Rapporto di impiego pubblico e privatizzato. Autonomia della dirigenza pubblica
Le misure in materia di pubblico impiego poste in essere nel 2011, come del resto quelle realizzate nel 2010, appaiono in aperta contraddizione con lo spirito originario della riforma Brunetta, soprattutto per quanto concerne il rafforzamento della dirigenza pubblica, la valorizzazione del merito professionale e il conseguente riconoscimento di meccanismi premiali per i lavoratori.
Le Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria, adottate nell’estate del 20111, chiudono il cerchio di una più ampia manovra di riforma, avviata nel 2009 con la l. delega 4.3.2009, n. 15 e completata con il d.lgs. 27.10.2009, n. 150 (cd. Brunetta), volta ad accrescere l’efficienza, la produttività e l’imparzialità del pubblico impiego. Gli interventi d’urgenza posti in essere dal legislatore nell’estate del 2011 per il contenimento della spesa – come del resto quelli adottati l’anno precedente – sembrano tuttavia sconfessare lo spirito originario della riforma del 2009, soprattutto per quanto concerne il rafforzamento della dirigenza pubblica, la valorizzazione del merito e il conseguente riconoscimento di meccanismi premiali per i lavoratori. Tra i principi ispiratori della riforma del pubblico impiego varata nel corso della XVI legislatura si erge, su tutti, la «valorizzazione del merito e il conseguente riconoscimento di meccanismi premiali per i singoli dipendenti sulla base dei risultati conseguiti dalle rispettive strutture amministrative». In vista di questo obiettivo prioritario, il decreto delegato n. 150/2009 dispone che «le amministrazioni pubbliche promuovono il merito e il miglioramento della performance organizzativa e individuale, anche attraverso l’utilizzo di sistemi premianti selettivi, secondo logiche meritocratiche, nonché valorizzano i dipendenti che conseguono le migliori performance attraverso l’attribuzione selettiva di incentivi sia economici che di carriera»2. Ancora, nella riforma organica del 2009 la logica meritocratica si salda con l’autonomia della dirigenza pubblica, cui è affidato il compito di garantire l’efficienza del lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione in base a logiche di produttività e, soprattutto, in assenza di interferenze politiche. È in quest’ottica che la delega contenuta nella l. n. 15/2009 dichiara di voler «rafforzare il principio di distinzione tra le funzioni di indirizzo e controllo spettanti agli organi di governo e le funzioni di gestione amministrativa spettanti alla dirigenza»3; e, conseguentemente, il decreto delegato n. 150/2009 si sforza di individuare, una volta per tutte, un datore di lavoro pubblico autonomo e credibile, in grado di presiedere al funzionamento dell’apparato amministrativo e di condurre adeguatamente la contrattazione collettiva con i sindacati. Ebbene, nella disciplina d’urgenza del luglio 2011 – così come nella precedente manovra estiva del 2010 – la valorizzazione del merito e della produttività dei dipendenti pubblici sembra cedere il passo a prevalenti esigenze di risparmio. In questo senso, l’art. 16 d.l. 6.7.2011, n. 98, dispone:
1) la proroga fino al 31.12.2014 delle vigenti disposizioni che limitano la crescita dei trattamenti economici del personale delle pubbliche amministrazioni;
2) la proroga di un anno dell’efficacia delle vigenti disposizioni in materia di limitazione delle facoltà di assunzione per le amministrazioni dello Stato, con eccezioni (ad esempio, Corpi di Polizia);
3) l’inclusione di tutti i soggetti pubblici, con esclusione delle regioni e delle province autonome, nonché degli enti del servizio sanitario nazionale, nell’ambito degli enti destinatari in via diretta delle misure di razionalizzazione della spesa. Per garantire il contenimento della spesa legato all’assunzione di nuovo personale, il d.l. n. 98/2011 prevede inoltre che «i provvedimenti in materia di personale adottati dalle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, co. 2, d.lgs. 30.3.2001, n. 165, ed in particolare le assunzioni a tempo indeterminato, incluse quelle derivanti dalla stabilizzazione o trasformazione di rapporti a tempo determinato, nonché gli inquadramenti e le promozioni posti in essere in base a disposizioni delle quali venga successivamente dichiarata l’illegittimità costituzionale sono nulle di diritto e viene ripristinata la situazione preesistente a far data dalla pubblicazione della relativa sentenza della Corte Costituzionale»4. Lungo la direttrice del risparmio di spesa, il decreto di stabilizzazione dell’agosto 2011 interviene di rincalzo per imporre – dopo il blocco delle assunzioni di nuovo personale – la riduzione del personale già in ruolo presso tutte le pubbliche amministrazioni. Questa ulteriore misura di stabilizzazione finanziaria obbliga tutti gli enti pubblici non economici, senza distinzione di sorta, ad operare tagli non inferiori al 10 per cento della spesa complessiva relativa al numero di posti in organico, quale risultante a seguito delle riduzioni degli assetti organizzativi già disposte con il d.l. 25.6.2008, n. 112 (10 per cento) e con il d.l. 30.12.2009, n. 194 (ulteriore 10 per cento), sia per quanto concerne le dotazioni organiche del personale non dirigenziale (con l’esclusione, in questo caso, degli enti di ricerca) sia per quanto concerne gli uffici dirigenziali di livello non generale. Alle amministrazioni che non provvedano ad adottare queste riduzioni di personale entro il 31.3.2012 è fatto divieto, a partire dalla medesima data, di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo e con qualsiasi contratto5. La tecnica legislativa utilizzata da entrambi i decreti per la stabilizzazione finanziaria del 2011 (ma già, in precedenza, dalla manovra del 2010 e dalla riforma Brunetta) è totalizzante, e rispecchia appieno la visione centralistica dell’organizzazione pubblica dimostrata dal legislatore nazionale anche a seguito della riforma del titolo V Cost. In questo modo, norme dettate dallo Stato in tema di impiego pubblico vengono a comprimere le competenze normative riservate alle Regioni e, mutatis mutandis, agli enti locali in materia di organizzazione e personale, sollevando più di un problema applicativo. Basti pensare, in proposito, alla questione degli incarichi dirigenziali a contratto, soggetti a diversi limiti percentuali nella disciplina statale (art. 40, co. 1, lett. f, d.lgs. n. 150/2009) e locale (art. 110, d.lgs. n. 267/2000), e alla drastica limitazione della facoltà di ricorrere alla dirigenza a tempo determinato che gli enti locali subirebbero nel caso in cui le misure dettate dal legislatore statale fossero ritenute indiscriminatamente applicabili a tutte le amministrazioni pubbliche. Questo aspetto, nel 2011, è stato al centro di un serrato confronto tra il Governo (dipartimento della funzione pubblica, Ministero dell’economia e delle finanze) e i rappresentanti degli enti locali (ANCI, UPI) per l’introduzione di una modifica normativa al d.lgs. n. 150/2009, in base al meccanismo previsto dall’art. 2, co. 3, l. delega n. 15/20096. In via generale, il titolo competenziale fatto valere in via esclusiva dallo Stato è quello dell’«ordinamento civile» (art. 117, co. 2, lett. l, Cost.), entro cui oggi viene ascritta la disciplina del lavoro pubblico contrattualizzato7, ma non vi è dubbio che questo titolo non sia in grado di ricomprendere ed esaurire, da solo, la complessa regolazione del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni. Ma queste osservazioni non esauriscono le critiche nei confronti della manovra finanziaria del 2011. Al momento della conversione in legge del d.l. 13.8.2011, n. 138, il legislatore ha colto l’occasione per inserire all’interno di un testo recante Misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria una disposizione del tutto eccentrica rispetto a questo obiettivo, spuria, concernente la revoca anticipata e il passaggio ad altro incarico del dirigente prima della scadenza contrattuale. L’art. 1, co. 18, l. 14.9.2011, n. 148, prevede infatti che «Al fine di assicurare la massima funzionalità e flessibilità, in relazione a motivate esigenze organizzative, le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, possono disporre, nei confronti del personale appartenente alla carriera prefettizia ovvero avente qualifica dirigenziale, il passaggio ad altro incarico prima della data di scadenza dell’incarico ricoperto prevista dalla normativa o dal contratto. In tal caso il dipendente conserva, sino alla predetta data, il trattamento economico in godimento a condizione che, ove necessario, sia prevista la compensazione finanziaria, anche a carico del fondo per la retribuzione di posizione e di risultato o di altri fondi analoghi». Da questa disposizione anodina deriva una vera e propria esplosione dello spoils system dirigenziale: la misura ora ricordata colpisce senza distinzione tutti i dirigenti, apicali, di prima e seconda fascia, interni ed esterni purché dotati di qualifica. Inoltre, la norma non richiede alcuna motivazione per l’interruzione ante tempus del contratto dirigenziale in corso, e finisce per consegnare nelle mani dell’organo politico un potente strumento di ricatto nei confronti del dirigente. Evidentemente tutto ciò risulta in netto contrasto con l’art. 97 Cost.: l’imparzialità amministrativa, infatti, dipende anche dalla durata degli incarichi dirigenziali, i quali devono essere attribuiti per un tempo determinato ma adeguato, e qualsiasi meccanismo di revoca anticipata dell’incarico rispetto alla naturale scadenza contrattuale, se non motivata da ragioni congrue e assistita dalle garanzie procedurali della l. 7.8.1990, n. 241, risulta in aperto contrasto con l’art. 97 Cost. L’effetto che si produce, a seguito dell’entrata in vigore di questa norma, è quello di sottoporre perennemente il dirigente al volere dell’organo politico, e di creare così una fidelizzazione forzata di tutta la dirigenza che contrasta apertamente con il principio di differenziazione funzionale. L’applicazione di una simile regola porta alla conseguenza paradossale per cui tutto il personale pubblico dotato di qualifica dirigenziale può essere trasferito ad altro incarico prima della scadenza contrattuale, mentre ciò non è consentito nei confronti dei dirigenti esterni, reperiti nel settore privato e legati all’amministrazione mediante contratto, i quali risultano privi di qualifica dirigenziale. Si viene così a dar vita ad uno ‘spoils system a rovescio’, diretto a rimuovere solo i dirigenti pubblici di ruolo e non quelli presi a prestito dal settore privato. Non vi è dubbio, pertanto, che questa previsione inserita tra le pieghe della l. n. 148/2011, introdotta surrettiziamente al momento della conversione in legge della manovra d’agosto, si ponga in contraddizione logica con il principio di imparzialità organizzativa, di cui la distinzione funzionale tra indirizzo politico e gestione è espressione diretta. Senza sottacere che, a rigore, un simile meccanismo di passaggio ante tempus ad altro incarico, discrezionalmente deciso dall’organo politico, non garantisce nemmeno quella razionalizzazione dei costi cui è dedicata la manovra finanziaria: la disposizione, infatti, prevede contestualmente alla cessazione dall’incarico il diritto del dirigente a conservare, sino alla naturale scadenza del contratto, il trattamento economico in godimento.
Le misure assunte nel 2011, è bene dirlo, rappresentano una sostanziale reiterazione della manovra correttiva per l’economia (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica) varata dal governo con il d.l. 31.5.2010, n. 78 (convertito nella l. 30.7.2010, n. 122), che congelava la parte accessoria del salario distribuita in base alla produttività, disinnescando l’intero titolo III, capo I, del d.lgs. n. 150/2009, dedicato a Merito e premi8. È infatti evidente che il divieto di utilizzare lo strumento dell’incentivazione economica conduce a sterilizzare l’intero meccanismo della valutazione individuale e della premialità legata al risultato. Non solo. Il d.l. n. 78/2010, oltre a bloccare il trattamento accessorio per la produttività, assesta un brutto colpo anche alla autonomia della dirigenza, che come si è detto rappresenta un altro obiettivo qualificante della l. delega n. 15/2009. Scavando tra le pieghe del d.l. 31.5.2010, n. 78, si scopre infatti che il legislatore mette nuovamente mano all’art. 19, co. 1 ter, d.lgs. n. 165/2001 (t.u. pubblico impiego) e, nel cancellare dal testo di questa disposizione la parte concernente la mancata conferma del dirigente anche in caso di valutazione positiva, viene a trasformare un meccanismo volto a sanzionare l’infedeltà del dirigente in una misura di contenimento della spesa. Il decreto prevede infatti che le amministrazioni che «alla scadenza di un incarico di livello dirigenziale, anche in dipendenza dei processi di riorganizzazione, non intendono, anche in assenza di una valutazione negativa, confermare l’incarico conferito al dirigente, conferiscono al medesimo dirigente un altro incarico, anche di valore economico inferiore. Non si applicano le eventuali disposizioni normative e contrattuali più favorevoli»9. Questa norma colpisce l’attenzione dell’interprete, oltre che per la cattiva qualità del drafting normativo e per la singolarità di veicolare disposizioni sulla revoca dei dirigenti all’interno di una normativa di urgenza in tema di stabilizzazione finanziaria, per il fatto che il Governo con essa, in un sol colpo, ottiene il risultato di svuotare di significato tanto il principio di autonomia funzionale, quanto quello di valutazione premiale dei risultati con riferimento alla dirigenza pubblica. Da un lato, infatti, restano in piedi tutte le critiche sollevate dal nuovo co. 1 ter, che riconosce al politico la facoltà di non confermare un incarico dirigenziale pur in assenza di una valutazione negativa (peraltro aggravate dalla circostanza che, d’ora in poi, il dirigente si vedrà attribuire un altro incarico senza alcun preavviso che gli consenta di interloquire con l’amministrazione prima della revoca, laddove nella versione precedente della norma si prevedeva invece l’obbligo di «darne idonea e motivata comunicazione al dirigente stesso»)10: si tratta di una scelta legislativa che denota chiaramente l’intento di sanzionare i dirigenti politicamente infedeli, più che quelli incapaci o indisciplinati. D’altro lato, il segnale «politico» che si ricava da questa disposizione è, evidentemente, che merito professionale e premialità retributiva non hanno alcuna correlazione nell’organizzazione pubblica, mentre ciò che veramente conta, per assicurarsi la conferma nell’incarico, è la fedeltà politica. D’ora in poi, non avrà più importanza per il dirigente pubblico raggiungere gli obbiettivi indicati al momento del conferimento dell’incarico, né conterà gestire al meglio le risorse assegnate al suo ufficio, dal momento che una performance positiva non gli garantisce in alcun modo la conferma nell’incarico. L’unica certezza per il dirigente pubblico è rappresentata dal diritto di ricevere un altro incarico, ancorché di valore economico inferiore rispetto al precedente, laddove abbia svolto bene la sua attività: si tratta di una soluzione che, come è stato segnalato, «oltre ad incidere sulla posizione, sulle prospettive professionali e sulla motivazione del dirigente interessato, sembra ben poco coerente con il principio di buon andamento dell’amministrazione»11; e, con l’idea di «valorizzazione del merito»12.
Nella parte conclusiva del co. 1 ter dell’art. 19, sopra citato, viene introdotto un ulteriore vincolo, applicabile solamente ai dirigenti non confermati nell’incarico, in base al quale «al dirigente viene conferito un incarico di livello generale o di livello non generale, a seconda, rispettivamente, che il dirigente appartenga alla prima o alla seconda fascia». Si tratta di una innovazione decisamente peggiorativa per la condizione del dirigente non riconfermato, a cui viene imposto di occupare solamente incarichi corrispondenti alla propria fascia di appartenenza, nonostante fino a quel momento egli abbia svolto (magari positivamente) compiti di livello dirigenziale generale. Il fatto di svolgere compiti di livello superiore, come è noto, è una situazione tutt’altro che anomala tra i dirigenti pubblici: fino alla riforma del 2009, addirittura, l’aver esercitato per almeno tre anni (il limite è stato riportato a cinque anni dal d.lgs. n. 150/2009) funzioni di livello dirigenziale generale all’interno delle pubbliche amministrazioni era l’unica via di accesso alla dirigenza generale, mancando un canale diretto di reclutamento per la prima fascia. Ne discende che, in base al d.l. n. 78/2010, non solo un dirigente di II fascia può non essere confermato pur in assenza di una valutazione negativa e nonostante la buona performance svolta, ma addirittura egli deve per forza ricevere un incarico corrispondente alla propria fascia a seguito della mancata riconferma. Si realizza così, nel segno del contenimento della spesa per il pubblico impiego, un nuovo vulnus all’indipendenza della dirigenza e al principio del riconoscimento di meriti e demeriti per l’alta burocrazia.
Come si è già avuto modo di evidenziare in altra sede13, l’introduzione del principio di distinzione tra la funzione di indirizzo (e controllo) politico e quella di gestione amministrativa ha prodotto, come conseguenza, una rapida crescita dell’area fiduciaria della dirigenza e un’espansione progressiva del meccanismo di spoils system. La durata eccessivamente breve dei contratti, la decadenza automatica degli incarichi dirigenziali al mutare della compagine politica, la revoca ad libitum dell’incarico, sono spie chiare della volontà della politica di tornare ad occupare gli spazi che la legge, in via di principio, riserva in via esclusiva alla dirigenza. Attraverso la creazione di una dirigenza di carattere «fiduciario», infatti, gli organi politici in questi anni hanno cercato di riappropriarsi delle leve direzionali che ad essi sono state sottratte con l’introduzione del principio di separazione funzionale. Questo fenomeno si rileva facilmente nell’osservare l’andamento della giurisprudenza costituzionale: nella stagione dal 1993 al 2002 la Corte si preoccupa solo di affermare la piena compatibilità dell’impianto privatistico-contrattuale della riforma sul pubblico impiego con i principi costituzionali concernenti l’organizzazione dei pubblici uffici14, mentre, a partire dal 2002 l’attenzione della Consulta si concentra prevalentemente sul difficile compito di circoscrivere i contorni della fiduciarietà e individuare le figure dirigenziali nominate e revocate intuitu personae. Nell’ultimo anno, in particolare, la giurisprudenza costituzionale ha provato a precisare meglio l’area di applicazione del cd. spoils system all’italiana. La Corte costituzionale sottolinea da sempre che l’amministrazione è tenuta a conformare la propria azione ai principi di cui agli artt. 97 e 98 Cost., in quanto la privatizzazione del rapporto di lavoro dei dirigenti non implica che l’amministrazione possa recedere liberamente dagli incarichi conferiti. Il rapporto di lavoro instaurato con l’amministrazione, seppure contrattualizzato, «deve essere connotato da specifiche garanzie, le quali presuppongono che esso sia regolato in modo tale da assicurare la tendenziale continuità dell’azione amministrativa e una chiara distinzione funzionale tra i compiti di indirizzo politico-amministrativo e quelli di gestione» (sent. 5.3.2010, n. 8115). Sulla scorta di questo ragionamento, la Consulta ha da subito affermato che la revoca degli incarichi dirigenziali deve garantire l’osservanza dei principi sul giusto procedimento, stabiliti dalla l. n. 241/1990, e rispettare sempre l’obbligo di motivazione; di conseguenza, ha sistematicamente rilevato l’incostituzionalità delle norme che dispongono una interruzione automatica del rapporto di ufficio prima della scadenza, senza le garanzie che devono connotare gli incarichi dirigenziali per assicurare l’imparzialità e il buon andamento dell’azione amministrativa. Nel corso del 2011, applicando questi criteri generali al caso concreto, la Corte costituzionale è pervenuta a dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 19, co. 8, d.lgs. n. 165/2001, nella parte in cui dispone che gli incarichi di funzione dirigenziale generale di cui al co. 5 bis, limitatamente al personale non appartenente ai ruoli di cui all’art. 23 d.lgs. n. 165/2001, cessano decorsi novanta giorni dal voto sulla fiducia al Governo (sent. 11.4.2011, n. 12416). In seguito, la Corte ha dichiarato l’incostituzionalità – ancora una volta – dell’art. 19, co. 8, d.lgs. n. 165/2001, nella parte in cui dispone che gli incarichi di funzione dirigenziale, anche non apicali, conferiti ai sensi del co. 6 del medesimo articolo «a persone di particolare e comprovata qualificazione professionale, non rinvenibili nei ruoli dell’Amministrazione», cessano decorsi novanta giorni dal voto sulla fiducia al governo (sent. 25.7.2011, n. 24617). Già in precedenza la Corte costituzionale aveva chiarito che i principi da essa sanciti con riferimento agli incarichi dirigenziali non apicali conferiti a dirigenti di ruolo devono trovare applicazione anche nel caso degli incarichi dello stesso tipo conferiti a soggetti esterni. La Corte aveva infatti rilevato la non conformità agli artt. 97 e 98 Cost. della norma che prevede un sistema di spoglie transitorio applicato a persone esterne all’amministrazione conferente, non dipendente da altra amministrazione, al quale sia stata attribuita una funzione dirigenziale di livello non generale (sentt. 5.3.2010, n. 81 e 20.5.2008, n. 16118). Per questo motivo sarebbe stato irragionevole dichiarare l’illegittimità costituzionale del meccanismo di spoils system transitorio relativo agli incarichi dirigenziali conferiti ai sensi dell’art. 19, co. 6, d.lgs. n. 165/2001, previsto dall’art. 2, co. 161, d.l. n. 262/2006 (sent. 5.3.2010, n. 81), e lasciare in vita la norma che prevede un meccanismo di spoils system a regime relativo agli stessi incarichi, nonostante la sostanziale identità di ratio che sorregge le due norme. Del resto, la Corte era sostanzialmente obbligata a questa decisione dai suoi stessi precedenti: solo pochi mesi prima aveva infatti rilevato che «se è illegittima una norma che, per una sola volta e in via transitoria, disponga la cessazione automatica di incarichi dirigenziali, a prescindere da ogni valutazione circa l’operato dei dirigenti, a maggior ragione deve ritenersi illegittima una disposizione che consenta di replicare un simile meccanismo per un numero indeterminato di future occasioni» (sent. 11.4.2001, n. 124). Per completezza, va segnalato che la delimitazione dello spoils system non esaurisce l’interesse espresso dalle corti supreme, nel corso del 2011, con riferimento alle tematiche del pubblico impiego e della dirigenza pubblica. Un breve cenno merita di essere fatto anche ad un altro tema di interesse per l’intera funzione pubblica (e non solo per la dirigenza), concernente i concorsi di accesso al lavoro pubblico. In particolare, l’anno 2011 sembra aver posto fine all’annosa disputa sullo scorrimento delle graduatorie concorsuali: un’importante pronuncia del Consiglio di Stato (Cons. St., A.P., 28.7.2011, n. 1419) ha infatti stabilito che lo «scorrimento» di graduatorie valide ed efficaci, «poiché rappresenta un possibile e fisiologico sviluppo delle stessa procedura concorsuale, attuativo dei principi costituzionali, non può essere collocato su un piano diverso e contrapposto rispetto alla determinazione di indizione di un nuovo concorso». Ne consegue che anche l’indizione di un nuovo concorso, al pari di tutti gli atti amministrativi costituenti l’esito di una scelta fra più alternative, d’ora in avanti dovrà essere adeguatamente motivata, pure con riguardo alla valutazione degli interessi dei candidati idonei collocati in graduatorie ancora efficaci (in questo senso, precedentemente, cfr. Cons. St., sez. V, 4.3.2011 n. 139520; Cons. St., sez. VI, 10.2.2010, n. 66821). Il tema dello scorrimento delle graduatorie evoca anche un’altra importante questione, concernente il riparto della materia concorsuale tra le giurisdizioni amministrativa e civile, che tuttavia esula dall’ambito di questa voce e che verrà trattata nell’affrontare il tema, più generale, della giurisdizione amministrativa.
Come si è sottolineato, la puntuale definizione del rapporto fiduciario che intercorre tra organi politici e alta burocrazia è ormai da anni al centro della giurisprudenza costituzionale in tema di dirigenza pubblica. In proposito, l’orientamento della Corte costituzionale può plasticamente raffigurarsi utilizzando l’immagine di una forbice: una estremità è rappresentata dalla tesi secondo cui le disposizioni legislative che ricollegano al rinnovo dell’organo politico l’automatica decadenza di titolari di uffici amministrativi (cd. spoils system) sono compatibili con l’art. 97 Cost. qualora si riferiscano a soggetti che: a) siano titolari di «organi di vertice» dell’amministrazione e b) debbano essere nominati intuitu personae, cioè sulla base di «valutazioni personali coerenti all’indirizzo politico regionale» (sent. 16.6.2006, n. 23322). Questa logica è stata applicata in riferimento a molte e diverse categorie di soggetti, operanti anche nell’amministrazione regionale, considerate nel loro insieme e senza una valutazione specificamente riferita a ciascuna figura. L’altra estremità della forbice è rappresentata dalla tesi, che ritorna frequentemente nelle pronunce della Corte, secondo cui le disposizioni legislative (statali e regionali) che dispongono la decadenza automatica degli incarichi dirigenziali non apicali si pongono in contrasto con i principi di imparzialità e buon andamento, dal momento che una cessazione anticipata degli stessi «è ammissibile solo a seguito dell’accertamento dei risultati conseguiti, e solo dopo un giusto procedimento che consenta all’interessato di svolgere le proprie difese e che si concluda con un formale provvedimento motivato sindacabile in sede giurisdizionale» (sent. 23.3.2007, n. 10323). Applicando questo criterio ai direttori generali delle ASL, la Corte ha sottolineato che la decadenza automatica «non soddisfa l’esigenza di preservare un rapporto diretto fra organo politico e direttore generale» e quindi la necessità di garantire una «coesione fra l’organo politico regionale … e gli organi di vertice dell’apparato burocratico», per come evidenziata dalla precedente sentenza della stessa C. cost., 16.6.2006, n. 233. Secondo la Corte costituzionale, l’imparzialità e il buon andamento dell’amministrazione esigono semmai «che la posizione del direttore generale sia circondata da garanzie» e «che la decisione dell’organo politico relativa alla cessazione anticipata dell’incarico del direttore generale di Asl rispetti il principio del giusto procedimento» (sent. 23.3.2007, n. 10424).
Negli ultimi anni la giurisprudenza costituzionale in tema di spoils system sembra aver trovato un nuovo sbocco interpretativo, più convincente e in grado di offrire una sintesi tra le due tesi sopra rappresentate. La chiave di lettura proposta di recente dalla Corte costituzionale cessa di far leva sulla distinzione tra figure dirigenziali apicali e non apicali, ed utilizza piuttosto l’articolazione tra figure dirigenziali professionali, incaricate dell’esercizio di compiti di gestione, e figure dirigenziali di supporto agli organi di governo, incaricate di coadiuvare i politici nello svolgimento dell’attività di indirizzo. Muovendo da questa distinzione la Corte ha affermato che il principio di imparzialità amministrativa è violato quando le funzioni amministrative di esecuzione dell’indirizzo politico non sono affidate a funzionari neutrali, tenuti ad agire al servizio esclusivo della Nazione, ma a soggetti cui si richiede una specifica appartenenza politica, ovvero un rapporto personale di consentaneità con il titolare dell’organo politico (sent. n. 5.2.2010, n. 3425). In passato la Corte aveva più volte alluso all’illegittimità costituzionale di meccanismi di spoils system riferiti ad incarichi dirigenziali che comportino l’esercizio di compiti di gestione, cioè di «funzioni amministrative di esecuzione dell’indirizzo politico» (sentt. 28.11.2008, n. 39026 e 24.10.2008, n. 35127, e 23.3.2007, nn. 103 e 104), ritenendo, di converso, costituzionalmente legittimo lo spoils system laddove riferito a posizioni apicali (sent. 16.6.2006, n. 233), del cui supporto l’organo di governo «si avvale per svolgere l’attività di indirizzo politico amministrativo» (sent. 28.10.2010, n. 30428). Con la sentenza 5.2.2010, n. 34 sopra ricordata, viene meglio esplicitato questo criterio di distinzione, confinando l’operatività del meccanismo di spoils system alla sola dirigenza di staff, ausiliaria all’indirizzo politico. Nel corso del 2011 la Corte mostra di voler tenere ferma la professionalità quale criterio spartiacque tra la dirigenza fiduciaria e quella non fiduciaria. Con la sentenza 25.7.2011, n. 246, sopra ricordata, la Consulta ribadisce l’illegittimità costituzionale di meccanismi di spoils system riferiti ad incarichi dirigenziali che comportino l’esercizio di «funzioni amministrative di esecuzione dell’indirizzo politico», anche quando tali incarichi siano conferiti a soggetti esterni. L’incerto criterio dell’«organo di vertice» dell’amministrazione pubblica, formulato a suo tempo con la sent. 16.6.2006, n. 233, sembrerebbe pertanto in via di abbandono. In realtà, nella sent. 25.7.2011, n. 246 la Corte fa riferimento solo incidentalmente ad un criterio generale per differenziare gli incarichi fiduciari da quelli non fiduciari, e si limita a stabilire l’applicabilità della decadenza automatica ad una tipologia specifica di dirigenti pubblici. Si tratta ora di vedere se il criterio scriminante della professionalità, senz’altro più aderente alle esigenze di funzionamento degli apparati pubblici, troverà seguito e sviluppo nelle future pronunce della Consulta, consentendo di sciogliere l’apparente contraddizione tra la fiduciarietà degli incarichi apicali e l’imparzialità della dirigenza pubblica che, sin qui, ha segnato la giurisprudenza costituzionale in materia.
1 Il riferimento è al d.l. 6.7.2011, n. 98, convertito nella l. 15.7.2011, n. 111, cui vanno ad aggiungersi, a poco più di un mese di distanza, le Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e lo sviluppo, adottate con il d.l. 13.8.2011, n. 138, convertito in l. 14.9.2011, n. 148.
2 Cfr. art. 18 d.lgs. 27.10.2009, n. 150.
3 Art. 37 d.lgs. 27.10.2009, n. 150.
4 Cfr. art. 16, co. 1, d.l. 6.7. 2011, n. 98.
5 Cfr. artt. 1, co. 3 e 4, d.l. 13.8.2011, n. 138.
6 Lo schema di decreto legislativo recante disposizioni integrative e correttive del d.lgs. 27.10.2009, n. 150 è stato assegnato il 17.5.2011, rispettivamente, alla I Commissione permanente (Affari costituzionali) del Senato della Repubblica in sede consultiva, alla V Commissione permanente (Bilancio) del Senato della Repubblica in sede consultiva, alla XI Commissione permanente (Lavoro, previdenza sociale) del Senato della Repubblica, in sede osservazioni.
7 Cfr. C. cost., 12.11.2010, n. 324, in Foro amm. - Cons. St., 2011, 1418.
8 L’art. 9, co. 1, d.l. n. 78/2010 dispone infatti che «Per gli anni 2011, 2012 e 2013 il trattamento economico complessivo dei singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, ivi compreso il trattamento accessorio, previsto dai rispettivi ordinamenti delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell’articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, non può superare, in ogni caso, il trattamento in godimento nell’anno 2010».
9 Art. 9, co. 32, d.l. 31.5.2010, n. 78 (corsivo aggiunto).
10 Cfr. art. 40, co.1, lett. b), d.lgs. n. 150/2009.
11 Cfr. D’Alessio, Incarichi dirigenziali: Tremonti «corregge» Brunetta, in www.astrid-online.it.
12 Art. 2, co. 1, lett. e), l. 4.3.2009, n. 15.
13 Cfr. Gardini, L’autonomia della dirigenza nella (contro) riforma Brunetta, in Lav. pubbl. amm., 2010, 579 ss.
14 Interpellata sul profilo della compatibilità tra regole privatistiche e principio di imparzialità la Corte afferma in modo risoluto che, attraverso il nuovo assetto delle fonti che regolano il rapporto, «il legislatore ha inteso garantire, senza pregiudizio per l’imparzialità, anche il valore dell’efficienza contenuto nel precetto costituzionale, grazie a strumenti gestionali che consentono, meglio che in passato, di assicurare il contenuto della prestazione in termini di produttività, ovvero una sua ben più flessibile utilizzazione ». Cfr. C. cost., 16.10.1997, n. 309, in Foro it., 1997, I, 3484.
15 In Foro amm. - Cons. St., 2010, 977.
16 In Foro it., 2011, I, 1616.
17 In www.cortecostituzionale.it.
18 In Foro it., 2008, I, 3434.
19 In Guida dir., 2011, 37, 87.
20 In Foro amm. - Cons. St., 2011, 895.
21 In Dir. giust., 2010.
22 In Giur. cost., 2006, 2327.
23 In Giur. cost., 2007, 984.
24 In Foro amm. - Cons. St., 2007, 785.
25 In Giur. cost., 2010, 415.
26 In Foro amm. - Cons. St., 2008, 2934.
27 In Foro amm. - Cons. St., 2008, 2637.
28 In Foro amm. - Cons. St., 2010, 2083.