razza
Raggruppamento di individui che presentano un insieme di caratteri fisici ereditari comuni. In partic., nel caso dell’uomo tali caratteri venivano nel passato riferiti ad aspetti somatici (colore della pelle, tipo di capelli, forma del viso, del naso, degli occhi, ecc.), indipendentemente da nazionalità, lingua, costumi. Oggi il concetto di r. umana è considerato destituito di validità scientifica, dacché l’antropologia fisica e l’evoluzionismo hanno dimostrato che non esistono gruppi razziali fissi o discontinui. Al contrario, i gruppi umani mutano e interagiscono continuamente, tanto che la moderna genetica delle popolazioni si focalizza su modelli di distribuzione di geni specifici anziché su categorie razziali costruite artificialmente. Il concetto di r. umana è stato sostituito con quello di popolazione, e dunque legato a studi di tipo prettamente geografico, genetico e culturale. In tale contesto è possibile evidenziare sensibilità e predisposizioni diverse di specifiche etnie e popolazioni nei confronti di alcune patologie: per es., è nota la maggiore frequenza di mutazioni del pool genico responsabile della fibrosi cistica nelle popolazioni di ceppo caucasico. Inoltre, negli ultimi anni del Novecento il termine etnia è divenuto di uso corrente: essa viene per lo più concepita come un gruppo sociale dai tratti omogenei, i cui membri condividono lingua, tradizioni, cultura, religione, stili di vita, antenati e, almeno alle origini, abitano uno stesso territorio. In zoologia si parla di r. nel caso di popolazioni di animali addomesticati sui quali l’uomo ha operato la selezione di caratteristiche genetiche peculiari. Negli animali non addomesticati, le popolazioni regionali differenti tra loro per alcune caratteristiche, dovute alla concentrazione di particolari geni come risultato di adattamenti alle condizioni ambientali, sono invece chiamate sottospecie.
Variazione etnica delle patologie
La parola razza non può essere applicata alla specie umana, che non è il risultato di una selezione artificiale, come avviene per le razze di animali e per le piante domestiche, e comunque non è divisa in gruppi chiaramente distinguibili, grazie a un’origine molto recente dal punto di vista evolutivo. Lo stesso C. Darwin aveva notato che gli antropologi non erano mai riusciti ad accordarsi sul numero di razze esistenti, che variava da 2 a 63. Quindi al termine razza va preferito quello di etnia, o di gruppo etnico, riconoscendo che è soprattutto la cultura di un gruppo, e non la sua genetica, a individuarne la particolare identità.
L’analisi, soprattutto genomica, mostra la continuità quasi perfetta della variazione genetica umana spiegata dalla storia evolutiva. Le differenze genetiche fra popolazioni, valutate quantitativamente, rivelano una variazione molto modesta rispetto a quella osservata fra gli individui di uno stesso gruppo. Ben pochi geni hanno differenze da un punto all’altro della Terra, come quelli per il colore della pelle, che colpiscono perché hanno effetti molto evidenti. Però le patologie possono mostrare differenze etniche più profonde, perché la storia dei geni e la natura degli ambienti in cui sono vissute le varie etnie possono essere assai diverse.
La variazione etnica delle patologie è molto comune e ha sovente un’origine genetica, almeno parziale. È fondamentale distinguere le malattie ereditarie, mendeliane, classificate in dominanti e recessive, oltre che autosomiche e legate al sesso, da quelle più complesse dal punto di vista del meccanismo ereditario, dovute a molti geni (dette poligeniche o multifattoriali). Il loro numero è aumentato dalle poche centinaia individuate nel 1966 (inizio della loro registrazione nel catalogo OMIM, Online Mendelian Inheritance in Man) fino a quasi 20.000 nel 2009. Il catalogo OMIM non comprende le mutazioni cromosomiche né le malattie poligeniche. Per alcune patologie a frequenza più elevata, per es. la sindrome di Down, non sembra esservi grande variazione etnica.
Le variazioni etniche delle malattie complesse sono difficili da studiare. Inoltre le analisi statistiche delle malattie complesse sono dovute a più fattori, di origine ambientale (clima, cibi, parassitologia) e sociale (costumi e storia particolari). Una misura statistica dell’importanza dei geni rispetto all’ambiente, detta ereditabilità, è basata sulle correlazioni osservate fra parenti di vario grado, dai gemelli fino a parenti anche lontani, la cui interpretazione peraltro è complessa. Per es., l’ipertensione arteriosa presenta forti differenze all’interno delle popolazioni africane, e fra gli afroamericani degli Stati Uniti si trovano variazioni notevoli della frequenza dell’ipertensione, che è spesso molto elevata. Vi è anche una forte variazione della sensibilità ad alcuni farmaci ipotensivi.
L’espansione dell’uomo, iniziata circa 60.000 anni fa da una piccola popolazione dell’Africa orientale e completata circa 10.000 anni fa, è stata seguita da una fase che ha permesso alla popolazione di aumentare in loco, sostituendo la raccolta di prodotti della natura con la loro coltivazione e con l’allevamento. Il cambiamento di alimentazione e il contatto con i parassiti degli animali allevati hanno prodotto una nuova selezione naturale, per nuove malattie, qualcuna delle quali è stata curata con mezzi igienici o farmacologici creati dall’uomo o da nuove mutazioni spontanee. Un esempio è la lattasi, un enzima che l’uomo cessa di produrre dopo lo svezzamento: l’insorgenza dell’intolleranza al lattosio nel Nord-Ovest dell’Asia, tra i pastori di renne, è dovuta all’introduzione del consumo di latte da adulti. L’intolleranza così generata è stata superata da una mutazione genetica accidentale, che ha annullato la scomparsa della lattasi dopo lo svezzamento, permettendo la digestione del latte anche da parte degli adulti. La mutazione si è verificata nella zona degli Urali circa 6.000 anni fa e si è diffusa lentamente dal luogo di origine, favorendo i tolleranti al lattosio. Questo processo è ancora in corso e la tolleranza è assai più frequente nei luoghi più vicini al punto di origine: oggi è quasi universale nell’Europa settentrionale, intorno al 50% nel Nord e nel Centro d’Italia, del 25% nel Sud, del 20% in Sardegna.
La variazione etnica più evidente si trova nelle malattie recessive rare. L’incidenza di una malattia dipende dalla frequenza con cui compaiono le mutazioni specifiche, di solito molto bassa. Un esempio classico è la malattia di Tay-Sachs, una cerebropatia con l’insorgenza, in bambini senza segni di malattia alla nascita, di cecità, demenza e infine morte nei primi anni di vita. La malattia è presente quasi soltanto in un gruppo etnico, gli ebrei ashkenaziti che vivono nell’Europa settentrionale e negli Stati Uniti. Fra questi ultimi ha una frequenza particolarmente elevata, intorno a 1 su 25 portatori sani (eterozigoti), con 1 malato su 2.500 nati. È un fenomeno caratteristico della storia delle migrazioni, quando una popolazione numerosa discende da un piccolo gruppo di fondatori che si sono riprodotti, senza scambi esterni, per molte generazioni.
Le forme patologiche più complesse (e più comuni) sono dovute alla molteplicità di geni potenzialmente capaci di produrre, da soli o in combinazione, patologie molto simili. L’analisi genomica sta aiutando a comprendere alcune di queste situazioni ma incontra qualche difficoltà, soprattutto perchè i microarray (➔) in uso per lo studio di variazioni più frequenti di DNA non sono ancora del tutto adeguati a scoprire forme speciali di geni molto rari, comprese piccole mutazioni cromosomiche (dette variazioni di numero di copie). Molti geni non interagiscono semplicemente sommando le proprie azioni, ma in modo più complesso e solo ora si sta iniziando a studiare segmenti di RNA assai più piccoli dei geni.
Francesco Cavalli-Sforza
Luca Cavalli-Sforza