PROSSEMICA
Il termine ''prossemica'' (dall'ingl. proxemics, neol. da prox- del lat. proximus, ed −emics come in phonemics), coniato da E. T. Hall (1963), designa una branca della semiotica che si occupa dell'uso che le varie culture fanno dello spazio e delle distanze spaziali connesse all'interazione comunicativa interpersonale. In sostanza il suo dominio di studio riguarda l'uso dello spazio a fini significativi. Naturalmente le difficoltà di rilevamento dei dati e d'interpretazione degli stessi rendono problematico lo sviluppo di questo campo, che a tutt'oggi è più un progetto scientifico che una realtà disciplinare.
Prossemica, cinesica e linguaggi gestuali. - Per individuare un significato prossemico, lo spazio significativo viene analizzato in termini di tratti distintivi, quali per es. la relazione di prossimità e di distanza interpersonali. È chiaro che, laddove lo spazio sia occupato da soggetti, diventano significative non solo le distanze tra di loro, ma anche i movimenti dei soggetti stessi che le modificano; perciò l'analisi prossemica dovrà essere integrata da un'analisi della gestualità o cinesica (dal gr. kínēsis, "movimento"). Fenomeni di questa natura vengono di solito compresi sotto l'etichetta della paralinguistica.
La cinesica è la branca della semiotica che analizza la gestualità umana intesa come forma di significazione. Si sviluppa già a partire dagli anni Cinquanta grazie ai lavori di D. Efron (1941) e di R. L. Birdwhistell (1952). Anche K. L. Pike (1967) usa il termine attèma o cinèma per indicare un componente del behaviorema, unità di comportamento (behaviour) dotata di significato. Antesignani dello studio della comunicazione posturale sono Ch. R. Darwin, M. Mauss, F. Boas, i quali si preoccuparono di studiare l'origine filogenetica di espressioni corporee usate per manifestare emozioni o la base culturale di talune tecniche corporee. A differenza della p., la cinesica si sviluppa a più stretto contatto con le discipline linguistiche e cerca di mutuarne anche le tecniche analitiche. Ciò si rileva sia nella classificazione delle tipologie di gesto, sia nella metodologia di scomposizione del gesto stesso in unità più semplici.
Per quanto riguarda la tipologia della gestualità, si distinguono una gestualità di ''comunicazione diretta'' e una di ''trasposizione''. La prima accompagna spesso il parlato ed è considerata un elemento dell'analisi paralinguistica della comunicazione verbale. Può avere un contenuto sia ''attributivo'' che ''modale''. Le due nozioni sono ispirate alla terminologia della linguistica: l'attributiva comunica significati dell'ordine delle emozioni, attitudini fondamentali (paura, ira, gioia, ecc.; cfr. soprattutto l'espressione facciale). La sua natura è attributiva in quanto attraverso essa l'uomo è incapace di narrare il mondo, si limita a informare sul suo personale stato affettivo e pulsionale, sulla sua identità. La gestualità diretta modale, invece, serve a comunicare categorie semantiche modali (per es. diniego/asserzione, divieto/permesso). La gestualità di trasposizione, e in particolare quella mimetica, serve a trasporre attraverso il corpo umano dei significanti non gestuali (per es. il segno di ''pistola'' trasposto con il significante gestuale: / mano con indice puntato /).
Circa la scomposizione del gesto in unità elementari, l'idea centrale di Birdwhistell, uno dei più autorevoli ricercatori in campo cinesico, è di condurre a termine un'analisi della gestualità ispirata ai principi della fonologia. Perciò egli individua alcuni elementi gestuali sprovvisti di senso; questi si compongono in organizzazioni significative che, a loro volta, possono ulteriormente combinarsi.
In dettaglio, la ricerca sul comportamento motorio si svolge a due livelli: uno microcinesico e uno macrocinesico. La microcinesica (o cinologia) opera a livello dei cinèmi, unità distintive che sono delle classi di movimenti − le cui varianti sono denominate ''allocini'' o ''cini'' − strutturalmente comparabili ai fonemi. Per es., il cino ''movimento verticale della testa'', notato /Hn/, è un'unità che copre tutta una classe di movimenti ascendenti-discendenti (allocini), cioè è un cinèma. Questi allocini differiscono tra loro per intensità (grado di tensione muscolare che interviene nella produzione di un cino), ampiezza (estensione del movimento) e rapidità (lunghezza temporale del movimento).
La macrocinesica (o cinemorfologia) opera a livello di cinemorfemi (classi di cinèmi), organizzati in costruzioni complesse comparabili strutturalmente a parole, proposizioni, frasi. Per es., il cinèma /Hn/ ha lo stesso valore di altri cinèmi, quali il ''movimento ascendente-discendente del dito'', notato /n/. Perciò si può stabilire l'equivalenza /Hn/≡/n/. {/Hn/+/n/} è appunto un esempio di cinemorfema. Generalmente, l'analisi macrocinetica è condotta a livello paralinguistico, cioè sulla gestualità che accompagna il parlato.
Secondo J. Lyons, la maggiore assimilazione della cinesica alla linguistica è dovuta al fatto che esistono alcune particolari somiglianze tra linguaggi verbali e linguaggi gestuali. Infatti, la sintassi delle lingue storico-naturali, similmente alla sintassi gestuale, è almeno parzialmente non-associativa e non-commutativa. La proprietà associativa è la proprietà in base alla quale i costituenti sintattici sono suscettibili di ordinarsi in gerarchie diverse pur continuando a presentarsi secondo la medesima sequenza (cfr. in aritmetica: x+(y+z)=(x+y)+z). Di qui deriverebbero i fenomeni di ambiguità strutturale esemplificati in italiano dalle espressioni ''uomini e ragazzi simpatici'', ''un sapiente cieco''. La proprietà commutativa consente invece a tali costituenti di presentarsi secondo diverse sequenze di successione lineare (cfr. in aritmetica: x+y+z=y+x+z). Similmente, psicologi ed etologi ritengono che gli schemi di comportamento abbiano una struttura ''sequenziale'', cioè siano privi della proprietà commutativa.
Tuttavia, una semiotica della gestualità è lungi dall'essere costituita, a causa del permanere di insormontabili difficoltà teoriche. La principale è costituita proprio dalla verifica concreta delle conseguenze del presupposto secondo cui il gesto sarebbe un segno. Infatti, se ciò è vero, allora dovrebbe essere sempre possibile identificare tali segni e stabilire una stretta correlazione tra il loro significante e il loro significato; inoltre, dovrebbe essere ugualmente possibile segmentare il gesto in unità significanti che lo compongano. Viceversa, l'analisi è più spesso condotta non su singoli gesti considerati come segni, ma su interi ''testi'' gestuali (per es. danze, pantomime, ecc.). Peraltro, anche supponendo di aver già provato la natura ''segnica'' della gestualità, nondimeno le capacità espressive del linguaggio gestuale restano subordinate e meno estese di quelle del linguaggio verbale (onniformatività del linguaggio verbale). In tal senso, tuttavia, occorre tenere distinta la particolare posizione delle lingue dei gesti dei sordomuti (lingua dei segni, American Sign Language, ecc.). Si tratta di linguaggi fortemente codificati e ritualizzati che, proprio a causa di questa loro caratteristica, posseggono potenzialità espressive complete, cioè comparabili a quelle di una lingua storico-naturale. Infatti, le lingue dei gesti variano a seconda dei gruppi geoculturali che le usano, esattamente come le varietà di lingue storico-naturali.
Al contrario di quanto appena visto a proposito della ricerca cinesica, la metodologia d'indagine prossemica s'ispira prevalentemente a un contesto teorico mutuato dalla recente antropologia culturale. Tecnicamente Hall distingue tre livelli del comportamento prossemico: l'infraculturale, il preculturale e il microculturale. I primi due riguardano il comportamento spaziale animale e umano, a prescindere dall'intervento di una specifica elaborazione culturale.
In particolare, il livello infraculturale riguarda il comportamento spaziale che si radica nel ''passato biologico'' dell'uomo e concerne la percezione della ''territorialità'', del ''sovraffollamento'' e le conseguenze di questi due fattori sull'organismo. Così è la territorialità che coordina le attività del gruppo e lo tiene insieme: essa mantiene gli animali alla distanza di comunicazione, necessaria a segnalarsi la presenza di cibo o di nemici. Inoltre, in caso d'incontro tra individui di specie diverse, essa determina il valore della ''distanza di fuga'' (il cui superamento causa la fuga dell'animale) e di quella ''critica'' (l'intervallo che separa la distanza di fuga da quella d'attacco). Viceversa, in caso d'incontro tra individui membri della stessa specie, il comportamento spaziale è regolato dalla valutazione della ''distanza personale'' (intervallo spaziale tenuto tra simili) e di quella ''sociale'' (limite psicologico oltre il quale l'animale comincia a sentirsi ansioso). In caso di ''sovraffollamento'' si determina la disorganizzazione progressiva della distanza personale e sociale, con conseguenti perversioni del comportamento e incremento dell'aggressività tra simili.
Il livello preculturale riguarda la percezione dello spazio in relazione alla base fisiologica sensoriale umana. In quest'attività sono coinvolti recettori a distanza (occhi, orecchi, naso) e recettori immediati (pelle e muscoli). Essi provvedono a fornire all'organismo una rappresentazione fisiologica e parziale del campo sensoriale fisico. Per es., una certa combinazione tra dati fisici (ridotte dimensioni spaziali e alta temperatura) produce la rappresentazione fisiologica della sensazione personale di ''affollamento''.
Il livello microculturale riguarda gli aspetti della strutturazione dello spazio che vengono modificati per effetto della cultura. In tal senso, si possono distinguere tre diverse nozioni di spazio: preordinato, semi-determinato e informale.
La nozione di spazio preordinato abbraccia tutti gli aspetti dello spazio che sono materialmente prefissati nel contesto di una particolare cultura. Vi è uno spazio esterno e culturalmente specifico che riguarda le differenze intraculturali della pianta della città. Si osservino, per es., i modi contrastanti in cui le diverse culture dispongono le strade: il sistema di intervalli giapponese (in Giappone le strade prendono un nome dai loro punti d'intersezione), il sistema radiale francese o a ''griglia'' e il sistema reticolare americano. Vi è poi uno spazio interno e culturalmente specifico che ha a che fare con l'architettura e con la configurazione degli spazi interni.
Lo studio dello spazio semi-determinato concerne la disposizione degli arredi interni (mobili, paraventi, divisori mobili e simili) intesi come fattori che influiscono sull'interazione umana, agevolandola od ostacolandola (per es., la disposizione dei soggetti intorno a un tavolo tondo può favorire l'interazione, mentre intorno a un tavolo quadrato soltanto alcune posizioni faciliteranno la conversazione: quelle fianco a fianco e faccia a faccia).
Lo studio dello spazio informale aspira a costituire una tipologia delle distanze osservate nei vari tipi d'interazione sociale e indaga il modo in cui l'uomo usa attivamente gli elementi spaziali della situazione. Hall, riferendosi alla situazione culturale occidentale, descrive dettagliatamente quattro tipi di distanze: intima, personale, sociale e pubblica (ognuna con le sue fasi di lontananza e vicinanza). La distanza ''intima'' sarebbe caratterizzata da un forte coinvolgimento fisico e intensi apporti sensoriali: la fase di vicinanza (contatto fisico) sarebbe usata per la lotta e per l'amplesso, mentre quella di lontananza (15÷25 cm) sarebbe generalmente riservata alle relazioni familiari. Alla distanza ''personale'', nella fase di vicinanza (45÷76 cm) non si verificherebbe più la distorsione della percezione visiva della fisionomia dell'interlocutore; nella fase di lontananza (76÷122 cm) si discuterebbero argomenti di carattere personale, il tono della voce sarebbe moderato, nessun calore corporeo sarebbe percepibile. La distanza ''sociale'', nella fase di vicinanza (1,22÷2,15 m) verrebbe usata nell'interazione con gli amici e i colleghi di affari, mentre la fase di lontananza (2,15÷3,67 m) verrebbe usata nelle interazioni di affari richiedenti relazioni più formali. Infine, la distanza ''pubblica'', nella fase di vicinanza (3,67÷7,64 m) verrebbe usata per rivolgersi a un gruppo informale, mentre la fase di lontananza (oltre i 7,64 m) verrebbe usata per rivolgersi a un assembramento formale di persone. A questa distanza non solo la voce, ma tutto il comportamento dev'essere esagerato e amplificato.
Hall propone anche una riflessione sull'intreccio tra p. e contesti interculturali. Se, per es., si considerano gli atteggiamenti culturali di inglesi, americani e tedeschi nei riguardi della percezione delle frontiere spaziali, si possono osservare alcune differenze significative. In primo luogo, la cultura tedesca − secondo Hall − sarebbe più sensibile all'intrusione di quanto non lo sia la cultura americana. Per un tedesco sarebbe sufficiente essere in grado di vedere l'interno della casa di un estraneo per essere già in una posizione da intrusi. Negli uffici americani le porte sono generalmente aperte, in quelli tedeschi sono chiuse. Per il tedesco la porta aperta sarebbe indizio di disordine, mentre la porta chiusa manterrebbe l'integrità della stanza. In Germania, sostiene Hall, cambiare la posizione di una sedia in casa d'altri sarebbe considerato un atto di vera maleducazione. Inoltre, diversamente dagli americani, gli inglesi non avrebbero un senso spiccato per lo spazio privato: fin da piccoli sarebbero abituati a ''mettere in comune'' lo spazio. Ciò comporta che, per es., per isolarsi gli inglesi non hanno bisogno di spazi preordinati (per es. una stanza dove rimanere in isolamento): nello spazio in cui sono inseriti si circondano di ''barriere interiori'' che li isolano dal mondo. Perciò essi hanno un forte controllo del volume e della direzione della voce e, nelle conversazioni, tendono a fissare negli occhi l'interlocutore.
Peraltro, la variazione interculturale caratterizza non solo l'ambito prossemico, ma anche il contenuto che ogni cultura assegna a ciascun gesto o comportamento ritualizzato. Tra i comportamenti ritualizzati si consideri, per es., un atto quale il mostrar la lingua. A seconda della cultura considerata, ad esso è associato un diverso significato: in India la lingua che fuoriesce dalle statue della dea Kalì significa rabbia, furore, ecc.; nelle statue malesi degli dei la lingua sporgente significa saggezza; nel Tibet un gesto di saluto consiste nel togliersi il cappello e tirar fuori la lingua. Un'analisi delle tecniche corporee associate all'uso che una data cultura fa di certi oggetti rivestirebbe notevole interesse e utilità anche in linguistica e in etnolinguistica, in quanto contribuirebbe a fornire gli elementi essenziali di una classificazione funzionale, che si contrappone a una classificazione di tipo ''naturale'', fisico, degli oggetti della cultura materiale.
Per es., alcune popolazioni africane del Ciad utilizzano uno strumento di pesca di nome tereben, una sorta di rete conica che si usa mimetizzandola sul fondo. Sul piano meramente fisico tale strumento dovrebbe essere classificato separatamente dalla nassa conica perché quest'ultima, al contrario del tereben, non è in materiale tessile. Tuttavia, la funzione dei due strumenti e, in particolare, la tecnica corporea che il pesce deve adottare per sfuggire alla minaccia, in entrambi i casi è la medesima: si tratta di strumenti di pesca che sfruttano la mimetizzazione. Perciò una classificazione funzionale distinguerà strumenti in base alla loro specifica ''minaccia'' (lo choc, il perforamento, il camuffamento, il sollevamento, ecc.). Solo su questa base, in certo modo ''cinesica'', potrà costituirsi l'ordinamento tassonomico necessario a una classificazione etnolinguistica relativa agli strumenti di pesca e, più in generale, a una classificazione etnolinguistica degli oggetti della cultura materiale.
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