FABRETTI, Raffaello
Nacque ad Urbino intorno al 1620, da Gaspare.
Effettuò i primi studi a Cagli, dove apprese le lettere classiche. Tornò poi ad Urbino, dove si laureò in utroque iure all'età di diciotto anni (Crescimbeni, Le vite..., p. 94). Fu quindi inviato dalla famiglia a Roma presso il fratello Stefano, che vi esercitava l'avvocatura. Qui, mentre iniziava a coltivare i suoi interessi archeologici ed epigrafici, si mise in luce nella pratica delle leggi, tanto da essere scelto dal cardinale Lorenzo Imperiali per un'importante commissione in Spagna. A Madrid seppe svolgere così bene il suo compito che l'Imperiali lo propose ad Alessandro VII per la carica vacante di tesoriere della nunziatura di Spagna.
Rimase in Spagna circa nove anni, e per un certo periodo assunse la carica di uditore generale della nunziatura. Nel viaggio di ritorno, compiuto nel 1664 insieme al cardinale Carlo Bonelli, che era stato nunzio in Spagna dal 1656 al 1664, ebbe modo di conoscere alcuni dei più importanti eruditi del tempo (a Parigi, Mabillon e Montfaucon), con i quali mantenne in seguito rapporti di amicizia e di corrispondenza. Tornato a Roma, gli fu conferita la carica di giudice capitolino degli appelli; fu quindi chiamato dal cardinale Carlo Cerri, legato di Urbino dal 1670 dopo che il Ducato era stato devoluto alla S. Sede, come uditore della legazione. Trascorsi tre anni in Urbino (1670-1673), accettò l'invito di tornare a Roma rivoltogli dal cardinale vicario Gaspare di Carpegna, che gli diede l'incarico di stendere gli editti pontifici e le altre pubblicazioni attinenti al suo ufficio, e l'incombenza di sovrintendere agli scavi nelle catacombe e alla custodia delle reliquie e degli oggetti ivi reperiti, carica che tenne per più di dieci anni. Quest'ultimo incarico si conciliava particolarmente con i desideri del F., sempre più interessato alla ricerca archeologica ed epigrafica.
Il F. ispezionò per parecchi anni a fondo la Campagna romana, in cerca di edifici antichi e di iscrizioni, trascrivendo e disegnando tutto ciò che trovava. Primo prodotto delle sue ricerche e delle sue scoperte fu un trattato sugli acquedotti romani e su questioni topografiche del Lazio ad essi collegate, De aquis, et aqueduetis veteris Romae disceptationes tres (pubblicato nel 1680 a Roma e Parigi), opera accompagnata da un notevole apparato illustrativo, nella quale il F. recò un forte contributo filologico al De aquae ductu di Frontino.
L'opera ebbe una ristampa (Romae 1788), arricchita di note bibliografiche ed esplicative a pie' di pagina. Nel volume il F. attaccava Jacob Gronov, professore a Leida, sull'interpretazione di un passo di Tito Livio riguardo al sito dell'antico monte e della località di Algido e sulle correzioni alla topografia del Lazio di Atanasio Kircher, contenute nell'opera del Gronov Epistolae in quibus multa Titi Livii loca geographica emendantur, Amstelodami 1678; l'olandese scrisse un opuscolo fortemente polemico di Responsiones ad Raphaelis Fabretti cavillationes, Leidae 1684, nel quale, facendo allusione al nome del F., lo chiamava "faber rusticus"; ad esso rispose altrettanto violentemente il F., che col nome arcadico di Iasiteo pubblicò Ad Iacobum Gronovium apologema in eiusque Titilivitia sive Soninia de Tito Livio animadversiones, con la falsa indicazione di Napoli (ma in realtà Roma) 1686. Della controversia si occupò anche Michel Germain, benedettino, collaboratore di Jean Mabillon (Valéry, Correspondance..., I, pp. 195 s.), che, pur prendendo le parti del F., si proponeva di moderare le pesanti ingiurie al Gronov contenute nell'opuscolo di replica dell'italiano.
Il F. pubblicò poi un'opera sulla colonna Traiana, dove, per mezzo di iscrizioni e medaglie, tessé la storia della prima e seconda guerra dacica di Traiano, e dove trattò anche della Tabula Iliaca Capitolina, conservata riei Musei Capitolini di Roma (di cui il F. fu il primo ad occuparsi, aggiungendo il disegno del rilievo in una tavola fuori testo), e degli emissari del lago del Fucino: De Columna Traiani Syntagma, accesserunt explicatio veteris tabellae anagliphae Homeri Iliadem, atque ex Stesichoro Arctino et Lesche Ilii excidium continentis, et emissarii lacus Fucini descriptio (Romae 1683, e poi 1690). Alla p. [421] è inserito un opuscolo non paginato, contenente la Historia utriusque belli Dacici... di Alfonso Chacon.
L'opera contesta parecchi punti della Colonna Traiana... pubblicata a Roma nel 1671 con i commenti di Giovanni Pietro Bellori alle incisioni di Pietro Santi Bartoli. In essa il F. fece largo uso del metodo comparativo per interpretare e porre in luce le figure poco caratterizzate dei bassorilievi.
Divenuto papa Alessandro VIII (1689), il F. fu nominato segretario dei memoriali. Il papa si affidava spesso al suo consiglio e lo incaricava delle leggende da apporre sulle monete emesse durante il suo pontificato. Sempre sotto Alessandro VIII, fu incaricato di compilare le iscrizioni per due fontane delle acque Alsietine, una sul Gianicolo ed una nell'arco sulla via Aurelia presso villa Pamphili. Alessandro VIII gli conferì un canonicato nella chiesa di S. Lorenzo in Damaso e uno in S. Pietro, nonostante il F. avesse preso, degli ordini maggiori, solo il suddiaconato, ed in età senile.
Morto Alessandro VIII (1691), il F., più libero da impegni e da uffici, poté dedicarsi completamente ai suoi studi preferiti, quelli epigrafici; era in corrispondenza con Jacob Spon, l'unico, secondo La Blanchère (Histoire..., p. 29), che potesse essergli paragonato per tali studi; abitava in quella parte del rione di Borgo detta Città Leonina, dove aveva preso a pensione una casa costruita su disegno di Baldassarre Peruzzi. Questa casa divenne luogo di visita obbligatorio per tutti coloro che si interessavano di antichità romane, dato che la fama dei F. si era assai allargata ed egli era considerato l'epigrafista principe del suo tempo. Il fiorire degli studi di archeologia nella seconda metà dei Seicento trovava un punto di riferimento in figure come quelle del F. e di Giovanni Giustino Ciampini, cui si rifacevano i giovani Filippo Buonarroti e Francesco Bianchini. Il F. fu anche intimo del Mabillon, e quando il benedettino francese visitò l'Italia (1° apr. 1685 - 2 luglio 1686) gli fece spesso da guida, insieme con il Ciampini, gli donò e ne ricevette in cambio dei libri, e gli offri le più varie informazioni, rimanendo poi in contatto epistolare. Fu anche in corrispondenza con i maggiori eruditi a lui contemporanei che si occupavano di epigrafia e antichità romane.
Innocenzo XII lo chiamò ancora, pur avendo egli più di settant'anni. ad una carica pubblica, quella di prefetto dell'Archivio apostolico, custodito in Castel Sant'Angelo, carica di massima delicatezza e fiducia, dove ebbe come coadiutore, da lui stesso caldeggiato, Giovanni Mario Crescimbeni.
Nel frattempo il F. portò a termine la sua opera più importante, una vastissima raccolta di iscrizioni antiche: Inscriptionum antiquarum, quae in aedibus paternis asservantur, explicatio et additamentum, Romae 1699 (ristampa ibid. 1702), frutto delle sue continue indagini nella Campagna romana e della sua collezione di antichità, che era andata sempre aumentando e che fece trasportare ad Urbino (1687), ornandovi in parte le mura della casa paterna, ed in parte sistemandola, insieme ad altri monumenti di antichità, nell'antico palazzo dei duchi.
Nell'opera il F. si propose di illustrare la parte epigrafica col corredo di altre iscrizioni esistenti altrove, valendosi delle schede possedute dai Barberini e del museo raccolto dal cardinale Francesco Barberini con l'aiuto di L. Holste, L. Allacci, e di altri. I testi delle iscrizioni davano al F. l'occasione di affrontare i più vari argomenti di antichità romana, tutti trattati sulla base delle fonti scritte e dei monumenti. Nell'opera il F. riunì 4676 iscrizioni, delle quali 428 del suo museo distinguibili per la diversa numerazione (numeri romani per le iscrizioni di proprietà del F., arabi per le altre). Le iscrizioni sono ordinate per classi; nelle poche riproduzioni (silografie) di monumenti, il disegno, alquanto rozzo, del solo apparato figurativo è sovrapposto alla trascrizione tipografica del testo epigrafico; i testi non appartenenti alla collezione del F. sono preceduti da brevi lemmi indicanti l'opera o le schede da cui sono tratti, o la località dove si trovavano; il commento è assai ampio, di carattere antiquario didattico; vi è un solo indice delle cose e delle parole notevoli. Oltre alla modestia ed insufficienza delle tavole, si può imputare al F. di aver usato, nella sua raccolta, un buon numero di iscrizioni sospette, soprattutto quelle, numerose, che il F. prese dalle schede Barberini. L'opera manca, inoltre, di un piano generale; piuttosto, ogni epigrafe dà modo al F. di sfoggiare la sua multiforme erudizione. Tra i suoi meriti si deve ascrivere quello di aver compreso l'importanza delle iscrizioni doliari, o bolli impressi sui mattoni romani che recavano il nome del fabbricante e talora la data di fabbricazione, utili sotto l'aspetto cronologico e per il riordino dei fasti consolari. Si occupò pure, in quest'opera, di epigrafia cristiana, soffermandosi particolarmente sulle ampolle di sangue, che giudicava indizi del martirio, e inserendo nella trattazione una raccolta di 300 iscrizioni cristiane, la maggiore pubblicata sino ad allora. Nel codice Ferrajoli 649 della Biblioteca apostolica Vaticana ai ff. 63-98v si trova un Saggio di note e confronti nell'opera di mons. Raffaello Fabretti: Inscriptionum..., riguardante il cap. X dell'opera; nel codice Ferrajoli 652, ff. 282-288v, si trova invece una minuta dell'indice dei nomi, sempre riguardante il cap. X dell'opera; entrambi i codici fanno parte di un fondo di 22 manoscritti autografi di interesse epigrafico di Clemente Cardinali.
Per pubblicare quest'opera, e soprattutto per curarne meglio l'aspetto epigrafico, il F. fece portare il necessario per la stampa in casa sua e vi fece venire uno stampatore. Alcuni esemplari recano l'insegna dell'istrice e la data del 1699, altri hanno frontespizio diverso e come data il 1702, ma si tratta della stessa edizione.
Il lavoro del F. incontrò grande fortuna ai suoi tempi ed ebbe commenti assai favorevoli da parte dei contemporanei; esso viene citato continuamente in opere del Montfaucon, dei Mabillon, del Noris, del Gravina, del Bianchini, del Ciampini e di altri. I suoi amici Francesco Bianchini e Filippo Buonarroti gli furono di non piccolo aiuto nelle ricerche. Il F. vi si dedicò continuamente, ma, quasi ottuagenario, cadde malato e morì a Roma, dopo una gita in carrozza fuori porta Pia, sulla via Nomentana, il 7 genn. 1700.
La sua morte fu compianta in tutta Roma, la città che lo aveva ospitato e gli aveva conferito la cittadinanza, ed in particolare dai cardinali Gaspare di Carpegna e Gianfrancesco Albani, ai quali era assai caro. Gli Arcadi gli posero, grazie al voto di Filippo Buonarroti, una memoria nel Bosco Parrasio. Fu sepolto, come egli stesso aveva richiesto. in S. Maria sopra Minerva, dove suo nipote Gaspare, capitano della cavalleria pontificia, fece innalzare un sepolcro marmoreo con la sua effigie, contenente una epigrafe scritta dal Crescimbeni. In quest'ultima si dice che il F. morì all'età di anni settantanove e sette mesi. Furono anche celebrati dei funerali in Urbino, nella chiesa di S. Francesco, dove fu commemorato da Filippo Antonio della Concezione, al secolo Antonio Bonaventura Crescimbeni.
Il F., grande studioso e buon parlatore, era accolto volentieri in quei salotti romani frequentati da eruditi come Francesco Bianchini, Filippo Buonarroti ed altri, che si riunivano soprattutto presso monsignor Marcello Severoli, o da Giovanni Filangeri, vicino a S. Maria della Pace.
Fece parte di numerose accademie: in Urbino di quella degli Assorditi, a Roma dell'Arcadia, di cui frequentava con costanza ed assiduità le adunanze, col nome di Iasiteo Nafilio.
Lasciò incompiuta una descrizione di tutta la Campagna romana, intitolata De veteri Latio o Latium vetus illustratum; il Riviera (Crescimbeni, Le vite, p. 107) riferisce che il F. aveva raccolto una mole enorme di materiale per quest'opera, che avrebbe rappresentato il frutto di una fatica di molti anni, ma che purtroppo non era ordinato e di difficilissima lettura, tanto che dubitava che qualcuno potesse mai porvi mano. Il cospicuo schedario del F. andò poi perduto, del che si dolse assai Giovan Battista De Rossi. Altri scritti del F.: Dissertazione, in cui si emendano alcuni errori seguiti nella descrizione del Lazio antico fatta dal P. Atanasio Kircher, in Saggi di dissertazioni accademiche lette nella Accademia Etrusca di Cortona, III (1741), pp. 221-236; Dissertatio de aetate codicis biblici, qui apud monachos S. Callixti Romae asservatur, ricordata da Ciampini nei suoi Vetera monumenta, I, Romae 1747, p. 135; De lege regia ad Janum Vinc. Gravinam epistola, ora edita nell'opera del Gravina De ortu et progressu iuris civilis, I, Roma 1835, pp. 354 s.
Nel Journal de sçavans del 1691, pp. 492 s., si trova un estratto di una lettera del F. a Claude Nicaise, in cui gli invia il testo di un'iscrizione.
Oltre al suddetto Latium vetus illustratum, sono rimaste inedite le Osservazioni sopra l'iscrizione dell'Arco di Claudio supplita da Gauges de Gozze, contenute nel codice Barb. lat 4325 della Biblioteca ap. Vaticana.
Fonti e Bibl.: Una lettera del F. dell'11 ott. 1689 si trova nell'Arch. segr. Vaticano, Secr. Brev. 1787, f. 49. Nella Bibl. univ. di Urbino, busta 3, fasc. II, cc. 42 ss., sono conservate tre lettere del F. a Federico Bonaventura (Venezia - Roma 1600-1621); nella busta 124, fasc. I, cc. 120-205, dal titolo Lettere di diversi ai Gonfalonieri e Priori di Urbino relative agli interessi della Comunità e di privati, si trovano 75 lettere del F. (Roma 1646-1681). Nel Paris. lat. 9362 della Biblioth. nation. di Parigi, alle cc. 36, 39 s., 53, si trovano alcune lettere del F. a Claude Nicaise. Vedi inoltre: G. M. Crescimbeni, Le vite degli arcadi illustri, I, Roma 1708, pp. 89- 108; J. P. Nicéron, Memoires pour servir à l'histoire des hommes illustres, IV, Paris 1728, pp. 372-381; A. Fabroni, Vitae Italorum doctrina excellentium..., VI, Pisis 1780, pp. 169-229; M. Valéry, Correspondance inédite de Mabillon et de Montfaucon avec l'Italie..., Paris 1846, I, pp. 92, 108, 195 ss.; II, pp. 63, 104, 111 s., 119, 121, 168, 222, 243, 248, 252, 254, 272; III, pp. 20, 40, 214; Biographie universelle..., XIII, Paris s.d. (ma 1855), pp. 283-287; E. Caillemer, Lettres de divers savants à l'abbé Claude Nicaise…, Lyon 1885, pp. 24, 61, 102, 147, 172, 192, 205, 207 s., 210 ss., 217, 219 s., 222, 242, 263, 270; M. R. de la Blanchère, Histoire de l'épigraphie romaine..., Paris 1887, pp. 29; I. Carini, L'Arcadia dal 1690 al 1890, I, Romae 1891, pp. 53-59; U. Mancuso, La "Tabula Iliaca" del Museo Capitolino, in Mem. della R. Accad. dei Lincei, classe di scienze mor., stor., filol., s. 5, XIV (1911), pp. 666 ss.; T. Ashby, Scrittori contemporanei di cose romane, in Arch. della R. Soc. rom. di storia patria, LI (1928), p. 104; L. von Pastor, Storia dei papi, XIV, 2, Roma 1932, p. 409; I. Dujcev, Uno studio inedito di mons. G. Ciampini sul papa Formoso, in Archivio della R. Deput. rom. di storia patria, LIX (1936), pp. 137, 176; A. Serafini, Le origini della Pontificia Segreteria di Stato e la "Sapienti Consilio" del b. Pio X, in Romana Curia a beato Pio X sapienti consilio reformata, Romae 1951, p. 208; J. J. Winckelmann, Lettere italiane, Milano 1961, pp. 233, 234, 287, 355, 356; I. Calabi Limentani, Le descrizioni dei musei lapidari nel '700 italiano, in Il museo epigrafico, Faenza 1984, pp. 30-33.