiste è sintomatica di questa sorta di purificazione della società, che permetterà a quest'ultima di meglio continuare la propria evoluzione. Ciò ha un'importanza maggiore del famoso e tanto temuto ‛recupero'. Così, per quanto sembri in apparenza che la propaganda d'integrazione sia in difficoltà per la messa in questione della società opulenta, della società dei consumi come anche dello spettacolo, in realtà essa è tuttora operante, se non altro per lo sviluppo della pubblicità e delle comunicazioni, e continua a determinare l'inserimento della maggioranza nella trama del sistema, aiutata in questo compito dalla sterilizzazione degli oppositori, derivante dal tipo specifico della loro propaganda.
Ma se consideriamo ora l'altro aspetto, quando esiste un organismo di recupero del propagandato, allora il complesso sociale si struttura diversamente. Avremo da una parte un'élite, abbastanza numerosa, messa in moto dalla propaganda, dall'altra la maggior parte della popolazione, del tutto annichilita. Il duplice gioco della propaganda d'integrazione e della propaganda di agitazione porta in effetti la massa all'immobilità, alla passività. Ciò avviene nella misura in cui, da una parte, la massa non subisce che una spinta al conformismo, all'adattamento, all'accettazione dell'avvenire sociale qual è già configurato e, dall'altra, è paralizzata da una propaganda di rivolta alla quale non partecipa: si guardano con sgomento sfilare le guardie rosse, senza osare dir nulla, rimanendo solo annichiliti per la violenza della loro espressione. Non c'è più scampo. E il quadro della società futura in cui ci si rifugia non è di nessun aiuto, perché il solo imperativo è stato quello del conformismo. A questo punto la massa è pronta a subire la mutazione politica, perché era da tempo sottoposta a una propaganda di integrazione e ora è annichilita dalla propaganda di agitazione degli ‛altri'.
Non bisogna in effetti credere che il fatto d'integrare una massa in un ‛certo' tipo di società abbia come logica conseguenza di creare dei combattenti per ‛questa' società: gli individui, divenuti passivi a causa di tale trattamento, resteranno passivi anche quando essa sarà in pericolo; non la difenderanno, e saranno pronti ad accettare un altro modello di società. Ma a questo scopo è necessario che ci sia una formazione attiva del popolo, totalmente identificato con l'emittente della propaganda, che non vi siano cesure, che non vi sia alcuna frattura fra l'emittente e questo numeroso gruppo, addirittura pietrificato nella sua compattezza. Se si accetta questo tipo di analisi, si può subito rilevare il parallelismo che esiste fra la Cina della rivoluzione culturale, con la trilogia Mao-guardie rosse-masse popolari (passive e modellate dalla propaganda d'integrazione), e Hitler-NSDAP-masse popolari. Ma esiste una fondamentale differenza: da una parte cioè si ha a che fare con una rivoluzione anzitutto culturale e in seconda istanza politica, mentre i termini sono invertiti nel sistema hitleriano. Le due categorie di propaganda, politica e sociologica, che una decina di anni fa potevano essere distinte abbastanza bene, attualmente si sovrappongono sempre più.
Si tratta ancora una volta di un'innovazione densa di significato. Il ‛politico' pretende di rappresentare la totalità della società (lo slogan ‟tutto è politica" diventa sempre più vero in relazione con lo sviluppo del potere) e, reciprocamente, impregna di sé tutti gli aspetti della società. Ogni fattore diventa politico: J. Baudrillard ha ben dimostrato che la pubblicità non è più esclusivamente un sistema per vendere meglio, ma racchiude sempre in sé una componente politica, spesso involontaria e destinata a saldare più pienamente il consumatore al destino globale della società (v. Dubois, 1971).
Ma non bisogna credere che questa universalizzazione della politica provochi la politicizzazione degli individui cui la propaganda si rivolge. Al contrario, a livello cosciente, esplicito, la coppia soggetto-oggetto di propaganda (propagandiste-propagandé), che costituisce la società solidale con l'emittente di propaganda, è bensì fortemente politicizzata ma essa soltanto. Il resto della società, al contrario, la massa annichilita, si spoliticizza sul piano cosciente cercando di non scontrarsi col gruppo di agitazione e rifugiandosi inconsciamente in una sicurezza globale. I silenziosi sono certo la maggioranza, ma integrata.
La seconda differenza tra il sistema di propaganda hitleriano e quello maoista riguarda il fatto che la massa non è più ‛solamente' passiva. Si può a rigore, nel mondo nazista, separare una massa che subisce e lascia fare, che è in un certo senso complice, ma è ridotta all'impotenza psicologica dal terrore della propaganda (Machtpropaganda), da un'élite attiva. Nel nuovo sistema, si verifica una integrazione progressiva della massa; essa non è più soltanto spettatrice paralizzata: entra a far parte di un processo di cui l'elemento attivo è l'élite unificata, che non agisce però mai come un motore che trascini una carrozzeria passiva, né come un insieme di attori che siano lasciati liberi di fare, né si presenta come il mezzo di una propaganda che agisce dall'esterno sulla massa. L'elemento attivo è ‛induttore', cioè ‛induce' nella massa un movimento che finisce col diventare quello proprio della massa. Questa, iniziando dall'annullamento della propria specificità e autonomia, è spinta in un processo di autosuggestione, di autopropaganda. Essa ritrova la sua attività, ma per costruire se stessa secondo il modello che le viene suggerito. È perciò che si ha un'azione ‛culturale'. Si modificano tutti i patterns collettivi, ma una volta avvenuta la trasformazione di questi schemi, la propaganda spinge gli individui a una ricostruzione della loro stessa vita, della loro concezione del mondo, della loro azione a partire dai nuovi patterns politici. Nulla viene loro imposto dall'esterno. Non siamo più di fronte alla Machtpropaganda classica: la massa ritrova un'apparente autonomia e una capacità creativa.
Si giunge cioè a riprodurre, su scala sociale, quanto era noto in riferimento a gruppi ristretti per rovesciare completamente l'opinione del gruppo partendo da una contestazione che insinua il dubbio e provoca poi l'adesione per sfuggirlo. Quelli che sono stati contestati e ridiscussi dalle fondamenta in quanto società (per es. durante la ‛rivoluzione culturale') non possono aver altro scampo psicologico che ricostruire essi stessi la propria ideologia (non ne viene infatti proposta loro una già confezionata) sulla base dei fatti nuovi che sono all'origine della contestazione. Ma questa elaborazione non può assolutamente riuscire a un primo tentativo, perciò occorre procedere per molti e successivi passaggi, diverse e successive autocritiche collettive. Ma l'importante è che l'individuo cui è rivolta la propaganda finisca per creare e scoprire egli stesso ciò a cui ‛deve' credere per essere in accordo con l'elemento attivo - il ‛propagandista-propagandato' - della società globale. Una volta effettuata questa reinvenzione, è certo che chi l'ha realizzata (e soprattutto nella misura in cui non si tratta di uno sforzo individuale ma di gruppo) parteggia fermamente per questa nuova ideologia, è veramente divenuto un fedele. Si parte in realtà cosi dall'ortoprassia, ma non ci si arresta più a quel livello, e si passa quindi a un'ortodossia che non è più esteriore e formale. Ora, questo processo coincide con quanto dicevamo a proposito della spoliticizzazione. La massa che segue questo processo di autopropaganda è infatti spoliticizzata: il problema centrale, cioè, non è più politico in senso stretto ma è posto in maniera tale che vi sia un rinnovamento della totalità dei valori e delle opinioni in ogni campo, cosa che comporta, ovviamente, una ripercussione in seconda istanza sul comportamento politico. Ma occorre ancora che questo comportamento appaia spontaneo. Si assiste dunque a una specie di somma dei tipi di propaganda un tempo abbastanza separati: la propaganda politica e quella sociologica. Si tratta allora di ottenere, tramite il doppio processo che abbiamo analizzato, una conformizzazione di tipo sociologico, ottenuta cioè con la pressione dell'ambiente, con i modelli visivi presentati dai mezzi di comunicazione di massa (film, televisione, pubblicità), con la concentrazione degli interessi su dati valori, dati comportamenti o dati problemi, con i modelli di consumo, con le motivazioni psico-metafisiche. Ma la situazione attuale è del tutto nuova. Infatti allorché studiavamo la propaganda di tipo sociologico potevamo sottolineare che i suoi risultati non erano volontariamente perseguiti: la conformizzazione era il risultato dell'accumularsi di un complesso d'influenze che agivano insieme e nella stessa direzione, ma la cui associazione era fortuita.
Nella misura in cui tutti gli agenti, perseguendo ciascuno degli obiettivi immediati e diversi, erano tutti rappresentanti di una società globale fortemente integrata - per esempio società dei consumi, società tecnologica ecc. - essi finivano in seconda istanza coll'influenzare tutti i soggetti nello stesso senso. Non si può dire che il pubblicitario, il regista, il giornalista, il professore, il designer avessero l'intenzione di conformizzare il cliente; essi rappresentavano però tutte le tendenze profonde della loro società, tanto che, dietro il messaggio ovvio che essi inviavano, vi era anche un messaggio simbolico rigorosamente conformista, con il risultato che il soggetto viveva in una rete d'influenze plasmatrici che finivano per costituirgli una personalità profonda rigorosamente aderente alla società che involontariamente ispirava queste pressioni (v. Willener, 1970).
Ma attualmente la situazione è mutata, nel senso cioè che questo fascio d'influenze (sempre le stesse) è assunto a livello volontario, e da questo momento in poi tutto concorre a determinare una conformizzazione del tutto comparabile a quella che era ottenuta tramite la propaganda spontanea dell'intero corpo sociale, e che ora si persegue con procedure tecniche. I mezzi utilizzati sono i medesimi, così pure i loro risultati, ma si è coscienti di quanto si può ottenere tramite essi, e lo si vuole esplicitamente; ci troviamo dunque davanti a una propaganda sociologica volontaria. Questo processo si sta sviluppando anche negli Stati Uniti, che erano il maggior esempio della propaganda sociologica classica. Non bisogna d'altronde farsi fuorviare da movimenti divergenti che potrebbero far pensare a una ‛rivoluzione culturale' negli Stati Uniti. Non vi è in realtà nessuna tendenza veramente rivoluzionaria (v. Ellul, 1972).
Gli hippies, la cultura della droga, le forme di liberazione sessuale, persino l'opposizione alla guerra del Vietnam o le rivolte negre e studentesche rappresentano semplicemente delle reazioni spontanee, che sono chiaro segno di questo passaggio dall'integrazione culturale spontanea alla nuova propaganda sociologica volontaria. Questi movimenti possono essere comparati solo con le opposizioni violente manifestatesi in Cina all'epoca della rivoluzione culturale, che rimane il miglior esempio di questa volontarietà. Non bisogna infatti credere che gli individui e i gruppi siano pronti ad accettare facilmente questa mutazione della propaganda. Certo, essi non sono coscienti di quello che sta avvenendo, ma avvertono il peso della conformizzazione, provano una sorta d'angoscia dell'integrazione, cercano fino all'ultimo di affermare la propria libertà. Dietro gli obiettivi espliciti, per esempio la lotta contro il razzismo e contro la guerra, c'è la volontà di un'esplosione liberatrice. Ma ciò si verifica solo nella misura in cui la pressione conformizzante diventa sempre più forte. Non si tratta né di un chiaro rifiuto né di una presa di posizione politica; è il panico di un uccello appena messo in gabbia, che si dibatte convulsamente cercando senza sosta di prendere il volo, senza neppure vedere le sbarre che lo imprigionano. I suoi movimenti sono tanto più violenti quanto più sono scoordinati, incoerenti; si può aver l'impressione di un'azione vigorosa, ma solo per la presenza delle sbarre della gabbia che non ne vengono minimamente scosse.
È questo tipo di reazione che spiega il carattere multiforme, scoordinato, impulsivo dei movimenti sedicenti rivoluzionari degli Stati Uniti: in realtà si tratta della crisi febbrile del passaggio da una società conformizzante per sua spontanea tendenza a una società coscientemente conformizzante grazie a una propaganda genetica.
Ma se si determina questa evoluzione, non è soltanto per un perfezionamento dei mezzi tecnici della propaganda. Senza dubbio questi ultimi hanno molto progredito, e il loro perfezionamento ha avuto luogo, come sempre, in occasione di guerre. E evidente che un passo considerevole in questa direzione è stato fatto durante le guerre rivoluzionarie, in Algeria e in Vietnam. Sono i combattenti per la liberazione che inventano nuovi sistemi, chiaramente fondati su un rapporto umano, attuati con mezzi poveri e tendenti a un inserimento totalitario, senza alcuna possibilità di margine per il soggetto. Ma per combattere una tale azione gli avversari (Francia, Stati Uniti) hanno appreso a poco a poco i metodi dei combattenti per la liberazione. L'esperienza della guerra di Algeria è estremamente significativa: la propaganda classica e di massa non può stare alla pari con quella dei fellaghas, che arriva molto più lontano. Occorre dunque cercare di difendersi con l'imitazione. Ma a ciò si è arrivati troppo tardi. Gli Americani hanno fatto tesoro della lezione, ma si sono trovati di fronte alla difficoltà di riuscire a congiungere la propaganda tramite i mass media con quella di base.
Tuttavia questo adattamento si effettua lentamente; tanto più lentamente in quanto si tratta di una vera riconversione ideologica e di una messa in dubbio dei principi della propaganda acquisiti fra il 1940 e il 1950. Ma dal momento in cui ci si pone in questa prospettiva e si scoprono le possibilità di queste nuove tecniche, come in tutte le altre esperienze di propaganda si finisce col rivolgersi verso l'interno per applicare tali orientamenti e mezzi all'opinione pubblica americana. Vi è dunque un'indiscutibile trasformazione delle tecniche. Ma non è ancora questo il fatto decisivo: la società moderna tende ad approfondire i suoi mezzi d'integrazione, si struttura a un livello sempre più profondo. Non si può più considerare il corpo sociale anzitutto come corpo politico, né pensare che ci sia una relazione semplice individuo-società (secondo lo schema liberale) e che sia sufficiente mutare gli orientamenti o le opinioni politiche per cambiare l'indirizzo della società. Finché si potevano porre i problemi sulla base di questa chiara relazione e sulla base dell'espressione delle opinioni esplicite dell'individuo, la propaganda che tendeva all'ortodossia era sufficiente.
Ma si è progressivamente compreso, con Freud, Jung e Adler, che la relazione individuo-corpo sociale è molto complessa. Ci si è quindi orientati verso la meta dell'ortoprassia. Attualmente il problema è stato ulteriormente approfondito non solo dal punto di vista teorico (con Marcuse, Reich e con tutti gli studi sulle motivazioni), ma soprattutto partendo dall'esigenza di una società che, per realizzare i suoi obiettivi, richiede la dedizione illimitata, anima e corpo, del soggetto. La crescita tecnologica, l'esigenza di rapidità nello sviluppo del Terzo Mondo, la sfida che può apparire estrema fra le potenze atomiche, la sete di consumi sempre crescente (che permane malgrado l'apparente contestazione), il malessere per l'assenza di significato assieme alla radicale esigenza di un senso fondamentale, l'impossibilità di fornire un'ideologia globale esplicita e soddisfacente, l'inquietudine per l'avvenire, tutti questi elementi insieme comportano l'esigenza che il corpo sociale sia più fondamentalmente integratore di quanto non lo sia mai stato probabilmente da duemilacinquecento anni. Dunque la struttura inglobante della società deve collocarsi in profondità.
La società dev'essere integrata più fortemente di quanto lo sia mai stata. E l'obiettivo da raggiungere non è il trionfo di una determinata politica o ideologia, né la ‛repressione', ma la possibilità di sopravvivenza che risponde a un'implicita aspirazione degli individui. Il mutamento della moderna propaganda è in accordo con tutto ciò.
4. Tre nuove caratteristiche della propaganda
Questo orientamento comporta tre nuove caratteristiche quanto all'oggetto della propaganda e al punto umano del suo inserimento. La prima sta nel fatto che oggi si constata come non possa esserci propaganda senza l'esistenza di valori di base accettati e riconosciuti (v. Crozier, 1971). Ora, noi avevamo notato precedentemente che la propaganda di per se stessa non può creare dei valori. Occorre che il gruppo che svolge la propaganda abbia alcune certezze assolute. Se il tecnico della propaganda può agire da mero tecnico, senza alcuna adesione a valori e senza esprimerne, viceversa ora che si è riconosciuta l'importanza del tramite umano, non si può chiedere a dei gruppi di comportarsi con un assoluto cinismo tecnico. Su ciò si fonda la crisi spirituale che hanno attraversato i comunisti al momento della scoperta di ciò che era veramente stato Stalin e dell'invasione della Cecoslovacchia (è curioso come ciò non sia accaduto allo stesso modo nel 1956, con i fatti d'Ungheria!). Avanzerei l'ipotesi che questo possa essere dovuto al fatto che essi avevano vissuto per un certo numero di anni sulla spinta staliniana, nella conformizzazione ottenuta a prezzo di spiegazioni che s'imponevano automaticamente: riflesso condizionato che continuava a operare, ma che si è poi progressivamente perduto. Quanti si limitavano a ‛leggere' i testi di Lenin e Stalin e ‛proprio per questo' interpretavano la loro politica come caratterizzata da un assoluto cinismo passavano per anticomunisti.
La propaganda era riuscita a creare un universo puramente illusorio, in cui le spiegazioni e le motivazioni riconducevano tutto a determinati valori. I comunisti hanno effettivamente creduto che tutte le azioni di Stalin fossero guidate dall'imperativo della positiva realizzazione dei valori del comunismo e che la tattica fosse strettamente subordinata a questi valori. Quando fu rivelato irrecusabilmente che si trattava di mera tattica, senza alcuna preoccupazione dei valori, che la propaganda non era un mezzo subordinato a un ideale ma pura propaganda, fu il crollo: un gruppo non può sussistere in uno scetticismo radicale, impegnato in un'azione puramente tecnica, non sostenuta da una qualche convinzione, espressione di solo cinismo (v. Morgenstern, 1972). Sopravvengono allora necessariamente obiezioni di coscienza da parte dei membri del gruppo, come si è infatti constatato per i comunisti. Ciò che è vero per qualsiasi gruppo, ciò che è effetto della propaganda in un gruppo soggetto a essa, lo è a maggior ragione se un gruppo è esso stesso portatore di propaganda. Bisogna che creda a determinati valori, valori che lo impegnano come portatore e che anzi sono i soli che può trasmettere nella sua propaganda.
Se il gruppo perde la convinzione, diventa esitante, poco coerente, non può più essere vettore di propaganda. È ciò che ha determinato la debolezza della propaganda sovietica dopo Chruščëv: dopo essere stata un modello di efficacia, la propaganda sovietica è diventata incerta, inefficace; da un punto di vista tecnico è rimasta la stessa, ma non ottiene più gli stessi effetti. Nei gruppi comunisti comincia infatti a prevalere un atteggiamento critico, si mettono in discussione i mezzi e il fine; sorgono dubbi circa la realizzazione ultima del comunismo; si nota una certa apertura nei confronti dei valori degli altri gruppi, che vengono presi in considerazione: i gruppi comunisti diventano così radicalmente incapaci di essere vettori di propaganda. Quest'ultima presuppone non solo una salda convinzione circa i valori che si rappresentano, ma anche la certezza della loro radicale superiorità rispetto a tutti gli altri e il rigetto implacabile dei valori estranei.
L'apertura e la critica rendono incapaci di far propaganda. Non importa il contenuto dei valori in cui si crede, ma la saldezza della convinzione. Quest'ultima (e di conseguenza i valori che ne sono l'oggetto) diviene il fattore più importante ai fini del successo della propaganda. Per questo, nella pubblicità moderna, il primo passo è attualmente il tentativo di far sorgere un'incrollabile convinzione in quanti devono fare tale pubblicità. Essa diventa filosofica, pena l'inefficacia. Si riscopre così un fatto evidente ben noto (è dalla convinzione che nasce la capacità di convincere), ma questo fatto evidente era stato negato dai tecnici della propaganda fra il 1930 e il 1950, e inoltre ciò che era il risultato di una convinzione spontanea diviene ora il risultato di una manipolazione che fa nascere convinzioni e fedi in valori abilmente scelti.
La seconda nuova caratteristica della propaganda è lo sfruttamento dell'angoscia creata dalla stessa società dei consumi (per quanto riguarda il mondo occidentale). Bisogna rifarsi alla dimostrazione di Baudrillard (v., 1972): constatiamo che, come aumenta l'abbondanza in una data società, si accentua nei suoi membri un senso di colpa a cui corrisponde un'angoscia di fondo che può tradursi in comportamenti di violenza e di rivendicazione ‛liberatrice'. ‟Un enorme processo di accumulazione primitiva di angoscia, di senso di colpa, di rifiuto, si svolge parallelamente al processo di espansione e di soddisfazione". È lo stesso sviluppo della società dei consumi e del progresso tecnologico che determina questo fenomeno. Si è caduti in un grosso errore non tenendo conto dell'ambivalenza del desiderio: si è ritenuto che il desiderio fosse l'equivalente del bisogno e il bisogno fosse l'origine del desiderio, e che, una volta soddisfatto il bisogno mediante il corrispondente bene, tutto sarebbe stato risolto. Ma non può mai darsi un bisogno puramente e semplicemente soddisfatto, per cui si possa dire che il problema è superato: esiste sempre la dimensione negativa del desiderio. Più si ha soddisfazione di bisogni (la componente positiva del desiderio), più la negatività del desiderio viene negata, censurata; più l'ambiente è produttivistico, più si rivela la necessità della distruzione.
Quando la negatività del desiderio è obnubilata, si accumula in un potenziale di angoscia e poiché questa negatività non ha mai la possibilità di esprimersi in dettaglio, a livello individuale fa la sua comparsa una volontà globale di distruzione (pulsione di morte). Questo spiega le esplosioni d'immotivata violenza, come si sono manifestate la prima volta a Stoccolma nel 1953 e successivamente in numerosi paesi: non sono rivolte che hanno le loro origini nella miseria ma sono la manifestazione di una duplice pulsione, quella dell'angoscia di fronte alla positività soddisfatta del consumo e quella dell'intolleranza di fondo per la tecnicizzazione della società. Queste esplosioni di collera distruttrice non sono dello stesso tipo delle rivolte di carattere politico o economico.
Dunque, dal punto di vista della propaganda occorre tener conto di questi due aspetti. Si sa generalmente piuttosto bene come sfruttare le rivolte dovute alla miseria o all'opposizione a un regime: questo è sempre stato il problema di ogni propaganda. Viceversa, nei confronti dell'atteggiamento che esprime l'angoscia derivante dalla negatività repressa del desiderio occorre una tattica nuova. Occorre infatti, da una parte, che la propaganda combatta la tentazione di tirarsi indietro, di ripiegarsi su se stessi, di mettersi da parte, di non partecipare; il propagandista deve quindi lottare contro i gruppi di controcultura o escapistes per reintegrare gli oppositori nell'ambito della società globale. Dall'altra, bisogna sfruttare il potenziale di angoscia, ma questo non può più avvenire tramite una regolamentazione, un inquadramento: la collera negativa presuppone una grande libertà di espressione. È questa la principale difficoltà della propaganda moderna, che presuppone nello stesso tempo la padronanza della situazione e l'utilizzazione proprio di questa stessa collera come energia motrice. Una volta ancora, la propaganda non può più essere semplicemente meccanica e tecnica; per avere successo deve utilizzare l'energia psicologica preesistente e suscettibile di esprimersi. Quest'energia non ha bisogno di essere compressa: lo è già abbastanza; non può essere incanalata in una condotta forzata: presuppone la libertà; ma è viceversa la decompressione violenta dell'esplosione che dev'essere utilizzata nell'ambito dei circuiti costituiti dal sistema di propaganda.
La terza caratteristica infine è in relazione con la fragilità dell'uomo moderno, specialmente dei giovani (v. Ellul, 1957 e 1965). Esiste a questo proposito una dimensione che non è ancora ben conosciuta. Mentre in una società tradizionale occorrevano degli impulsi considerevoli per mettere in moto una folla di uomini, sappiamo da molto tempo che l'uomo occidentale è molto più vulnerabile. Può esser preso dal panico per qualsiasi informazione. Questo fenomeno era stato spiegato con lo ‛sradicamento': l'uomo non ha più il suo tradizionale sistema di riferimento, non ha più valori stabili, non ha più un ambiente permanente, è sottoposto a un rapido mutamento, non comprende esattamente il senso di ciò che sta vivendo, ecc. Di conseguenza, sotto un certo aspetto, è più suscettibile di essere influenzato e mobilitato dalla propaganda. Attualmente facciamo ancora un passo avanti: abbiamo l'accumulazione e il senso di una schiacciante responsabilità, due motivi essenziali dell'attuale psicologia sociale.
Noi viviamo nell'accumulazione non solo materiale (cose, persone, occupazioni, macchine), ma anche intellettuale e psichica (l'accrescersi delle informazioni, che alcuni psicologi considerano causa di squilibrio psichico, la molteplicità non assimilabile delle relazioni umane, la varietà di apprendimenti connessi a mestieri diversi per uno stesso individuo, ecc.). Questo comporta non solo, come un tempo, il bisogno di propaganda, ma a tratti una volontà di rottura, l'eliminazione brutale di tutta questa accumulazione, il desiderio di un luogo sgombro, di una situazione chiara: tutto ciò rende assai fragile la persona. Infatti essa è continuamente combattuta fra la necessità di ricevere nuove informazioni e una specie di allergia al loro accumularsi. Così accade che, in questo equilibrio estremamente instabile, un'informazione di troppo o una notizia apparentemente traumatizzante provocano la crisi.
Ma la fragilità dipende anche dallo schiacciante senso di responsabilità: gli uomini di questa generazione hanno bruscamente appreso che i problemi che li minacciano non sono più dell'ordine politico tradizionale, ma sono più fondamentali (crescita demografica, aumento della radioattività, inquinamento, incertezza per le materie prime nel futuro). Si calcola che l'umanità abbia solo un periodo molto breve (forse trent'anni) per risolvere questi problemi e questo fatto non è noto solo agli specialisti, ma è ormai di dominio pubblico. C'è in tutti un'inquietudine latente che può trasformarsi in panico. Altro aspetto, questo, dell'angoscia contemporanea. A ciò fa riscontro un'apatia generale della massa, una sorta di superficiale indifferenza per la maggior parte dei problemi, una spoliticizzazione (la massa non riesce più a prendere sul serio i dibattiti puramente politici e parlamentari), una passività, che tuttavia si alternano con brutali esplosioni di rivolta che ormai non sono più soltanto appannaggio dei giovani o dei negri americani.
Una volta ancora la Svezia serve da esempio: nel febbraio 1972, un'intervista di due minuti alla televisione di una casalinga di Stoccolma, che invitava gli Svedesi a boicottare il consumo di carne bovina e di latte, provocò una grandissima sommossa, un'agitazione selvaggia. Per questo fatto non c'è nessuna spiegazione razionale (per es. aumento dei prezzi o delle tasse). È chiaro che un episodio del genere è esclusivamente sintomatico dell'estrema fragilità psichica dell'uomo moderno, fragilità che si esprime nello stesso tempo con il rifiuto, con l'indifferenza e con l'esplosione irrazionale. Ora, è esattamente in questo quadro, in questo clima che agisce la propaganda moderna, che può di conseguenza mettere in movimento con grande facilità una massa di questo tipo, ma nello stesso tempo non ha la sicurezza di riuscire a controllare il movimento e ottenere dei risultati. La propaganda di agitazione è fugace e riconduce sempre, l'abbiamo già visto, all'integrazione, senza che siano stati necessariamente acquisiti cambiamenti notevoli. Ma l'intero corpo sociale si trova in stato d'involuzione e la moderna propaganda esprime la nuova problematica dell'intera società.
Non si tratta più di una problematica politica (in senso tradizionale), né spirituale, né filosofica, ma di integrazione totale e senza riserve in un corpo che non fa più riferimento ad alcuna verità trascendente, che determina la sua involuzione scambiando se stesso per la verità, procedendo rapidamente e implicando il procedere di tutti i suoi membri in un errare indefinito: la relatività assoluta implica la fede assoluta, l'indefinitezza dell'oggetto implica l'adesione senza riserve. Quanto più manca un fine assoluto, tanto più i mezzi divengono i fini. In queste circostanze la propaganda è divenuta ora, in una nuova tappa della sua storia, parte essenziale e integrante del mondo moderno.
(V. anche comunicazioni di massa e opinione pubblica).
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