Ragione
. Personaggio allegorico del Fiore, corrispondente a " Raison " del Roman de la Rose. Personifica, lei che è opera di Dio (XXXV 9-10), il momento della riflessione e del controllo razionale sull'impulso dei sensi e si configura come portavoce di una saggezza fondata sostanzialmente su principi etici cristiano-medievali (sia pur ancorati a filosofie pagane di epoca ellenistica). Da lei non a caso proviene (è sua figlia) una delle difese della virtù femminile, Vergogna (XXX 8).
Appare, nella vicenda rappresentata nel poemetto, dopo il primo scacco amoroso del giovane protagonista, Amante (o anche Durante), e con pacato e sicuro argomentare gli rimprovera di essersi affidato ad Amore, che procura solo tormento e affanno; ma Amante non intende distogliersi dal suo desiderio (IX-XI). Tornerà Ragion la bella dopo un ulteriore scacco del giovane innamorato (XXI 14, XXXV 5-6) e avrà luogo tra i due un più lungo dialogo (XXXV-XLVI), che accoglie sinteticamente alcuni dei temi sviluppati nei tremila versi (vv. 4226-7229) che Jean de Meun assegna a tale incontro nel Roman de la Rose. R. vuol persuadere Amante a porsi sotto la sua protezione - sottraendosi al servizio del dio d'Amore, che in verità dovrebbe chiamarsi, secondo lei, Dolore (XXXVII 11), e scegliendo invece di amare, cristianamente, il mondo tutto (XXXIX 3) - e a subordinare l'amore fisico al fine ultimo di propagare la specie. L'invita quindi a scegliere come oggetto d'amore lei stessa, che è la massima bellezza - più chiara son che non è sol né luna (XLI 14) -, che dà il più gran diletto e costituisce la vera ricchezza. Così fu beato Socrate, che fu tutto al me' comando e mai Fortuna nol gì tormentando (XLIV 4-5). Amante da parte sua protesta la propria fedeltà al fiore che ha primamente amato e al dio d'Amore, e la conseguente impossibilità di legarsi ad altro oggetto d'amore; fa appello alla Natura, che non senza ragione certo ha voluto che l'atto d'amore fosse dilettevole, e conclude: Donna, tua lezione / sie certa ch'ella m'è poco valuta, / perciò ch'i' no ll'ho punto ritenuta, / ché non mi piace per nulla cagione... / ché fermo son, se morir ne dovesse, / d'amar il fior, e 'l me' cor vi s'assente, / o 'n altro danno ch'avvenir potesse (XLVI 3-6, 12-14). R. rinuncia alla lotta, ché trovar non potea nullo argomento / di trarmi del laccio in ch'Amor mi prese (XLVII 1-4), mentre poco dopo Amico conferma Amante nella sua decisione (XLIX 5-8). La sconfitta di R. sarà sancita alla fine da Venere (CCXXI 9-11) e da Amante stesso, che la ricorda come colei che invano aveva tentato di privarlo dell'attesa gioia (CCXXXI 11-14).
Altre occorrenze del sostantivo si hanno in Fiore IX 4, X 1, XI 1, XXXVI 1 e 5, XXXVIII 1, XXXIX 2, XL 1, XLI 2, XLII 1, XLVI 1, LXXXII 12, e in Detto 76, 126, 129, 363 e 371.
In armonia alla sua natura, il comportamento e il dire del personaggio si atteggiano quasi costantemente secondo schemi e moduli di nobile gravità; ma non senza un che di schematicamente programmatico.