Quattro passi tra le nuvole
(Italia 1942, bianco e nero, 94m); regia: Alessandro Blasetti; produzione: Giuseppe Amato per Cines; soggetto: Cesare Zavattini, Piero Tellini; sceneggiatura: Aldo De Benedetti, Cesare Zavattini, Alessandro Blasetti, Giuseppe Amato, Piero Tellini; fotografia: Václav Vích; montaggio: Mario Serandrei; scenografia: Virgilio Marchi; costumi: Emma Calderini; musica: Alessandro Cicognini.
Paolo Bianchi, commesso viaggiatore di una ditta di dolciumi, parte come ogni mattina in treno per compiere il suo giro d'affari in provincia. Lo attendono autobus affollati, scompartimenti pieni, corriere di campagna in ritardo, e si lascia alle spalle un caseggiato di periferia, i bambini, una moglie arcigna e petulante. Una volta in viaggio incontra una ragazza, Maria, che torna in campagna dai famigliari sotto il peso di una triste consapevolezza: è stata abbandonata da un uomo che ha amato e ora aspetta un figlio. Maria teme la reazione dei genitori e prega Paolo di aiutarla. Dovrà fingersi, per qualche ora, il suo legittimo marito, così da render meno traumatico il ritorno e da permetterle poi di sparire per sempre, ma con dignità. Paolo, timido e buono, prima è riluttante, poi accetta. Inizialmente è accolto con grande festosità dalla famiglia della ragazza, e la vita semplice della campagna gli apre il cuore. Ma rapidamente l'inganno viene scoperto e Maria sta per essere scacciata di casa. Allora Paolo interviene, persuade i famigliari a perdonarla e con qualche rimpianto ritorna a casa. La moglie lo accoglie sgarbatamente, imponendogli di mettere a bollire il latte per i bambini; Paolo obbedisce, ma non si sente bene...
Non è completamente un caso che Alessandro Blasetti abbia diretto, proprio nel 1942 e non prima e non dopo, questo film che solitamente, nella storia del cinema, insieme a Ossessione e I bambini ci guardano (1944), viene annoverato fra le opere che hanno precorso e annunciato il neorealismo. Nel corso di quasi tutta la sua carriera Blasetti si trovò, presumibilmente senza veri calcoli ma piuttosto come conseguenza di uno spirito vivo, naturalmente combattivo e in certo modo presenzialista, alle confluenze della nostra storia e dei suoi umori trascoloranti, sfiorandone le connessure, i punti dolenti e le urgenze morali e romanzesche. In effetti Blasetti ha man mano reagito, con l'automatica sensibilità di un anemometro, ai venti che tiravano in Italia e in Europa, e non tanto per servilismo, voglia opportunista di adeguarsi ai tempi, scaltrezza subbietta, quanto piuttosto per il suo modo tumultuoso di affrontare la vita e il cinema, di immergersi pienamente nell'Italia del suo tempo e di tradurla in film spesso di successo ma altrettanto spesso di indubbia, esplicita chiarezza. Si conquistano così la scena rinsaviti e benèfici patrizi campagnoli (Terra madre, 1931), garibaldini programmatici a lieto fine (1860, 1934), squadristi d'ottimo cuore (Vecchia guardia, 1935), bennati ufficiali di marina (Aldebaran, 1935), ragazze sparpagliate fra le suore e la vita (Nessuno torna indietro, 1945), cavalieri nostrani che difendono il buon nome d'Italia (Ettore Fieramosca, 1938), pittori spadaccini (Un'avventura di Salvator Rosa, 1940), una corona fiabesca fatta con un chiodo della Croce (La corona di ferro, 1941), giovanotti rinascimentali alla Sem Benelli in una rigonfia Firenze (La cena delle beffe, 1941), partigiani rifugiati in un convento (Un giorno nella vita, 1946). Ed ecco che, quasi di colpo, proprio al secondo anno di guerra, Blasetti seppe cogliere al volo la voglia di semplicità, di tenuità strapaesana, di semplice ma non melensa intenzione crepuscolare, di accettabile e furbesco bozzettismo che circolava allora sottopelle al cinema italiano, quasi reagendo a tante facce feroci del passato. Tutto questo nel semestre in cui, entro giugno e novembre, fra lo scontro navale delle Midway e quello terrestre di El Alamein, le sorti del conflitto mondiale conoscevano una brusca inversione, i probabili vincitori diventavano probabili sconfitti, il futuro si presentava sorprendentemente diverso da quello atteso sino a pochi mesi prima, mentre l'Italia riponeva in fretta i sogni imperiali, ciecamente preparandosi a terribili anni di umiliazioni, frustrazioni, paure e sofferenze.
Ecco allora che il soggetto di Zavattini e Tellini ‒ la presenza di De Benedetti è probabile seppur non riportata da tutte le fonti: il fertile commediografo e sceneggiatore, ebreo, dovette subire anni di vergognosa esclusione dal teatro, pur continuando in qualche modo a lavorare per il cinema ‒ trovò nelle sue mani una dimessa, scorrevole eleganza, che sembrò, soprattutto all'epoca, dolcemente premonitrice e quietamente bozzettistica. L'avventura del riluttante commesso viaggiatore di troppo buon cuore e della ragazzina spaurita ha le finezze iniziali del piccolo-grande racconto realistico, che s'annida in tanti secoli di narrativa europea (si può immaginate la prima parte del film come inizio di una novella di Maupassant, e perfino di Simenon, senza avvertire alcuno stridore). La presenza di Gino Cervi assicura al film una bonomia volutamente impacciata che ribadisce le qualità 'casalinghe' della recitazione dell'attore, uomo di finezza e di peso, in grado di far corposamente lievitare, con la sua innata bolognesità, le abili indicazioni del testo. Certo, s'avverte nel film un'intenzione, a volte commossa a volte soltanto abile, di giocare sul pedale drammatico e su quello grottesco, e al tempo stesso un eccesso di caratterizzazione troppo manierata, al di là del buon livello medio della recitazione (i contadini, con Aldo Silvani in testa, sembrano tolti di peso da un libro di lettura toscano dell'Ottocento). Ma si coglie anche la notevole qualità patetico-ridanciana dei caratteristi d'epoca (da Lauro Gazzolo a Enrico Viarisio, da Virgilio Riento a Carlo Romano, per far solo qualche nome) mentre la fragilità del personaggio della Benetti è anche un sintomo della sua sostanziale fragilità di primattrice, diva solo per qualche anno. Il film è stato rifatto due volte: nel 1957 da Mario Soldati (Era di venerdì 17) e nel 1995 in America da Alfonso Arau (A Walk in the Clouds ‒ Il profumo del mosto selvatico).
Interpreti e personaggi: Adriana Benetti (Maria), Gino Cervi (Paolo Bianchi), Giuditta Rissone (Clara, sua moglie), Margherita Seglin (Luisa, madre di Maria), Giacinto Molteni (Matteo, nonno di Maria), Aldo Silvani (Luca, padre di Maria), Guido Celano (Pasquale, fratello di Maria), Lauro Gazzolo (controllore del treno), Enrico Viarisio (Magnaschi, rappresentante farmaceutico), Carlo Romano (autista della corriera), Arturo Bragaglia (viaggiatore nervoso), Umberto Sacripante (Francesco, il girovago), Silvio Bagolini (suonatore di tromba sulla corriera), Oreste Bilancia (droghiere), Anna Carena (maestra sulla corriera), Pina Gallini (signora Clelia), Virgilio Riento (un viaggiatore della corriera), Luciano Manara (il viaggiatore settentrionale sulla corriera), Armando Migliari (il capostazione), Ada Colangeli (Anna), Aristide Garbini (Giovanni).
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