rabbia
La malattia che rende aggressivi
Il virus della rabbia può causare nell’uomo una grave malattia infettiva, ma in natura è soprattutto diffuso tra cani, gatti, volpi, roditori selvatici, nei quali è mortale. I pipistrelli possono essere infettati dal virus senza avere segni di malattia, ma possono trasmettere il virus ad altri animali. La rabbia è diffusa in tutto il mondo tranne che in Australia, Nuova Zelanda, Giappone e in alcune isole dei Caraibi
Il virus della rabbia appartiene alla famiglia dei rabdovirus e può essere trasmesso all’uomo da numerosi animali con la morsicatura, i graffi o per semplice contatto con zone della pelle che presentano anche piccole lesioni. Nei paesi in via di sviluppo, dove è diffusa la rabbia canina, esso è trasmesso principalmente attraverso il morso di cane; nei paesi industrializzati la trasmissione del virus all’uomo avviene, oltre che attraverso cani e gatti randagi, anche tramite animali selvatici. Da alcuni anni infatti in Europa, compresa l’Italia, la malattia si è diffusa tra le volpi che possono infettare, a loro volta, altri animali quali gatti, cani, bovini. Sono stati descritti rari casi di trasmissione interumana, dovuti al trapianto di cornea infetta.
Quando il virus penetra nell’ospite raggiunge, attraverso i nervi, il sistema nervoso centrale, dove si moltiplica e provoca una encefalite. Il periodo di incubazione (infezione) varia da 10 giorni ad alcuni anni, ed è sicuramente più breve quando le lesioni sono localizzate al capo, al collo oppure sono estese e profonde. In genere, comunque, la malattia si manifesta entro tre mesi e quando ciò accade l’esito è invariabilmente mortale.
Dopo una prima fase caratterizzata da dolore, bruciore, prurito nella sede di ingresso del virus e spesso febbre, cefalea e nausea, in tre quarti dei casi si verifica la fase di eccitazione (forma furiosa).
Il paziente è eccitato, aggressivo e presenta contrazioni muscolari che coinvolgono principalmente i muscoli dell’apparato respiratorio e degli occhi. Basta un soffio d’aria o il tentativo di bere a provocare la contrazione spasmodica dei muscoli rispettivamente della respirazione e della deglutizione (da cui il nome di idrofobia, cioè paura dell’acqua). In questa fase si verificano anche alterazioni della frequenza cardiaca, di quella respiratoria e della funzionalità urinaria. Quando gli episodi di asfissia diventano più frequenti e ravvicinati sopraggiunge la morte.
Negli altri casi (forma paralitica) prevalgono i segni di paralisi su quelli di eccitazione. Interviene una condizione di profonda apatia che generalmente porta in breve tempo al coma e alla morte.
La diagnosi di rabbia risulta facile quando il paziente riferisce di essere stato morso da un animale come il cane o la volpe, mentre è difficile in una condizione di malattia avanzata. Per essere certi dell’infezione è importante isolare il virus dalla saliva, dalle secrezioni nasali, dalle urine, dal liquido cefalo-rachidiano – presente nel nostro sistema nervoso centrale – e inocularlo nel cervello del topo di laboratorio, che muore dopo 1 o 2 settimane dall’inoculazione del virus della rabbia.
Quando si è morsicati da un cane o da un gatto randagio è importante lavare immediatamente la ferita con acqua e sapone e applicare alcol al fine di ridurre la carica virale. È consigliato poi il trattamento con anticorpi specifici, detti immunoglobuline, e la vaccinazione antirabbica. Gli animali considerati sospetti devono essere tenuti sotto osservazione per 10 giorni. Se entro questo periodo non si ammalano, la vaccinazione (che avviene in più fasi) può essere interrotta. La vaccinazione è raccomandata anche come misura di prevenzione nelle persone che hanno alto rischio di essere esposte ad animali rabbiosi.
La rabbia è un’emozione che consiste in un’ira furiosa, incontrollata e intollerante che, prima o poi, tutti abbiamo sperimentato. In questo caso il virus della rabbia non è il responsabile, perché essa è una reazione della parte più antica del nostro cervello – quella sottocorticale – che può manifestarsi in risposta a eventi esterni e che sfugge al nostro controllo.
Questa reazione è relativamente frequente nel bambino che, nella crisi di rabbia, si chiude in sé stesso e non è in grado di ascoltare nessuno, fino a che la crisi si spegne e il bambino spesso non ricorda neppure cosa l’ha provocata: «Mamma, perché piangevo?».