PUGLIA (A. T., 24-25-26 bis e 27-28-29)
Nome, estensione e limiti. - Il nome Puglia, attribuito oggi al compartimento dell'Italia meridionale che si allunga, da NO. a SE., fra i mari Adriatico e Ionio, ha origini remote: la prima testimonianza della sua esistenza letteraria ci è fornita da Plauto. Circoscritto in principio alla parte più settentrionale, o Daunia, esso si estese successivamente alla zona mediana della Puglia attuale, che nell'evo antico fu detta anche Peucezia; ebbe, invece, generalmente una propria denominazione il tratto più meridionale della regione, a forma peninsulare, nel quale, con la conquista romana, sui nomi di Messapia e paese dei Sallentini finì col prevalere quello di Calabria. La II regio nella divisione territoriale di Augusto abbracciava, pertanto, col nome di Apulia cum Calabria, tutta la Puglia odierna, oltre a gran parte dell'Irpinia; entro limiti non molto diversi, la circoscrizione dell'Apulia congiunta con la Calabria sopravvisse per i secoli dell'impero e per i primi tempi dell'alto Medioevo, sino a quando, cioè, il nome Calabria si fu trapiantato nella penisola dei Bruzzî (fine del sec. VII) e sinché, incorporata, con la dominazione longobarda, gran parte della regione pugliese nel principato di Benevento, anche il nome Apulia ebbe perduto ogni riconoscimento ufficiale. I Normanni, creando nel 1043 la contea di Puglia con capitale Melfi, ne rimisero in onore il nome, che seguì le fortune della loro conquista e si estese perciò successivamente su gran parte dell'Italia meridionale (con esclusione, nello stesso dominio normanno, della Calabria e, non sempre, del principato di Capua). Rimonta pure al periodo normanno la prima suddivisione dell'area territoriale spettante alla Puglia odierna in circoscrizioni che furono, soprattutto perché corrispondenti a distinzioni naturali, conservate con lievi modifiche fino ai giorni nostri. Il nome Puglia, intanto, sostituito da altri a designare il vasto territorio su cui si era prima esteso, scomparve verso la fine del sec. XIV dalle designazioni ufficiali, pur sopravvivendo nell'uso comune delle popolazioni e nella tradizione letteraria. E i tre giustizierati di Capitanata, Terra di Bari e Terra d'Otranto, che erano stati creati da Federico II, con la sostituzione di quest'ultimo al principato di Taranto della dominazione normanna, rimasero con area presso che invariata sotto gli Angioini, i Durazzeschi e gli Aragonesi; furono durante il dominio spagnolo amputati del territorio di Matera, che passò dalla Terra d'Otranto alla Basilicata (1663); e, salvo le innovazioni apportate dalla repubblica partenopea, costituirono ulteriormente la suddivisione ufficiale della regione pugliese, sia sotto i Borboni sia durante il dominio dei napoleonidi. Con la costituzione dell'unità italiana, ripristinate, soprattutto nei rilevamenti statistici, le antiche denominazioni regionali, fu richiamato ufficialmente in uso il nome Puglia, il cui territorio continuò ad essere distinto fino all'avvento del Fascismo nelle tre provincie di Foggia, Bari e Lecce. Il governo fascista, consacrando l'importanza della funzione marinara di Taranto e di Brindisi nella difesa militare d'Italia, ha elevato queste due città, Taranto prima (1923) e poi Brindisi (1927), alla dignità di capoluoghi di provincia, portando a 5 il numero complessivo delle circoscrizioni amministrative della regione pugliese. Attualmente queste cinque circoscrizioni misurano complessivamente un'area di 19.273 kmq.
La Puglia confina per tre lati con il mare e per l'altro lato l'occidentale, con i compartimenti della Lucania, della Campania e del Molise.
Le coordinate geografiche estreme della Puglia (escludendo le Isole Tremiti) sono: dalla parte di settentrione, 41°57′2″ di lat. N. (sporgenza di Peschici, nel Gargano); dalla parte di mezzogiorno, 39° 47′ 18″ di lat. N. (punta Ristola, presso il capo di Santa Maria di Leuca); dalla parte di occidente, 14° 57′ di long. E. (gomito principale del fiume Fortore); dalla parte di oriente, 18° 31′ 26′′ di long. E. (capo d'Otranto). Includendo le Isole Tremiti, il parallelo medio della Puglia risulta a 40°58′ di lat. N e il meridiano medio a 16° 44′ di long. E.
Caratteristiche fisiche. - In complesso, la Puglia presenta lineamenti fisici di grande semplicità. Per ciò che riguarda la costituzione geologica del suolo, è un'enorme zolla calcarea; nello sviluppo litoraneo è distinta da coste prevalentemente basse e unite; nella fisionomia del rilievo spicca come una grande regione pianeggiante; nell'idrografia è caratterizzata dalla quasi assoluta deficienza di acque superficiali. Se questi però sono i caratteri fisici fondamentali, non si può dire che essi siano esclusivamente e uniformemente rappresentati su tutta la regione. La relativa varietà anzi, con cui essi si manifestano serve a differenziare la Puglia per lo meno in quattro aree fisiche ben distinte: il Gargano, il Tavoliere, le Murge e la Penisola Salentina.
I calcari compatti subcristallini del Cretacico costituiscono la base della regione pugliese: è la roccia che o affiora alla superficie, come avviene nella massima parte del Gargano e delle Murge, o è ricoperta da lembi poco potenti di terreni più teneri, terziarî e quaternarî, come spesso succede nella Penisola Salentina; solo nel Tavoliere, i terreni recenti, sabbie ed argille del Pleistocene, si avvicendano, almeno fino a qualche centinaio di metri di profondità, senza che s'incontri la massa calcarea del Cretacico. Un terreno pure notevolmente diffuso nella regione è il cosiddetto "tufo"; anch'esso, peraltro, ricopre con banchi, generalmente di scarsa potenza, i calcari cretacici di base, e da questi il tufo trae la sua origine; esso è un calcare arenaceo per lo più di formazione pliocenica; s'incontra lungo le falde delle zone di maggiore elevazione (Gargano e, soprattutto, Murge), e in numerose aree della Penisola Salentina. Esclusivamente nel Salento, infine, è rappresentato un sabbione argilloso-calcareo, di formazione miocenica, che è noto, per l'appunto, col nome di pietra leccese: anche questo terreno è di scarsa potenza e poggia da per tutto sul calcare mesozoico.
Il largo contatto col mare è per la Puglia una delle principali caratteristiche fisiche: due delle sue suddivisioni naturali, il Gargano e il Salento, sono vere e proprie penisole; nessun'altra regione continentale d'Italia ha uno sviluppo di coste superiore a quello che ha la Puglia: dei 762 km. che ne costituiscono la lunghezza complessiva, 487 km. spettano alle coste adriatiche, 57 a quelle bagnate dal Canale di Otranto e 218 alle coste del Mar Ionio. Purtroppo, al grande sviluppo costiero non corrisponde la frequenza dei porti. Meno che nel Gargano di SE. e nel litorale otrantino, le coste pugliesi sono basse e sabbiose: il vento riesce, pertanto, ad allinearvi cordoni di dune, che spesso impediscono il regolare deflusso delle acque superficiali e favoriscono la formazione delle lagune e degli acquitrini. L'unico tratto discretamente portuoso è quello che corrisponde sull'Adriatico alla regione delle Murge: quivi la costa è intaccata dagli sbocchi dei numerosi avvallamenti detti "lame", i quali, per la notevole pendenza con cui scendono al mare, sono riusciti a spezzare, nei tratti dove si sono potuti formare, le serie di dune litoranee; solo qui, perciò, si succedono una decina di centri portuarî, e fra essi, quasi nel punto di mezzo, sorge Bari. Nel resto della Puglia, i porti si sono localizzati al punto in cui comincia l'articolazione del promontorio garganico (Manfredonia), e all'estremità della linea in cui la vera e propria Penisola Salentina si salda al continente (Taranto e Brindisi); Gallipoli si giovò della grande vicinanza di un'isoletta al continente e Otranto dell'intaccatura creata dallo sbocco di un avvallamento all'inizio di un lungo tratto di costa alta.
Il rilievo imprime alla Puglia il carattere di regione di singolare uniformità. Dalla parte più settentrionale a quella più meridionale della Puglia, le forme del suolo si presentano quasi sempre piatte e scarsamente accidentate: o sono addirittura basse e piane, o collinose ma a pendio generalmente lieve, o alquanto elevate ma a tavolati e perciò nell'insieme pianeggianti; i bruschi cambiamenti di livello corrispondono nella regione solo a qualcuno degli orli delle terrazze con cui il terreno digrada dall'interno al mare. Così, se si prescinde dalla zona di alture che segna, ad ovest del Tavoliere, il confine tra la Puglia e le regioni vicine e che, col nome di Subappennino, distingue un'area che per questa regione si può dire di transizione, il solo tratto veramente montuoso della Puglia è il Gargano. Per di più, il netto distacco che questo nucleo di elevazioni presenta dalla tipica pianura del Tavoliere, la ripidità con cui su di essa precipita e il lungo contatto che ha col mare, valgono ad accentuare, col singolare isolamento, il suo aspetto montuoso. In complesso, sotto il punto di vista del rilievo, la Puglia vera e propria può considerarsi distinta in 5 zone che si succedono secondo la sua lunghezza, e sono: il Gargano, le Murge, le Serre salentine;' e poi i bassopiani che vi sono frapposti, Tavoliere e Pianura Messapica; l'altitudine va digradando come si procede da NO. verso SE.: raggiunge i 1056 m. nel Gargano (M. Calvo), i 686 m. nelle Murge (Torre disperata) e i 201 m. nelle Serre salentine (Serra del Cianci).
Da queste caratteristiche morfologiche - scarsa altitudine e, nelle aree elevate, paesaggio a tavolati e a terrazze -, dal netto distacco che la regione presenta dai paesi vicini, e soprattutto dal grande predominio del terreno calcareo deriva alla Puglia un comportamento idrografico singolare: difettano in senso quasi assoluto le acque superficiali e si affermano nella massima parte della regione quelle che sono le caratteristiche idrografiche proprie dei paesi carsici.
Nella zona delle Murge si affondano grandi conche a doline, conosciute col nome di "puli" ("pulicchi" se piccole). Doline, alcune di dimensioni così notevoli da doversi più esattamente chiamare "bacini carsici", s'incontrano numerosissime anche nel Gargano e nel Salento. Nel Gargano, in varie località delle Murge, lungo qualche tratto in cui le coste sono ripide e rocciose, come, per esempio, sul Canale d'Otranto, la massa calcarea è sforacchiata da caverne e da grotte, non poche volte lunghe e bellissime. Profonde voragini intaccano ad altezze differenti gli strati calcarei: nella regione garganica e nella Puglia centrale si chiamano "grave", nella meridionale "vore" e "àvisi"; a questi grossi inghiottitoi vanno da per tutto aggiunte le innumerevoli e piccolissime fratture dette "capivento"; dagli uni e dalle altre le acque meteoriche vengono rapidamente assorbite nel sottosuolo, ove alimentano una complessa rete idrografica profonda, che defluisce di solito per minuscoli sbocchi lungo la linea di spiaggia, press'a poco a livello del mare. Si spiega così facilmente perché la Puglia difetti di laghi veri e proprî (i cosiddetti laghi di Lesina e di Varano a N. del Gargano e quello di Salpi lungo il Golfo di Manfredonia sono vere lagune, in rapporto quindi col mare) e perché non si possano costituire fiumi e torrenti locali; gli unici corsi d'acqua locali sono quelli che vi si formano nei momenti di pioggia e che scorrono di solito per qualche ora o al più, in casi eccezionali, per qualche giorno. Solo nel Tavoliere, che non partecipa della natura carsica della regione, ha potuto costituirsi una rete idrografica, sia pure secondaria, in cui peraltro i fiumi più importanti provengono dall'Appennino e svolgono il loro corso superiore fuori della Puglia stessa; essi sono il Cervaro, il Carapelle e, al limite della pianura, il Fortore e l'Ofanto; scorre invece esclusivamente nella Capitanata il Candelaro, torrente quasi sempre poverissimo d'acque. Ed è inoltre fiume periferico della regione pugliese, di cui segna col suo corso per breve tratto il confine occidentale, il Bradano, il quale spetta quasi interamente alla Lucania.
Clima. - Per effetto della grande uniformità del terreno la Puglia costituisce, anche sotto l'aspetto climatico, un territorio ben distinto, con caratteristiche proprie. Gran parte della regione è compresa fra le isoterme annue di 16° e di 17°; superano, ma di poco, i 17° solo i paesi litoranei del Canale d'Otranto e del Golfo di Taranto; hanno temperature medie di poco inferiori ai 16° la zona settentrionale delle Murge, gran parte del Tavoliere e i paesi del Subappennino. L'escursione termica annua cresce come si procede da S. verso N. e dal mare verso l'interno: le escursioni minime (di circa 14°) si registrano perciò nella regione del Capo di Leuca e le massime (di circa 20°) si registrano nel Tavoliere occidentale; a Foggia l'escursione annua è di 19°,8; a Bari è di 16°,1; a Lecce è di 16°,6. Quanto al regime dei venti va rilevato, nella regione, il predominio delle correnti aeree settentrionali, e più propriamente nord-occidentali; questi venti sono comuni in tutte le stagioni, ma sono più frequenti nell'estate; generalmente essi apportano, con più basse temperature, serenità di cielo. La piovosità è scarsa in quasi tutte le zone, e in circa tre quarti del territorio oscilla fra 500 e 750 mm. annui, con prevalenza delle oscillazioni fra 500 e 600 mm.; in nessun punto si scende al di sotto di 450 o si sale al di sopra di 950 mm. Le contrade con più alta piovosità media annua, superiore cioè agli 850 mm., sono la più occidentale e la più orientale della regione, la subappenninica e quella che guarda il Canale di Otranto; quelle con più bassa piovosità, inferiore cioè ai 500 mm. annui, sono una stretta fascia litoranea lungo il Golfo di Taranto e i paesi di gran parte del Tavoliere. In quasi tutta la Puglia la minima piovosità mensile è assegnata al luglio; la piovosità massima oscilla nelle varie zone nei mesi fra ottobre e gennaio: cade più spesso nell'ottobre nei paesi della parte settentrionale e centrale, nel dicembre nella regione del Capo, nel gennaio in alcune città marittime dell'Adriatico. Se, in generale, è scarsa la quantità di pioggia che nella Puglia cade in media all'anno, è sempre considerevole il numero dei giorni piovosi (a Foggia 83, a Bari 103, a Lecce 98): ciò dimostra che è caratteristica del clima pugliese la scarsa intensità delle piogge; ed è infatti, assai limitato il numero dei giorni con alte precipitazioni. Le precipitazioni nevose sono scarse: meno che nelle zone elevate delle Murge, del Gargano e del Subappennino, la neve ricopre il terreno di Puglia al più solo per qualche giorno all'anno. La caduta della brina è fenomeno frequente nell'inverno; purtroppo, però, essa si verifica talvolta anche nella primavera, con grave danno all'agricoltura.
Flora. - La piovosità generalmente scarsa e in particolare l'alta temperatura estiva, accompagnata da siccità quasi assoluta, influiscono in massimo grado a determinare le forme tipiche della flora pugliese. Le piante erbacee non riescono quindi a vincere gli eccessi del clima estivo, e periscono; e neppure le piante arboree di rigoglioso sviluppo si confanno al clima semiarido pugliese. Perciò il tipo più comune di vegetazione spontanea è, nella regione, quello della macchia; e solo nelle contrade favorite da notevole umidità, dalla macchia si trapassa gradatamente al bosco. Un po' alla volta l'uomo ha su larga scala distrutto tanto la macchia quanto il bosco; ma è agevole ritenere che, un tempo, la prima doveva essere predominante nella zona delle Murge e il secondo nel Gargano. Un magnifico mantello di boschi ricopre tuttora il Gargano orientale (bosco Umbra), e boschi più o meno fitti persistono nelle Murge occidentali, al confine con la Lucania, e meridionali, nella parte alta rivolta al Golfo di Taranto. La macchia rimane qua e là sui pendii rocciosi del Gargano e delle Murge e inoltre, in piccole aree, lungo quelle zone litoranee in cui ha dominato per molti secoli la malaria: la più vasta di queste aree è la striscia costiera ionica confinante con la Lucania.
Popolazione. - I dati della popolazione presente in Puglia al 21 aprile 1931 sono forniti, insieme con le cifre della superficie e della densità, dallo specchietto in capo alla colonna seguente.
L'aumento numerico degli abitanti è stato in Puglia, in complesso, assai considerevole negli ultimi cento anni. Calcolata a poco più di un milione di abitanti nel 1828, la popolazione ha raggiunto nel 1931 una cifra due volte e mezzo più alta. La percentuale d'aumento è stata più forte negli ultimi cinquant'anni e più di tutto nel ventennio 1881-1901 e nel decennio 1921-1931. In questo decennio l'aumento medio è stato del 12,78%, e cioè una volta e mezzo più alto dell'aumento medio del regno (8,4%): tra le varie provincie pugliesi al primo posto figura quella di Lecce, nella quale tale aumento è salito al 20,87%. L'eccedenza dei nati sui morti fu nel 1931 di 14,6%, con un valore cioè di gran lunga superiore alla media del regno, che fu di 10,1. Non pochi comuni pugliesi risultano per natalità fra i primi d'Italia: Bari viene addirittura al primo posto fra tutti i capoluoghi di provincia.
Nell'ultimo cinquantennio, peraltro, e propriamente nel quindicennio 1900-1914, anche la Puglia ha partecipato notevolmente al movimento migratorio verso l'estero: nel complesso, però, il fenomeno non ha mai destato nella regione quelle preoccupazioni che aveva cominciato a destare in tutte le altre regioni dell'Italia meridionale; la popolazione pugliese, infatti, non ha risentito, numericamente, conseguenze molto gravi dal movimento emigratorio; essa aumentava di 170 mila abitanti dal 1901 al 1911 e, nonostante l'emigrazione prima, e la guerra e le epidemie dopo, aumentava di 169 mila ab. dal 1911 al 1921. Le cifre di più intensa emigrazione dalla Puglia riguardarono gli anni 1906 (34 mila), 1913 (42 mila) e 1920 (38 mila). Nel 1933 emigrarono 1072 uomini per paesi continentali e 1206 per paesi transoceanici e rimpatriarono 835 individui dai primi e 1622 dai secondi. Delle varie provincie pugliesi quelle che parteciparono sempre poco intensamente al fenomeno migratorio furono le salentine; il contributo più alto fu costantemente dato dalla provincia di Bari. Negli spostamenti della popolazione pugliese va pure tenuto presente un movimento di migrazione interna che si effettua verso la ragione del Tavoliere nel periodo giugno-luglio, per i lavori della mietitura dei cereali: esso ha remote tradizioni e richiama nella pianura correnti di contadini dai paesi delle Murge, del Gargano e del Subappennino.
La densità media della popolazione è in Puglia di poco inferiore a quella media di tutto il regno: essa è però notevolmente più alta nella Terra di Bari e nell'estrema Terra d'Otranto, mentre è relativamente molto scarsa nella Capitanata: in ciascuna circoscrizione amministrativa, poi, è fortissimo il contrasto che la distribuzione di popolazione presenta fra zone anche vicinissime fra loro: nella provincia di Bari, per esempio, confinano due aree in cui i valori della densità sono fortemente diversi: una, di estensione enorme (oltre 1300 kmq.), nelle alte Murge, fra Altamura e Andria, che non ha nessuno, sia pure piccolissimo, centro di abitazione, per cui, se si escludono le rade masserie, essa risulta letteralmente disabitata; e un'altra, la cosiddetta conca di Bari, nella quale si raccoglie una popolazione fittissima di circa 500 ab. per kmq.
Condizioni economiche. - Agricoltura e pastorizia. - L'occupazione di gran lunga prevalente della popolazione pugliese è l'agricoltura. Dalla produzione agricola derivano molte delle industrie locali, sicché l'agricoltura si può dire la fonte da cui, sia direttamente, sia indirettamente, si alimenta la massima parte degli abitanti. Le colture agrarie diffuse nella regione rispondono, in principal modo, alle esigenze del clima mediterraneo, a temperature estreme non molte accentuate e a forte siccità estiva. Le più comuni, quindi, sono le colture legnose, che resistono meglio alle lunghe siccità, e tra le colture erbacee quelle che vegetano nel tempo in cui non fanno difetto le piogge, cioè nel periodo invernale-primaverile: fra le prime, quindi, l'olivo, la vite, il mandorlo, il fico e qualche altro albero da frutto; fra le seconde, i cereali, e soprattutto il grano e l'avena. Attualmente la Puglia occupa uno dei primi posti fra le regioni d'Italia per la produzione di olio, vino, mandorle, fichi, grano e avena, e poi di ortaggi e di tabacco.
L'oliveto è rappresentato in più di un quinto della regione pugliese: le zone più ricche sono la fascia costiera adriatica da Barletta a Brindisi, tutto il Salento e la zona che da Massafra e Palagiano scende al Golfo di Taranto. Un terzo circa (750 mila ettolitri) dell'olio d'oliva che si produce in Italia viene fornito dalle provincie pugliesi. Anche la vite, nonostante la distruzione fattane dalla fillossera nell'ultimo trentennio, è largamente rappresentata in tutte le zone di Puglia: maggiore rinomanza hanno i vigneti che circondano San Severo, quelli che ricoprono le pendici orientali delle Murge, da Barletta a Trani ad Adelfia, quelli che hanno fatto di Martina Franca, in provincia di Taranto, uno dei maggiori comuni vinicoli d'Italia. I vini pugliesi sono ricercati come vini da taglio, per l'alta gradazione alcoolica che generalmente posseggono. Tenendo conto dei valori medî relativi al biennio 1932-33, la Puglia (con 4 milioni e 600 mila ettolitri) figura, per produzione di vino, al secondo posto fra i compartimenti italiani. Per la coltura del mandorlo è notissima la provincia di Bari, che ne è la più ricca fra tutte le provincie del Regno; tenendo conto, infatti, dei valori regionali, la Puglia figura oggi, in questa produzione, al primo posto (con 375 mila q. nella media del triennio 1931-33), avendo recentemente superato la Sicilia. Anche nella coltura dei fichi la regione pugliese supera tutte le altre regioni italiane; essa è specialmente praticata nelle provincie di Lecce e di Brindisi: i due quinti (330 mila q.) del prodotto italiano di fichi secchi vengono dati dalla Puglia. E figura la Puglia al secondo posto in Italia per produzione di carrube: la zona di massima diffusione è il litorale barese. La coltura degli agrumi ha avuto uno sviluppo notevole nella Capitanata, soprattutto nel Gargano settentrionale; la produzione complessiva della regione ha raggiunto, nella media del 1931-32, la cifra di 120 mila q. Notevole è anche la produzione delle frutta polpose, e particolare importanza ha assunto la coltura delle ciliege, diffusa massimamente nella provincia di Bari (Bisceglie), che figura al secondo posto fra tutte le provincie italiane.
Fra le piante erbacee ha importanza il frumento: è coltura tradizionale, diffusa, con carattere estensivo, in tutte le parti della Puglia, ma specialmente nella pianura del Tavoliere: per produzione di frumento la Puglia figura al settimo posto fra le regioni italiane (con 5.200.000 q. nel 1933; di cui 2.800.000 q. furono dati dalla sola provincia di Foggia). La coltura dell'avena, diffusa specialmente nel Tavoliere e nella zona murgiana rivolta alla Lucania, colloca la Puglia al primo posto nel regno (1.230.000 q. nel 1933), con un quarto del prodotto italiano. E al secondo posto in Italia figura la Puglia per produzione di orzo (305 mila q.). Assume speciale importanza nella regione pugliese, ad onta della scarsa piovosità, la coltura degli ortaggi; essa è intensa nelle zone litoranee del Barese e del Salento: maggiore rilievo hanno le produzioni di cipolle e agli, di poponi e cocomeri, di pomodori, di legumi freschi, di cardi, finocchi e sedani. Il tabacco costituisce, infine, una coltura preziosa, rappresentata quasi esclusivamente nella Penisola Salentina e intensificata negli ultimi decennî: sono comuni le qualità di tipo orientale; con circa 130 mila q. annui, la Puglia fornisce press'a poco un terzo del tabacco italiano.
Complessivamente, la ricchezza agricola della regione pugliese è molto alta: vastissime contrade figurano coperte da colture notevolmente redditizie; in non poche zone i poderi sembrano addirittura dei giardini. Questa ricchezza agricola è prodotto di una trasformazione colturale che il contadino di Puglia ha compiuto per la massima parte solo negli ultimi 70 anni, e lottando contro difficoltà gravissime. Si può dire che tale opera si sia arrestata soltanto contro l'ostacolo dell'8cquitrino e della malaria, che ha infierito, fino a poco tempo fa, su gran parte del litorale pugliese. Oggi, il governo fascista coi grandiosi lavori della bonifica integrale viene risanando completamente aree paludose e spopolate, sicché è agevole prevedere che nei prossimi anni anche queste verranno riccamente coltivate e che, specialmente su di esse, si riverserà la popolazione in costante aumento.
L'allevamento del bestiame ebbe fino al principio del sec. XIX importanza altissima in Puglia; esso era favorito dallo speciale sistema di locazione dei pascoli del Tavoliere, per cui i possessori di mandre delle regioni montuose circostanti erano per legge obbligati a condurre il bestiame, dietro il pagamento di un'imposta, a svernare nella pianura. Gli armenti, nella transumanza, seguivano strade a fondo naturale molto larghe, dette "tratturi". Alla fine del Medioevo, il Tavoliere raccoglieva, per il pascolo invernale, oltre 4 milioni di pecore. Oggi, la produzione foraggera della Puglia è scarsissima; al contrario, vi sono assai diffusi i pascoli permanenti, costituenti la maggior parte delle aree più alte della regione. Continua, perciò, ad essere ancora discreta la produzione degli ovini e caprini (i milione e 125 mila capi), ma è scarsissima quella dei bovini (61 mila) e dei suini (34 mila); è, peraltro, notevole in Puglia il numero dei cavalli (92 mila), degli asini (53 mila) e dei muli (60 mila).
Pesca. Industrie. - Nel 1931, la pesca occupava in Puglia 12.110 persone. Oltre che sulle coste pugliesi, i pescatori locali si spingono normalmente sulle coste opposte dell'Adriatico (specialmente nell'Albania) e anche sulle coste della Grecia: la pesca è fatta generalmente con tipi tradizionali di battelli, detti "paranze". È, inoltre, da antico tempo, praticata nella Capitanata una ricca pesca lagunare (anguille, cefali, ecc.), sia nelle lagune di Lesina e di Varano sia in quella di Salpi. Il Mar Piccolo di Taranto è notissimo per l'allevamento delle ostriche e dei mitili.
L'industria pugliese è sorta come attività intimamente legata alla produzione agraria, ed è stata perciò nei primi tempi limitata all'estrazione dell'olio, alla vinificazione e alla macinazione dei cereali. In appresso, oltre al miglioramento dei sistemi di lavorazione in queste industrie, si è largamente esteso lo sfruttamento delle sanse, per la produzione dell'olio al solfuro e per la fabbricazione del sapone comune da bucato; si sono affermate alcune industrie derivate dalle uve e dalle vinacce, si è affiancata all'industria molitoria l'industria delle paste alimentari, ormai diffusa in tutta la regione. Pure per derivazione da prodotti locali dell'agricoltura sono sorte, specialmente nelle maggiori città, fabbriche di pomodori pelati in barattoli e fabbriche di conserve e di marmellate; nella regione del Capo l'industria della cotognata e in tutto il Salento industrie legate alla ricca produzione di fichi. Analogamente, dalla locale industria armentizia è derivata una notevole produzione di formaggi e latticinî, per cui sono specialmente ricordati i caciocavalli del Tavoliere, i provoloni di Gravina, le scamorze e le mozzarelle di Foggia, le provoline di Gioia del Colle. A piccole industrie legate con la pesca attendono popolazioni delle città costiere specialmente di Taranto, Brindisi, Bari e Molfetta. Oltre a ciò, opifici per le varie industrie tessili s'incontrano nei principali centri della regione. Industrie meccaniche e metallurgiche si sono affermate soprattutto a Bari e a Taranto. A Giovinazzo è in esercizio un'importante ferriera. Fra le numerose industrie secondarie, infine, non possono essere taciute quella poligrafica, che ha in Bari case editrici di larga reputazione, quelle del cemento, l'industria del legno e la singolare industria leccese della cartapesta, che produce statue e giocattoli di notevole valore artistico. Per l'estrazione del sale marino, sono in attività vastissime saline a Margherita di Savoia, a O. della foce dell'Ofanto.
Commercio. Porti. Vie di comunicazione. - Il commercio pugliese di esportazione si effettua specialmente con l'olio e coi prodotti industriali che derivano dalla lavorazione delle olive (olio al solfuro e saponi); con il vino e le uve e prodotti derivati; con le farine e le paste alimentari; con mandorle, carrube, fichi secchi; con gli ortaggi e le conserve di pomodori; sono pure esportati dalla Puglia tabacco e sale. Il commercio pugliese d'importazione si svolge maggiormente con carbon fossile, petrolio, ferro e ghisa, zolfo, grassi, legname, macchine, tessuti di cotone, lana e seta, animali vivi e pelli, caffè, zucchero, gesso e marmo, concimi chimici, uova.
Di questo commercio, quello che si effettua con l'estero si svolge per la massima parte attraverso i porti pugliesi, i quali, in base alla quantità di merci in ciascuno di essi sbarcate e imbarcate nel 1931, si succedono nel seguente ordine: 1. Bari, 2. Taranto, 3. Barletta, 4. Brindisi, 5. Monopoli, 6. Margherita di Savoia, 7. Molfetta, 8. Manfredonia, 9. Gallipoli, 10. Vieste, 11. Trani, 12. Rodi, 13. Mola di Bari. La quantità complessiva di merci sbarcate e imbarcate in tutti i porti pugliesi fu nel 1931 di 1.158.003 tonn.: di esse 961.738 riguardarono le merci sbarcate e 196.265 quelle imbarcate: a tale movimento il porto di Bari partecipò nella proporzione del 33%.
Fra le vie di comunicazione importanza notevole hanno le ferrovie, che raggiungono in complesso lo sviluppo di circa 1400 km.; la costruzione della rete ferroviaria ha obbedito in Puglia prevalentemente alle speciali condizioni topografiche della regione. Così, le ferrovie della Capitanata, seguendo la pendenza del terreno, convergono a Foggia (da Chieuti, da Lucera, da Bovino, da Rocchetta S. Antonio, da Cerignola, e poi da Manfredonia e, si può dire, anche dai comuni del Gargano settentrionale). Nel quadrilatero murgiano, le ferrovie più importanti ne seguono in giro il confine: i vertici sono segnati dalle stazioni principali di Barletta, Brindisi, Taranto e Spinazzola; è pure importante quella che divide le Murge di NO. da quelle di SE. e che congiunge Bari con Taranto valicando l'insellatura di Gioia del Colle; tutte le altre hanno interesse locale e convergono, naturalmente, a Bari. Nella penisola salentina, il quadrilatero settentrionale, avendo i centri marittimi nei soli vertici e Lecce nel mezzo, è tagliato da ferrovie diagonali che s'incontrano per l'appunto a Lecce; mentre la regione del Capo, percorsa dalle Serre, è attraversata dalle ferrovie lungo i corridoi che si avvallano fra le due principali serie di colline. La rete delle vie ordinarie è generalmente ben sviluppata in tutta la Puglia, è più rada solo nei tratti in cui difettano i centri abitati, quindi nell'alto Gargano, nelle alte Murge occidentali e nelle aree costiere, fino a poco tempo fa fortemente colpite dalla malaria. Le strade ordinarie, anzi, costituiscono nelle numerose grosse borgate rurali il legame fra il centro e le più lontane campagne, e su di esse si svolge il movimento giornaliero dei lavoratori agricoli; data perciò la forma prevalentemente piana del terreno, queste s'irradiano dal centro a forma di raggera. Anche in Puglia, la rete delle strade rotabili è stata notevolmente migliorata negli ultimi anni: le vie di comunicazione interprovinciale sono asfaltate e si viene curando la sistemazione delle strade di secondaria importanza, mentre nuove arterie vengono di anno in anno aperte al traffico e al sempre crescente movimento automobilistico. Fra le comunicazioni pugliesi vanno anche ricordate le vie di navigazione marittima: vi sono servizî che congiungono, per i bisogni locali, tutte le località costiere fra loro, e servizî che congiungono i principali porti pugliesi con quelli della sponda opposta dell'Adriatico; Bari e Brindisi, sono inoltre scali delle comunicazioni che allacciano i porti più interni dell'Adriatico, Trieste e Venezia, con quelli del Mediterraneo orientale, dell'Oceano Indiano, dell'Estremo Oriente, del Mar del Nord e dell'America Settentrionale.
I centri abitati. - Singolare caratteristica demografica della Puglia, come in genere di gran parte dell'Italia meridionale, è l'accentramento della popolazione agricola nei nuclei urbani; in nessun'altra parte del regno il fenomeno è così accentuato come nella regione pugliese: ivi la percentuale degli abitanti che vivono in campagna si aggira appena intorno all'8% della popolazione totale. L'accentramento è così forte che circa il quinto degli agglomerati urbani della Puglia, e più della metà di quelli che spettano alla sola provincia di Bari, contano ciascuno un numero di abitanti superiore ai 10 mila. Il fenomeno non presenta, è vero, dappertutto la stessa intensità: nelle Murge di SE. si estende un'ampia oasi, nella quale la popolazione che vive fuori dei centri supera il 30% della popolazione totale (è la zona conosciuta col nome di "Murgia dei trulli" dal tipo di abitazione rurale che vi è largamente diffuso); nella parte meridionale del Salento è diffusamente rappresentato il tipo del piccolo villaggio agricolo, e i villaggi sono in molte zone vicinissimi fra loro. Se, però, nei calcoli sulla popolazione sparsa, dalla Puglia si escludono la Murgia dei trulli e il Salento meridionale, la percentuale della popolazione accentrata nei grossi agglomerati umani sale, nel resto della regione, alla cifra veramente eccezionale del 95%.
La distribuzione dei centri abitati dipende in massimo grado dalle condizioni morfologiche e igieniche. Nel Gargano, perciò, gli agglomerati umani si allineano in due gruppi, l'uno sul fianco meridionale, ma sui gradini più alti (da S. Marco in Lamis a Monte Sant'Angelo), l'altro sulle falde settentrionali ma ad una certa distanza dalle malariche lagune di Lesina e di Varano (da Poggio Imperiale a Peschici). Nel resto della Capitanata, la distribuzione dei centri dipende dalla disposizione a semicerchio delle colline del Subappennino: al centro del semicerchio e all'estremità dell'arco s'incontrano le località più importanti (Foggia, e poi San Severo e Cerignola); sulle fiancate delle colline sono scaglionati i numerosi abitati minori. Nella regione delle Murge, la distribuzione degli agglomerati riflette la forma del rilievo e presenta, perciò, tre aspetti diversi: nelle Murge di NO., in cui le colline si dispongono prevalentemente in serie allungate, anche le città si allineano, da NO. a SE., in tre serie (una dalla parte della Lucania, da Spinazzola a Gioia; una dalla parte dell'Adriatico, ma lungo il gradino di mezzo, da Canosa a Palo del Colle; la terza è rappresentata dalle città marittime, da Barletta a Giovinazzo); nelle Murge di SE., meno alte e con forma prevalentemente piatta, la popolazione risulta più uniformemente distribuita e i centri sembrano, nella più gran parte del territorio, collocati press'a poco alla stessa distanza l'uno dall'altro; nella zona intermedia rivolta all'Adriatico, e cioè nella conca di Bari, i centri sono molto vicini fra loro e distribuiti ad archi concentrici sui bassi gradini che scendono verso l'Adriatico. Nella Penisola Salentina, gli agglomerati umani s'incontrano quasi tutti a una certa distanza dal mare (a giusta distanza l'uno dall'altro nella regione piana e uniforme che si estende a N., in serie allungate nelle vallecole frapposte fra l'una e l'altra linea delle Serre); solo nella regione del Capo, per mancanza di pianure nella fascia orientale, i centri si avvicinano moltissimo al Canale di Otranto, su cui la costa precipita con una scarpata rocciosa.
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Arte.
Ai monumenti di età preistorica, dolmen, menhir, specchie, numerosi nelle Puglie più che in altre regioni d'Italia (v. appresso), succedono cronologicamente alcune costruzioni, che, seppure vicine a quelli dal punto di vista costruttivo, sono ad essi certamente di molto posteriori: tale l'edificio, detto le "Centopietre", di Patù, che nella forma rivela chiaramente la conoscenza dei templi greci, tali le mura a grossi blocchi di varie città messapiche (Muro Leccese, Gnazia, Manduria, ecc.), la cui data va con molta probabilità, almeno per alcune, riportata ad età più tarda di quella fino a qualche tempo fa accettata, e cioè al sec. IV-III a. C. La colonizzazione greca ha lasciato testimonianza più che in resti monumentali (fra i pochi superstiti, possiamo ricordare quelli di un tempio dorico a Taranto e quelli di alcuni edifici, rimaneggiati in età romana, a Gnazia), nella copiosa suppellettile, soprattutto vascolare, delle necropoli, fra le quali primeggia quella di Taranto. Più propriamente prodotto di arte italiota sono gl'ipogei scolpiti o dipinti di Lecce, di Vaste, di Ruvo, le ceramiche di Ruvo, di Canosa e di Gnazia (v. apuli, vasi) e le figurine in terracotta, imitazione delle tanagree, delle tombe di Taranto e di altre necropoli.
L'attività dei Romani si manifesta nelle opere di pubblica utilità: vie (colonne terminali dell'Appia a Brindisi, milliari della via Traiana), ponti (ponte di Canosa sull'Ofanto), porti (S. Cataldo presso Lecce, Gnazia), acquedotti (Bovino), anfiteatri (Lecce, Canosa, Lucera, Ordona), ecc. Di età anteriore ai Romani è probabilmente il cosiddetto fonte Pliniano di Manduria. Tra i centri monumentali più ricchi si possono ricordare Gnazia, Lucera, Ordona. Opera insigne di tarda età romana è la statua colossale in bronzo di Barletta, già ritenuta, ma senza sicuro fondamento, il ritratto di Eraclio, ed ora creduta di Valentiniano o di Marciano.
Rari frammenti, di solito riadoperati in monumenti più tardi, testimoniano dell'operosità ininterrotta degli artefici pugliesi nei primi secoli dei Medioevo: così le transenne ed i capitelli di fine fattura nella cripta della cattedrale di Otranto, la cupola musaicata (sec. Vl dell'oratorio di Casaranello, le "laure" scavate nella roccia dai cenobiti basiliani e affrescate secondo modi bizantineggianti sino ai primi del sec. XI.
Ai primi del sec. XI, rinnovate condizioni politiche, ravvivati fervori religiosi, prosperità di commerci e di mercati più vasti segnano la rifioritura artistica della Puglia, dove confluivano per le vie del mare modi d'arte proprî dell'Oriente vicino e per le vie di terra forme oltramontane: modi e forme accolte non con passiva inerzia imitatrice, ma trascelte, elaborate, fuse dal genio fecondo degli artisti e delle scuole locali in opere originali.
Sorgono allora per tutta la Puglia le grandi moli delle cattedrali romaniche, tutte robustamente costrutte nella bella e tenace pietra da taglio che la terra stessa provvedeva dovunque, talvolta a specchio del mare, talvolta quasi a baluardo dei borghi, talvolta in cima ai colli e nella distesa ampia di piani; così le chiese grandi e piccole, fiancheggiate spesso da caratteristiche torri campanarie ben salde; e in tutte l'architettura romanica dispiegò la ricca molteplicità dei suoi modi costruttivi con uguale e pur varia intonazione stilistica, secondo predilezioni e tradizioni locali. Audaci e solenni s'innalzano le cattedrali di Trani e di Bitonto, di Ruvo e di Troia e la basilica di S. Nicola di Bari, enormi masse ingentilite dalla grazia delle sculture adornanti portali e rosoni e finestre nelle murature laterali e nell'abside; espressioni originali, anche se vi siano riconoscibili influenze di varia derivazione in alcuni particolari strutturali. Evidente vi appare l'influsso lombardo, nei pilastroni a fascio adoperati come potenti sostegni, nell'alleggerimento arioso dei matronei all'interno e delle logge all'esterno leggiadramente ricorrenti, negl'intercolunnî spaziosi delle cripte sotterra, ampie talvolta più che la superficie del presbiterio soprastante. Schemi bizantini e motivi normanni ispirano alcune costruzioni a pianta centrale o anche a croce latina con o senza navate e navatelle e il coronamento a una o più cupole, se pure queste non siano da pensarsi come suggerite dalla remota e singolare struttura dei "trulli", rustiche costruzioni rifinite a cupolette e diffuse per tutta la regione, e in particolar modo nella piana di Alberobello e di Martina Franca.
Neppure sembrano negabili reminiscenze e rapporti - e non soltanto in particolari decorativi - con l'arte musulmana e più tardi, verso la fine del sec. XII, con l'arte francese: e se la presenza non discontinua di artefici arabi nelle Puglie vi radicò alcuni elementi caratteristici del loro stile, similmente nella concezione degli organismi architettonici ebbero possibilità di penetrazione alcuni peculiari modi oltramontani, allorquando frequente fu il passaggio di artisti francesi attraverso la regione pugliese, divenuta normale scalo dei crociati salpanti per la Terrasanta. Nel sec. XIII i medesimi caratteri sono visibili, oltre che nelle fabbriche religiose, anche nelle opere dell'architettura civile e militare, che, per ispirazione di Svevi e di Angioini, munisce di castelli turriti e bastionati città e borgate pugliesi, come il castello di Bari e quelli di Gioia e di Lucera e, fra tutti, Castel del Monte, eretto da Federico II: opera di originale bellezza, nel cui interno si afferma pienamente, come in altre costruzioni sveve, la nuova architettura gotica.
Ma le forme romaniche, tanto radicate da divenire quasi incontrastata tradizione nell'architettura pugliese, non consentirono che fosse sostanzialmente accolto lo stile gotico, che, per es. in Terra di Bari, fu sempre rielaborato e fuso col romanico; soltanto qua e là, come nella Capitanata e in Terra d'Otranto, riuscì ad operare con qualche autonomia e senza molta commistione.
Poca penetrazione ebbe nell'intera regione pugliese il Rinascimento, sporadicamente operante o nella rifinitura di qualche edificio civile o nel rifacimento di qualche fabbrica religiosa o nel tardo ampliamento di qualche fortezza preesistente. Soltanto verso la fine del Cinquecento e nel Seicento appare nella Puglia qualcosa di nuovo, anche se propriamente nasca e si propaghi in Terra d'Otranto e poi tardi si diffonda altrove, incontrandosi con correnti consimili tardivamente venute dal Napoletano: il barocco leccese, che impronta e ricopre di un'originale esuberanza decorativa alte e robuste costruzioni religiose e civili, nelle quali l'armonia e l'eleganza talvolta bizzarra delle linee barocche si giova del singolare effetto coloristico nascente dal bel giallore aureo-brunastro della tenera e tenace pietra leccese.
Nell'inerzia del secolo successivo echi di forme ancora romanicheggianti contaminate di manierismi barocchi persisteranno per tutta la Puglia a ricordo di una tradizione gloriosa sempre affiorante, pur nella ricerca o nell'aderenza a moderni schemi architettonici.
La scultura romanica assolse quasi esclusivamente compiti decorativi, adornando di fregi sontuosi e di fini rilievi i portali romanici di solito fiancheggiati da mostri stilobati, e le sovrastanti lunette includenti originali composizioni, le finestre bifore e trifore, i rosoni e i rosoncini a chiusure traforate, i loggiati e le mensole, e, all'interno delle chiese, capitelli e mausolei, amboni e cattedre episcopali, ciborî e transenne.
Artefici valentissimi come "magister Acceptus" e "Nicolaus sacerdos", come Anseramo da Trani e Alfano da Termoli, operano con fervore e fecondità accanto agli architetti, e al pari di questi accolgono o trascelgono modelli bizantini e musulmani, motivi classici, lombardi o pisano-lucchesi, da tutti ispirandosi e tutti rielaborando e ricreando mediante un'inconfondibile e schietta impronta pugliese, talvolta originalmente innovando, come Barisano da Trani nelle imposte bronzee di cui orna la cattedrale della sua città natia, splendide come le altre da lui medesimo fuse a Monreale. Nel sec. XIII rapporti frequenti e apporti reciproci intercorsero tra la Puglia e la Toscana: e non è senza significato che documenti dicano "de Apulia" Nicola Pisano (v.), alle cui sculture sono affini quelle di Castel del Monte e della cattedrale di Ruvo, poi le opere di Nicola di Bartolomeo da Foggia (v.) a Ravello.
Tardi e lentamente nei secoli XIV e XV penetra e si diffonde in Puglia lo stile gotico-napoletano, sempre in dipendenza del romanico e da questo adattato. Ancora più pigramente, durante la seconda metà del Quattrocento, appaiono mediocri riflessi del Rinascimento in opere sporadiche, né valse che pervenisse ad Andria una bell'opera di Francesco Laurana. Sempre più asservita a fini ornamentali nel Cinque e Seicento, soltanto nell'Ottocento la scultura pugliese cercò di ravvivarsi.
Non una netta tradizione con caratteri precisi e originali è possibile distinguere nelle opere di pittura pugliese, pur diffusa sin da tempi remoti per tutta la regione, probabilmente per opera dei monaci basiliani.
Bizantini furono gl'inizî, bizantini i modi, i procedimenti tecnici e gli schemi iconografici, bizantini in gran parte gli artefici, come quel Teofilatto che affrescava nel 959 la grotta di S. Maria delle Grazie a Carpignano in Terra d'Otranto. Con più libertà e certo con più larghezza di motivi operavano i musaicisti, quando rivestivano vasti pavimenti come quello amplissimo e famoso della cattedrale di Otranto o quello frammentario del duomo di Trani, e, se guardavano da un lato ai repertorî orientali di bestiarî e di leggende bibliche, non disdegnavano di attingere ai cicli cavallereschi d'oltralpe. I frescanti invece rimasero fedeli alle forme bizantine, che si riflessero in opere quando pregevoli, quando mediocri sino al Trecento inoltrato, come attestano le grandi pareti affrescate di S. Maria del Casale presso Brindisi.
Il rinnovamento pittorico operatosi in Toscana nella seconda metà del Duecento si diffonde tardi, ma alfine prevale anche in questa terra, che accoglie mediatamente da Napoli correnti nuove di origine senese, così che ai primi del Quattrocento affreschi toscaneggianti adornano quasi interamente la chiesa di S. Caterina a Galatina. Frattanto i mercanti pugliesi riportavano da Venezia e dai porti dell'alto Adriatico polittici e pale d'altare, e più tardi le chiese di Puglia vantano sugli altari opere dei maggiori pittori veneti, dai Vivarini al Bellini, dal Bordone al Savoldo, da Paolo Veronese al Tintoretto.
Nel Cinquecento qualche pittore locale, come Palvisino da Putignano, tenta timidamente mediocri imitazioni, come più tardi qualche fiammingo altrettanto mediocre, ad es. il neerlandese Gaspare Hovic operante a Bari, finché nel Seicento e Settecento i pittori pugliesi si orientano definitivamente verso Napoli, dove accorrono a compiere la propria educazione artistica e si inseriscono nella scuola napoletana, non distinguendosi in essi alcun carattere stilistico genuinamente pugliese. Nella larga attività dei pittori dell'Ottocento emergono altamente Saverio Altamura di Foggia (1826-1897), Gioacchino Toma di Galatina (1838-1891) e Giuseppe De Nittis di Barletta (1846-1884), che, aderendo alla corrente impressionistica e operando in Francia, impresse nelle sue opere chiari segni di un vigoroso temperamento di artista, non dimentico della tradizione pittorica italiana.
Di evidenti caratteristiche regionali mancano, come la pittura, così le arti minori, sebbene le chiese pugliesi abbondino di arredi preziosi e varî per stile e derivazione, quali si conservano specialmente nel Tesoro di S. Nicola di Bari e in quello di S. Sepolcro a Barletta: miniature (tra cui il mirabile rotulo dell'Exultet del duomo di Bari) derivate in gran parte dalla scuola cassinese, oreficerie, smalti, avorî, paramenti, ecc., cui sono da congiungersi i bei cori lignei intagliati tra il sec. XV e il XVI sotto l'influenza di forme napoletane: opere tutte che attestano la continua e abile virtuosità dell'artigianato pugliese, discendenza di quei purissimi artefici le cui opere nei secoli tengono tuttavia alto il nome di quello stile romanico pugliese, che s'inserisce nella più gloriosa tradizione artistica italiana.
V. tavv. XCIX-CXVI.
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Preistoria.
Dall'attuale territorio delle provincie di Foggia, Bari, Taranto, Brindisi e Lecce uscì gran copia di resti preistorici. Essi documentano con ininterrotta successione le varie fasi del progresso umano, fino dai remotissimi tempi detti pleistocenici, durante i quali l'uomo era in possesso della cultura paleolitica. Molti i ritrovamenti casuali; frequenti pure, estesi e di notevole importanza gli scavi sistematici eseguiti da A. Mosso, Q. Quagliati, G. A. Blanc, U. Rellini. Donde cospicui incrementi provennero ai musei regionali, segnatamente di Taranto e di Bari.
Gli aspetti delle civiltà preistoriche nelle odierne provincie pugliesi sono sostanzialmente gli stessi della finitima Basilicata (v.), dove furono messi in particolare evidenza con gli scavi del Venosino e del Materano.
Mancano nella Puglia, per quanto si sappia, resti della più antica industria umana, tuttora incertamente nota, cui spettano nel Venosino pochi oggetti d'industria litica detta "pre-amigdaloide". Nel Venosino e nel Materano copiosi sono i giacimenti di strumenti amigdaloidi, scheggiati su ambedue le facce. Vi si ritrovano le fogge primitive dette di Chelles e quelle affini, di tecnica relativamente progredita, detta di Saint-Achéul. In luoghi topograficamente distinti del Materano stesso si raccolsero pure in copia utensili litici delle fogge di Le Moustier: cioè punte e raschiatoi tratti da larghe schegge silicee ritoccate su una sola faccia.
Utensili litici amigdaloidi si raccolsero nelle vicine Murge di Altamura e a Cassano Murge nella Terra di Bari; ma i ritrovamenti nelle provincie pugliesi sono stati finora molto scarsi, fatta eccezione per quelli del Gargano.
Questo grande promontorio per lungo corso di secoli fu male accessibile dal Mezzogiorno: il Tavoliere, rimasto a lungo paludoso, lo separava anziché unirlo al resto della penisola. Da molti luoghi del Gargano (San Marco in Lamis, San Severo, Rodi e Macchia a Mare sul versante settentrionale, ecc.) si ebbero numerosi amigdaloidi di selce, sia delle fogge primitive lavorate con larghe scheggiature, sia esemplari più finiti per ulteriori ritocchi. Insieme agli amigdaloidi nelle stesse località garganiche G. Nicolucci, l'Angelucci e altri vecchi ricercatori raccolsero punte, raschiatoi, ecc., delle fogge di Le Moustier. Le reciproche condizioni di giacimento di queste diverse specie di manufatti non furono ancora accertate con scavi sistematici: donde l'impossibilità di un'esatta attribuzione cronologica di questi utensili garganici di fogge originarie dei livelli paleolitici inferiori. Una prudente riserva è imposta dall'ormai constatata persistenza di uso di taluna di queste fogge.
Per motivi analoghi non possiamo assegnare un'età precisa ai pochissimi utensili di fogge Le Moustier, rinvenuti sporadicamente nel resto delle provincie pugliesi.
All'estremità della penisola italiana, non lungi dal capo Santa Maria di Leuca, s'apre sul mare la grotta Romanelli, magistralmente esplorata da G. A. Blanc. Eccezionalmente regolare vi è la stratificazione. Gli strati più bassi, nei quali già appaiono "focolari" umani, si formarono durante il lunghissimo tempo di clima caldo, che vide la regressione dei ghiacciai alpini fra la penultima e l'ultima grande espansione dei ghiacciai stessi. Sono livelli ancora corrispondenti al Paleolitico superiore. A questi strati inferiori si sovrappone un potente letto stalagmitico causato da clima relativamente piovoso e freddo, ripercussione meridionale dei fenomeni dell'ultima grande espansione glaciale. Dalle formazioni superiori della grotta uscirono ampie vestigia dell'uomo in possesso di cultura affine a quella constatata in varie regioni d'Italia del bacino tirrenico, cui U. Rellini diede nome di "cultura di Grimaldi", dalle celebri grotte della Liguria occidentale dove fu largamente constatata.
Fra gli oggetti caratteristici sono strumenti litici di fogge svariate tratti da lame allungate, abbastanza accuratamente scheggiate nella faccia superiore. Sono i livelli di cultura che in ordine di tempo fanno seguito a quelli del Paleolitico inferiore.
Queste formazioni superiori della grotta Romanelli appaiono costituitesi durante lunghissimo spazio di secoli, quali dune di arresto di materiali di apporto eolico, fra i quali anche sottili letti di sabbia desertica africana; gli strati più bassi durante un clima caldo e asciutto, probabile ripercussione di fase di regresso di ghiacciai alpini; gli strati più alti con un clima di steppa freddo e asciutto, temperato però dal Mediterraneo: conseguenza con ogni verosimiglianza dell'ultima parziale ripresa dei ghiacciai alpini. Dei numerosi strumenti litici raccolti in tutti questi strati delle formazioni superiori, molti richiamano quelli analoghi delle caverne di Grimaldi e della Francia meridionale, altri invece quelli affini che si rinvennero negli stessi livelli culturali dell'Africa settentrionale (giacimenti di Capsa in Tunisia, ecc.). Da ciò si trae indizio di diverse correnti culturali affini.
Sulle pareti della grotta Romanelli e su massi franati dalle pareti stesse apparvero primitive figure graffite, le quali in Italia, per quanto si sappia, apparirebbero isolate. Alcune sono interpretabili quali rappresentazioni umane di gran lunga primitive, altre di bovidi. In queste ultime, l'animale è presentato nella sola parte anterosuperiore, non senza una certa sicurezza di tratto e un certo grado di naturalismo: non manca qualche remota analogia con le note rappresentazioni di animali dell'arte paleolitica superiore del sud-ovest dell'Europa.
Come da altre regioni d'Italia estese verso l'Adriatico, anche dal Gargano vennero in luce, copiose, asce di selce scheggiata, picchi, tranchets: manufatti caratteristici del Campignano.
La tecnica con cui questi utensili vennero ottenuti, la scheggiatura alquanto larga sulle due facce, apparve a G. A. Colini direttamente derivata da quella dei ricordati amigdaloidi e fece anche pensare a persistenza di genti paleolitiche (v. italia: Preistoria).
I vecchi raccoglitori, quali il Nicolucci e l'Angelucci, riferirono che siffatti utensili "campignani" sarebbero stati raccolti nelle stesse località garganiche donde uscirono gli amigdaloidi stessi, accompagnati, inoltre, anche da oggetti neolitici. Fatti analoghi vennero constatati in altri luoghi d'Italia, donde anche uscirono oggetti di fogge campignane.
Come località garganiche di ritrovamento di utensili litici di questa foggia riappaiono i nomi di Vico, San Marco in Lamis, Macchia a Mare, Lesina sulla costa settentrionale, ecc.
Nel Neolitico garganico e in genere in quello pugliese e delle regioni finitime, sono scarse le asce e accette di pietra levigata.
Il rame è apparso nella stazione di Macchia a Mare, che si deve perciò considerare eneolitica. Le ultime ricerche del Rellini condussero al ritrovamento di tranchets nel deposito della caverna di Scaloria presso Manfredonia, dove sembrano associati a primitivi pugnaletti di rame. Ma, altrove, non si conoscono finora, come uscite dai giacimenti di queste regioni, asce piatte e pugnaletti triangolari di rame puro. Sono questi i più antichi utensili di metallo, e da essi è caratterizzata in modo particolare la fase eneolitica (v.). È perciò difficile in molti casi distinguere nei giacimenti garganici e pugliesi livelli neolitici puri da quelli eneolitici.
Al periodo neo-eneolitico garganico e pugliese non mancavano le perfezionate cuspidi silicee di frecce. Molto diffusi vi erano gli oggetti di ossidiana, la cui materia prima verosimilmente, anziché dal Tirreno, doveva provenire dalle isole vulcaniche dell'Egeo.
Neolitici furono giudicati finora, per quanto risulta dalla relazione del Nicolucci, i "fondi di capanne" di Lesina, capanne cioè di pianta ellittica o circolare alquanto infossate nel terreno, donde uscirono pure frammenti di ceramica molto rozza e primitiva.
Sulle complesse questioni di preistoria garganica cominciano a gettar luce gli ampî scavi e le ricerche sistematiche del Rellini. Notevole l'avvenuta scoperta di cave di selce, presumibilmente eneolitiche, presso Macchia a Mare, donde la selce veniva portata a prossime vaste stazioni all'aperto ed entro grotte. Sulla vetta del Capo Manaccore apparvero ancora tracce del muro perimetrale di un'altra stazione costituita da capanne di pianta rettangolare delimitate da rozzi muretti di pietra. In altro luogo dello stesso Capo si videro resti di abitazioni parzialmente scavate nella roccia, provviste di canali di scolo per l'acqua piovana: lo strato inferiore di questo villaggio, presumibilmente dei tempi che precedettero il bronzo, diede copia di utensili e armi di selce, quali cuspidi e coltellini silicei, tranchets ecc.
Stazioni neo-eneolitiche erano diffuse dappertutto nelle attuali provincie pugliesi e nelle prossime isole adriatiche, come le Tremiti, donde si ebbero asce levigate e una bella ceramica. Particolarmente notevoli i villaggi di Coppa Nevigata presso Manfredonia e del Pulo di Molfetta, nei quali le capanne non erano, come a Lesina, infossate nel terreno, ma - carattere reputato di maggiore recenziorità - a fiore di terra. Una palizzata continua e coperta di intonaco ne formava le pareti. I villaggi stessi appaiono essere stati alquanto complessi e non privi di un certo grado di sviluppo sociale.
Il villaggio di Coppa Nevigata, prossimo al mare, fu esplorato da A. Mosso. Esso avrebbe avuto origine ancora durante il Neolitico. Ne continuò l'uso e, si direbbe, sempre da parte della stessa gente, fino agl'inizî del primo millennio a. C. Sulla lavorazione in situ del bronzo e poi del ferro, affermata dal Mosso, sono da fare riserve. La stratificazione non risultò ben chiara: non risulterebbero tuttavia essere avvenuti, durante l'accennato lungo spazio di tempo, sostanziali mutamenti nel modo di vivere. Così secondo il Mosso. Recenti studî sulla ceramica porterebbero invece a escludere il Neolitico, e anche l'Eneolitico. Le capanne, di pianta approssimativamente circolare, erano sparse irregolarmente, cinte da siepi o palizzate e collegate da stradicciole selciate.
L'esteso villaggio di Molfetta sorse con ogni verosimiglianza ancora durante il Neolitico, e fiorì segnatamente durante i tempi che appaiono corrispondere a quelli eneolitici. Le capanne sono in genere di pianta circolare; qualche volta rettangolare, fra quelle giudicate più recenti. Con gli scavi vennero in luce, entro il villaggio, resti di strade costituite da pietrame stratificato. Nessuna capanna non più abitata servì di tomba, come si usò a Serra d'Alto presso Matera. Le tombe erano situate fra le capanne, protette da un contorno irregolarmente circolare di pietra e verosimilmente coperte con legname. Il cadavere veniva deposto ripiegato su un fianco.
Le grotte, che si aprivano nelle pareti della depressione carsica del Pulo stesso, vennero artificialmente allargate e adattate ad abitazione durante qualche tempo dell'età del bronzo, quando sarebbe stato abbandonato il soprastante villaggio di capanne.
Anteriori, in genere, alla civiltà del bronzo apparvero le stazioni di Terlizzi (Ruvo), con alcune tombe rinvenute in località Monteverde, pur esse frammiste alle capanne, con il "santuario betilico" esplorato dal Mosso. Male infatti potrebbe essere revocata in dubbio una destinazione religiosa di questo monumento, costituito di una lunga pietra quadrangolare, infissa in un pavimento di lastroni bene combacianti fra loro. Sono da ricordare inoltre le capanne di Altamura, infossate nel terreno come le materane; una tomba di Macchia a Mare (Gargano); le tombe di Canne, dello Scoglio del Tonno e di Bellavista presso Taranto; tutte di inumati, con corredo funerario. Pozzetti approssimativamente cilindrici scavati nel tufo a Bellavista; ancora fosse cinte di pietre a Canne, Monteverde di Terlizzi, Scoglio del Tonno. Talora si riscontra più di una inummione nella stessa tomba. Sarebbero stati accertati esempî di seppellimento secondario e parziale coloritura dello scheletro: diffusi riti funebri di origine propriamente neolitica.
I giacimenti di Matera, delle isole Tremiti, Coppa Nevigata, il villaggio e le tombe superiori del Pulo di Molfetta, le capanne e le tombe di Terlizzi diedero copia di prodotti vascolari fittili, dalle pareti ornate con una certa ricchezza di motivi incisi o impressi, anche con orli di conchiglie, quali si rinvennero pure nelle stazioni di Stentinello e Matrensa della Sicilia orientale. Si penserebbe volentieri ad affinità etniche. L'attribuzione indiziaria generica di questi villaggi della Sicilia all'Eneolitico appare probabile.
Una bella e artistica ceramica cromica, nota oggi segnatamente per merito del Rellini, ebbe pure il suo fiore, sembra, nell'Eneolitico. Erano vasi dalle pareti coperte di motivi varî, talora complessi, di colore rossastro, arancione, bruno su fondo chiaro (v. eneolitica, civiltà; italia: Preistoria). Nel Materano e nelle Puglie questa ceramica appare con varietà di facies regionale. Ne diedero, copiosa, le caverne di Ariano di Puglia, le capanne di Altamura, le tombe di Canne, le caverne di Occhiopinto e Scaloria presso Manfredonia, il villaggio superiore capannicolo del Pulo di Molfetta, giacimenti non bene determinati dello Scoglio del Tonno e di Leporano presso Taranto, le caverne di Ostuni (Brindisi) e della Zingulosa (Castro di Lecce). È una ceramica di produzione indigena, evidente imitazione di prototipi del Mediterraneo orientale, la quale offre una delle prove dell'esistenza di una corrente culturale fin da quei remoti tempi.
Una copiosa ceramica grossolana, frequente nelle caverne del Pulo di Molfetta, e lo stesso fatto del ritorno alle caverne quali abitazioni, sembrano denotare, con l'età del bronzo, un regresso. Sopravvenienza dal settentrione di tribù in uno stadio barbaro di cultura?
I giacimenti materani e pugliesi di civiltà enea si collegano, pur con varianti regionali, al gruppo di quelli detti dal Rellini extraterramaricoli (v. italla: Preistoria; basilicata; marche). Dalle fasi più antiche alle seriori anche nelle Puglie viene cessando gradualmente la copia di oggetti litici; pur sempre nelle stesse fasi seriori sono scarsi gli oggetti di bronzo in confronto con le industrie propriamente terramaricole. Anche nelle Puglie e nelle regioni viciniori si segue l'evoluzione della ceramica nerolucida (o buccheroide), la quale nelle fasi seriori si orna di fasce punteggiate meandriformi o spiraliformi, altro probabile influsso del mondo egeo-miceneo, e le anse (lunata, ecc.) raggiungono sviluppo e varietà grandissima. Oltre al Pulo di Molfetta e Coppa Nevigata, nominiamo, come quelle che in genere raggiunsero fasi seriori, le stazioni inesplorate di Terlizzi e di Bari, di Leporano. La stazione dello Scoglio del Tonno (Taranto), erroneamente ritenuta una terramara, vide le fasi più recenti. Particolari oggetti attestano contatti con il mondo egeo-miceneo. Il rito funebre è sempre quello dell'inumazione: di fase relativamente antica è la tomba a fossa di Andria (Corato). Esempio evidente di "tomba a forno" di tipo "siculo", quali se ne ebbero nel Materano, è la tomba di Gioia del Colle (Monte Sannace), con il cadavere deposto non nella fossa scavata nel terreno, ma in una nicchia laterale alla fossa stessa.
Le tombe megalitiche a dolmen, peculiarità delle provincie pugliesi meridionali, sembrano in genere attribuibili a fasi seriori. Fra i pochi dolmen metodicamente esplorati è quello di Bisceglie, uno dei più sviluppati perché munito di dromos (corridoio di accesso).
Ai dolmen nelle stesse provincie meridionali pugliesi si collegano le pietre-fitte, o menhirs: sembrano esse in relazione con concetti religiosi.
Non sono ancora conosciuti nella loro natura ed età i grandi cumuli di pietrame, o specchie, peculiari della Terra d'Otranto.
I giacimenti garganici di civiltà enea ci sfuggono ancora, forse per l'isolamento del promontorio stesso. Cominciano in proposito a gettare luce gli ampî scavi del Rellini: è ormai evidente una particolare facies di attardamento. Insieme ai prodotti fittili indigeni, proprî della civiltà del bronzo, e a spade e pugnali enei si hanno oggetti ornamentali di bronzo proprî della prima età del ferro (voltone sepolcrale di Manaccore presso Peschici, ecc.).
Con la prima età del ferro la Puglia si affaccia alla protostoria: non doveva passare relativamente molto tempo perché fosse fondata la colonia greca di Taranto.
Bibl.: G. A. Blanc, Grotta Romanelli, in Archivio per l'antropologia e l'etnografia, 1920, 1928, 1929; A. M. Colini, Scoperte archeologiche nella valle della Vibrata, ecc., in Bull. paletnol. ital., XXXII-XXXIII-XXXIV; M. Gervasio, I dolmen e l'età del bronzo nelle Puglie, Bari 1913; id., I rapporti fra le due sponde dell'Adriatico nella età preistorica, in Atti della XXII riunione della Società italiana per il progresso delle scienze, Bari 1933; A. Jatta, Puglia preistorica, Bari 1914; G. Marro, Cranio neandertaloide del Gargano, Istituto geologico della università di Padova, VIII; M. Mayer, Le stazioni preistoriche di Molfetta: Relazione sugli scavi eseguiti nel 1901, Bari 1904; id., Ceramica dell'Apulia preellenica: La Messapia, in Röm. Mitth., 1897; id., La Peucezia, ibid., 1899; id., Die Keramik des vorgriechischen Apuliens Daunia, ibid., 1904; id., Tarent, ibid., 1908; id., Apulien vor und während der Hellenisirung mit besonderer Berücksichtigung der Keramik, Lipsia-Berlino 1914; id., Molfetta und Matera (zur Prähistorie Suditaliens und Sicilien), Lipsia 1924; A. Mosso, Necropoli neolitica del Pulo di Molfetta, in Monumenti Lincei, XX (1910); id., Stazione preistorica di Coppa Nevigata presso Manfredonia, ibid., XIX (1909); id. e F. Samarelli, Scoperte di antichità preistoriche nel territorio di Terlizzi presso Bari, in Notizie Scavi, 1910; id., Il santuario betilico nella stazione neolitica di Monteverde presso Terlizzi in provincia di Bari, ibid., 1910; id., Il dolmen di Bisceglie in provincia di Bari, in Bull. di paletnol. italiana, XXXVI (1910); U. Rellini, Linee di preistoria pugliese e prime esplorazioni nel Gargano, in Atti della XXII riunione della Società italiana per il progresso delle scienze, Bari 1933 e in Japygia, Bari 1934; id., Rapporto preliminare sulle ricerche paletnologiche condotte sul promontorio del Gargano: I, Le prime esplorazioni (1929-31), in Bull. pal. it., L-LI (1930-31); id., La civiltà enea in Italia, ibid., LIII (1933); id., Nouvelles stations des Pouilles avec la poterie peinte primitive, in Congrès int. Sciences prehist. et protohist., Londra 1932; id., La più antica ceramica dipinta d'Italia, in IPEK (Jahrbuch für prähistorische und ethnographische Kunst), Berlino 1930; id., Ceramica dipinta e civiltà primitiva in Italia, Roma 1934: id., Le origini della civiltà italica, Roma 1929; Q. Quagliati, Le antiche civiltà dell'Apulia rappresentate nel Museo di Taranto, in Rassegna Pugliese, 1910, n. 8; id., Relazione di scavi che si eseguirono in un abitato terramaricolo presso Taranto, in Notizie Scavi, 1900; id., Tombe neolitiche in Taranto e nel suo territorio, in Bull. di paletn. it., XXXI (1906).
Storia.
Quantunque fin dal sec. XI scrittori e cronisti designassero Bari "caput Apuliae", è evidente in tutta la storia di Puglia l'assenza di un vero e grande centro. Solo Roma le conferì, forse per la prima volta nella storia, unità amministrativa e l'avviluppò di strade che, avvicinandone le parti, la ricollegarono tutta a sé: l'Appia che entrava in Puglia a Pons Aufidi, passava per Venosa, Taranto, Brindisi; la Traiana, da Benevento a Aecae (Troia), Erdonia, Canosa, Bitonto, Bari, Brindisi; una terza, continuazione della via del Piceno, che entrava in Puglia presso Larino, passava attorno al Gargano, toccava Siponto, raggiungeva a Bari la via Traiana. Il cristianesimo vi penetrò dal sec. III al V, quando sorsero i vescovati di Ecana, Canosa, Siponto, Venosa, Acerenza (allora pugliese), Gnazia, Trani, Erdonia, Carmignano, forse Bari. Più tardi, quelli di Brindisi, Oria, Lecce, Gallipoli, Taranto.
Secondo la tradizione, nel 492 l'arcangelo Michele apparve sul Gargano, angolo dell'Italia e d'Europa proteso verso Bisanzio e il Levante, ben presto meta di pellegrinaggi italiani e di genti di Oltralpe, lungo le antiche vie.
Dopo d'allora peggiorarono le condizioni civili, politiche e religiose, sia perché fu irrimediabilmente spezzata l'unità della regione, sia perché poco stabili furono gli stanziamenti dei nuovi dominatori. La guerra gotica, scoppiata dopo la morte di Amalasunta, desolò il Mezzogiorno, la Puglia in specie. Grave desolazione durante il primo infuriare del rapace governo bizantino; maggior disordine e miseria con i Longobardi. Questi, tolta ai Greci Canosa, la più importante città romana della Puglia con propria curia e proprio ordo municipalis, penetrarono ben addentro in Puglia, spossessarono i vinti di parte delle terre, perseguitarono l'elemento cristiano più o meno grecizzato, a loro ostile; si infiltrarono in Terra d'Otranto. Indipendentemente dai Longobardi, le città erano senza vescovi, e le popolazioni angariate dalla corruzione e dalla prepotenza di ufficiali bizantini. Scriveva Gregorio I papa, l'anno 600, "et foris a gentibus, et intus a iudicibus conturbemur". Sopraggiunsero poi i Franchi che occuparono (802) Lucera, ben presto ripresa da Grimoaldo di Benevento; e i Saraceni che, venuti in aiuto del principe beneventano Radelchi, occuparono per proprio conto, verso la metà del sec. VIII, Bari e Canne e minacciarono la stessa Benevento.
Invano, per scacciarli, l'imperatore Ludovico II assediò Bari: essi occuparono Canosa scacciandone il vescovo (856), poi Ordona, nell'861 Ascoli, aiutati più o meno apertamente dalle cittadinanze, che li preferivano ai Longobardi vicini e potenti e all'imperatore carolingio. Questi più volte ritornò in Puglia: ma sempre invano. Saccheggi, assedî, conquiste: ma nulla di durevole.
Acquistava intanto importanza Bari, abilmente barcamenandosi tra Greci, Longobardi e Franchi. I Bizantini non poterono affermarvisi stabilmente. Anche i Saraceni vanamente tentarono di rendersene padroni. Accanita difesa: tempestivo aiuto della flotta veneta (1004). Le altre città pure crescevano. Ormai, esse son già avanti sulla via di un'autonoma organizzazione civile e militare, come dimostra sul principio del sec. XII l'aperta rivolta al dominio bizantino, iniziatasi nel 1009 a Trani, Bitetto, Bitonto, allargatasi l'anno seguente in tutta la regione fino al 1012, quando Bari fu ripresa; poi riaccesasi più che mai aspra appena Melo, anima dell'insurrezione, poté assoldare le prime squadre normanne (1016-1017). Le città ribelli riportarono parziali successi ad Arenola presso il Fortore, a Civitate, a Vaccarizza sulla via Ecana-Siponto e sulla linea Canosa-Trani. Poi, battute, dovettero tornare all'obbedienza degli ufficiali bizantini. Fedeli a Bisanzio si mantennero invece Acerenza, Siponto, Troia e altre città pugliesi. Poi Bari, per difendere la sua autonomia da Bisanzio, si avvicinò ancora agli avventurieri normanni; e insieme sconfissero, in un duro scontro sull'Olivento, nel quale il vescovo troiano Angelo e quello acherontino Stefano perirono sul campo di battaglia (4 maggio), le milizie bizantine e quelle alleate di Acerenza, Siponto, ecc. Ma si affermò allora, con la cooperazione dei Baresi, il dominio normanno a Matera, a Giovinazzo, a Trani, a Troia. Decisiva fu la vittoria di Civitate per tutta la Puglia. Le città o ricevettero conti normanni o strinsero patti col Guiscardo o lo acclamarono signore. Vi furono resistenza e insurrezioni, come quelle di Trani e Bari, sostenute allora più o meno copertamente da Venezia, ostile all'affermarsi del dominio normanno nell'Adriatico. Ma Trani fu rioccupata con la forza; Bari fu ricuperata (1054-1065) con la promessa di libertà interna, poi, ribellatasi nuovamente (1068), assediata e ancora espugnata (1071). Tutte le città pugliesi ebbero allora conferma dei loro privilegi antichi che garantivano una certa autonomia amministrativa e giudiziaria. Politica abile, mirante a tenersi amiche le città in un momento in cui i nuovi dominatori lavoravano ad affermarsi nel Mezzogiorno. Ma dopo l'impresa di Sicilia (1128), Ruggiero, riconosciuto duca di Puglia dal papa, profittò delle discordie cittadine e delle lotte tra papa e città, per occupare Taranto, Otranto, Castro, Oria e poi Trani e Troia e altri minori centri. Proclamato supremo signore di Puglia nella curia generale di Melfi (1129), anche Bari dové riconoscerlo quale suo signore e giurare il patto di concordia (1132). Entrando nell'orbita della monarchia normanna, le città di Puglia perdevano, proprio mentre quelle dell'Italia settentrionale crescevano rigogliose, qualcosa del loro essere politico, ed entravano in quella lenta agonia che doveva durare fino alla morte dell'ultimo Hohenstaufen. Esse dovettero acconciarsi a vivere sotto Ruggiero II e rinunziare a parte delle loro libertà, incompatibili con le mire dello stato unitario accentratore. Tentarono alcune di esse, quando Lotario di Suplimburgo e Innocenzo II scesero a Bari (1137) e assegnarono il ducato di Puglia al ribelle Rainolfo, di scuotere il giogo. Trani e Bari unirono allora le loro navi e sbaragliarono la flotta di Ruggiero, validamente aiutando Lotario nella conquista di Monopoli e di altri punti della Puglia meridionale. E anche dopo partito l'imperatore, continuarono, insieme con la flotta pisana, la resistenza. Ma poi, abbandonate a sé stesse, dovettero tornare all'obbedienza di Ruggiero II; ultima fra tutte Bari, presa dopo due mesi di assedio, con promessa di essere mantenuta nel demanio regio e confermata nelle proprie libertà. Promessa non mantenuta: onde, morto quel re, ripresero sotto Guglielmo I i tentativi per l'acquisto delle libertà, duce il conte Roberto di Loretello, signore di feudi in Abruzzo e Capitanata, padrone della contea di Conversano fino a Terlizzi e a Molfetta, aiutato dall'imperatore bizantino aspirante a rivendicazioni territoriali. Ma Guglielmo I ebbe facile vittoria su quell'insurrezione indisciplinata. Conclusa la pace con Costantinopoli, Bari fu esemplarmente punita e in parte distrutta. Con Guglielmo II s'iniziò un periodo di prosperità. Ripresero i commerci, soprattutto con gli scali dell'Oriente, dov'erano apparsi fin dal sec. X i mercanti baresi in concorrenza con quelli di Amalfi, Venezia e d'altre città italiane, trasportando merci e crociati, specialmente dacché gli ordini religiosi-cavallereschi degli Ospitalieri, dei Templari, dei Teutonici ebbero posto piede in Puglia. In Oriente, Tranesi, Baresi e Brindisini ebbero presto privilegi e franchigie commerciali alla pari dei Veneziani. Scambî attivi, poi, v'erano tra Amalfi e Venezia, e le città pugliesi. I Veneziani, che nel 1122 si erano impegnati a tutelare persone e beni dei Baresi, conclusero un trattato di commercio con Ruggiero II nel 1139, e un altro di alleanza politica per 20 anni con Guglielmo II nel 1175, che garantiva ai Veneziani in Puglia reciprocità di trattamento coi Pugliesi trafficanti in terra veneziana, sicurezza e libertà di commercio, e riduzione di diritti fiscali. Nei porti pugliesi, al tempo della battaglia di Legnano, navi veneziane si vettovagliavano di sale, grani, olio, vini, ecc. Stretti erano i rapporti con le città marinare della sponda adriatica orientale. E nei secoli XII e XIII si hanno anche trattati di concittadinanza. Documenti del codice diplomatico barese e altre fonti ci mostrano già costituiti in questa città ordini di negotiatores, cambiatores, nauclerii, mercatores chiamati magistri. Particolarmente attivi, gli appartenenti all'associazione di S. Nicola di Bari, i discendenti cioè di quei settanta marinai di Bari, Trani, Monopoli, Polignano, che nel maggio 1087 portatisi su tre navi da Antiochia di Licia a Mira "detulerunt corpus S. Nicolai de Mira Barum".
Da parte sua, il re cercò di frenare l'intemperanza di fiscali, ufficiali e feudatarî; visitò la Puglia con l'intento di provvedere ai suoi bisogni; concesse qualche sgravio tributario; riconobbe le "bonae et adprobatae consuetudines" delle università, cioè temperate libertà municipali fatte di franchigie e di privilegi; sostenne la politica dell'arcivescovo di Bari, che, contro le pretese del suo collega di Cattaro, aveva attratto nell'annuale visita a Bari vescovo e chierici dell'altra sponda adriatica.
Nella gara di preminenza fra Tancredi ed Enrico (1195) e durante la minorità di Federico II, le città si divisero. Poi, si barcamenarono fra papa Innocenzo III, Ottone IV e Federico di Svevia, aspiranti alla corona. Alla diversità di vedute in fatto di politica generale, si aggiunsero gli odî tra città pugliesi: prima tra Foggia e Troia, e poi fra Bari, Trani, Barletta, Terlizzi. L'età di Federico II è tra le più memorande per la storia civile e artistica, per la vita economica della Puglia. Alla pari delle altre provincie del regno, essa si giovò della relativa tranquillità interna, dell'ordine amministrativo ferreamente mantenuto, della pace con l'estero, della ripresa e dell'allargamento dei rapporti commerciali, del prestigio mediterraneo del regno. Alla corte di Federico fiorirono i maestri della scuola di Foggia, i più celebrati del tempo; sorsero chiese, cattedrali, come quella di Bitonto, castelli e fabbriche monumentali, come Castel del Monte, ad attestare il mecenatismo dell'imperatore artista e letterato, il fiorire delle arti belle, la prosperità del regno. Tranquilli furono i rapporti tra il re e le città dal 1215 al 1225; protetti i vescovi e dignitarî ecclesiastici; curate le popolazioni; mantenute in vita le università, cui si richiese anzi (1231) di inviare ciascuna due dei migliori cittadini "pro utilitate regni et commodo generali". Fu represso tuttavia severamente ogni tentativo cittadino per riacquistare l'indipendenza. Le ultime effimere ribellioni avanti e dopo il 1230, ben vedute dai papi come diversivo nella lotta contro l'impero, ebbero l'unico risultato di far perdere alle università da Termoli a Brindisi ogni parvenza di libertà antica, di far abbattere le torri cittadine, di impoverirle a segno che furono costrette a invocare dalla clemenza imperiale la riduzione delle collette generali annue. In cambio, il re perseguì una politica commerciale dalle larghe vedute, istituì le fiere di Lucera (24 giugno-i luglio), di Bari (22 luglio-10 agosto), di Taranto (24 agosto-8 settembre), di Venosa e di Altamura (la città da lui fondata). Trani e Bari furono centri di attrazione nell'Italia meridionale. Seguendo la tradizionale politica di pace e di amicizia, confermò (marzo 1232) al doge veneziano Giacomo Tiepolo libera pratica dei mercanti veneti nel regno e concesse facilitazioni doganali e fiscali. Anche ai Genovesi accordò logge a Siponto, Trani e Barletta. Eguale politica di accordi e di pace tenne Manfredi: confermò a Venezia (settembre 1257) il diploma del 1232 e stipulò un trattato con Genova; divenuto re, rinnovò (1259-60) varî trattati di amicizia e di commercio, accordò lo stabilimento del consolato veneto in Puglia. Sotto di lui, Barletta divenne mercato internazionale dell'Adriatico.
Durante la crisi del passaggio del regno dagli Svevi agli Angioini, le città pugliesi ripresero il loro antico parteggiare, ma presto si sottomisero al nuovo signore e rimasero quasi costantemente tranquille fino alla guerra tra Sforzeschi e Bracceschi. Nonostante le cresciute gravezze generali, la Puglia, sotto Carlo I e II, vide ricostruiti i suoi porti, da Manfredonia a Brindisi, e mantenersi i suoi commerci di esportazione dei prodotti locali con Venezia, Genova, Pisa, e la Catalogna. Tuttavia l'importanza politica della Puglia diminuì in conseguenza dello spostamento della capitale e del centro del regno dalle coste adriatiche a quelle del Tirreno. Con gli Angioini, vennero numerosi e ottennero privilegi Fiorentini, Genovesi, ecc., che, aiutati da potenti case bancarie e largamente prestando alla corona, riuscirono quasi a monopolizzare le tratte del grano, ad assicurarsi il mercato dell'olio e della lana di Puglia. Ma con Carlo II fu ripresa la politica di accordi coi Veneziani, e fu stipulato, in seguito alla guerra di Ferrara, anche un trattato di commercio (1316-17). I rapporti divennero più intimi e cordiali sotto Roberto e Giovanna I, specie dopo il fallimento dei Bardi e dei Peruzzi, che ebbe vasta ripercussione anche in Puglia, tanto che i Veneziani sperarono che i privilegi commerciali loro concessi - tra cui quelli del 1347 con l'università e le dogane di Trani, Bisceglie, Molfetta, Giovinazzo, Bari, Monopoli - potessero divenire un primo passo per la conquista di alcuni centri pugliesi. Ma la reazione dell'elemento indigeno, già manifestatasi a Trani e altrove, avanti e durante il regno di Roberto, contro colonie e mercanti veneziani, capitani di mare genovesi, catalani e fiorentini, che pirateggiavano lungo le coste pugliesi, divenne generale alla morte di Giovanna I e finì per scoppiare in una vera ribellione.
Nel disordine allora seguito per le lotte fra membri della reale famiglia, le città ripresero il sopravvento; soprattutto Otranto, signoreggiata da Riccardo Hugoth, Trani dal conte Alberico da Barbiano gran contestabile del regno, Taranto dai principi del Balzo. Sotto Giovanna II, nuovi privilegi ai Veneziani e svolgimento dell'antica autorità consolare in Puglia portano in primo piano l'attività mercantile veneziana. Si sviluppa una politica di accordi diretti: come quelli fra il principe di Taranto e Venezia, e fra Venezia e Trani, di cui fu anima Pietro Pelagano, capo dell'università tranese, ricco mercante di Puglia e politico influente. Danneggiata durante la guerra tra Sforzeschi e Bracceschi, alla morte di Giovanna II (1435), la Puglia patì le conseguenze della lotta tra Aragonesi e Angioini disputantisi il regno. Divisa e discorde, fu in balia dei Caldora, già capitani di ventura sotto Attendolo Sforza duchi di Bari e padroni di Bitonto, che tentarono di strappare alla monarchia parte della Basilicata, mentre Venezia cercava di profittare del disordine per accrescere la sua posizione privilegiata in Puglia. Tornata la pace con la vittoria di Alfonso di Aragona, non diminuirono i gravi tributi e le collette ordinarie e straordinarie, neppure quando al parlamento generale di Napoli (10 settembre 1456) le città pugliesi, giurata fedeltà al re, impetrarono sgravî e promesse di rimanere nel regio demanio. Ciò nonostante, esse furono il migliore appoggio della monarchia contro i potentissimi baroni, ostili o indocili. Nella lotta apertasi per la successione al trono dopo la morte di Alfonso di Aragona (24 giugno 1458), uno di essi, il principe di Taranto e di Altamura, Giovanni Antonio del Balzo Orsini, padrone di mezza Puglia, sostenuto nella sua ambizione da Venezia cui prometteva di lasciare mano libera in Puglia, tenne in scacco re Ferdinando, conquistò con l'aiuto di fuorusciti Trani, s'impadronì di Ruvo, Bitonto, Troia, Molfetta, di Manfredonia e delle terre del Gargano, taglieggiò e saccheggiò Terra di Bari e il Leccese e tenne fortemente testa al re, sostenendo le parti di Renato e di Giovanni d'Angiò, finché Ferrante, aiutato dalle milizie pontificie, del duca di Milano e di Scanderbeg, rialzò le sue sorti ad Andria, Minervino e Trani e poté imporre la pace (21 settembre 1462). Molte città, già parteggianti per il principe di Taranto, furono ricevute in regio demanio; ma ciò non impedì che il re, per bisogno di denaro e per contentare i suoi partigiani, concedesse a forestieri benefici ecclesiastici e vantaggi commerciali (tra essi ai Veneziani, 1463), e infeudasse a baroni terre feudali che aveva giurato di mantenere per sé, fra cui il ducato di Bari concesso nel 1464 a Sforza Maria Sforza, figlio di Francesco Sforza duca di Milano, e poi a Ludovico il Moro. Grande sbigottimento causarono le scorrerie dei Turchi sulle coste pugliesi, negli anni 1479-80, e la conquista di Otranto. Alla guerra contro il Turco, capitanata da Alfonso figlio di Ferrante, le città pugliesi parteciparono con entusiasmo con milizie, con schiere di guastatori e carriaggi; l'università di Bitonto si mise in stato di guerra, impegnò l'argenteria della cattedrale per pagare la nuova imposta regia e un donativo. Si aggiunsero ostilità da parte di Venezia, che occupò Trani, Monopoli, Carovigno, S. Vito, Gallipoli, ecc.: e solo dopo due anni di guerra (1482-84) vi fu onorevole pace.
Alla guerra esterna s'intrecciarono le contese interne fra le università e i baroni, ma soprattutto fra i baroni perennemente appoggiati dal papa, dagli Angioini e dalla monarchia. Parecchi baroni pugliesi parteciparono alla generale insurrezione passata alla storia col nome di "congiura dei baroni"; ma furono disfatti e i loro beni devoluti al fisco e messi all'incanto.
Nella guerra per la venuta di Carlo VIII, città pugliesi furono date in pegno a Venezia, che aveva concesso 200.000 ducati in prestito a Ferrante II. Ma quell'alleanza costò cara alla Puglia: Trani, Brindisi, Otranto, Gallipoli caddero in potere dei Veneziani; galere veneziane, comandate da Antonio Grimani, saccheggiarono Monopoli, Polignano e Mola, ecc. Nel 1499, le città si levarono in armi: Venezia, riassoggettatele, fu clemente mirando ad affezionarsi i nuovi sudditi. Così promosse a Trani la totale ricostruzione del porto e la fabbrica dell'arsenale, a Monopoli la compilazione del "libro rosso" in cui si raccolsero i documenti e privilegi più importanti. Nell'accordo tra Luigi XII e Ferdinando il Cattolico, toccò a quest'ultimo la Puglia con metà dell'entrata della dogana delle pecore, mentre l'altra metà spettava a Luigi. Ma sostenendo i Francesi, padroni dell'Abruzzo, che toccasse loro anche la Capitanata che l'Ofanto divideva dalla Terra di Bari, scoppiò una nuova guerra, combattuta in Puglia; e a Barletta (v.) e Cerignola Italiani combatterono valorosamente contro truppe di Luigi XII; più tardi l'esercito di Lautrec vendicava l'onore francese col sacco di Barletta e Molfetta (1529). Nella pace generale (agosto 1529), Barletta fu sgombrata dai Francesi; Trani, Molfetta, Putignano, Monopoli, Brindisi dai Veneziani. Cominciò il dominio spagnolo; che, nonostante certa disciplina, instaurata negli ordinamenti civili, soprattutto nell'amministrazione della giustizia, non giovò. Grave la pressione fiscale; vietate le esportazioni di grano o concesse a capriccio; il commercio impedito da ordini e prammatiche numerose; guastati o colmati alcuni approdi pugliesi, per impedire che divenissero rifugio di Turchi e di Barbareschi. Veneziani, Genovesi, Fiorentini, Lombardi vennero a volta a volta accarezzati o combattuti. L'odio contro i Veneziani, che tenevano il primato nel commercio, giunse a tanto, che nel 1617 il viceré di Napoli, duca di Ossuna, regalò agli Uscocchi 10 navi perché li combattessero. Si aggiungano, in connessione più o meno col mal governo, le pesti e le carestie, e le frequenti incursioni dei Turchi che avevano fatto di Durazzo il centro delle loro operazioni. Così le città pugliesi decaddero e perdettero molto della loro importanza nella vita provinciale e regionale. Molte università stremate dai tributi, furono vicine al fallimento. Trascurati i porti, deficientissime le strade, scarso il numerario: crisi di sovrapproduzione alternantisi a crisi di carestia. La pastorizia, diffusissima nel Tavoliere, vagante come quella dei Tatari. Latifondismo, malaria, avidità di pochi sfrenati speculatori, miseria e ignoranza delle moltitudini, disordine giudiziario e amministrativo, tirannia feudale gravavano sulle popolazioni. Di qui, vampate di indignazione popolare, come al tempo di Masaniello; scoppî d'ira per gravezze tributarie; turbolenze in annate di carestia o durante i mutamenti politici del sec. XVIII.
Al gran moto di civile rinnovamento del regno, nel sec. XVIII, le Puglie diedero numerosi ed egregi rappresentanti: il marchese Giuseppe Palmieri, "il Colbert del reame di Napoli", ministro delle Finanze e scrittore di cose militari ed economiche; il Davanzati, amico di giansenisti, iniziatore del rinnovamento agrario, promotore di studî storici ed archeologici; Domenico Antonio Tupputi, nobile di Andria; e molti altri ecclesiastici o laici, discepoli del Genovesi o imbevuti del suo insegnamento. Pugliesi furono i più illustri rappresentanti della corrente antivaticana del regno di Napoli: Celestino Galiani, di Foggia; Niccolò Fragianni, di Barletta, oppositore del S. Uffizio; Carlo De Marco, che per oltre 30 anni diresse il dicastero delle cose ecclesiastiche; un pugliese, Raimondo di Sangro, signore di feudi nel Foggiano, riorganizzò la massoneria nel Mezzogiorno (verso il 1750). Centri di cultura e di rinnovamento furono le scuole di religiosi, i seminarî, le scuole di provincia (Altamura "l'appula Atene", Castro nel Salento, ecc.), i cenacoli di uomini dotti: e per opera loro la monarchia fu spinta a riforme: come la partizione di terre degli ex-gesuiti, la censuazione di "riposi" del Tavoliere, la rivendicazione delle terre usurpate, l'ammissione del terzo ceto al governo cittadino; e poi scuole, strade, ecc. Larga partecipazione dettero i Pugliesi alla preparazione giacobina di Napoli: e pugliese fu una delle prime vittime dei tentativi di insurrezione democratica, Emmanuele de Deo, l'"eroe" di Minervino Murge (1794). Ma, durante la reazione, la Puglia intera subì l'occupazione militare del cardinale Ruffo, delle orde raccogliticce del "capomassa" Soria, di soldati russi e turchi, di micheletti e miliziotti albanesi, di francesi, cisalpini, elvetici. Le riforme del decennio francese si concretarono in abolizione della feudalità, riordinamento del possesso fondiario, ripartizione delle terre pubbliche, riforma giudiziaria, parziale abolizione dei conventi, fondazione di società agricole e camere di commercio, lotta senza quartiere contro il brigantaggio, catasto, riforma municipale; molte delle quali riforme furono mantenute anche dopo. Nuovi tormenti si ebbero con la seconda restaurazione borbonica del 1815; occupazione militare di truppe tedesche, crisi finanziaria, triennale carestia, recrudescenza di brigantaggio (famosi l'Annicchiarico e i fratelli Vardarelli scorrazzanti in varie provincie), epidemie, il Tavoliere tornato incolto per legge (13 gennaio 1817), i censuarî riguardati quali devastatori. Si ebbero sette e congiurati: massoni, carbonari, greci solitarî, patrioti, filadelfi, decisi. Ma più autorevole e disciplinata fu la carboneria, formata da massoni, da patrioti della repubblica napoletana, da ardenti giovani liberali: i "Liberi Messapî" in Terra d'Otranto; gli "Spartani della Peucetia", in Terra di Bari; i "Liberi Daunî" della Capitanata, e altri con nomi attinti alla latinità o alla grecità, dal Fortore alla punta di Leuca. Alla vigilia del moto insurrezionale, la carboneria si era diffusa in almeno una ventina di paesi. Gli affiliati appartenevano a ogni ordine di cittadini: proprietarî, militari e funzionarî, licenziati dalla restaurazione, autorità decurionali. L'insurrezione scoppiata a Foggia il 3 luglio 1820, sostenuta dal colonnello Russo comandante del reggimento di cavalleria Re e dal tenente Raimondi capo della gendarmeria, si diffuse nei paesi del Gargano, dove si gridò la costituzione. E così, a Lucera, a Cerignola, ecc. Anche in Terra di Bari, i capi della carboneria, adunatisi a Bisceglie nello storico palazzo Tupputi, proclamarono il nuovo governo. Allora il moto dilagò in tutta la Puglia tra feste, luminarie e inni. Vi furono riduzione della gabella del sale e provvedimenti dettati dalla concezione patriarcale religiosa e quasi domestica che si aveva della politica. I rappresentanti politici della Puglia al parlamento costituzionale si fecero onore e si dimostrarono sinceri e ardenti patrioti e idealisti.
Dal '21 al '48 uomini illustri per virtù civili, dottrina e patriottismo collegarono il moto liberale pugliese con quello italiano: si diffuse in Puglia la "Giovine Italia" di Mazzini e di Musolino. Al sopraggiungere della costituzione, scoppî di entusiasmo e discorsi; ma ben presto si rivelarono i malintesi: l'artigiano riteneva che la costituzione assicurasse la quotidiana mercede; il proletariato agrario la fine della crisi; il ceto abbiente non intendeva pagare le imposte; si ebbero moti per ripartire il demanio e beni di ecclesiastici e di privati; venature di comunismo, come in Basilicata, Calabria e Cilento, e in gran parte di Europa. Caduta nel maggio la costituzione, ripresero attività le sette guidate da liberali convinti e da apostoli della redenzione patria: come Francesco Raffaele Curzio di Turi, che cercava di attirare al moto nazionale le classi operaie e anima della rivolta, e Giulio Cesare Luciani, combattente e decorato nelle guerre in Lombardia e nel Tirolo, ambedue rivoluzionarî nei principî e nell'azione, unitarî e antiborbonici. Ma anche a Bari, a Foggia, nel Salento, come in Basilicata, si manifestò presto il dissidio fra ultra-liberali e moderati, fra proprietarî preoccupati di difendere essi soli l'ordine e tutelare la proprietà, e contadini aspiranti alla ripartizione delle terre. La reazione portò all'ergastolo, alla rovina, all'esilio molti patrioti. Dal '50 in poi il "Partito nazionale di azione" stese le fila in tutta la regione. Pugliesi, quali Libertini, Mignogna, Salomone, Fanelli, ecc., parteciparono al moto di Pisacane; moltissimi gl'iscritti alla setta dell'"Unità italiana" e alla setta "Carbonico militare". I patrioti pugliesi - tra i quali Giacomo Lacajta di Manduria, familiare di Gladstone e del ministro degli Esteri inglese John Russell che sventò i maneggi del Borbone per impedire a Garibaldi il passaggio dello Stretto, e Giuseppe Fanelli, detto da Nino Bixio "l'eroe di Calatafimi" e molti altri - cooperarono coraggiosamente e decisamente alla spedizione garibaldina e all'insurrezione nelle provincie. Il plebiscito dette, nelle Puglie, 275.836 si, contro 1988 no.
Ma la plebe disillusa per la mancata ripartizione delle terre demaniali, promessa dal ministro Liborio Romano e confermata con un decreto luogotenenziale, eruppe poco dopo in un moto di protesta politica e agraria. Peggio fu quando vennero congedate in massa le truppe borboniche, e i giovani coscritti insorsero contro la leva. Il moto si manifestò nella regione garganica e a Foggia, e divampò in tutta la Puglia, con invasioni di terre, assalti a caserme di carabinieri e di guardie di P. S., con Te Deum a Francesco II. Sventata la resistenza in città, i più facironosi si dettero alla campagna e vissero di ricatti e di rapine. Così, mentre la parte nobile del paese entrava a far parte del regno d'Italia con programma di rinnovamento civile e politico, il più funesto brigantaggio imperversante alimentava la reazione politica, terrorizzava le popolazioni e teneva in scacco per anni i pubblici poteri. La ristabilita autorità dello stato, il rigore della giustizia misero finalmente termine a quel disordine.
Ma gli scontenti e le masse agrarie operaie furono avvinte dalla predicazione di umanitarismo e di equalitarismo sociale del foggiano Riccardi e del patriota Francesco Raffaele Curzio, imbevuti di dottrine oweniane, sansimoniste e mazziniane, e di Giuseppe Fanelli, di Martina Franca, passato dalle sette e dalle battaglie del Risorgimento all'organizzazione repubblicana e socialista; del marchese Cafiero di Barletta, mente e anima dell'Internazionale italiana, imbevuto di dottrine anarchiche bakuniste; di Emilio Covelli, di Trani, e di molti altri, capeggiatori di falangi di affamati. Il fallimento del loro programma di rigenerazione sociale determinò in Puglia la corrente "radicale operaia", a cui si dovettero in molti comuni contadini comitati operai, fasci agrarî, circoli educativi, cooperative, banche operaie intitolate agli eroi del Risorgimento e agli agitatori indigeni. E ne ebbe alimento il pugnace giornalismo pugliese, fra 1880 e il 1910 palestra dei migliori ingegni, anche di quelli che, cresciuti negli anni, batterono altra strada.
Il problema più grave della Puglia era la situazione economica della piccola borghesia terriera e del proletariato. La storia della Puglia nell'ultimo mezzo secolo avanti la guerra mondiale è essenzialmente storia agraria. La conquista della terra, annunziatasi con promettenti risultati dagli ultimi del sec. XVIII, progredita nel cosiddetto decennio francese e poi dal '30 al '50, si allargò soprattutto dopo la legge 21 febbraio 1865, che, abolendo il regime del Tavoliere, trasformando in enfiteuti gli antichi "locati" del Tavoliere stesso e autorizzandoli all'affrancamento dei canoni, mise fine al regime della pastorizia vagante e segnò una tappa importantissima nella trasformazione rurale non della Puglia soltanto, ma delle zone limitrofe la cui economia era legata alla transumanza in quella regione.
La spinta data dall'unità all'economia pugliese operò anche con l'intensificazione del movimento colonizzatore. Alle plaghe di antica colonizzazione, poste nel Gargano settentrionale, nei dintorni di Bari, nella parte orientale dei circondarî di Lecce e di Gallipoli, ecc., alla trasformazione degli antichi "riposi" su cui sorsero Stornata, Stornarella, Ordona, ecc., volute da Ferdinando IV Borbone, tenne dietro la colonizzazione del Tavoliere, del circondario di Barletta e di Altamura, del Brindisino, del Tarantino. Ma in Puglia, come in altre regioni del Mezzogiorno, pur quando erano cessate o si erano attenuate le cause determinatrici dello spopolamento dei campi - mancanza di sicurezza, malaria, difetto di strade, regime giuridico del Tavoliere - la popolazione rifuggì gli stanziamenti in aperta campagna e preferì le consuete mura cittadine. I già grossi borghi rurali s'ingrossarono ancor più: Andria Corato, Bisceglie, Bitonto, Altamura, ebbero popolazioni da città, non da semplici centri rurali. Si ebbe allora una grande fame di terra: innanzi tutto, nella borghesia, liberata dopo il'60 dai vincoli che ne avevano fin allora impedito lo sviluppo. Con la vendita, tumultuariamente eseguita, dei beni dell'asse ecclesiastico, con la rivendita di quote demaniali da parte di contadini nullatenenti e bisognosi, con l'usurpazione di terre e di tratturi comunali, si accrebbe assai la classe dei medî e piccoli proprietarî. Il movimento per la trasformazione delle colture cominciò dopo questo primo periodo, e più sollecitamente dove la popolazione era più densa e più pronte erano le braccia per l'impianto e la coltivazione di vigne e del frutteto, cioè in provincia di Bari. Vi contribuirono potentemente due condizioni favorevoli, poste dall'effettuata unità della penisola: l'allargamento del mercato da cittadino o provinciale a nazionale e i mezzi di comunicazione più facili e meno costosi. E anche a causa degli accordi commerciali con le nazioni limitrofe e con la Germania, e della distruzione della viticoltura francese determinata dalla fillossera, si videro salire i vigneti da poche migliaia a ben 320.000 ettari (Cerignola vantava nel 1904 le più grandi cantine di Europa); si diffusero le altre colture arboree nel Barese e nel Leccese; si introdusse, dove non c'era malaria, la grande azienda granifera con meno irrazionali sistemi di coltivazione e, dove la malaria c'era, si piantarono e si migliorarono gli olivi, come lungo la zona orientale del Leccese. Danni portarono alle Puglie la lotta tariffaria del 1886 con la Francia e la crisi di sovraproduzione del 1904; ma il popolo pugliese ha progredito sempre con tenacia, con intelligenza, con sorprendente duttilità, trasformando da un capo all'altro la Puglia, adattando al terreno le iniziative, creando di proprio impulso o con il concorso dello stato consorzî antifillosserici, colonie agricole, scuole di agricoltura e una scuola speciale di olivicoltura e di oleificio, consorzî agrarî cooperativi per acquisti di macchine o concimi, istituti di credito agrario, un istituto di ovicoltura, ecc. Anche l'Ente autonomo dell'acquedotto pugliese ha intrapreso ricerche ed esperimenti per l'irrigazione in Puglia e messo su basi concrete e sicure lo studio delle acque e delle trasformazioni agrarie. Negli ultimi anni procede rapidamente l'opera di bonifica igienica e agraria; la Camera di commercio italo-orientale, e ora i consigli provinciali di economia, vengono estendendo all'estero una fitta rete di rapporti, uffici, aziende commerciali; le ferrovie salentine e quella garganica, completata dal governo fascista, integrano la rete ferroviaria pugliese. La cultura regionale è rappresentata da giornali, settimanali e riviste, da collezioni di documenti storici e di monografie storiche, da qualche eccellente casa editrice. A Bari, che già vantava una scuola superiore di commercio, è sorta dal 1914 un'università degli studî che richiama studenti anche da paesi dell'altra sponda dell'Adriatico; mentre le scuole popolari si sono straordinariamente accresciute, e l'Ente pugliese di cultura dal 1923 opera nel campo dell'analfabetismo rurale. Insomma, progresso rapido e ben visibile in tutti i settori, che viene ponendo la Puglia fra le regioni più promettenti della penisola. Gli antichi grossi borghi rurali, negli anni del dopoguerra e del fascismo hanno mutato e vanno mutando faccia e acquistano abitudini e forme di vita cittadina. Foggia, già flagellata fino alle porte dalla malaria e bruciata dal sole nel piano della Capitanata, è adorna di una piacevole villa, di viali, di costruzioni moderne. Lecce, Taranto e Bari si sono fatte belle città: Bari, che dal '70 in poi ha visto quintuplicare la sua popolazione, ed è centro di studî superiori, ha una fiera annuale ormai accreditatissima, la seconda d'Italia dopo Milano, e si atteggia a metropoli non della Puglia soltanto ma di gran parte del Mezzogiorno. Opere grandiose che interessano tutta la regione sono il nuovo porto di Bari, ora in costruzione, che farà di quella città il centro commerciale più importante del basso Adriatico, specialmente nei rapporti con l'Oriente; e, più ancora, l'acquedotto pugliese (v. acquedotto, I, p. 407 segg.) dalle proporzioni colossali, che, dissetando 260 comuni di 8 provincie di Puglia, Lucania e Irpinia con due milioni e mezzo di abitanti, pone fine alla tradizione secolare di una Puglia sitibonda e segna l'inizio di un'epoca nuova nella storia della regione.
Bibl.: Tra le bibliografie della Puglia, L. Volpicella, Bibliografia storica della provincia di Terra di Bari, 1884-87. Per la penisola salentna: S. Martin Briggs, Nel tallone d'Italia, trad ital. di O. Santangelo, Lecce 1913, pp. 409-421. Utile pure la Bibliografia di paesi vari di M. Vocino, in Rassegna pugliese di scienze lettere e arti, XXVIII, (1913), pp. 445-451. Più ampio, meglio informato e aggiornato è il Catalogo bibliografico delle opere degli scrittori salentini, a cura di P. Marti, Lecce 1929.
Notizie più o meno particolareggiate della Puglia si trovano nelle storie generali del regno di Napoli; nelle monografie sui Bizantini, Longobardi, Saraceni e Normanni tra cui: F. Chalandon, Histoire de la domination normande en Italie et en Sicile, Parigi 1907, vol. 2; J. Gay, L'Italia meridionale e l'impero bizantino dall'avvento di Basilio I alla resa di Bari, 867-1071, trad. ital., Firenze 1916; id., I papi del sec. XI e la cristianità, trad. ital. di A. Viggiani, ivi 1928; e nelle descrizioni della penisola italiana o del regno di Napoli, tra le quali ricordiamo: L. Alberti, Descrittione di tutta Italia, Bologna 1550; e success. edizioni; Galateo (Antonio De Ferrariis), De situ Japygiae, Lecce 1511; S. Mazzella, Descrittione del regno di Napoli, Napoli 1601; Sofia, Il regno di Napoli diviso in dodici province, ivi 1615; E. Bacco, Il regno di Napoli, ivi 1629; O. Beltrano e altri autori, Descrittione del regno di Napoli diviso in dodici provincie, ivi 1671; G. B. Pacichelli, Il regno di Napoli in prospettiva, ivi 1753; Cimaglia, Daunia Apuliaeque veteris Geographia, in appendice al volume Antiquitates Venusinae, ivi 1757; M. Perrino, Viaggio per alcuni luoghi di Puglia, ivi 1787; De Salis Marschlins, Nel regno di Napoli. Viaggio attraverso varie provincie nel 1789, trad. ital., Trani 1906; G. M. Galanti, Descrizione geografica e politica e storica delle Due Sicilie, Napoli 1788; id., La Terra di Bari nell'ultimo quarto del sec. XVIII, in Rassegna pugliese, XI (1894), fasc. 9-10; id., La feudalità nel regno di Napoli, Terra d'Otranto, in Monti, Due grandi riformatori del settecento, p. 179 segg.; A. Longano, Viaggio per lo contado del Molise e per la Capitanata, Napoli 1790; L. Giustiniani, La biblioteca storica e topogr. del regno di Napoli, ivi 1793; id., Diz. geografico ragionato del regno di Napoli, ivi, voll. 3, 1797; voll. 7, 1802-05; voll. 3, 1816; M. Manicone, Fisica appula, ivi 1806; D. Romanelli, Antica topografia istorica del regno di Napoli, ivi 1815-1819; Ceva Grimaldi, Itinerario da Napoli a Lecce, ivi 1821; Alfano, Storica descrizione del regno di Napoli, ivi 1823; M. Fraccacreta, Teatro topografico storico politico della Capitanata e degli altri luoghi più memorabili e limitrofi della Puglia, ivi 1828-1834, voll. 5; G. Del Re, Descrizione topografica fisica economica politica dei reali Domini di qua dal Faro nel regno delle Due Sicilie con cenni storici fin dai tempi avanti il dominio dei Romani, ivi 1830-1836, voll. 3; G. Marciano, Descrizione, origine e successi della provincia di Otranto, Napoli 1855; G. De Leonardis, Descrizione del Gargano, ivi 1858; C. De Cesare, Delle condizioni economiche e morali delle clsasi agricole nelle tre provincie di Puglia, ivi 1859; M. Arditi, Corografia fisica e storica della provincia di Terra d'Otranto, Lecce 1879-1885; F. Gregorovius, Nelle Puglie, traduzione italiana di R. Mariano, Firenze 1882; F. Lenormant, À travers l'Apulie et la Lucanie, notes de voyage, Parigi 1883; A. Lucarelli, Saggio sulla geografia storica della Iapigia, Trani 1903; La Terra di Bari, a cura del Consiglio provinciale per la esposizione di Parigi del 1900, Trani 1900; R. Caggese, Foggia e la Capitanata, Bergamo 1910; T. Pensa e altri, La Capitanata, Cerignola 1915; M. Vocino, Lo sperone d'Italia. Si veda anche la "guida" del Touring Club Italiano: Italia merid., I, Milano 1926.
Dati bibliografici e memorie storiche sono sparsi nelle riviste pugliesi, fra cui: la Rassegna pugliese di scienze, elttere e arti, Trani 1884-1913, voll. 28 (archeologia, storia, arte, letteratura, problemi politici contemporanei, culturali e morali, filosofia, diritto, agricoltura, ecc.); Rivista storica salentina, 1903-1923, voll. 13; Archivio storico pugliese, Bari 1894-96; Apulia, Martina Franca 1910-1914, voll. 4; Japigia, Bari 1930 segg.; Rinascenza salentina, Lecce 1933 segg. Interessante è anche la Rivista di giurisprudenza, Trani 1878 segg.
Tra le fonti storiche, da ricordare anzitutto i 10 volumi di Documenti e Monografie per la storia di terra di Bari, editi dalla Commissione prov. di archeologia e storia patria, Bari 1900 segg., e il Codice diplomatico barese, a cura di varî, Trani 1897 segg.; la Raccolta di studi foggiani, pubblicata a cura del comune di Foggia, di cui fino al 1934 sono stati pubblicati 7 voll.; opere fondamentali per la storia di Puglia e della penisola. Molte altre fonti sono utilizzate nelle opere di F. Carabellese e di A. Lucarelli (v. sotto). Tra le monografie generali più importanti, cfr. F. Carabellese, La P. e il suo comune nell'alto M. E., Bari 1905; id., Il comune pugliese durante la monarchia normanno-sveva, ivi 1924; id., Carlo d'Angiò nei rapporti politici e commerciali con Venezia e l'Oriente, ivi 1911: id., Le relazioni commerciali tra la Puglia e la repubblica di Venezia dal secolo X al XV, ricerche e documenti, voll. 2, Trani 1897; id., La Puglia e la Terrasanta dalla fine del sec. XIII al 1310, Trani 1901; id., La Puglia nel sec. XV da fonti inedite, Bari 1901; id., Saggio di storia del commercio della Puglia e più particolarmente di Terra di Bari, Trani 1900; L. Pepe, Storia della successione sforzesca negli stati di P. e di Calabria, e documenti, Bari 1900; G. Beltrani, La fondazione della R. Udienza in prov. di Terra di Bari, Napoli 1897; id., Nelle provincie del Mezzogiorno; come deve ricostruirsi la loro vita nel 1799, Trani 1912; De Ninno, I martiri e i perseguitati in Terra di Bari nel 1799, Bari 1900; G. Beltrani, L'occupazione francese in P. nel 1801, in Rassegna pugliese, XXVIII, (1913), pp. 33 segg., 380 segg., 451 segg.; F. Carabellese, La Terra di Bari dal 1799 al 1806, ivi 1900; P. Palumbo, Risorgimento Salentino, Lecce 1911; G. Caso, La Carboneria di Capitanata dal 1816 al 1820, Napoli 1913; L. Sylos e De Ninno, Le vendite dei Carbonari della Terra di Bari, in Rassegna pugliese, XIII (1897); L. Sylos, Massoneria e Carboneria nel Barese nei primi decenni del sec. XIX, in Archvio pugliese del Risorgimento italiano, I, iv, Bari 1914; S. La Sorsa, La Carboneria in Terra di Bari, ivi 1920; Masella Campagna, La Carboneria pugliese nel 1820, in Archivio pugliese Risorgimento italiano, I, iv, ivi 1914; S. La Sorsa, Gli avvenimenti del 1848 in Terra di Bari; narrazione storico-critica, Milano 1911; De Cesare, la Puglia del 1848 al '60, in Rassegna pugliese, ivi VII, ii, Trani 1890; G. Beltrani, Il primo saluto della Terra di Bari a Vittorio Emanuele II, ibid., XXVI, i, (1911); M. Roppo, L'insurrezione nel Barese nel 1860, Bari 1911; G. Sabini, Per gli avvenimenti del 1860 nella prov. di Bari, in Rassegna pugliese, anno XXVI, 3, Trani 1911; S. La Sorsa, Un decennio di brigantaggio in Terra di Bari, Bari 1919; id., La Puglia e la guerra mondiale, con pref. di Sergio Panunzio, Roma 1928. Opere sintetiche sul risorgimento pugliese sono quelle ottime e magnificamente documentate di A. Lucarelli, La Puglia nel sec. XIX, Bari 1927; e La P. nel Risorgimento, I, Bari 1931, II, ivi 1934.
Sulla vita a Bari nei secoli più recenti, cfr. C. Massa, La vita a Bari nel sec. XVI; id., La vita a Bari nel sec. XVII; La Sorsa, La vita a Bari durante il sec. XIX dalla fine del sec. XVIII al 1860, Bari 1913. Sulla Capitanata e la sua vita agraria, cfr. Granata, Storia del Tavoliere di Puglia, in Economia rustica per lo regno di Napoli, Napoli 1820, II, p. 45 segg.; S. Cagnazzi de Luca, Saggio sulla popolazione del regno di Puglia, ivi 1839; L. Fraccacreta, Forme dell'economia in Capitanata, ivi 1923. Sull'economia generale di Puglia, vedi l'ampio ed acuto volume di G. Carano Donvito, L'economia meridionale prima e dopo il Risorgimento, Firenze 1928.
Sono da vedere inoltre: G. Rosati, Le industrie di Puglia, Foggia 1808; Collana di opere scelte edite e inedite di scrittori di Terra d'Otranto raccolte da Francescantonio de Giorgi, voll. 12, Lecce 1867-69; L. Maggiulli, Monografia numismatica della prov. di Terra d'Otranto, Lecce 1871; L. G. D. e S., Gli studi storici in Terra d'Otranto, in Archivio storico italiano, 1888; O. Bordiga, L'agricoltura e la economia agraria della prov. di Bari, estr. dal vol. III dell'opera La Terra di Bari, Trani 1900; Inchiesta parlamentare sulle condizioni dei contadini dell'Italia meridionale, Roma 1909-1910, III, Puglie; R. Pagenstecher, Apulien, Lipsia 1914; A. Haseloff, Die Bauten der Hohenstaufen in Ünteritalien, Lipsia 1920.
Per il ducato di Puglia, v. puglia, contea e ducato di; per il regno di Sicilia e Puglia, v. sicilia: Storia; sicilia e puglia, regno di.
Dialetti.
Nell'ordine vocalico, i dialetti pugliesi settentrionali e centrali si staccano da quelli meridionali (da Lecce al Capo di Leuca), perché questi ultimi hanno le condizioni siciliane, cioè é??? e î rispettivamente in i e u indipendentemente dalla vocale finale (p. es., a Lecce: chistu, chista; quiÿÿu, quiÿÿa), mentre gli altri dialetti hanno condizioni metafoniche napoletane, cioè hanno l'alterazione delle toniche é??? e î (ed é e ó???) subordinata alla finale -i e -u (chistu, ma chesta; quiÿÿu, ma queÿÿa). A esempio tipico di queste condizioni metafoniche, si può assumere il testo antico del Sydrac otrantino: é??? (pilo, capilli); î (surdo, fiuri); ê (cirvielli, vienti); ó??? (bueno, bueni). Sono, insomma, le condizioni napoletane (vedi campania: Dialetti), le quali nel corso del tempo hanno subito modificazioni. La metafonesi è fenomeno antico; i dialetti pugliesi ci autorizzano a dirlo anteriore agli sviluppi delle vocali ò e ú. La dimostrazione può essere data fondandosi sopra un dialetto attuale, nel quale i lat. ī e ū si siano alterati, per esempio quello di Andria, dove abbiamo per é???: pó???eso "peso", só???evə"sevo", come nó???eto "nido" (il che significa che é??? era già divenuto i sotto metafonesi quando i [da ī] divenne oe), e abbiamo per ó???: ne°tə"nodo", come kre°tə"crudo"; mentre fuori di metafonesi: saetə"seta", ska°pe "scopa", ece. Per ê e ó???, le condizioni sono le seguenti: pé???itə"piede", ma mmi′ru "vino" (meru); sîurə"suora"; ma nu°və"nuovo". A identica conclusione si giunge esaminando il vocalismo di altri dialetti, come quello di Bitonto, dove si ha: sòive "sevo", chiòine "pieno" (come pòile "pila", fòiche "fico"), ma ghiàive "gleba", nàive "neve"; così, si ha nìute "nodo" (come lìuce "luce", crìute "crudo"), ma scàupe "scopa", ecc.
Altrove la metafonesi appare limpida, cioè non complicata da sviluppi seriori. Basterà ricordare come le cose si presentano a Francavilla Fontana (acitu, ma tela, vena; sulu "solo", ma cota "coda"; niervu, ma èela "gela"; suenu, luecu, ma nora "nuora"). A Lecce, ue non preceduto da labiale giunge a e (senu "suono").
Altro fenomeno vocalico importante è il palatalizzamento di á, che appartiene in genere alle parlate settentrionali. Mentre ad Apicena, Foggia, Sansevero, ecc., l'á si palatalizza solo in sillaba libera e in voci parossitone, a Bovino, Cerignola, S. Agata, ecc., l'a si altera anche negl'infiniti in -a(re). Il suono dell'á palatalizzata non è identico nelle parlate e varia fra ä ed é. A Molfetta la palatalizzazione ha avuto luogo, quando l'a è preceduta o seguita immediatamente da consonanze nasali (p. es., chjanə, da planu) e insieme l'a ha assunto una leggiera tinta nasale. A Bitonto l'a volge a èu: frèute "frate(llo)", pèule "pala", ecc. Il pugliese settentrionale e centrale, come l'abruzzese, sino a una linea che va dal nord di Carovigno a Palagiano, lascia indebolire le vocali atone sino ad əo addirittura al grado zero. Nei dialetti meridionali le vocali finali sono -a, -i, -e (o -i da -i ed -e) e -u (per -o e -u lat.). Così in tutti i dialetti salentini da Lecce al Capo.
Nell'ordine consonantico, i dialetti delle Puglie partecipano dei fenomeni che sono caratteristici delle parlate centro-meridionali, e cioè: -nd- in nn; -mb-, -nv- in mm (ma a Brindisi, Lecce, Capo si ha -nd- e -mb-), b- iniziale in v-; -rb- in rv (erva, varva), -dv- in -bb- (abbotà "avvoltare"); -sv- in -sb- (sbotà "svoltare"), -mj- in ñ (scignia "scimmia") e il sonorizzarsi della consonante sorda dopo nasale (angora, sando, ecc.). Lo sviluppo di pl- in kj- giunge sino al Molise; ll volge a ÿÿ sino a Cerignola, dove si ha la semplice dentale dd (pədditrə"pulledro"). Il gruppo -str- volge a è (maèu "maestro", feneèa "finestra" a Lecce). Il v-, -v- scompare nel leccese. Abbiamo da -pj- lo sviluppo ćć (Cerign., saćće???, aćće???, da apium); j da bl- (Lecce, janku "bianco"); -lj- dà gghj, ma a Lecce: j (fiju). Gli esiti di -gn- sono -jn- e -ùn-, questo secondo nell'estremo Salento meridionale (Bari e Lecce). Così, si è avuto ajno e aunu da agnus e così abbiamo: molf. liəve???nə, cerign. livənə, bar. lionə, lecc. liune da lignum, ecc. Il ǵ si è sviluppato in è (molf. scemmédda "quanto cape nel cavo delle mani", giumella; cheèetá, tar. cuèitare, cerign. cuèətä "preoccuparsi, cogitare"). Varî sono gli esiti di l + cons. (Lecce: kaddu "caldo"; addu "altro", ma sartare, farda "falda"; din. a gutt. o pal. r: quarche, farce, ecc.); qu si fa ć in ći (chi), ćé (che).
Per la morfologia, ci limiteremo a dire che la Puglia è terra di plur. in -ora (bitont. gratərə"gradi"; bar. sandrə"santi"; sakkre "sacchi", ecc.), che si fa anche -iri (aććeddiri "uccelli"). Permane ancora la 3ª sing. del perf. in -avit nella forma -ait nel pugliese meridionale.
Quanto alla sintassi, si noti che nel mezzogiorno l'impf. ind. sostituisce così il condiz. come l'impf. sogg. (p. es., ieu lu faćia, "io lo farei"; ći putia, enia, "se potessi, verrei"). Nelle Puglie settentrionali, l'impf. sogg. sostituisce il condizionale (p. es., tenisse "terrei"). Come in Calabria nella costruzione di verbo con infinito, nella penisola salentina si -usa quomodo (p. es., S. Cesario di Lecce: ójju cu bbau "voglio andare"; uési cu bbau "volli andare").
Per i parlari non italiani, v. italia, XIX, 929 segg.
Bibl.: Morosi, Vocalismo del dial. leccese, in Arch. glott. ital., IV, p. 117 segg.; F. Nitti de Vito, Dialetto barese, 1896; G. Abbatescianni, Fonologia del dial. di Bari, Avellino 1896; Subak, Das Verbum in der Mundart von Tarent, 1897; S. Panareo, Fonetica del dial. di Maglie in Terra d'Otranto, Milano 1903; N. Zingarelli, Il dialetto di Cerignola, in Arch. glott. ital., XV; C. Merlo, Note fonetiche sul parlare di Bitonto (Bari), in Atti d. R. Acc. d. sc. di Torino, XLVII (1912), p. 907 segg.; id., Note di fonetica italiana meridionale, ibid., XLIX (1914), p. 883 segg.; F. Ribezzo, Dial. di Francavilla Fontana, in Apulia, 1912; C. Merlo, Dial. di Andria, in Apulia, 1913: id., Della voc. "a" preceduta e seguita da cons. nasale nel dial. di Molfetta, in Mem. del R. Ist. lomb., XXIII (1917); G. Melillo, Dial. di Vulturino, Perugia 1920; id., Dial. del Gargano, Pisa 1920; G. Bertoni, Less. rubastino, in Arch. romanicum, XV (1931), p. 122.
Letteratura dialettale.
Solo al principio del sec. XIX si troviano scrittori in dialetto pugliese le cui rime abbiano avuta una certa eco, almeno nel Mezzogiorno. Ma nel Settecento erano fioriti Girolamo Bax (1689-1740) e Niccodemo De Quarto (1705-1799). Tra gli ottocentisti va anzitutto ricordato Francescantonio D'Amelio, leccese (1775-1861), dalla vena facile e leggiadra, piena di grazia e di soavità. Il dialetto salentino si presta più di ogni altro a esprimere sentimenti delicati, e il D'Amelio seppe maneggiarlo con arte squisita, che gli meritò le lodi di L. Settembrini e d'altri critici. Più fecondo fu il barese Francesco Saverio Abbrescia (1813-1889), che, socio di molte accademie, autore di opere storiche e religiose, è più noto per i versi dialettali, nei quali rispecchia magistralmente l'anima popolare nelle diverse sue tendenze e passioni. Poeta nato, diede sfogo alla sua vivace fantasia in numerosi canti, ora castigati e solenni, ora burleschi e satirici. Emilio Consiglio, di Taranto (1841-1905), scrisse commedie e versi, soffusi di bella armonia, e si distinse per spigliatezza d'invenzione e bontà di contenuto. Giuseppe De Dominicis (1869-1905), meglio conosciuto con lo pseudonimo di Capitano Blak, nacque a Caballino, presso Lecce; continuatore del D'Amelio, fu scrittore di tempra vigorosa, e scrisse rime svariate che l'hanno collocato fra i più geniali scrittori di versi del Salento.
Oltre a costoro, nel secolo XIX fiorirono parecchi altri poeti dialettali, in varie contrade pugliesi, e chi con la satira, chi con lo scherzo ripresero i costumi dei contemporanei, punsero ambiziosi e signorotti, commentarono gli avvenimenti più notevoli delle loro città. Altri cantarono l'amore, celebrarono nozze, esaltarono le gioie della vita; e non mancarono di quelli che, ispirandosi alle condizioni storiche del momento, inneggiarono alla libertà, a Garibaldi all'Italia. Ricordiamo tra i molti: Saverio Buccarella (1818-1891) e Nicola Palitari di Gallipoli, Nicola Moscato, Vincenzo Valente (1846-1906) e Pantaleo Nisio di Molfetta, Agostino Chimienti (1832-1902) di Brindisi, G. B. Lancara di Martina Franca, Filippo Tripaldi di Manduria, Trifone Nutricati di Lecce, Antonio Torro di Taranto, ecc.
Fra i poeti contemporanei parecchi sono degni di considerazione. Davide Lopez di Bari (nato nel 1867), poeta dalla vena schietta e fluente, ha composto versi pieni di profondo pensiero e di slancio lirico, insieme con rime satiriche e moraleggianti. Antonio Nitti (nato nel 1886), anche di Bari, ha un'impronta patetica e pensosa, e nei suoi versi si notano delicatezza di sentimento e forma impeccabile. Filippo Maria Pugliese, di Cerignola (nato nel 1889), è critico acuto e poeta valoroso: oltre a coltivare la poesia in vernacolo, ha scritto belle rime in italiano. Cataldo Acquaviva di Taranto (nato nel 1885) sa trarre in diverse situazioni le scene della vita popolare, ed esprime in versi ben torniti i moti più svariati del cuore umano. Enrico Bozzi di Lecce (nato nel 1874), noto con lo pseudonimo di Conte della Luna, è uno dei più fecondi poeti dialettali d'Italia; parecchi suoi canti sono stati tradotti in altri vernacoli per la musicalità del verso, la freschezza dell'invenzione e la leggiadria della forma. Il canonico Maroccia di Otranto ha trattato argomenti religiosi e storici riuscendo efficace e veritiero nel rievocare avvenimenti ed episodî della vita della sua città. Gaetano Savelli di Bari (nato nel 1896) è autore di rime assai delicate, nelle quali prevale la nota sentimentale e patetica; in esse echeggiano i sentimenti di alta umanità, che vibrano nel cuore del giovane poeta, anelante a un sogno di bontà e di bellezza. Antonio Gabrielli di Noci (nato nel 1871) è autore di pregevoli versi in italiano e in volgare, in cui canta l'amore e la vita con delicate sfumature e sobrietà di stile; Oberdan Leone, leccese (nato nel 1883), è poeta brioso e vivace, che tratta con uguale maestria argomenti amorosi e satirici. Nicola Uva di Polignano (nato nel 1907) ha pubblicato due volumi di rime dialettali di buona fattura, nelle quali rivela sincera ispirazione, fresca vena e notevole maestria metrica. Pietro Pignatelli, di Ostuni (nato nel 1873), è autore di molte liriche, nelle quali canta i più nobili affetti del cuore umano e rievoca avvenimenti familiari o pubblici. Francesco Marangi, di Lecce (nato nel 1864), nei suoi molti canti si è rivelato poeta vigoroso, dalla fantasia calda e dalla padronanza sicura del suo dialetto. Giuseppe Capriati, di Bari (nato nel 1879), poeta schietto e originale, ha scritto versi scoppiettanti di brio e simpaticamente pepati, che gli hanno acquistato larga popolarità. Michele Bellomo, pure di Bari (nato nel 1885), si distingue per un senso di profonda malinconia e per la vena feconda e cristallina.
Meritano di essere ricordati: Riccardo Monterisi di Bisceglie, Giovanni Pansini e Domenico Azzolini di Molfetta, Giovanni Laricchia di Bari, Riccardo Ferrara di Trani, Franco Calderaro di Brindisi, Tommaso Gentile di Taranto, Eugenio Casavola di Lecce, Raffaele De Luca di Apricena, G. Strizzi di Alberona, Domenico Palumbo e Michele Pellicani di Ruvo, i quali ora con vena scherzosa e satirica, ora in tono sostenuto e patetico, hanno interpretato più o meno felicemente i varî moti dell'anima pugliese.
Folklore.
La Puglia ha un patrimonio folkloristico assai importante; esso ha tratto molti elementi dalle regioni circostanti, ma comprende anche canti, novelle, leggende, usanze e tradizioni, che si sono diffuse nelle vicine contrade; esse non hanno la stessa origine, ma può dirsi che ogni epoca della storia della regione ha lasciato la sua impronta nel folklore. Numerosissime sono le fiabe e le novelle, le leggende e gli aneddoti: caratteristica loro è la vivacità della fantasia, l'amore alle avventure, lo spirito burlesco. Vi sono leggende di miracoli operati dalla Vergine e da santi, altre in cui sono protagonisti diavoli o maghi, tradizioni di gesta paurose e grandiose operate da fanciulli o da guerrieri, racconti di viaggi fantastici e d'imprese cavalleresche in Oriente.
Negli usi e costumi la Puglia ha particolarità proprie sia nei riti nuziali sia in quelli funebri. Le nenie, cantate da prefiche pagate, permangono in taluni paesi del Gargano e nel Salento, specialmente nei centri d'origine greca e albanese. Tra le usanze, ricorderemo le pratiche per allontanare il malocchio dal neonato; la cerimonia della cresima, fatta "passando" i bambini tre volte attorno a chiesette mistiche in determinate feste campestri; l'uso di "stimare i panni" prima di andare a nozze; la consuetudine che vige in alcuni paesi del Gargano, dove l'innamorato strappa dalle spalle della fanciulla amata il fazzoletto, o le annoda le trecce per costringere i di lei parenti ad acconsentire al matrimonio, prima vietato; quello di collocare durante la notte, dietro la porta della casa dell'innamorata, un ceppo con rami verdi e fiori per far conoscere alla madre che la figlia ha trovato chi la sposi.
In qualche paesello del Tarantino sopravvive la superstizione che il morso della tarantola dia delle smanie alle fanciulle e le faccia deperire fino alla follia; ma che esse guariscano eseguendo per più ore un ballo (la pizzica pizzica), accompagnato dal suono di violini e chitarre, e toccando di tanto in tanto fazzoletti e scialli di varî colori appesi a una fune, che s'attacca da una parete all'altra della camera. Da questo ballo alcuni vogliono sia derivata la tarantella, che tra i balli popolari è il più comune. Tra i giuochi, notevole è quello dell'insegna, che si pratica a Carovigno, dove alla presenza di gran folla un devoto solleva una bandiera fissata in una grossa palla di ferro, la passa fra le gambe, la porta al collo, la pone sulle braccia, sulle gambe e la gira in mille modi.
Negli abiti femminili si conservano pochi tratti caratteristici. Un tempo erano ammirati i vestiti di seta e di broccato delle popolane del Gargano, assai carichi di trine e di ori; ma col diffondersi della civiltà livellatrice d'ogni usanza sono scomparse gonne di velluto e corpetti ricamati, sottane di panno ben pieghettate e camicette fiorate. Invece non accennano a scomparire le feste carnevalesche, le usanze dei pellegrinaggi ai santuarî celebri (p. es., quello di S. Michele al Monte Gargano), dell'Incoronata, di S. Nicola, della Vergine del Pozzo, della Madonna della Serra, dei Ss. Medici, ecc.), le lunghe processioni nei diversi periodi dell'anno e le fragorose "batterie". Solenni le feste in onore di S. Nicola (v. nicola di mira) a Bari, il 6 dicembre e l'8 maggio (data della traslazione). Nella settimana santa in tutti i paesi si svolgono pittoreschi cortei, che portano in processione le statue di Gesù Cristo, dell'Addolorata e degli Apostoli.
Un lato assai importante del folklore pugliese è la poesia; poche regioni, esclusa la Sicilia e la Toscana, vantano un patrimonio così vasto e vario come quello del popolo pugliese e specialmente del Salentino. Diverse migliaia di canzoni e strambotti sono cantati ancora da fanciulle e da giovanotti, da contadini e da pescatori. Dalle dolci ninne nanne alle lunghe tiritere che accompagnano i giuochi infantili, dalle serenate agli stornelli, dai canti d'amore a quelli di sdegno, questa poesia popolare è veramente ricchissima; né mancano canti carnascialeschi e strambotti frizzanti, contrasti di amore e canti di strenne, barcarole di marinai e strofette che accompagnano i balli. Una messe copiosa è data dai canti religiosi che celebrano virtù e miracoli della Madonna o dei santi, che invocano l'aiuto di Dio e la protezione di taumaturghi, che parafrasano canti liturgici.
Non meno interessante è la raccolta di massime e di proverbî, di motti e di sentenze; né quella dei brindisi, di scherzi, di satire, d'indovinelli, di barzellette. Parte di questo vasto e vario materiale non è stata ancora messa alla luce.
Bibl.: Oltre gli scritti indicati da G. Pitrè, in Bibliogr. delle trad. popol. in Italia, Torino-Palermo 1894, e da G. Gabrieli, in Japigia, II (1931), fasc. 1 e 2; V. Palumbo, Antologia greco-salentina di versi e prose, Calimera 1896; G. Gabrieli, Gl'Italo-greci e le loro colonie, in Studi bizantini, 1924; G. M. Pugliese, La canzonetta barese, Foggia 1930; G. Tancredi, La casa dei bambini a Monte S. Angelo e il Museo etnografico, Torremaggiore 1930; O. N. D. di Capitanata, La tradizione folkloristica foggiana nei canti del popolo, Foggia 1930; M. A. Fini, Spunti di folklore nel dialetto di Rodi Garg., in Lares, 1931; E. Costantini, I pregiudizi del popolo leccese, in Almanacco Terra d'Otranto, 1931; E. Loiodice, La festa dell'uva nella tradiz. foggiana, in Lares, 1931; A. Petrucci, Forme d'arte paesana in Puglia, Foggia 1933; S. Santeramo, Folklore barlettano, in Lares, 1933; S. La Sorsa, La sapienza popolare del popolo pugliese, Bari 1923; id., Usi, costumi e feste del popolo pugliese, 2ª ed., Roma 1930; id., Il folklore nelle scuole di Puglia, Roma 1926; id., Fiabe e novelle del popolo pugliese, Bari 1927-1928, voll. 2; id., I canti dell'Altalena, in Puglia letteraria, 1931; id., Saggio di serenate pugliesi, in Rsas. naz., 1931; id., Tradizioni pugliesi sulla natività di Gesù, S. Costantino Calabro 1931; id., Canti di marinai pugliesi, in Lares, 1932; id., Le gelosie di mestiere nel folklore pugliese, in Convivium, 1932; id., Alcune leggende di S. Nicola, in La Rassegna, 1932; id., Canti d'amore del popolo pugliese, Bari 1933, voll. 2; id., Proverbi sull'ulivo, in L'olivicultore, marzo 1933: id., Una gentile usanza pugliese, in La Murgia, 1933: id., Tipi e macchiette pugliesi, in Folklore, 1933; id., I disinganni della vita coniugale nei canti del popolo pugliese, in Rass. naz., 1933.
Musica popolare. - I canti popolari della Puglia hanno una grande affinità con quelli delle regioni limitrofe, vale a dire la Campania, l'Abruzzo e la Lucania. Gli scambî fra le tre regioni sono continui. Gli zampognari d'Abruzzo fino a non molti anni or sono scendevano in Puglia durante la novena di Natale, suonando innanzi ai presepî e per le strade le tradizionali pastorali (v.). Non bisogna dimenticare inoltre che la tarantella, la danza più caratteristica delle regioni del Napoletano, trae il nome da Taranto, attraverso quello della tarantola di Puglia. Né va dimenticato che molti musicisti della cosiddetta scuola napoletana, come G. Paisiello, N. Piccinni, L. Leo e N. Fago, sono pugliesi, e che molte melodie di questi maestri che si trovano sparse nelle loro opere buffe hanno un'origine popolare e regionale. Ch. Burney, nella sua Storia generale della musica, cita infatti un'aria di Leo intitolata Aria alla leccese che può darci un'idea di questa musica:
Infine, se vogliamo risalire al sec. XVI, spunti di canzoni popolari li possiamo trovare in una delle più interessanti raccolte di Villanelle di musici di Bari, pubblicata da G. De Antiquis a Venezia nel 1574, presso il Gardano, raccolta interessante perché formata interamente di musicisti di una stessa regione, anzi della stessa città.
Ecco, p. es., un frammento d'una villanella di V. Rodio (Raccolta De Antiquis, I) d'intonazione squisitamente popolare e pugliese, accentuata dall'uso della terza nella seconda voce:
e quest'altro, tratto da una villanella di S. De. Baldis (I):
Ma, tornando ai canti popolari propriamente detti, vale a dire anonimi o diventati anonimi, dobbiamo constatare che se sono scarse le raccolte di versi, scarsissime sono quelle di melodie. Le sole facilmente accessibili sono contenute nel volume di N. Zingarelli e di M. Vocino, intitolato Apulia fidelis (Milano 1926).
Di queste melodie pubblicate dal Vocino, riportiamo una delle più interessanti, di San Nicandro Garganico. Ivi, come dice il Vocino, s'usa "tra la Pasqua di Resurrezione e quella delle Rose, sospendere alla trave di casa, in direzione dell'uscio, un'altalena, li ndrandla, sulla quale due ragazze, lasciandosi dondolare, cantano uno strambotto, verso a verso alternandosi, ogni verso facendo precedere da un oré-e che forse non ha significato e serve solo di nota iniziale appoggiata per intonare il canto":
La melodia è interessante non solo per il carattere melismatico, ma per il genere cromatico o piuttosto enarmonico: poiché tutte le trascrizioni di melodie popolari, specie se delle regioni della cosiddetta Magna Grecia, che più tenacemente ha conservato modi dell'arte antica, sono approssimative, e dànno un'idea inadeguata della vera intonazione loro. Quello che inoltre occorre tener presente è il particolare imposto della voce, che non è quello del bel canto ma piuttosto del canto degli orientali e di tutti i popoli delle regioni pianeggianti, a base cioè di falsetto, il quale rende possibile la risonanza all'aria aperta. I canti amebei dei mietitori o dei vendemmiatori, hanno infatti questa caratteristica, facilmente constatabile.
La forma dello stornello è meno comune, ma non manca qua e là, specialmente in Capitanata. "In Sannicandro si chiama aria e si canta dopo uno strambotto, su li ndrandla; altrove, come in Apricena, ve n'è una collana, che è cantata alternandosi un uomo e una donna in caratteristici duetti agresti" (Vocino, op. cit.). Le ninne nanne non sono molto dissimili dalle altre del Mezzogiorno.
Fra gli strumenti per accompagnamento, era ancora in uso, fino a pochi decennî or sono, la chitarra battente, o spagnola, a cinque corde doppie di metallo, detta così perché non suonata a pizzico, come la francese, ma strisciando tutte le corde insieme col pollice.
Bibl.: M. Vocino, Apulia fidelis, Milano s. a., ma 1926; S. A. Luciani, I mus. pugliesi dei secoli XVI e XVII, Bari 1930.