MARTINI, Quinto
– Nacque a Seano di Carmignano presso Prato il 31 ott. 1908, quintogenito di Torello e Stella Cinelli, contadini.
Nonostante l’umile ambiente in cui trascorse l’infanzia, mosso da un’intensa vocazione artistica sin da bambino iniziò ad alternare il lavoro dei campi con il disegno e «l’impastar mota, cercando di ritrarre i corpi degli uomini che dormivano», come ricorderà egli stesso anni dopo (in III Quadriennale d’arte nazionale. Catalogo generale, Roma 1939, p. 131).
Un ruolo decisivo nel suo percorso rivestì l’incontro con A. Soffici, avvenuto a Poggio a Caiano nel 1925, quando il M. si presentò con alcuni suoi lavori al maestro, che decise di coltivarne la formazione, aprendogli la sua biblioteca e introducendolo nel mondo dell’arte. Così, già nel 1926 il M. poté pubblicare dei disegni su Il Selvaggio e, l’anno successivo, non ancora ventenne, esordì esponendo alcuni dipinti nella prima collettiva del gruppo costituitosi intorno alla rivista, con, fra gli altri, M. Maccari, C. Carrà, O. Rosai, G. Morandi, e lo stesso Soffici. Da allora il M. iniziò a dedicarsi con costanza all’attività artistica, dividendosi fra pittura e scultura, ambiti espressivi che coltiverà in modo parallelo, e tuttavia autonomo, per tutto il corso della propria vita.
Il rapporto con Soffici si rivelò determinante per il M., suggerendogli spunti e suggestioni, che incideranno profondamente sulla sua attività artistica, e orientandolo nella scoperta della grande tradizione italiana e della modernità. Tale esperienza è ravvisabile negli esordi pittorici del M., nei quali la lezione sofficiana – che rimarrà sempre evidente nella sua arte, perlomeno nella predilezione per i temi dell’ethos contadino e nelle scelte iconografiche – appare tuttavia declinata in accenti di maggiore, scabra sobrietà, evidenziando l’influenza di riferimenti diversi, da Giotto ad Arnolfo da Cambio a P. Cézanne (Conversazione a Seano, 1927: Firenze, collezione Eredi Martini, ripr. in Q. M., 1999, n. 82; Donna all’acquaiolo, 1928: Seano, collezione Remo Martini, ripr. ibid., n. 83). La medesima tensione verso forme essenziali, segnate da un’aura arcaica, caratterizza anche le prime sculture del M., realizzate in pietra fluviale e terracotta, quali, per esempio, Paesana (1928: Firenze, collezione Eredi Martini, ripr. ibid., n. 1).
Nel 1928-29, chiamatovi per il servizio di leva, il M. si trasferì a Torino, soggiorno che si rivelò importante nell’aprirgli nuovi orizzonti culturali, permettendogli di venire in contatto con un contesto meno chiuso e provinciale di quello fiorentino. Qui, difatti, il M. frequentò il Gruppo dei Sei pittori e l’ambiente intellettuale di C. Pavese e F. Casorati, rappresentanti di una cultura antifascista rivolta a Parigi e alla sue novità artistiche. Ritornato a Seano, il M. riprese a frequentare con assiduità Soffici che, fra il 1932 e il 1934, lo scelse come aiuto per alcuni lavori a fresco. A questo periodo risalgono i primi dipinti di Mendicanti, tema indagato intensamente tra il 1933 e il 1943, sul quale il M. tornerà sovente anche nei decenni successivi. In questo giro di anni, tuttavia, l’interesse dell’artista si andò sempre più spostando verso la scultura: nel 1934, difatti, il M., che dal 1928 aveva iniziato a partecipare con regolarità alle mostre sindacali, esordì alla XIX Biennale di Venezia, esponendovi una grande terracotta, Ragazza seanese, segnalata da N. Bertocchi.
Anche se rimarrà sempre legato a Soffici da un rapporto di autentico affetto e devozione, in questi anni il M. si andò progressivamente sottraendo all’influenza del maestro, come testimoniato anche dalla serie dei Mendicanti, in cui le esili figure allungate, dipinte con povertà di mezzi, evidenziano una certa insofferenza per il clima del «ritorno all’ordine» e la distanza dal linguaggio aulico e monumentale di Soffici e mostrando piuttosto riferimenti a P. Picasso dei periodi rosa e blu. È soprattutto come scultore, tuttavia, che in questi anni il M. iniziò a imporsi all’attenzione della critica. Difatti lo stile arcaizzante, spesso ricondotto all’influenza della coroplastica etrusca, e l’immediatezza espressiva evidente in sculture quali Giocatore di bocce (1931: Firenze, collezione Eredi Martini, ripr. ibid., n. 3) o Ragazza seanese (1933-34: Firenze, Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti), valsero al M. una tempestiva fortuna critica, motivata, senza dubbio, anche dalla sostanziale consentaneità fra il suo linguaggio e un gusto diffuso e condiviso, in quegli anni, dai maggiori scultori italiani.
Nel 1935 il M. si trasferì a Firenze, dove iniziò a pubblicare le prime incisioni su Frontespizio, la rivista che raccoglieva artisti e letterati fra i maggiori del tempo, impegnandosi attivamente nella vita culturale della città. Nel 1938 tenne le sue prime personali di scultura, esponendo a Firenze (galleria d’arte Firenze) e a Roma (galleria della Cometa), presentato in ambedue le occasioni da Soffici, sebbene al tempo la loro frequentazione si andasse rarefacendo, probabilmente anche a causa delle divergenti opinioni politiche. In questi anni il M. avviò un’intensa attività espositiva, che lo vedrà presente nelle maggiori rassegne dell’epoca, fra cui alcune edizioni della Biennale, e in tutte quelle della Quadriennale dal 1935 al 1972; mentre la sua produzione plastica continuò a guadagnargli nuovi consensi, come testimoniato anche dalla sala personale dedicatagli nell’ambito della III Quadriennale.
Nel corso degli anni Trenta l’interesse del M. scultore si indirizzò soprattutto verso i temi del ritratto e del nudo femminile, resi in terracotta, gesso o bronzo, in una ricerca che, superate le premesse arcaizzanti degli esordi, approdò verso la fine del decennio a una nuova, peculiare concezione plastica, in equilibrio fra tradizione e modernità, alimentata da una libera e originale rielaborazione di influenze diverse, dalla scultura ellenistica ai grandi maestri della tradizione italiana e al classicismo di A. Maillol, come documentano soprattutto alcuni nudi femminili quali Eva, Pomona (1938 e 1940: Firenze, collezione M. Fagioli, ripr. ibid., nn. 15, 18) o La Notte, una delle rare opere in marmo dello scultore (1939 circa) nella collezione Eredi Martini (ripr. ibid., n. 16). Gli sviluppi di tale indagine portarono il M. alla realizzazione, nei primi anni Quaranta, di alcune delle sue sculture di maggior impegno, quali la Leda col cigno (1941: Seano, casa-studio Quinto Martini) e l’Alcea (1942: Firenze, collezione Eredi Martini, ripr. ibid., n. 22), «una delle opere più impegnative e più concluse della nuova scultura italiana» (Masciotta, in G.M., 1999, p. 79).
Il 30 sett. 1939 il M. sposò Maria Ferri, da cui ebbe il suo unico figlio, Luciano, nato il 10 dic. 1942. Anche a causa dei suoi velati ma convinti ideali antifascisti, questi anni – in cui il M. strinse un legame di fraterna amicizia con C. Levi, forse già incontrato nel periodo torinese – furono per il M. particolarmente difficili: nel 1943 una sua esposizione presso il Lyceum di Firenze, in cui presentava un’antologia dei dipinti di Mendicanti, venne chiusa dopo l’inaugurazione e, pochi mesi dopo, l’artista dovette scontare alcuni mesi di prigionia nelle carceri fasciste della città. Da queste esperienze nacque il romanzo I giorni sono lunghi, scritto nel corso del 1944, durante il periodo trascorso in clandestinità nelle campagne del Chianti per sfuggire ai tedeschi, ed edito solo nel 1957 (Milano-Roma), con prefazione di Levi.
Dopo la guerra il M. riprese con rinnovato vigore sia l’attività artistica sia quella d’impegno civile, schierandosi politicamente con il Partito comunista italiano e adoperandosi per costituire una nuova Società di belle arti a Firenze. Nel 1947, nonostante la sua resistenza a identificarsi in correnti e schieramenti, aderì, con U. Capocchini, E. Cavalli, G. Colacicchi, O. Gallo e O. Martinelli, al gruppo Nuovo Umanesimo, il cui manifesto dichiarava l’opposizione a ogni idea di arte astratta.
I decenni successivi furono caratterizzati da un lavoro febbrile, che vide il M. impegnato su diversi fronti: oltre a dedicarsi alla ricca produzione scultorea, pittorica e grafica, continuò a prendere parte alla vita culturale della città, collaborando con diverse riviste, dedicandosi parallelamente anche all’insegnamento, dapprima presso alcuni istituti liceali e successivamente nelle Accademie di belle arti di Bologna e Firenze.
Dal dopoguerra la ricerca plastica del M., nella costante tensione verso soluzioni di grande essenzialità formale e spesso segnata dal «permanere di una purezza romanica dentro una cultura tutta novecentesca» (Parco-Museo, p. 30), si caratterizzò per una particolare ricchezza di articolazioni e di sperimentazioni tecniche ed espressive: parallelamente a numerosi piccoli nudi femminili, i cui riscontri iconografici vanno dalla bronzettistica cinquecentesca a E. Degas, e a vari ritratti (Ritratto di C.E. Gadda, 1948; Ritratto di C. Levi, 1975; Ritratto di Palazzeschi, 1975-81: Firenze, collezione M. Fagioli, ripr. in Q. M., 1999, nn. 33, 68, 75), in questi anni il M. realizzò diverse opere dai volumi squadrati, «di un “cubismo” versato in toni popolari» (M. Fagioli, in Q. M., 1999, p. 23), come L’oste di campagna (1951: Firenze, Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti). Risalgono alla fine degli anni Cinquanta le prime sculture in cemento, quali Il gatto (1957) e Sotto il bombardamento, nutrita di ascendenze giottesche e arnolfiane (1958), conservate entrambe a Firenze, una alla Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti, l’altra presso gli Eredi Martini (ripr. in Q. M., 1999, n. 46).
Nei decenni successivi il M. si cimentò anche con nuove iconografie, affiancando ai temi di vita quotidiana e contadina e alla rappresentazione della figura femminile – soggetto declinato con particolare varietà di accenti e con esiti, in alcuni casi, prossimi all’astrazione (Natura, 1965: Firenze, collezione Eredi Martini, ripr. ibid., n. 62; Immagini nello spazio, 1968: Firenze, sede della RAI) – opere ispirate alla Divina Commedia e al tema della pioggia, sviluppato a partire dal 1964 in sculture e bassorilievi, come Uomo sotto la pioggia e La pioggia (1964 e 1967: entrambi, Firenze, collezione Eredi Martini, ripr. ibid., nn. 57, 59), in cui emerge la sensibilità più squisitamente pittorica dell’artista che, proprio in questi anni, riprese a dedicarsi con maggiore assiduità alla pittura.
Nel corso degli anni Settanta e Ottanta, coronati da vari riconoscimenti pubblici, fra cui diverse importanti antologiche dedicate sia alla sua pittura sia alla sua scultura, il M. continuò a dividersi fra l’attività artistica, espositiva e didattica, e la scrittura: difatti, oltre a Chi ha paura va alla guerra, secondo romanzo autobiografico ispirato alle esperienze del periodo bellico, (Chiaravalle Centrale 1974), l’artista scrisse anche alcuni saggi su Donatello, Michelangelo e A. Rodin (poi raccolti in Scrittura e scultura, Firenze 1990). In questi anni il M., da sempre attaccato alle proprie origini contadine, andò ulteriormente rinsaldando i legami con la terra natale, lavorando spesso nella casa-studio di Seano. Qui, a partire dal 1981, l’artista, da sempre convinto sostenitore della funzione sociale dell’arte, si impegnò nella realizzazione di un parco-museo a lui dedicato, inaugurato nel 1988 e costellato da trentasei sculture bronzee, create appositamente per l’occasione o realizzate fondendo modelli della propria passata produzione, anche recente (Le amiche, 1972-78; L’attesa, 1980-81; Figure nella nebbia, 1983).
Parallelamente a questo progetto il M. continuò a coltivare i temi a lui cari, tornando sempre più spesso, in un processo di continuo ripensamento del proprio percorso artistico, a rielaborare opere del passato. Pur fortemente debilitato dalla malattia, l’artista lavorò sino agli ultimi giorni, come testimoniato da Autoritratto di fronte alla morte presso gli Eredi Martini a Firenze, ripr. ibid., p. 52).
Il M. morì a Firenze il 9 nov. 1990.
Nel febbraio-marzo 2008, in occasione del centenario della nascita, si è tenuta ad Arezzo (galleria Rielaborando) la mostra «Q. Martini. La Divina Commedia. Bassorilievi, disegni, litografie», corredata dal volume di D. Meli, Q. M. ad Arezzo (Firenze 2008).
Fonti e Bibl.: M. Masciotta, Q. M., in Scultura toscana del Novecento, a cura di U. Baldini, Firenze 1980, pp. 239-249; Q. M.: cento disegni 1927-1987 (catal.), s.l. [ma Firenze] 1987; Come un paese in una pupilla: paesaggio e figura nell’arte a Firenze tra le due guerre (catal.), a cura di M. Fagioli, San Miniato 1992, pp. 21-23, 79-103; La pittura in Italia. Il Novecento/1, Milano 1992, I, ad ind.; II, pp. 960 s.; Q. M. 30 ritratti: scrittori e artisti 1948-1986 (catal.), a cura di M. Fagioli, Firenze 1992; Parco-Museo Quinto Martini a Seano. Catalogo sculture, a cura di M. Fagioli, Carmignano 1997; Q. M., 1908-1990 (catal.), a cura di M. Fagioli - L. Minnunno, Firenze 1999; Q. M. Arte e impegno civile, a cura di L. Martini, Firenze 2000; Q. M. fra arte e letteratura. Atti della Giornata di studio…, a cura di F. Guerrieri, Carmignano 2001; Q. M.: 1908-1990, pittore e scultore, a cura di M. Fagioli, Firenze 2004; Q. M.: omaggio a Dante. Bassorilievi, pitture, disegni, litografie, a cura di L. Martini - T. Martini, Firenze 2006.