PUGILATO
Antichità classica. - Il pugilato (pugilatus, pugilatio, πυγμή, πυγμαχία), quale esercitazione facente parte delle gare atletiche, risale a remota antichità e ha origini mitologiche. L'inventore ne sarebbe stato Teseo, ed Eracle uno dei più forti cultori. Sono celebri nella mitologia le lotte fra Apollo e Ares, ad Olimpia, e fra il dioscuro Polluce ed Amico, re dei Bebrici, durante la spedizione degli Argonauti.
Virgilio (Aen., V, 391 segg.) descrive con efficace evidenza la tenzone fra Darete ed Entello. Il pugilato faceva sempre parte dei giuochi pubblici e delle esercitazioni nei ginnasî e nelle palestre. Era grandemente stimato quale buona preparazione al combattimento, insegnando a colpire evitando i colpi. Si considerava anche di alto valore educativo, dando ai suoi cultori una costante resistenza fisica, e apprendendo le astuzie e la rapidità di decisione. I medici ne biasimavano gli eccessi, ma poi lo raccomandavano in certi casi per combattere la vertigine e il male di testa. Gli Etruschi coltivarono molto il pugilato e lo insegnarono ai Romani. Nei ludi celebrati da Tarquinio Prisco si narra che intervenissero pugili fatti venire dall'Etruria. Non vi era festa romana o trionfo senza una pugilatio. Catone stesso fece istruire suo figlio in questa arte; Augusto vi prendeva gran piacere e Caligola ne fu gran fautore. Fu in gran voga in Roma nell'età repubblicana e più ancora durante l'impero. In molte opere d'arte greche e romane sono indicati gli atteggiamenti del pugilista (pugil, pugilator, πύκτης), ed espresse le varie maniere di parare e di colpire.
La tecnica del pugilato era quale si adotta ancor oggi, però più pericolosa e con effetti più gravi, dato l'uso da parte dei lottanti di coprirsi l'avambraccio e il pugno con corregge di cuoio indurito, guarnite con piccole borchie di piombo, lasciando però libere le dita. Era questo il terribile cesto (caestus), che, aggiungendo forza al colpo, proteggeva al tempo stesso il polso e il braccio. Gli antagonisti lottavano completamente nudi, come negli altri agoni. Era proibito l'uso di mezzi illeciti, e gravemente punita l'uccisione premeditata dell'avversario. I colpi erano diretti alle parti superiori del corpo e specialmente al viso. Quando la lotta durava a lungo per la resistenza dei due pugilisti si soleva prendere una posizione fissa e in quella durare o assalendo o difendendosi, finché l'uno o l'altro alzasse la mano dichiarandosi vinto.
Epoca moderna. - Sino al sec. XVII mancano i documenti intorno al pugilato, e si può ritenere che questo, in quanto sport, abbia subito effettivamente una lunga parentesi dopo la fine dei combattimenti gladiatorî.
Nel 1681, in una cronaca del Protestant Mercury londinese, si accenna a un certame pugilistico di carattere popolare. Pure nel Seicento fiorì il maestro di scherma James Figg, che incluse il pugilato nella noble art of self-defense. Le altre testimonianze di qualche rilievo appartengono tutte al secolo successivo. Ma per lungo tempo ancora, benché i migliori pugilisti avessero molti seguaci e godessero largo favore nelle masse, non si parla né di regole né di organizzazione. Capostipite del pugilato moderno dev'essere considerato l'inglese Jack Broughton, il quale nel 1743 ne fissò in un codice le regole, che lo facevano rassomigliare all'antico pancrazio (v.). Nell'Ottocento la voga aumentò: uomini come lord Byron coltivarono la noble art, e il Byron stesso prese lezioni di pugilato da un certo Jack Johnson, che si fregiò del titolo di "insegnante di boxe". Si ebbe in Jem Belcher il primo campione d'Inghilterra. Nel 1812 si svolse il più famoso combattimento dell'epoca fra il campione Tom Cribb e il negro Molineaux.
Nel 1838 furono fissate nuove regole, che modificarono sostanzialmente il modo di combattere. Esse, perfezionate nel 1853 col nome di London prize ring rules, ebbero vigore fintantoché il pugilato fu praticato a pugni nudi. I più famosi campioni di questo nuovo stile furono Tom Sayer, campione d'Inghilterra nel 1857; Jem Mace, celebre per l'abilità, il quale fu campione d'Inghilterra nel 1861, nel 1865, nel 1867 e campione del mondo nel 1870 e nel 1871, e l'americano John Sullivan, che fu l'ultimo campione del mondo in combattimenti a pugni nudi.
Nel 1886 il pugilato dei professionisti (prize fighters) fu dichiarato illegale in Inghilterra, e allora il marchese di Queensberry, grande appassionato, dettò altre regole per combattimenti fra dilettanti, regole che stabilivano che gli assalti dovessero durare tre minuti ciascuno con un minuto d'intervallo, che i pugni dovessero essere guantati, e che il pugile caduto a terra, e che non si fosse rialzato entro dieci secondi, fosse dichiarato perdente. Con queste regole venne poi tollerato il pugilato professionistico (ancora oggi non ammesso legalmente in Inghilterra), e con esse fu disputato a New Orleans, nel 1892, il primo campionato del mondo fra John Sullivan e James Corbett, vinto da questo al 21° assalto. Esse, opportunamente modificate, sono press'a poco le stesse che vigono oggi.
Nei combattimenti a pugni nudi il numero e la durata degli assalti non erano fissati in antecedenza. Gl'incontri si disputavano ad oltranza. e quando un pugilatore cadeva a terra per stanchezza o per un colpo ricevuto, aveva diritto a 30″ di riposo con assistenza da parte dei secondi, e a 8″ per riportarsi nel centro del recinto (ingl. ring). Grande cura era posta dai pugilatori nel conservare in efficienza le mani e nel rendere spessa la pelle della faccia. Durante la preparazione mani e faccia erano sottoposte a quotidiani bagni di salamoia ed aceto, così che la pelle risultava quasi conciata. Nel colpire, i pugilatori, che combattevano quasi da fermi, cercavano di preferenza di toccare sulle parti molli della faccia per risparmiare le mani. Il fatto di evitare di colpire alla punta del mento, e la facoltà data ai pugili di essere soccorsi appena si trovavano in difficoltà, faceva sì che il cosiddetto "colpo da knock out" fosse sconosciuto, e che i combattimenti risultassero prove di resistenza più che di potenza. Lo scopo era soprattutto quello d'indebolire gradatamente l'avversario.
Il più lungo combattimento a pugni nudi avvenne nel 1855 a Melbourne fra certi Kelly e Smith, e durò sei ore e un quarto.
Anche i combattimenti con guanti furono, del resto, sino al 1900, ad oltranza, tanto che nel 1893, a New Orleans, J. Bowen e T. Burke disputarono 110 assalti, cioè lottarono per 7 ore e 19′, e, essendo sopraggiunta l'oscurità, il combattimento fu interrotto e dichiarato pari. Qualche altro combattimento ad oltranza fu pure disputato dopo il 1900; ma quelli di campionato furono limitati a un massimo di 20 assalti e, negli ultimi anni, a 15.
I pugilatori del sec. XVIII e della prima metà del XIX raramente combattevano per un compenso proveniente dagli spettatori. Lo spettacolo, anzi, era gratuito, e si svolgeva di nascosto, in campagna, alla presenza di appassionati. Il pugile scommetteva una somma di denaro sulla propria vittoria; ma più spesso aveva una specie di finanziatore (ingl. backer) che accettava le scommesse dell'avversario e degli spettatori, e che, in caso di vittoria, ricompensava il pugile. Dal 1860 in poi, speeialmente in America, gl'incontri cominciarono ad essere organizzati come spettacoli a pagamento.
Il primo campione del mondo secondo le regole del marchese di Queensberry, cioè con pugni guantati, fu James Corbett, che sconfisse John Sullivan. Gli succedettero Bob Fitzimmons (1897); James Jeffries (1899); Marvin Hart (1905); Tommy Burns (1906); Jack Johnson (1908); Jess Willard (1915); Jack Dempsey (1919); Gene Tunney (1926); Jack Sharkey (1929); Max Schmeling (1930); Jack Sharkey (1932); Primo Carnera (1933); Max Baer (1934). Oltre il campionato dei pesi massimi (campionato assoluto) si disputavano anche i campionati delle altre sette categorie di peso (v. appresso).
In Italia il pugilato ha cominciato ad essere praticato, senza peraltro grande divulgazione, negli ultimi anni dell'anteguerra. Il primo campione dei pesi massimi fu il milanese Piero Boine, il quale perdette il titolo nel 1913 contro Eugenio Pilotta. Subito dopo la guerra mondiale si distinsero due fratelli, Giuseppe ed Erminio Spalla, il secondo dei quali vinse nella categoria dei mediomassimi alle Olimpiadi interalleate di Joinville. Erminio Spalla, che è stato il più popolare campione italiano, e nel cui nome si sintetizza lo sviluppo del pugilato in Italia, conquistò il campionato italiano su Pilotta nel 1920, e nel 1923, battendo l'olandese Piet van der Veer, divenne - primo pugilatore italiano - campione d'Europa. A Spalla successero, come campioni italiani dei pesi massimi, Riccardo Bertazzolo (1927); Giacomo Panfilo (1928); Roberto Roberti (1930); Innocente Baiguerra (1931); Primo Carnera, che nel 1933 conquistò il campionato mondiale, quello europeo, ed ebbe assegnato d'ufficio quello italiano, al quale rinunciò nel 1934 per dare modo alla Federazione Italiana di stimolare l'emulazione dei giovani mettendolo in palio; Innocente Baiguerra.
Altri pugilatori italiani professionisti, campioni d'Europa nel decennio dal 1924 al 1934, furono: Domenico Bernasconi (gallo); Luigi Quadrini (piuma); Anacleto Locatelli e Carlo Orlandi (leggieri); Mario Bosisio (medioleggieri e medî); Leone Jacovacci e Bruno Frattini (medî); Michele Bonaglia (mediomassimi). Tre dilettanti italiani conquistarono il campionato mondiale nel 1928 alle Olimpiadi di Amsterdam: Vittorio Tamagnini (gallo); Carlo Orlandi (leggieri) e Piero Toscani (medî). Fra i dilettanti campioni d'Europa lo sport italiano ha avuto anche, oltre i precedenti, Romano Caneva e Clemente Meroni (medî); Mario Bianchini e Marino Facchin (leggieri); Gino Rossi (mediomassimi); Luigi Rovati (massimi).
Per proporzionare maggiormente le forze i pugilatori sono stati divisi in otto categorie, sulla base del peso, misurato a corpo nudo. I limiti di queste categorie sono: mosca: sino a kg. 50,802; gallo: sino a kg. 53,524; piuma: sino a kg. 57,153; leggieri: sino a chilogrammi 61,253; medioleggieri: sino a kg. 66,678; medî: sino a kg. 72,574; medio-massimi: sino a kg. 79,278; massimi: oltre chilogrammi 79,378. In America sono considerate altre due categorie: leggieri juniors: sino a kg. 58,967; medioleggieri juniors: sino a kg. 63,503. Queste categorie, create nel 1921-1922, non sono riconosciute nelle altre nazioni, sebbene gli Americani ne considerino campioni del mondo i migliori esponenti.
Il palco, o ring, è un quadrato recinto da tre corde, le cui misure possono variare da un massimo di m. 6 a un minimo di m. 4,35 per lato. I guanti usati per i campionati pesano g. 143 ciascuno (5 once) per le categorie sino a quella dei leggieri inclusa; g. 171 (6 once) per quelle superiori. Le bende regolamentari, di tela, debbono essere di m. 2,50 di lunghezza per ogni mano, e di cm. 4 di larghezza.
Negli incontri di campionato i pugilatori debbono rientrare nei limiti di peso fissati per la categoria di cui è in palio il titolo. Il primo a pesarsi deve essere lo sfidante. S'egli non rientra nei limiti, il campione non è tenuto a pesarsi e il combattimento non è valevole per il titolo. Se invece è il campione che eccede di peso, l'incontro non è ugualmente valevole per il titolo,' che resta vacante.
Le persone "ufficiali" in un incontro di pugilato sono: l'arbitro, i giudici, il capo dei secondi, il medico, il cronometrista. I giudici decretano la vittoria ai punti basando il punteggio sulla superiorità dimostrata da un concorrente sull'altro, in ogni assalto secondo i seguenti coefficienti: stile, potenza, aggressività, difesa, numero dei colpi portati a segno, correttezza. Per graduare la superiorità ogni giudice dispone, per ogni assalto, di venti punti da distribuire fra i due pugili. La somma dei punti di tutti gli assalti stabilisce il vincitore o la parità. Generalmente il verdetto è dato a maggioranza fra due giudici e l'arbitro che funziona anche da giudice.
L'arbitro dirige il combattimento sorvegliando che i pugilatori combattano con sincerità e lealtà, che non usino di colpi o atti proibiti (colpire più basso della linea ombelicale; colpire dietro la testa o la schiena; colpire quando l'avversario è a terra o subito dopo che l'arbitro ha ordinato il "separatevi"; colpire con la mano aperta o col taglio della mano; colpire con la testa, l'avambraccio, il gomito, il ginocchio, il piede, la spalla; afferrare l'avversario o immobilizzarne le braccia o il corpo contro le corde; spingere o praticare prese di lotta); che osservino durante il combattimento le regole stabilite dall'apposito regolamento. Quando uno degli avversarî cade a terra (si considera a terra - ingl. knock down - quando tocca il tappeto con altra parte del corpo che non sia la pianta dei piedi, o quando le corde gl'impediscono di cadere) l'arbitro interrompe il combattimento e comincia a contare i secondi sulla cadenza suggerita dal cronometrista. Frattanto l'altro pugile deve ritirarsi nell'angolo più lontano del recinto. Se il pugilatore caduto non si rialza entro il decimo secondo, l'arbitro deve pronunciare la parola out (fuori) e decretare la vittoria per fuori combattimento (ingl. knock out).
L'arbitro può anche arrestare il combattimento quando giudica che uno dei pugili non sia più in grado di continuare senza grave rischio, anche se ciò è dovuto a incidente fortuito, e quando uno o ambedue i pugili non si conformino a ciò che il regolamento prescrive. In questo caso il pugilatore colpevole è dichiarato perdente per squalifica. Anche lo stesso pugile può dichiarare di voler abbandonare (giustificatamente o no), il che può essere fatto anche semplicemente alzando un braccio; e il capo dei secondi può pure significare l'abbandono del proprio pugile, gettando sul palco la spugna o una salvietta. Il medico può consigliare l'arbitro ad arrestare l'incontro quando ritiene che uno dei pugili abbia riportato lesioni che possano pregiudicarlo qualora l'incontro continui. Se durante il combattimento sopravviene forza maggiore estranea ai pugili che impedisca la continuazione, o se i due pugili sono ambedue colpevoli d'infrazioni regolamentari, l'arbitro può arrestare l'incontro e dichiararlo annullato (ingl. no contest). Se un pugile cade fuori del palco in conseguenza di un colpo, è considerato come a terra, e deve rientrare nel recinto entro i dieci secondi e con i proprî mezzi. Se viene aiutato da qualcuno, l'arbitro può dichiararlo perdente per squalifica; così pure è dichiarato battuto per squalifica un pugile qualora uno dei suoi secondi entri nel recinto durante il combattimento.
La posizione che il pugile assume quando si appresta a combattere si chiama "guardia". Essa deve essere tale che il pugile possa facilmente spostarsi in ogni senso, e che le braccia siano pronte, col più breve movimento, a colpire o a parare. La guardia si chiama "sinistra" quando il braccio e il piede sinistro stanno più avanti dei destri, e "destra" (abituale nei mancini) nel caso opposto. Può essere inoltre "eretta" o "bassa" secondo lo stile personale del pugile o le circostanze.
Per l'attacco il pugilatore si può servire di colpi portati da qualunque posizione. Tuttavia essi si sogliono classificare in colpi per linee interne e colpi per linee esterne. I primi sono i "diretti", che percorrono una traiettoria rettilinea: e i "montanti" (ingl. uppercuts), che sono portati dal basso verso l'alto col braccio piegato ad angolo acuto. Colpi per linee esterne sono: le "sventole" (inglese swings), che sono colpi larghi, portati col braccio poco piegato, con larga rotazione del corpo sul bacino e che arrivano a segno col dorso della mano o con le prime falangi; e i "colpi uncinati" (inglese hooks, fr. crochets), che si portano dall'esterno verso l'interno con breve traiettoria e rotazione del corpo, con braccio piegato ad angolo acuto e che toccano con le nocche della terza falange. Ogni colpo può essere considerato: "d'arresto", quando ferma l'attacco avversario appena si pronuncia; "d'incontro", quando colpisce con breve anticipo di tempo mentre l'avversario è pienamente lanciato; "d'incrocio" (ingl. cross), quando il colpo s'incrocia con quello dell'avversario; "di risposta", quando segue immediatamente un colpo avversario; "d'attacco", quando è unico, o primo come concezione ed esecuzione; "d'assaggio" o "d'attacco insistente" (inglese jab), quando serve, più che per colpire con forza, per molestare l'avversario, per interrompere gli attacchi avversarî sul nascere. I colpi portati con rapida successione si dicono "in serie" o "a scariche", e il colpire subito dopo aver operato una schivata si chiama "rientrare". La difesa consiste: in "spostarsi sulle gambe per tenersi fuori di tiro"; "schivare", cioè evitare che i colpi avversarî giungano a segno; "parare", cioè arrestare i colpi col braccio o col guanto, lontano dal corpo; "bloccare", cioè arrestare i colpi, col braccio, col guanto, vicino o a contatto del bersaglio, oppure riceverli su parti poco sensibili del corpo come il sommo della testa, la spalla, ecc. I punti più sensibili, cioè quelli dove un colpo, arrivando preciso, può provocare stordimento, sono: la punta del mento, la bocca dello stomaco e, sebbene in minor misura, il cuore, la carotide, le tempie.
Il combattimento può essere condotto a distanza (ingl. outfighting), a media distanza, a corta distanza o a corpo a corpo (ingl. infighting). Si ha quello che gl'inglesi chiamano clinch quando uno dei due pugili trattiene l'altro, o ambedue si trattengono. Se la "tenuta" è momentanea, si possono avere colpi in "entrata" o "uscita" dal clinch. Se invece si protrae, l'arbitro deve ordinare il "separatevi" (ingl. break away). Se un pugilatore colpisce mentre tiene l'avversario, è passibile di squalifica, e lo è, anche se non colpisce, qualora le "tenute" diventino un'abitudine o una malizia.
I pugilatori si sogliono classificare per stile e temperamento in "abili" o "schermidori" e in "combattenti" o "picchiatori". I primi sono quelli che basano il giuoco sull'abilità schermistica, colpo d'occhio, freddezza, rapidità di movimento, capacità difensiva, intelligenza tattica. I secondi fanno invece affidamento sulla potenza di pugno, resistenza, energia, attacco travolgente. Naturalmente si hanno anche gli schermidori-picchiatori, che appartengono ai due tipi e ne accoppiano le qualità.
Collaboratori del pugilatore professionista sono il "procuratore", o "direttore" (ingl. manager), che dirige l'attività professionale del pugile, gli è maestro di comportamento, lo rappresenta presso gli enti federali e tratta la parte commerciale; l'"allenatore" (inglese trainer), che può essere anche lo stesso procuratore, il quale si occupa della parte pugilistica, cioè sviluppa e perfeziona le qualità naturali e la tecnica, suggerisce la tattica, sorveglia e dirige l'allenamento, assiste e consiglia durante i combattimenti; il compagno di allenamento (ingl. sparring partner), che è un altro pugilatore col quale si compiono gli esercizî coi guanti.
I pugilatori sono infine professionisti o dilettanti a seconda che ricevano o no premî in denaro. Per i dilettanti gl'incontri consistono di soli tre assalti. (V. tavv. XCV-XCVIII).
Lo sport pugilistico è attualmente retto da enti e gruppi di enti; ma non è stato sempre così. Tanto in America quanto in Inghilterra questo sport è stato disciplinato nel passato da consuetudini, dalle regole di cui abbiamo fatto cenno, e da iniziative di giornali e di privati. In Inghilterra, dove soltanto in questi ultimi anni una federazione è riuscita ad avere autorità, la norma pugilistica è stata dettata prima dal Pelikan Club, poi dal National Sporting Club, sorto dalle ceneri del primo. I campionati inglesi professionistici sono, anche attualmente, accompagnati dal possesso d'una cintura d'oro donata dallo sportman conte di Londsdale e le regole per il trapasso di questa cintura s'identificano con quelle per il trapasso del titolo di campione.
Anche attualmente, però, la regolamentazione dello sport pugilistico, sebbene informata agli stessi criterî per quelle che sono le regole di combattimento, ha tutt'altro che uniformità d'indirizzo federale. Molte nazioni hanno due federazioni distinte per il professionismo ed il dilettantismo, molte altre no. Fra queste sono: Italia, Francia, Belgio, Svizzera, Spagna, Lussemburgo, Germania, Ungheria, Romania; mentre in Scandinavia, Paesi Baltici, Iugoslavia, Bulgaria, Grecia e Turchia l'ente federale si occupa quasi esclusivamente del pugilato dilettantistico, e in Argentina la federazione professionistica, più che occuparsi dell'attività interna, ha funzione di rappresentanza internazionale.
Nelle nazioni americane: Stati Uniti, Argentina, Brasile, Uruguay, ecc., il pugilato è retto in ogni stato della confederazione, e spesso in ogni città, da una commissione statale o municipale. Queste commissioni, che sorsero in seguito alla necessità di un rigoroso controllo delle attività individuali, sono bene organizzate, con eccellente somiglianza sanitaria, buona, se non proprio rigorosa, disciplina e, soprattutto, con ampio potere - derivante loro dall'essere organismi municipali o statali - per far rispettare le proprie decisioni. Ma ciascuna d'esse opera soltanto nei proprî limiti territoriali, così che sovente le punizioni sancite da uno stato della confederazione non sono riconosciute in un altro. Negli Stati Uniti la maggior parte delle commissioni pugilistiche è riunita da accordi in seno a una National Boxing Association con sede a Providence; ma di questo gruppo non fanno parte alcune importanti commissioni, quale, ad es., quella dello stato di New York.
In Italia la Federazione Pugilistica Italiana, che fa parte del C.O.N.I., organismo dipendente dal Partito nazionale fascista, regge, con ampio potere e ottima attrezzatura tecnica, il pugilato italiano. Poteri quasi uguali ha la federazione germanica, mentre nelle altre nazioni d'Europa le federazioni sono enti sociali senza alcun investimento da parte dei poteri costituiti.
Dal punto di vista internazionale, per quel che riguarda il pugilato dei professionisti, esiste l'International Boxing Union, con sede a Parigi, cui appartengono le federazioni di tutte le nazioni europee meno l'Inghilterra, la N. B. A. degli Stati Uniti d'America, e le federazioni di Argentina, Egitto, Messico, Transvaal. Mantengono indipendenza internazionale, invece, il Boxing Board of Control, che regge il pugilato in Inghilterra, e che ha relazioni con un membro della I. B. U., cioè con la N. B. A.; la Federazione del Canada, quella dell'Australia.
Per il pugilato dilettantistico, invece, la Fédération Internationale Boxe Amateur, con segreteria a Budapest, confedera praticamente gli enti di tutte le nazioni del mondo.
Bibl.: G. Carpentier, Ma méthode, Parigi 1914; J. Driscoll, Outfighting, Londra 1921; id., Text-book of boxing, Londra 1921; A. F. Bettinson e B. Bennison, The home of boxing, ivi 1922; G. Schäfer, Boxschule, Berlino 1925-26; T. C. Wignall, The story of boxing, Londra 1923; J. G. B. Lynch, The complete amateur boxer, ivi 1924; N. Clark, How to box, Londra e New York 1925; A. Zambon, La scuola della boxe, Milano 1928; J. J. Romano e J. Richards, How to box and how to train, New York 1934; F. G. Shaw, Saggio sul pugilato moderno, trad. it., Milano 1930; N. Fleischer, How to box, nuova ed., New York 1932; id., Training for boxers, ivi 1932; V. Breyer, Annuaire du ring, Parigi (annuale); Boxing Record Book, ivi (annuale).