VALLONE, Raffaele (Raf). – Nacque a Tropea (Vibo Valentia)
il 17 febbraio 1916, figlio dell’avvocato torinese Giovanni e di Caterina Mottola.
Da bambino seguì la famiglia a Torino dove crebbe in un clima di idee progressiste. Frequentò il liceo classico Cavour e si laureò in filosofia e in giurisprudenza. Suoi professori furono Luigi Einaudi, Mario Fubini, Leone Ginzburg. Negli anni Trenta alternò lo studio al gioco del calcio. Dopo la trafila nel settore giovanile del Torino – fece parte dei rinomati Balon Boys –, debuttò in prima squadra nel 1935. Impegnato come centrocampista, partecipò ai mondiali universitari di Vienna del 1939. Con la maglia granata segnò cinque goal e vinse una Coppa Italia. Del Torino restò tifoso dopo il ritiro dal calcio nel 1941.
Con l’armistizio del 1943 Vallone entrò nella Resistenza aderendo al movimento Giustizia e Libertà. Catturato dai nazifascisti, riuscì a scampare alla deportazione in Germania fuggendo a nuoto attraverso il lago di Como. Ripresa la clandestinità nelle file azioniste di Torino si avvicinò anche ai partigiani delle Langhe. Con la Liberazione, dopo una breve esperienza come avvocato, si dedicò al giornalismo scrivendo recensioni di cinema e teatro e ricoprendo poi la mansione di redattore capo delle pagine culturali dell’edizione torinese del giornale l’Unità. Sulle colonne del quotidiano comunista accolse scritti di Italo Calvino, Cesare Pavese, Natalia Ginzburg e pubblicò poesie di Louis Aragon e Paul Éluard.
Nel 1946 Vallone iniziò a calcare le scene teatrali con la compagnia del teatro Sperimentale diretta dall’amico latinista Vincenzo Ciaffi: al teatro Gobetti di Torino recitò nel Woyzeck e nel dramma La morte di Danton di Georg Büchner e in Nozze di sangue di Federico García Lorca. In quello stesso anno con il gruppo Unione Culturale tentò di inaugurare il primo teatro stabile di Torino: la proposta fu però ritenuta prematura dall’amministrazione cittadina che preferì concentrare le attenzioni e le finanze sulla ricostruzione postbellica.
Dopo l’esordio cinematografico come comparsa nella pellicola Noi vivi (1942) di Goffredo Alessandrini, tornò sul grande schermo in Riso amaro (1949) di Giuseppe De Santis, accanto a Silvana Mangano e Vittorio Gassman. Autore di un’inchiesta giornalistica sul mondo delle mondine, Vallone si era guadagnato la scrittura nel film accompagnando De Santis e lo sceneggiatore Carlo Lizzani nei sopralluoghi alle risaie. Il secondo debutto cinematografico fu letteralmente fulminante: bruno con occhi chiari, espressione accattivante, fisico massiccio e muscoloso, nel giro di un solo anno Vallone dette vita ad alcuni dei personaggi più riusciti del cinema neorealista, su tutti l’emigrato zolfataro del film Il cammino della speranza (1950) di Pietro Germi. Sul set conobbe l’attrice Elena Varzi che sposò nel 1952 e con la quale ebbe la primogenita Eleonora e i gemelli Arabella e Saverio. Con lei interpretò altri film tra cui Il Cristo proibito (1951) di Curzio Malaparte; Los ojos dejan huellas (1952; Uomini senza pace) di José Luis Sáenz de Heredia; Gli eroi della domenica (1953) di Mario Camerini, in cui vestì i panni di un centravanti di una piccola squadra di provincia alle prese con il mondo del calcioscommesse; il film bellico Siluri umani (1954) di Antonio Leonviola.
A suo agio in pellicole d’autore, Vallone si affermò rapidamente come icona di un cinema al contempo impegnato e popolare. I suoi personaggi, per lo più umili, rudi, muniti di specchiata onestà e di un profondo senso della giustizia, lo imposero come il volto buono dell’amaro dopoguerra italiano. Capace di rivaleggiare per fascino con Amedeo Nazzari e Massimo Girotti, Vallone si trovò spesso a recitare con alcune delle più avvenenti e brave attrici dell’epoca: Gina Lollobrigida (Cuori senza frontiere, 1950, di Luigi Zampa), Lucia Bosè (Non c’è pace tra gli ulivi, 1950 e Roma ore 11, 1952, di De Santis), Silvana Pampanini (Le avventure di Mandrin, 1952, di Mario Soldati), Antonella Lualdi (Perdonami!, 1953, di Mario Costa), Martine Carol (La spiaggia, 1954, di Alberto Lattuada). Accanto ad Anna Magnani fu Giuseppe Garibaldi in Camicie Rosse (1952) di Alessandrini e Francesco Rosi. Recitò poi con Sophia Loren nel film Nel segno di Venere (1955) di Dino Risi – fu questa la sua migliore prova nel poco battuto genere leggero – e nella Ciociara (1960) di Vittorio De Sica.
Grazie al consolidamento della sua fama, Vallone fu presto ricercato dai cineasti francesi. La grande occasione per la notorietà arrivò con la pellicola Thérèse Raquin (1953) di Marcel Carné in cui recitò al fianco di Simone Signoret. Degne di nota furono le successive collaborazioni con i registi Jean Delannoy (Obsession, 1954, Domanda di grazia), Christian-Jacque (episodio Lysistrata del film Destinées, 1954, Destini di donne) e l’antifranchista spagnolo Juan Antonio Bardem (La Venganza, 1958, Ho giurato di ucciderti). La garçonnière (1960) di De Santis, in cui interpretò un marito borghese di mezza età attratto da una ragazza giovane e bella, segnò una tappa significativa nella maturazione espressiva dell’attore in direzione dell’approfondimento psicologico dei personaggi.
A Parigi Vallone frequentò gli ambienti più esclusivi della cultura e strinse amicizia con Jean-Paul Sartre, Pablo Picasso e Albert Camus. Dette inoltre vita alla sua interpretazione teatrale più acuta e profonda in Vu du pont (Uno sguardo dal ponte) di Arthur Miller per la regia di Peter Brook. Lo spettacolo, in cui Vallone apportò modifiche al finale del copione originale tradotto da Marcel Aymé, fu trionfalmente replicato al théâtre Antoine per ben cinquecentottanta volte tra il 1958 e il 1960: tra le spettatrici più assidue vi fu Brigitte Bardot con cui in quel periodo l’attore strinse una breve relazione sentimentale. Al protagonista della trama, il portuale italiano emigrato a New York Benny Carbone, Vallone seppe dare una persuasiva concretezza scenica avvalorata dall’evocativo accento straniero del suo francese parlato. Sulla scia di quel successo, nel 1961 il regista Sidney Lumet chiamò l’attore a Brooklyn per girare la trasposizione cinematografica della pièce. Il film fruttò a Vallone una nomination all’Oscar e il David di Donatello come miglior interprete.
Divenuto un astro del divismo italiano d’esportazione, in compagnia di latin lover come Rossano Brazzi e Marcello Mastroianni, Vallone mantenne un profilo da antidivo custodendo gelosamente la riservatezza della vita in famiglia e coltivando il piacere delle letture. Lontano dai riflettori della mondanità, frequentò i più grandi artisti del suo tempo: da Charlie Chaplin a Maria Callas, da Salvador Dalí a Marlene Dietrich, da Rudolf Nureev a Frank Sinatra. Per i suoi tratti mediterranei fu chiamato a recitare il tipo dell’italiano schietto e ricco di umanità in numerose coproduzioni cinematografiche internazionali: The cardinal (1963; Il cardinale) di Otto Preminger, The secret invasion (1964; Cinque per la gloria) di Roger Corman, The Kremlin letter (1970; Lettera al Kremlino) di John Huston e più tardi Lion of the desert (1981; Il leone del deserto) di Moustapha Akkad. In abito cardinalizio interpretò un cammeo a fianco di Al Pacino in The Godfather: Part III, (1990; ll Padrino parte III) di Francis Ford Coppola.
Tra le oltre settanta pellicole a cui prese parte nel corso della carriera, Vallone comparve nella megaproduzione hollywoodiana El Cid (1961) di Anthony Mann, nel picaresco western Nevada Smith (1966) di Henry Hathaway, in cui recitò con Steve McQueen, nel poliziesco La morte risale a ieri sera (1970) di Duccio Tessari, nell’avventuroso Rosebud (1975; Operazione Rosebud) di Preminger. Nel 1970 tentò con poca fortuna la via della regia: il suo In autunno un anno dopo rimase infatti inedito. A partire dagli anni Ottanta l’attività cinematografia di Vallone si limitò a poche pellicole: l’ultima apparizione fu accanto alla moglie Elena Varzi nel film Toni (1999) di Philomène Esposito.
In Italia l’attore conobbe l’apice della sua popolarità grazie alla partecipazione come protagonista a sceneggiati televisivi di grande successo: nel brontiano Jane Eyre (1957, regia di Anton Giulio Majano) fu Rochester al fianco di Ilaria Occhini; nel riuscitissimo Il mulino del Po (1963, regia di Sandro Bolchi) fece coppia con Giulia Lazzarini vestendo i panni di un ex soldato napoleonico; in Marco Visconti (1975, regia di Majano) impersonò il ritratto di un eroe romantico ante litteram sullo sfondo degli intrighi di palazzo della Milano del Trecento. Nel 1972 Vallone condusse sulla rete nazionale insieme a Gianna Querel il varietà musicale Il suo nome per favore. In ruoli di fianco recitò in kolossal internazionali per la televisione tra cui The scarlet and the black (1983; Scarlatto e nero), di Jerry London, insieme a Gregory Peck e Christopher Plummer; Christopher Columbus (1985; Cristoforo Colombo) di Alberto Lattuada; Goya (1985) del regista spagnolo José Ramón Larraz; A season of giants (1991; La primavera di Michelangelo) di London; The first circle (1992) di Sheldon Larry. La sua ultima apparizione sul piccolo schermo fu nel film Vino santo (2000) di Xaver Schwarzenberger.
Al teatro Vallone si dedicò con slancio nella seconda parte della carriera: quasi sempre scelse lavori poco ovvi, non disdegnando personaggi dai toni chiaroscurali. A Londra ripropose in lingua inglese il cavallo di battaglia milleriano A view from the bridge (1960) e recitò The duchess of Malfi (1960) con la Royal Shakespeare Company. Per le scene parigine curò la sfortunata riduzione teatrale del romanzo Le repos du guerrier (1961) di Christiane Rochefort. Calcò poi i palcoscenici di Broadway nella commedia Rich little rich girl (1964) di Hugh Wheeler. A Santa Fe nei primi anni Settanta frequentò con molto interesse la scuola di recitazione Theatre of all possibilities diretta dall’ecologo John Allen. Vallone esordì poi come autore teatrale con il dramma psicologico, da lui diretto e recitato, Proibito? Da chi? (1970): il testo fu accolto tiepidamente dalla critica. Successivamente interpretò Sei personaggi in cerca d’autore (1973) di Luigi Pirandello nella versione francese diretta da Julien Bertheau e, per la regia di Fantasio Piccoli, Il costruttore Solness (1975) di Henrik Ibsen. Nel 1980 tradusse e diresse la versione italiana di Uno sguardo dal ponte recitando insieme ad Alida Valli. Tornò a Miller con Il prezzo (1987) di cui curò anche la regia.
Al Piccolo Teatro di Milano, dove negli anni Sessanta aveva rinunciato a un Antonio e Cleopatra perché in polemica con la traduzione di Salvatore Quasimodo, Vallone esordì, diretto da Klaus Michael Grüber, in Nostalgia (1984) di Franz Jung. Sotto il magistero di Peter Stein si impose alla Comédie-Française di Parigi nello shakespeariano Tito Andronico (1989) prodotto dal teatro Stabile di Genova in collaborazione con il teatro dell’Ateneo di Roma. Guidato da Krzysztof Zanussi fu lo spregiudicato manipolatore televisivo del dramma Il presidente (1991) di Rocco Familiari. Vallone dette poi ottime prove in Tommaso Moro (1993), testo di epoca elisabettiana da lui rielaborato in versione impegnata, e Desiderio sotto gli olmi (1994) di Eugene O’Neil. Dopo quest’ultimo spettacolo abbandonò le scene teatrali. Nel repertorio dell’attore figuravano opere di Jean Anouilh, Bertolt Brecht, Diego Fabbri, Terence Rattigan, Ivan Turgenev e altri autori.
Vallone firmò anche regie liriche: Norma di Vincenzo Bellini (1974, teatro Stabile di Torino) ebbe come protagonista il soprano Renata Scotto; Adriana Lecouvreur di Francesco Cilea (1977, teatro di San Francisco) fu ripresa al Metropolitan di New York con l’interpretazione di Placido Domingo. Nel 1984 diresse al teatro d’opera di Montecarlo una versione di Vu du pont su musiche di Renzo Rossellini. Due anni più tardi allestì una Traviata (1986, teatro Rendano di Cosenza).
Uomo curioso ed elegante, in tutta la carriera Vallone si distinse per rigore professionale e passione civile. Nel 2001 pubblicò il volume autobiografico Alfabeto della memoria.
Morì a Roma il 31 ottobre 2002.
Fonti e Bibl.: Il volume autobiografico Alfabeto della memoria (a cura di F. Sepe, Roma 2001) contiene l’introduzione di Carlo Lizzani, quattro poesie di Catullo tradotte da Vallone ai tempi del liceo e il soggetto di un film mai realizzato (Il volo di New York). Rimase su carta anche un secondo soggetto cinematografico di Vallone ispirato a un racconto di Oriana Fallaci sulla rivolta ungherese del 1956. Tra le voci in enciclopedie e dizionari biografici è tuttora valida, per notizie sulla prima parte della carriera dell’attore, quella nell’Enciclopedia dello spettacolo, IX, Roma 1962, coll. 1408-1409. Per l’attività teatrale si rinvia al Dizionario dello spettacolo del ’900, a cura di F. Cappa - P. Gelli, Milano 1998, pp. 1114 s. Per un inquadramento del lavoro svolto dall’attore per il piccolo e grande schermo si consultino, rispettivamente, la voce nell’Enciclopedia della televisione Garzanti, a cura di A. Grasso, Milano 2008, pp. 881 s., quella di R. Poppi, V. R., in Dizionario del cinema italiano. Gli attori, a cura di R. Chiti et al., Roma 1998, pp. 518 s. e quella di G. Nisticò, V. R., in Enciclopedia del cinema, V, Roma 2004, p. 293. Tra i profili biografici dell’attore apparsi sui quotidiani si vedano: Addio a R. V. grande attore e anti-divo, in la Repubblica, 31 ottobre 2002 (edizione on-line); M. d’Amico, Uno sguardo da R. V., in La Stampa, 1° novembre 2002; A. Crespi - R. Nicolini, Tutte le vite di Raf Vallone, in l’Unità, 1° novembre 2002. Un ritratto biografico dell’attore si trova in Uno “sguardo” controcorrente. Omaggio a R. V., a cura di C. Bertieri, s.l. [2008], pp. 5-24. Tra i documenti audiovisivi si segnala il documentario-intervista di D. Baglivo, R. V. Uno sguardo dal mare, 2000. All’attore è stata dedicata la pagina web: http://poro.it/rafvallone/ (31 gennaio 2020).