CAVERNI, Raffaello
Nacque il 12 marzo 1837 a San Quirico di Montelupo (Firenze), terzogenito di Vincenzo - piccolo imprenditore di materiali edili - e Assunta Mancioli. Frequentò le elementari del paese; orientatosi tredicenne verso il sacerdozio, prosegui gli studi a Firenze nel collegio Eugeniano e presso gli scolopi di S. Giovannino. All'Istituto Ximeniano ebbe a maestri due rinomati studiosi, gli scolopi G. Antonelli ed E. Barsanti, docenti di astronomia e matematiche superiori, meccanica e idraulica. Nel '59 - l'anno precedente l'ordinazione sacerdotale - fu inviato nel seminario di Firenzuola, a insegnarvi filosofia e matematica (secondo il Martini, dogmatica, scienze naturali e matematica). Alla fine del '70 gli fu affidata la parrocchia di Quarata Antellese, nel comune di Bagno a Ripoli, vicino a Firenze: ciò gli permise d'intensificare le ricerche di biblioteca. Morì a Quarata (Quarate) il 30 genn. 1900, dopo una vita dedicata agli studi e ai doveri religiosi - le fonti biografiche lo indicano come sacerdote di esemplare coerenza -, ma povera di eventi. Unico fatto notevole, la vittoria al concorso bandito dall'Istituto veneto per un lavoro sul tema "Storia del metodo sperimentale in Italia".
Con disposizione testamentaria del dicembre 1879 tal G. Tomasoni aveva lasciato all'Istituto suddetto la somma di cinquemila lire, da assegnare come premio "a chi detterà meglio la storia del metodo sperimentale in Italia". L'Istituto formulò il tema nel modo seguente: "Esporre le vicende ed i progressi del metodo sperimentale in Italia, principalmente studiatonelle sue applicazioni alle scienze fisiche, con particolare riguardo a tutto ciò che esso offre di notevole nei quattro secoli fra il principio del quindicesimo e la fine, del decimottavo, comprendendo la scoperta della pila voltaica. A compiere la trattazione del quesito basterà aggiungere un ragguaglio, storico, ristretto all'Italia, sul progressivo e rapido svolgimento, non solo delle scienze fisiche, ma benanco delle economiche e sociali per opera del metodo sperimentale". La commissione presieduta da A. Favaro attribuì il premio al C. nel febbraio del 1890 per un manoscritto "di proporzioni veramente colossali", abbozzo della futura Storia del metodo sperimentale in Italia, in cinque volumi più uno postumo.
Nel '72 aveva cominciato a pubblicare Ricreazioni scientifiche sul periodico fiorentino La Scuola, per proseguirle su Letture di famiglia: note divulgative con parti storiche, poi (1882) - come riferisce G. Giovannozzi - raccolte in un volume, oggi irreperibile. Sugli stessi periodici pubblicò articoli intitolati Consigli sopra allo studio delle lettere a un giovanetto, anche questi raccolti nel volume Dell'arte dello scrivere (Firenze, 1879). Ma il primo libro del C. è del '74, edito a Firenze dal Sansoni: Problemi naturali di Galileo Galilei e di altri autori della sua scuola. È un'opera dedicata ai giovani, con l'intento di mostrare come la curiosità naturalistica di Galileo e della scuola galileiana si fosse aperta la strada verso la spiegazione scientifica di fenomeni di comune esperienza.
Nella prefazione scriveva: "L'intenzione mia fu non solo di dichiarare i luoghi più oscuri e d'accennare a que' fatti naturali, che l'esperienza ha mostrato oggidì non essere stati bene dagli antichi osservati, e che la scienia moderna ha spiegato altrimenti; ma d'aprire in esse, come uno spiraglio, donde potessero i giovani scoprire un campo più vasto, di far vedere come alcune invenzioni e dottrine, che paiono venuteci nuove di Francia e di Germania, ci furono insegnate assai prima da' nostri, e mostrare, a chi accusa di povertà l'Italia, una piccola parte almeno de' suoi tesori nascosti". La Storia, di anni successivi, si preannunziava con un suo elemento costitutivo: l'interesse per la priorità delle scoperte, e la rivendicazione del contributo italiano al progresso scientifico.All'esperto conoscitore dell'opera galileiana si affiancava il dantista con il Dizionario di voci e modi dell'uso popolare toscano nella Divina Commedia (Firenze 1877), che pare abbia avuto buona diffusione. Ma il lavoro significativo del C., prima della Storia, ècostituito dalla serie degli articoli Sulla filosofia delle scienze naturali, usciti nel,'75 e '76 sulla Rivista universale.
Il periodico era nato nel 1863 con il titolo Annali cattolici, e lo conservò come sottotitolo quando, nel '66, mutò la testata. Mentre gli Annali avevano prevalentemente affrontato temi religiosi, la Rivista universale si aprì alla filosofia, alla politica, alla storia e alla letteratura. Il periodico si proponeva d'essere strumento di presenza nella vita civile dei cattolici, minacciati di emarginazione: respingeva il concetto dell'autonomia reciproca di Chiesa e Stato e "la sfrenatezza dell'errore confusa colla libertà di pensiero", ma ammetteva il "libero svolgimento delle, particolari opinioni ogni qual volta, queste non vadano a ferire la religione e la libertà". In un tal quadro programmatico il C. poté inserire la sua disamina del darwinismo, con larga libertà di giudizio e con critiche pungenti al mondo ecclesiastico.
Già negli anni Sessanta Firenze era stato un centro di vivaci dibattiti sulla teoria della discendenza: lo ha dimostrato G. Landucci (Darwinismo a Firenze. Tra scienza e ideologia 1860-1900, Firenze 1977), che peraltro ignora gli scritti del Caverni.
Tra i più accesi detrattori fiorentini del Darwin, lo scolopio Antonelli, che all'inizio dell'anno scolastico 1866-67 aveva attaccato le teorie di "qualche imbecille straniero", secondo le quali "nostra prima madre dovette essere una scimmia schifosa, nostro progenitore un fetente Urango o un Babbuino, nostri fratelli Mandrilli, sorelle nostre le Bertucce, parenti un branco di bestie". Altri antidarwinisti, R. Lambruschini, G. Capponi e, stille pagine della Nuova Antologia, T. Mamiani. Tra i sostenitori di Darwin, erano invece il filosofo M. Schiff e il naturalista A. Herzen, mentre P. Mantegazza, nella prolusione del '70 al corso di antropologia, affermava la necessità di acquisire "fatti provati", ai quali rischiava di sostituirsi "il sogno dell'impazienza febbrile". Le vedute del C. si possono così riassumere: l'evoluzione ha bisogno della creazione di virtualità insite nella natura, perché ne abbiano origine le forme viventi; il caso e la selezione naturale non bastano a spiegare le strutture della vita. Gli articoli citati furono dal C. raccolti. in volume ed editi a Firenze nel '77, con il titolo De' nuovi studi della filosofia, discorsi diR. C. ad un giovane studente. L'opera fu messa all'Indice nel luglio dell'anno successivo.
La teoria della discendenza è esposta dal C. in maniera divulgativa, ma affiora in più punti la tesi filosofica, che in Darwin manchi un concetto della natura atto a spiegare la filogenesi. Inoltre le ipotesi del Darwin "sembrano strane nella trasformazione delle classi, in quelle delle varietà nelle specie sembrano assai più probabili". Ma ecco un accenno, confuso, a quella che si chiamerà la ricapitolazione della filogenesi nell'ontogenesi. Mancava, e sempre sarebbe mancata, nel C. l'attenzione ai singoli passaggi concettuali della teoria scientifica: egli preferiva affrontarla in radice, nel caso del Darwin partire da "le osservazioni naturali e le speculazioni di lui", per integrare tutto ciò con il "domma di un Essere personale che crea la materia prima dal nulla, e infusa in essa la necessaria virtù lascia che si svolga poi essa stessa, dirigendone però sempre l'opera con la sua assistitrice Sapienza". Accorata l'apostrofe ai "confratelli ecclesiastici, e colleghi in quell'altissimo ufficio che ci affidò G. Cristo, a voler mostrarsi nel confutare più dotti, nel persuadere più eloquenti, nel correggere più miti". La messa all'Indice, secondo G. Giovannozzi, derivò proprio dalle critiche agli ambienti ecclesiastici.
Altra serie, analoga, di articoli su L'antichità dell'uomo, uscitisullo stesso periodico, fu raccolta in volume nel 1881(Firenze).
Il C., questa volta, è più scettico sulla credibilità degli scienziati ossia dei paleontologi. "Che venisse l'uomo ad acquistar l'impero di questa terra, dappoiché la superficie di lei ebbe preso pei diluvii e pei ghiacci questo assetto formoso di colli e di monti, maremme e di valli, è un fatto, in che oramai convengono quasi tutti i geologi, ma impossibile ai paleontologi il porre il cominciamento alla successione di quegli che sarebbero corsi da quei geologici. avvenimenti infino a noi" (p. 274). Troviamo qui un postulato epistemologico, che spiega come la Storia si sarebbe poi costruita sul ritmo delle scoperte di strumenti e proprietà della natura: "L'induzione ci assicura del fatto. La debolezza dell'antropologia fisica dipende dalla frammentarietà dei fatti di cui dispone".
Tra il 1884 e l'88 il C. pubblicò altri lavori divulgativi, di media dimensione: L'estate in montagna. Nozioni di fisica (Firenze 1884); Fra il verde e i fiori. Nozioni di botanica (ibid. 1886); Con gli occhi per terra. Nozioni intorno alla natura e alle proprietà di alcune sostanze minerali (ibid. 1888). Le spiegazioni scientifiche s'inseriscono in racconti alquanto leziosi, in maniera spesso didatticamente efficace. Ma questi lavori, e i precedenti ad essi analoghi, non avrebbero giovato alla Storia del metodo sperimentale in Italia, togliendole, per abitudine acquisita dall'autore, sobrietà e rigore di argomentazione, nonché ordine e chiarezza intrinseci.
Come s'è detto, il maggior lavoro del C. trasse origine da un concorso del R. Istituto veneto, per un premio da attribuire "a chi detterà meglio la storia del metodo sperimentale il Italia".
Il bando di concorso, forni ulato dall'Istituto, circoscriveva la trattazione alle scienze fisiche dall'inizio del Quattrocento alla fine del Settecento, con un "ragguaglio storico" sulle scienze economiche e sociali. Furono presentati due lavori, che la commissione giudicò insoddisfacenti. A un secondo bando, pubblicato con il sottinteso che sarebbero state accolte trattazioni parziali purché di eccezionale valore, il C. presentò un lavoro "di proporzioni veramente colossali". Nella relazione, datata febbraio 1890, A. Favaro ne illustrava i pregi e le mende, e concludeva che esso rappresentava "ad esuberanza" la monografia più ristretta, che la Giunta dell'Istituto s'era detta disposta a considerare. Le disposizioni del testatore prevedevano che il premio sarebbe stato erogato dopo la pubblicazione dell'intera opera, a carico dell'autore. Alle spese, ingenti, sovvenne l'editore di giornali A. Civelli: il C. da parte sua rielaborò sostanzialmente il manoscritto. Dal 1891 al 1898 uscirono a Firenze cinque volumi, per quasi tremilacinquecento pagine: morto il C. nel gennaio 1900, nel 1910 uscì un sesto volume, incompleto.
Il lavoro si apre con un "discorso preliminare", "Dell'origine e de' progressi del metodo sperimentale in Italia", che da una breve premessa filosofica. antimetafisica e antisensistica, e orientata verso la filosofia del senso comune di Th. Reid, muove alla disamina delle grandi tradizioni scientifiche - platonismo, aristotelismo, empirismo - e si diffonde in aspre accuse a Galilei, cui il C. avrebbe poi contestato la priorità di alcune scoperte (ad es., il termoscopio, rispetto al Santorio), e attribuito vere e proprie frodi (ad es., a danno di B. Castelli, per la scoperta delle fasi di Venere). Il "discorso" prosegue fino al Newton, con la "filosofia newtoniana" arriva al Volta, e sfocia in Darwin "restauratore della scienza sperimentale". Nelle ultime battute, c'è la chiave di lettura dell'intera opera:"In qualunque modo, è stato nostro sollecito studio di scansare il mal vezzo del creder vere e del raccontar per vere le cose, perché altri prima di noi l'hanno dette" (I, p. 262).
La Storia del C. è, in effetti, un'immensa congerie di materiali desunti dalla lettura di testi e dalla frequentazione di biblioteche e archivi. Il primo volume contiene il "discorso", citato, e otto capitoli sugli strumenti del metodo sperimentale (termometro, orologiá a pendolo, cannocchiale e annessi, barometro, macchina elettrica e pila voltaica, microscopio, corno acustico, igrometro, pluviometro); il secondo volume ('92) è dedicato alle scienze fisiche e all'astronomia; il terzo ('93) all'anatomia, fisiologia, zoologia, botanica e mineralogia; il quarto ('95) e il quinto ('98) alla meccanica; il sesto (1910), postumo e incompleto, all'idrostatica e idrodinamica. Il Favaro, nel necrologio del C., avrebbe parlato della "più ricca raccolta di materiali per la storia della Scuola Galileiana: la quale da nessun altro prima di lui era stata tanto ampiamente e dottamente illustrata" (1899-1900, p. 379). In assenza d'un robusto impianto concettuale, l'opera si sarebbe dovuta costruire come un ordinato e chiaro registro di autori e fonti, di strumenti e leggi, e fors'anche di idee. Invece, muovendo da affennazioni filosofiche sfocate - avrebbe influito su di lui anche il Rosmini, secondo G. Giovannozzi (Un tedesco di Montelupo, p. 265) -,mirò ad attribuire la priorità delle singole scoperte scientifiche, e a rivendicare i meriti della scienza italiana. Aspre, e affidate ad argomenti contorti o a vere manipolazioni di testi, le censure a Galilei, che si sarebbe appropriato di scoperte altrui per "voler essere in tutto il primo e il solo" (I, p. 128). Secondo i contemporanei, la crociata antigalileiana mosse o da rancore del C. per l'esclusione dalla commissione incaricata di curare l'edizione nazionale, o da suscettibilità per le critiche mossegli dal Favaro nella relazione di concorso, o da incauta e acritica fiducia in se stesso. G. Schiaparelli, recensendo il primo volume della Storia, aveva parlato, come poi avrebbe il Favaro, del "più gran corpo di storia scientifica che vanti la letteratura italiana" (La storia del metodo sperimentale in Italia, p.430); C. Del Lungo, su un numero dell'Archiviodi storia della scienza dedicato al C. (1919-1920), si sarebbe espresso con severità sulla "mole del lavoro, la sua prolissità, l'artificiosità del linguaggio e il disordine generale" (p. 282), ed E. Wohlwill, sulla base di una minuziosa documentazione, avrebbe denunziato il "romanzo" antigalileiano del Q; rispettose le citazioni di A. Koyré in Etudès galiléennes; di recente, E. Garin s'è riferito alla Storia come a "un'opera a torto dimenticata".
Bibl.: Per una rassegna bibliografica completa dei lavori del C. si veda Arch. di storia della scienza, I(1919-20), pp. 264-265. Sul C. si vedano, invece, G. Giovannozzi, Un tedesco di Montelupo, in La Rass. nazionale, 1°febbr. 1910, pp. 257-274, e R.C. e la sua "Storia del metodo sperimentale"in Arch. di storia della scienza, I(1919-20), pp. 266-271; C. Del Lungo, La "Storia del metodo sperimentale in Italia" di R.C., ibid., pp. 272-282; A. Favaro, Galileo Galilei, Benedetto Castelli e la scoperta delle fasi di Venere, ibid., pp. 283-296, e, prima, R.C., in Atti del R. Ist. veneto di scienze, lettere ed arti, LIX (1899-1900), 2, pp. 377-379. Si vedano, infine, G. Schiaparelli, "La storia del metodo sperimentale in Italia", in IlPensiero scientifico, II(1892), pp. 405-30; E. Wohlwill, Die Entdeckting der Parabelform der Wuflinie, in Abhandlungen zur Gesch. der Mathematik, IX(1899), pp. 579-624; T. Martini, R.C. e la sua "Storia del metodo sperimentale in Italia", in Ateneo Veneto, XXIV(1902), pp. 291-321; L. Olschki, Geschichte der neusprachlichen wissenschaftlichen Literatur, Heidelberg 1919-27, II, p. 49; III, p. 128; A. Koyré, Etudes galiléennes, Paris 1939, ad Indicem; E. Garin, Scienza e vita civile nel Rinascimento italiano, Bari 1965, pp. 60, 80; G. Tabarroni, in R. Caverni, Storia…, edizione anastatica, Bologna 1970, pp. I-XVII; Dizionario letterario Bompiani delle opere e dei personaggi, Opere, VII, pp. 164 s.