Puglia
Apulia è il nome di una provincia dell'Italia imperiale romana, e designa ancora oggi una regione amministrativa italiana (Puglia) che comprende, fra l'altro, la maggior parte dell'Apulia antica. Tuttavia la parola ha denominato, secondo le epoche, realtà geografiche più o meno estese e realtà amministrative più o meno precise. L'Apulia antica occupava, grosso modo, la metà nordoccidentale della Puglia moderna; l'altra metà costituiva la Calabria, ma il nome passò verso il VII sec. a designare l'antico Bruttium. La parola Apulia fu poco utilizzata (e senza nessun significato amministrativo) fino all'arrivo dei normanni nell'XI secolo. I capi supremi dei normanni si chiamavano soltanto dux, o dux Italie, Calabrie et Sicilie; ma con Ruggero II, che assunse il titolo ducale nel 1127, la parola Apulia cominciò a sostituire Italia e, dopo la creazione del Regno, l'intitolazione più frequente del sovrano fu rex Sicilie, ducatus Apulie et principatus Capue; vale a dire che il ducatus Apulie ricopriva tutta l'Italia meridionale, salvo il principato di Capua (poi giustizierato di Terra di Lavoro), la contea di Sicilia e la Calabria meridionale.
L'intitolazione regia restò invariata fino al 1212. Quando fu eletto re dei Romani Federico II (dai tedeschi soprannominato puer Apulie), alludendo al Regno meridionale, si definiva soltanto rex Sicilie, ma la formula completa (rex Sicilie, ducatus Apulie et principatus Capue) tornò in uso in età angioina.
Tuttavia, sotto il regno dell'imperatore svevo, la parola Apulia assunse un nuovo significato, più ristretto ma più preciso. Fu intorno al 1230, all'epoca della promulgazione del Liber Augustalis e delle grandi riforme amministrative, che Federico II portò a termine la divisione del territorio del Regno in province, ognuna affidata a un giustiziere. Così compaiono, a fianco della Terra di Bari e della Terra d'Otranto, già esistenti nel XII sec., le due nuove province di Capitanata e honorMonti Sancti Angeli, e di Basilicata. Sin dal suo ritorno nel Regno (1220), per ripristinare l'amministrazione finanziaria che da vent'anni non forniva più risorse a uno stato centrale praticamente scomparso, Federico aveva cominciato a centralizzarla non a livello di provincia, ma di regioni costituite da più province. L'Apulia divenne così la regione amministrativa costituita dalle quattro province di Capitanata, Basilicata, Terra di Bari e Terra d'Otranto. Corrispondeva pressappoco alle odierne regioni di Puglia e Basilicata. Le altre regioni del Regno erano l'Abruzzo, il complesso Terra Laboris-Comitatus Molisii e Principatus-Terra Beneventana (odierne Campania e Molise), la Calabria con le piccole province del Nord (Val di Crati e Terra Giordana), infine la Sicilia. In questo ambito regionale furono compiute le riforme che imposero i nova statuta (monopolio statale di vendita del sale, del ferro, dell'acciaio ecc., monopolio statale della tintura, nuove tasse indirette, creazione dei fundica, ovvero di depositi pubblici).
Tornando alla storia complessiva della regione chiamata Apulia, in età normanna essa ospitava un certo numero di contee importanti (Lesina, Civitate, Andria, Conversano, Gravina, Lecce, Montescaglioso, Tricarico). Sotto il regno di Guglielmo II, i conti Tancredi di Lecce e Ruggero di Andria erano intitolati magni comestabuli et magistri iustitiarii Apulie et Terre Laboris: erano veri e propri viceré nelle province site a nord della Calabria, e furono ambedue candidati al trono nel 1190. Dopo la sua elezione, Tancredi nominò due altri conti pugliesi, Berardo "Gentilis" di Lesina e Ugo Lupino di Conversano, capitanei et magistri iustitiarii Apulie et Terre Laboris, con poteri simili; ma essi parteggiarono per Enrico VI.
Durante la minorità di Federico II, la Puglia, come le altre regioni del Regno, passò sotto il controllo di forze locali, che però tentavano di presentarsi come i rappresentanti del re: dal 1203 al 1220, Matteo "Gentilis" (uno dei figli di Berardo), conte di Lesina e di Civitate, governò la Capitanata con il titolo (chiaramente di origine non ufficiale) di capitaneus et magister iustitiarius; dal 1199 al 1207 il conte di Loreto e Conversano Berardo si reputava anche magister iustitiarius di Puglia e Terra di Lavoro, come pure il conte Giacomo di Tricarico.
Papa Innocenzo III, reggente del Regno dal 1198 al 1208, tentò di intervenire, soprattutto nella parte continentale, ormai divisa dalla Sicilia: invitò il conte di Loreto e Conversano a combattere i nemici di Federico. Il papa ricevette l'aiuto inaspettato del conte francese Gualtiero di Brienne, genero di re Tancredi, che desiderava recuperare la contea di Lecce, teoricamente concessa da Enrico VI ai figli del defunto re. Il papa accettò la proposta, ma mandò con Gualtiero il proprio cugino materno, il maresciallo Giacomo, concedendogli la contea di Andria; nel 1202, Gualtiero fu nominato magister iustitiarius, mentre Giacomo ebbe il titolo di magister iustitiarius totius Apulie et Terre Laboris. Ma quest'ultimo non riuscì a conservare la propria contea e Gualtiero fu ucciso nel 1205. In seguito, il papa rinunciò ad occuparsi dell'insieme delle province continentali, limitandosi al controllo delle zone vicine allo Stato pontificio, anche prima della fine della sua reggenza. Fino al 1220 dunque la Puglia restò sotto la dominazione di poteri locali che mantenevano a loro profitto le strutture di un'amministrazione statale inesistente.
Così si spiega la scomparsa di tutte le contee pugliesi dopo il ritorno di Federico II nel Regno e prima del 1230: quella di Lecce non è più citata dopo il 1213, quella di Nardò (nata durante l'anarchia) dopo il 1217, quella di Andria dopo il 1218; la contea di Tricarico è incamerata nel 1223 e non sono più menzionate in seguito quelle di Gravina, Conversano, Lesina e Civitate. L'anarchia lasciò subito il posto a un'amministrazione regia tanto più efficace in quanto, il più delle volte, il re risiedeva nella regione. In primo luogo fu ripristinata e riformata l'amministrazione fiscale.
In Puglia, fu il logotheta Andrea (v. Andrea Logoteta) che, dal 1231 al 1237, organizzò la nuova amministrazione fiscale. Pur senza ricevere un'intitolazione precisa, fu l'unico capo dell'amministrazione fiscale regionale, sostituendo in particolare i camerari. Andrea, forse originario di Salerno, aveva fatto carriera alla cancelleria, diventando logotheta, poi protonotaro; dopo il ritorno dell'imperatore, aveva assunto una sorta di carica amministrativa suprema nelle province continentali con l'arcivescovo di Capua Rainaldo II; quando ricevette l'incarico di approntare le riforme fiscali in Puglia, gli fu concesso in feudo Terlizzi.
La riforma si ispirava al modello dei secreti siciliani (ora erano due, uno a Palermo e uno a Messina). Fu particolarmente radicale in Campania e in Puglia (nell'Abruzzo, fu compiuta dal magister camerarius). Si aggiunga che la Puglia era la principale regione per la produzione del sale (la cui vendita era ormai un monopolio statale) e che inoltre fu profondamente trasformata dalla presenza della Curia. Dopo il lungo proconsolato fiscale di Andrea, si impostò, in Puglia come nelle altre regioni, una triplice amministrazione finanziaria e fiscale: il magister procurator demanii, morticiorum et excadenciarum (il primo fu "Thomasius de Brundusio" nel 1238-1239), che gestiva e recuperava i beni demaniali, riscuoteva le nuove tasse e si occupava dei monopoli; il magister portulanus che riscuoteva le tasse portuali; infine il magister camerarius che si occupava delle antiche tasse riscosse dalle baiulationes (il titolo ricompare in Puglia e in Campania intorno al 1246). Questi agenti regionali erano a capo di amministrazioni che comprendevano un livello provinciale e uno locale. Si è conservata una serie di inchieste amministrative effettuate a Taranto a proposito dei diritti dell'arcivescovo sulla tintura e sulla decima della baiulatio, dei quali egli godeva sin dall'età normanna, ma che allora furono ridotti a una somma fissa. Alla fine del Regno, le amministrazioni finanziarie, in particolare in Puglia, erano in gran parte nelle mani dei ravellesi, mentre la riscossione della subventio generalis toccava ai giustizieri.
Comunque, sotto il regno di Federico II, la Puglia era diventata una realtà amministrativa fondamentale.
La storia della regione non si limita però a quella dell'amministrazione: le trasformazioni introdotte da Federico II furono profonde. La Puglia, intorno al 1230, già presentava un certo numero di tratti originali rispetto alle altre regioni del Regno. Certo la regione era tutt'altro che omogenea, e ognuna delle quattro province che la costituivano mostrava una fisionomia particolare.
La zona più anticamente valorizzata ‒ fin dai secc. IX-X ‒ era la provincia di Terra di Bari (con l'eccezione delle Alte Murge). I gradini più bassi dell'altipiano calcareo erano molto popolati e ospitavano una serie di insediamenti importanti ‒ che si trattasse di città vere e proprie o di castra. In particolare i porti, generalmente di importanza media, erano numerosi sul litorale adriatico: Barletta (probabilmente il più importante), Trani, Bisceglie, Molfetta, Giovinazzo, Bari, Polignano, Monopoli. La Terra di Bari era la zona più importante del Regno per l'olivicoltura; sin dal XII sec. gli ulivi erano stati moltiplicati, generalmente nei campi di cereali: l'oleastro, che cresce spontaneamente, andava innestato (ma, nel XIII sec., anche l'ulivo è spesso piantato direttamente). Sin dall'epoca bizantina, questa zona densamente popolata era dominata dalla piccola e media proprietà. I signori normanni che la conquistarono nell'XI sec. non riuscirono a impostare un regime signorile 'classico', per mancanza di un indominicatum, e dovettero mettere l'accento sui diritti pubblici, introducendo le banalités francesi.
La Terra d'Otranto, le cui possibilità economiche erano poco diverse da quelle della Terra di Bari, si distingueva tuttavia in quanto, in primo luogo, ospitava (probabilmente almeno sin dal IX sec.) a sud di Lecce una popolazione di lingua greca, di diritto e di rito bizantino. La sede vescovile di Gallipoli, una volta suffraganea della metropolia calabrese di S. Severina, era ancora occupata da un vescovo greco, ma subì la concorrenza del monastero benedettino di S. Maria di Nardò, che godeva di alcuni diritti normalmente riservati alle cattedrali. Nel XIII sec., lo studio della lingua greca e la copiatura di manoscritti si svilupparono nel Salento, che fornì alcuni ellenisti all'entourage imperiale (Giovanni d'Otranto, Giorgio di Gallipoli). D'altra parte l'insediamento umano era più recente e meno denso che nella Terra di Bari; la signoria normanna si era imposta più facilmente. Il litorale, spesso deserto, ospitava tuttavia tre porti importanti: Taranto sullo Jonio, Otranto e Brindisi sull'Adriatico. Brindisi, che possedeva un sito portuale eccezionale, aveva perso nella tarda antichità il primato nelle relazioni con i Balcani, assunto da Otranto (il cui sito era più modesto, ma che era più vicina al litorale dell'Epiro); ma Brindisi, quasi scomparsa dal IX all'XI sec., nel XIII sec. riconquistò il primo posto: nel 1240 la città era qualificata caput terrarum maritimarum Apulie. A Brindisi sbarcò Iolanda di Brienne, che vi sposò Federico II. L'imperatore partì da Brindisi nel 1228 per la sua crociata e tornò a Brindisi l'anno successivo; nel 1250 le truppe mandate da Giovanni Vatatze dovettero fare la traversata da Durazzo a Brindisi. La città ospitava, sin dal tempo di Enrico VI, una delle zecche del Regno, l'unica sul continente dopo la chiusura di quelle di Salerno e Amalfi nel 1222.
Il fatto che le altre due province pugliesi, Basilicata e Capitanata, fossero state costituite intorno al 1230 dimostra che si trattava di zone di insediamento più recente. Certo la Basilicata ospitava città di origine antica o bizantina; ma il suo paesaggio montagnoso, la sua scarsa popolazione e il suo carattere di enclave le diedero un volto originale; le sue produzioni erano diverse da quelle delle altre province (castagne, ad esempio).
Quanto alla Capitanata, oltre al massiccio del Gargano (l'honor Montis Sancti Angeli), essa comprendeva la zona delle colline subappenniniche, dove i bizantini avevano edificato una serie di piccole città all'inizio dell'XI sec., e la pianura del Tavoliere, che non fu valorizzata prima dell'età normanna; l'insediamento prese la forma di casalia, alcuni (ma pochi) dei quali diventarono castra; dal punto di vista economico, Foggia, principale residenza dell'imperatore, era già una vera città, tuttavia l'insediamento dei casalia era piuttosto fragile. I signori normanni avevano impostato una signoria del tutto classica. Nel XII sec., la pianura e le colline si erano coperte di un openfield con grandi campi cerealicoli; nel secolo successivo si moltiplicarono vigneti e piccoli oliveti; un ferraginale (terreno irriguo) comparve vicino a Foggia. Le lagune della costa settentrionale del Gargano (laghi di Lesina e di Varano) erano importanti luoghi di pesca (fra l'altro, delle anguille); nel Golfo di Siponto (oggi colmato) si pescavano i calamari e si estraeva il sale, ma le saline più importanti erano quelle della laguna di Salpi (le odierne saline di Margherita di Savoia). I porti erano rari (Vieste, all'estremità del Gargano, Siponto, presso Manfredonia).
A completare questa presentazione, si deve sottolineare la densità e la strana organizzazione delle sedi vescovili, generalmente stabilite (o ristabilite) tra l'età bizantina e il primo periodo, ancora caotico, della dominazione normanna. I vescovi della Capitanata (salvo quello di Troia, immediate subiectus) erano suffraganei della metropolia di Benevento. Se gli arcivescovi di Bari e di Otranto (come pure di Acerenza) avevano un buon numero di suffraganei, quello di Siponto ne aveva soltanto uno (Vieste), come pure quello di Brindisi (Ostuni), mentre i metropoliti di Trani e di Taranto ne avevano due ciascuno (Andria e Bisceglie, Mottola e Castellaneta). La fortuna delle cattedrali era generalmente limitata e la decima dei redditi pubblici costituiva una parte non trascurabile delle loro risorse. Comunque, già nel 1239, le sedi vacanti erano numerose (Ascoli Satriano, Lesina, Vieste, Salpi, Melfi, Venosa, Potenza, Monopoli, Otranto, Lecce); nel 1241 tutte le cattedrali dovettero consegnare i tesori alla Curia. Quanto ai monasteri, molti dei quali erano sottoposti ad abbazie campane, l'unico che goda di una certa fama è quello greco di S. Nicola di Casole, vicino Otranto, il cui abate Nicola Nectarios svolse un ruolo religioso e culturale importante.
La Puglia, che sin dagli anni Venti del Duecento era divenuta la regione preferita di residenza dell'imperatore ‒ che soggiornava innanzitutto in Capitanata, mentre d'estate si rifugiava nelle montagne della Basilicata ‒, fu certamente la regione più profondamente riorganizzata da Federico II. Come la Sicilia e la Calabria, la Puglia era ormai una regione essenzialmente demaniale, dopo la soppressione delle contee (in seguito ripristinate da Manfredi e dagli Angioini) e la confisca di numerosi beni (ad esempio quelli dei Templari e degli Ospitalieri nel 1229). Ne seguì un'azione particolarmente decisa dell'imperatore per rimaneggiarne la geografia umana, sia nell'ambito generale delle revocationes (il ritorno al demanio regio delle terre e degli uomini che ne erano stati allontanati nel ventennio di anarchia durante la minorità dell'imperatore), sia in quello più specifico della creazione delle domus solaciorum, delle massarie, aratie e marescalle della Curia. Invece, l'honor Montis Sancti Angeli continuò a essere elemento essenziale della dote delle regine di Sicilia, Costanza d'Aragona prima, e Isabella d'Inghilterra poi; successivamente, morto l'imperatore, fece parte dell'appannaggio di Manfredi, in favore del quale fu inoltre ricostituito, nel Sud della regione, il principato di Taranto.
Comunque, i risultati di tali programmi si innestano sui mutamenti della popolazione, che si possono riassumere in due tendenze. La prima e più importante fu la persistente crescita demografica, in tutto il Regno (salvo forse la Sicilia), che portò a nuovi dissodamenti di terreni talvolta poco fertili, a disboscamenti eccessivi e finanche a disastri ecologici. Durante il regno di Federico II, l'alveo del Bradano inferiore si spostò; l'archeologia ha anche supposto che fosse avvenuta una grande alluvione sul sito vicino di Torre a Mare; il piccolo Golfo di Siponto, che fungeva ancora da porto, tendeva a ritirarsi, sicché intorno al 1260 fu necessario spostare la città sul sito di Manfredonia; nel Gargano, sembra che il piccolo "pantano" di S. Egidio, coltivato nel XII sec., fosse allagato nel XIII. È possibile infine che la malaria cominciasse a manifestarsi in alcune zone litoranee: in ogni modo, non risultano tracce precedenti.
La seconda tendenza è una certa instabilità della popolazione, particolarmente evidente in Capitanata, dove l'insediamento era fragile mentre l'azione imperiale fu particolarmente forte. Sembra invece collegato con l'evoluzione naturale il progressivo abbandono della cittadina di Canne (Canne della Battaglia), la cui popolazione si spostò verso il porto di Barletta ‒ il più importante della Puglia settentrionale che, come Brindisi, ospitava Ordini religiosi provenienti dall'Oriente latino. Barletta, che non ha mai avuto un vescovo proprio, ospitò quello di Canne prima di accogliere, all'inizio del Trecento, l'arcivescovo di Nazareth. Comunque, il caso di Barletta, come quello di Foggia, dimostra come in questi anni si sviluppassero città importanti per le loro funzioni economiche, anche se non godevano dello statuto di civitas vera e propria, con un proprio vescovo.
Sin dal XII sec. molti insediamenti, importanti o meno, furono fiancheggiati da uno o più sobborghi: così Foggia, Monopoli, Salpi, Gravina, Barletta, Trani, Molfetta, Oria, Ascoli Satriano, S. Lorenzo in Carminiano presso Foggia. Nel XIII sec. essi si moltiplicarono anche a fianco delle piccole città della Capitanata (Civitate, Troia, Fiorentino, Lesina, nonché il casale di Corleto). Alcuni insediamenti minori, assimilabili ai casalia, tendevano invece a scomparire (Campulus vicino a Palo del Colle, o S. Pancrazio Salentino e Castellana Grotte, ripopolati dai rispettivi signori).
Tuttavia complessivamente, con l'eccezione della Capitanata, la tendenza generale alla crescita della popolazione e la volontà regia di fondare nuovi insediamenti demaniali in zone ancora poco popolate si accordavano bene. Le fondazioni regie erano iniziate nell'anno 1230, al momento dell'imposizione dei nova statuta. Infatti nel 1235 l'imperatore proclamò la revocatio al demanio di tutti gli uomini della Terra d'Otranto che ne dipendevano sotto il regno di Guglielmo II. Ma gli interessati non accorsero verso le terre demaniali e il giustiziere "Philippus f. Maremontis" fu accusato di essersi alleato con i baroni e con gli uomini da trasferire affinché l'operazione non avvenisse. Nel 1239-1240 l'imperatore incaricò il nuovo giustiziere di Terra d'Otranto, Andrea di Acquaviva, di portare a termine il trasferimento. In questa occasione furono fondati nella provincia due nuovi insediamenti. Il primo, Petrolla, corrispondente all'odierna Villanova, sito su una piccola insenatura del litorale adriatico, vicino a Ostuni, a metà strada fra Monopoli e Brindisi, e dunque su una costa deserta. Così facendo, Federico II riprendeva un'iniziativa, fallita, di Tancredi, conte di Lecce. Quella dell'imperatore non riuscì meglio e fu a sua volta ritentata da Carlo d'Angiò (la località fu allora chiamata Villanova).
Due altri toponimi di nuovi stanziamenti sembrano designare un unico sito: secondo i documenti, sembra che Melehudi, probabilmente un toponimo tradizionale di possibile origine greca, abbia in seguito ricevuto il nome solenne di Cesarea Augusta; esso va ipoteticamente identificato con Porto Cesareo, sullo Jonio, vicino a Nardò. Esisteva già nel 1240, ma con un'importanza ridotta; sotto Carlo I d'Angiò, l'insediamento era stato abbandonato. Se l'identificazione del sito è giusta, la fondazione, come quella di Petrolla, mirava chiaramente all'occupazione di un tratto deserto del litorale. Invece l'apertura di nuovi porti nel 1239 (undici nel Regno, fra i quali tre in Puglia) non creò insediamenti nuovi, ma permise soltanto di intrattenere un commercio lecito nei siti in cui l'imperatore aveva creato un'amministrazione fiscale. In Puglia furono i casi di portus in Rivulis (Lido di Rivoli, a est di Foggia), di S. Cataldo, l'odierno porto commerciale di Bari, e di Torremare, vicino all'antica Metaponto.
Più importante e duraturo fu il caso di Altamura, nelle Alte Murge (468 m di altitudine) della Terra di Bari. Nel XII sec. il territorio era occupato dai tenimenta terrarum Biscilliti et Scolcule, terreni rivendicati dalle universitates di Grumo e di Bitetto, site a più di 20 km a nord di Altamura: si trattava di terreni poco coltivati ed essenzialmente lasciati alla pastorizia. Durante il Duecento, d'altra parte, la pressione demografica portò alla progressiva colonizzazione delle Murge, con la creazione di Gioia del Colle, Sannicandro, Acquaviva, Palo, Santeramo, ma la parte più alta restava deserta. La fondazione di Altamura, decisa dall'imperatore, non fu né facile né rapida. Nel 1231 fu nominato un arciprete della nuova città, il che fa supporre che vi fossero degli abitanti. Ma la fondazione dovette essere ripresa nel 1242. Una commissione presieduta dal giustiziere della Terra di Bari delimitò il territorio della città, costituito da porzioni di territori sottratti a Gravina, Matera, Binetto e Bitetto; ai nuovi abitanti fu concessa una esenzione dalla collecta (ormai riscossa ogni anno) per la durata di dieci anni. Ma non si può dire con precisione quando la città nacque veramente.
Anche in questo caso, il nuovo insediamento mirava a occupare una zona deserta, non litoranea, ma in altitudine. Nello stesso periodo (1240), a una quarantina di chilometri a nordovest di Altamura, e sempre sulla parte più alta dell'altipiano delle Murge, fu fondato Castel del Monte; le domus di Garagnone e di Gravina erano site nella stessa regione. Sembra dunque che l'imperatore avesse voluto popolare tutte le zone disabitate della regione, un progetto che si armonizzava con il movimento demografico naturale, ma non corrispondeva sempre al desiderio delle persone chiamate a spostarsi; inoltre non era affatto garantita la produttività dei terreni così dissodati.
Il caso della Capitanata è diverso. La creazione delle numerose domus solaciorum, delle massarie, aratie e marescalle portò Federico a rimaneggiare la geografia umana della provincia, il che non era difficile trattandosi di un insediamento formato da semplici casalia: scomparvero così alcuni casalia di proprietà ecclesiastica, mentre l'imperatore ne fondava di nuovi per il servizio delle sue domus e degli enti produttivi della Curia (ad esempio Ordona). Un ultimo fatto contribuì a trasformare la Capitanata: la deportazione a Lucera di numerosi musulmani di Sicilia. Nel 1224-1225, infatti, l'imperatore inviò nella città pugliese i musulmani della regione di Agrigento, poi, nel 1246, gli ultimi ribelli di Jato. La scelta di Lucera si deve ricollegare alla frequente permanenza dell'imperatore nell'isola. Certo, la deportazione mirava innanzitutto a porre fine alle ribellioni, se non, addirittura, alla presenza musulmana in Sicilia: ma forniva anche a Federico, in Capitanata, mercenari e artigiani di prodotti di lusso. La comunità musulmana godeva di una certa autonomia sotto la direzione di un alchadi o archadius (cioè un qāḍī). Non essendo in grado di mescolarsi alla popolazione limitrofa, la comunità si isolò nella città di Lucera, la cui cattedrale era già in rovina nel 1236. Per sopravvivere, tuttavia, dovette occupare terre vicine: da qui la scomparsa di alcuni casalia dei dintorni, nonché della città di Vaccarizza (già in declino). La permanenza dei musulmani a Lucera durò fino al 1300, quando Carlo II d'Angiò decise di scacciarli e di venderli come schiavi. Ma anche sotto Federico II la storia della Capitanata fu tutt'altro che calma e le ribellioni furono frequenti.
Se la Capitanata si distingue per il numero eccezionale di domus solaciorum, massarie, ecc., e la Basilicata viene in seconda posizione, tutta la Puglia è, più di ogni altra regione del Regno, coinvolta dalla presenza della Curia. Secondo lo Statutum de reparatione castrorum, compilato alla fine del regno di Federico, che riguarda le province settentrionali (ma non la Calabria e la Sicilia), le domus solaciorum fatte edificare dall'imperatore sono distribuite come segue: tre nella provincia di Principato e Terra Beneventana, tre nell'Abruzzo, quarantadue in Puglia, cioè ventisette in Capitanata, dieci in Basilicata, tre nella Terra di Bari (senza contare Castel del Monte, definito 'castello'), due nella Terra d'Otranto. Sebbene l'elenco non sia assolutamente completo, illustra almeno il posto privilegiato occupato dalla Puglia nella geografia delle residenze imperiali. Anche la Terra di Bari e la Terra d'Otranto potevano ospitare l'imperatore: la domus di Gravina e Castel del Monte erano fra le residenze più belle del sovrano. Se la Capitanata può essere paragonata alla Conca d'Oro, tutta la Puglia era una nuova Sicilia, ma più centrale dell'isola, che gli permetteva di condurre la sua politica sia in Europa che in Oriente.
È probabilmente per le necessità della Curia e dell'esercito che furono create nella regione le massarie regie e i centri di allevamento equino, che costituirono una specialità della Sicilia, della Calabria e della Puglia, ma furono assenti nelle regioni nordoccidentali del Regno. Poco documentate nell'età federiciana, lo furono molto meglio all'epoca di Carlo I d'Angiò. Allora erano numerose innanzitutto in Capitanata, ma anche in Basilicata (Palazzo S. Gervasio, Monte Serico, S. Nicola dell'Ofanto presso Melfi); se ne trovano nella Terra di Bari, soprattutto nelle zone vicine alla Basilicata (Spinazzola), e nella Terra d'Otranto (Taranto, Oria, Ostuni). Sembra che, in proposito, sia stato imitato ‒ e probabilmente migliorato ‒ in Puglia quanto già esisteva (forse sin dall'età normanna) in Sicilia e in Calabria. È anche dalla Calabria e dalla Sicilia che l'imperatore faceva venire il bestiame (pecore, mucche) delle nuove massarie pugliesi. Le aratie e marescalle erano distribuite nelle stesse zone delle massarie. Non si può valutare precisamente, soprattutto sotto il regno di Federico II, il peso economico di questo settore direttamente gestito dalla Curia. Sicuramente non pregiudicò i rapporti di produzione anteriori, ma probabilmente contribuì a portare avanti novità tecniche. Può anche essere stato favorito dal fatto che, già nel XII sec., i lavoratori agricoli stipendiati svolgevano un ruolo importante in Capitanata. Infine preparò l'intervento dello stato, sin dal Trecento, per organizzare la transumanza nella provincia.
Tutto sommato, l'azione economica dello stato restò marginale nel XIII sec., poiché l'imperatore non aveva fini propriamente economici. Cercò soltanto di recuperare e di aumentare il demanio regio, e di migliorare i redditi della Curia. Tuttavia la sua azione in Puglia non fu trascurabile, sia nel campo dell'insediamento umano che in quello della produzione agricola o del commercio dei prodotti agricoli. Federico II aveva fatto della Puglia una sorta di laboratorio della sua azione di governo. Che il suo programma non sia stato completamente realistico lo provano le difficoltà e gli scarsi risultati conseguiti nel campo del riassetto dell'insediamento. Dopo la sua morte, ribellioni scoppiarono a Foggia e in alcune città salentine.
Invece l'importanza delle sue costruzioni fu tale che, quando, nel 1905, l'Istituto Storico Prussiano di Roma decise di aprire una grande inchiesta sui Bauten der Hohenstaufen in Unteritalien, cominciò dalla Puglia.
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