Razzismo
Nel presente articolo indicheremo con 'razzismo' l'insieme delle teorie razziali in quanto distinte sia dalla discriminazione razziale intesa come razzismo messo in pratica, sia dall'antisemitismo, sebbene spesso tali concetti siano usati come equivalenti.'Razzismo' è uno di quei concetti del nostro tempo che sfuggono a una definizione precisa e unanimemente accettata. Come spesso accade, anche in questo caso può essere d'aiuto richiamarsi alla storia del termine, poiché le parole non sono frutto di un arbitrio intellettuale, ma rispecchiano in forma astratta la realtà stessa dei fenomeni.
Il termine 'razzismo' venne coniato tra le due guerre mondiali nell'Occidente democratico come protesta verso teoria e prassi del nazionalsocialismo tedesco, che nel Terzo Reich si appellava alla propria 'dottrina razziale' intesa in un'accezione positiva, rifiutando le connotazioni polemiche insite nel termine razzismo. Nel 1945, dopo il crollo del nazismo, 'razzismo' assunse i caratteri di una categoria oggettiva, ma nello stesso tempo divenne un termine spregiativo usato in senso politico-ideologico per diffamare gli avversari.Il razzismo può essere considerato l'edificio teorico che fa da complemento alla discriminazione razziale moderna, il complesso di dottrine che guida e fonda la prassi razzista. Suo assioma fondamentale è la distinzione tra presunte 'razze superiori' e 'razze inferiori', in quanto postula la superiorità innata, fondata biologicamente, di una determinata razza - nella fattispecie, della razza cui appartengono coloro che lo propugnano.
Il razzismo in senso proprio nasce solo nell'età moderna, e più precisamente a partire dall'illuminismo, allorché viene fissato in forma scritta in trattati, saggi, articoli e norme legislative. Già in precedenza, peraltro, esistevano pratiche e orientamenti analoghi che possiamo definire 'protorazzismi'.
Se il razzismo moderno era l'ideologia con cui i bianchi cercavano di legittimare le loro pretese di dominio sul resto del mondo, forme di protorazzismo si ritrovano in tutti i luoghi e in tutte le epoche storiche in cui è esistita una situazione analoga di preminenza di determinati gruppi su altri subordinati. Le ideologie protorazziste non ebbero un'esplicita formulazione o sistematizzazione teorica; ciò si deve anche al fatto che di solito erano sancite sul piano religioso.Sulla definizione del concetto di 'razza', com'è noto, non esiste unanimità di vedute tra gli studiosi; il numero stesso delle razze è oggetto di controversie, come già rilevava ironicamente Darwin nell'Origine dell'uomo allorché elencava le ipotesi avanzate dai vari autori: 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 11, 15, 16, 22, 60, 63. La definizione delle 'razze' è assolutamente arbitraria. In questo caso l'etimologia del termine può essere d'aiuto. 'Razza' deriva senza dubbio dalle lingue romanze (spagnolo 'raza', portoghese 'raça', francese 'race'), e da queste è stato mutuato in seguito dal tedesco e dall'inglese. Tutte le altre etimologie restano ipotesi dubbie. La più plausibile rimanda all'arabo 'ras', che significa 'capo, testa', ma anche 'stirpe', 'discendenza' (nobile o aristocratica): chi 'aveva razza' aveva la sua stirpe ('ras') 'nella testa' ('ras'), ossia la conosceva a memoria, e poteva elencare un numero pressoché sterminato di illustri antenati (di sesso maschile).L'orgoglio per la stirpe aristocratica era particolarmente spiccato tra le tribù nomadi dei Berberi d'Arabia, che a partire dal 711, a seguito della Conquista, si insediarono nella penisola iberica. All'incontro/scontro con gli Spagnoli e i Portoghesi si deve forse la comparsa del termine 'razza' nelle lingue iberiche. Il vocabolo originariamente veniva impiegato sia per gli uomini che per gli animali - in particolare per i nobili cavalli 'purosangue' arabi. Perlomeno dopo Auschwitz, però, non è più lecito parlare di 'razze' in riferimento all'uomo, e per questo motivo il termine in tali occorrenze comparirà qui sempre tra virgolette. Spesso al concetto di razza era associata l'idea di appartenenza a una stirpe superiore alle altre per valore e nobiltà. Chi era di 'razza' nel senso originario del termine, costituiva una presunta razza 'superiore'.
Il concetto di razza denota anche fatti oggettivi, ossia la divisione dell'umanità nelle tre principali 'razze' (bianca, gialla, nera), che oggi sarebbe peraltro preferibile chiamare 'grandi gruppi' in contrapposizione a gruppi di minori dimensioni difficilmente classificabili. Sarebbe irragionevole chiudere gli occhi di fronte a tali differenze, reali quanto basilari, tra gli esseri umani. A scanso di equivoci, occorre però precisare che alle 'razze' non sono associati particolari valori individuali o collettivi tali da determinare una superiorità o inferiorità 'innata', 'razziale' in senso biologico e quindi permanente dell'uno o dell'altro gruppo. I concetti di 'superiore' e 'inferiore' rinviano piuttosto alla posizione assunta da alcuni grandi gruppi umani ('razze') nel corso della storia, al ruolo che essi hanno svolto nel processo di civilizzazione. La 'superiorità' in questo caso non ha nulla a che vedere con fatti biologici, ma è legata invece all'accesso diversificato delle varie società o gruppi umani ai principali centri dell'evoluzione, ai contatti e alle possibilità di contatto, poiché lo sviluppo di una società complessa è impossibile o seriamente ostacolato nell'isolamento.
Le differenze di fatto esistenti tra i grandi gruppi umani, e che vanno al di là dei semplici caratteri fisici (colore della pelle, tipo di capelli, forma degli occhi, ecc.), si possono pertanto spiegare in termini di differenze nel livello di sviluppo, che determinano un vero e proprio ordinamento gerarchico di rango e di 'beccata' tra i popoli: i gruppi e le società che di volta in volta si trovano in condizioni di superiorità disprezzano quelli subordinati, soprattutto quando questi sono costretti a lavorare per i 'superiori' in qualità di schiavi, servi della gleba, iloti, ecc. Il razzismo moderno appare dunque come un'ideologia intesa a legittimare l'effettiva supremazia mondiale degli europei ('bianchi') o dei loro ceti superiori in quanto posti al vertice della piramide dello sviluppo nell'età moderna. La spiegazione razionale del razzismo rimanda dunque a fenomeni socioeconomici, la cui copertura ideologica ha subito un processo di autonomizzazione nelle teorie razziali.
Auschwitz come simbolo del genocidio perpetrato dal Terzo Reich nella seconda guerra mondiale ('Olocausto', 'soluzione finale' della questione ebraica) e l'apartheid in Sudafrica possono essere considerati, nonostante il diverso grado di impiego della violenza che li caratterizza, gli esempi estremi delle due principali forme del razzismo, i cui presupposti storici si sono sviluppati in larga misura in modo indipendente. In Germania l'antisemitismo e il razzismo contro i negri finirono per confluire, nel movimento di agitazione politica dei gruppi populisti sin dal 1900, e nell'opinione pubblica più ampia verso la fine della prima guerra mondiale; tuttavia mentre il razzismo tedesco contro i negri rimase in larga misura un fenomeno propagandistico, che esplose nel 1923 con l'occupazione francese dell'area della Ruhr, attuata anche con soldati di colore, l'antisemitismo assurse tra il 1944 e il 1945 a dottrina ufficiale di Stato del nazismo nel Terzo Reich.Nell'antisemitismo nazista e nell'apartheid sudafricano si possono cogliere nel modo più chiaro gli elementi centrali del razzismo: la xenofobia e l'odio per gli stranieri; l'endogamia come rifiuto della commistione con 'razze inferiori'; l'orgoglio aristocratico per la presunta 'purezza di sangue'; la creazione di un sistema gerarchico di caste superiori e caste inferiori; l'etnocentrismo; lo schiavismo; l'atteggiamento di superbia di tutte le culture evolute nei confronti dei 'barbari' e dei 'selvaggi', e dei 'barbari' nei confronti dei 'selvaggi'; il rifiuto dei diritti umani attraverso la negazione della dignità umana; il disprezzo per i seguaci di altre religioni. L'idea fissa della 'purezza di sangue' fa nascere inevitabilmente il problema dei nati da unioni miste. La posizione intermedia che essi hanno tra dominanti e dominati concretizza e acuisce la tensione tra la pressione per il riconoscimento dell'eguaglianza e la sua negazione che arriva sino alla discriminazione e persino alla discriminazione razziale. Nel complesso dell'antisemitismo/antigiudaismo, un ruolo analogo è assunto dai cosiddetti conversos, gli ebrei convertiti al cristianesimo e i loro discendenti, nonché quelli più o meno assimilati. Tutti questi elementi - con diverso grado di intensità, isolatamente o in combinazioni di volta in volta diverse - si ritrovano anche nei protorazzismi di ogni tempo e di ogni luogo.
Solo il razzismo moderno tuttavia unificò tutti i singoli elementi dei protorazzismi sistematizzandoli in costrutti teorici. Un presupposto basilare del razzismo, perlopiù occultato ideologicamente, è costituito dalle differenze oggettive di sviluppo e di ricchezza, che a livello soggettivo si trasformano in meccanismi di disprezzo e di odio, in pretese di superiorità e in una compensazione aggressiva di complessi di inferiorità. L'antisemitismo/antigiudaismo riguardava fondamentalmente i rapporti interni dei 'bianchi', poiché sia gli ebrei in quanto semiti che i 'caucasici' appartengono alla 'razza bianca'. L'antico antigiudaismo nell'Impero romano era stato fomentato da una effettiva situazione di competizione socioeconomica e culturale nelle città dell'Impero d'Oriente tra due gruppi urbanizzati e altamente civilizzati, i Greci e gli Ebrei, ma si espresse fondamentalmente sul piano religioso. Le Chiese cristiane, sia quella cattolico-latina che quella greco-ortodossa, tramandarono i pregiudizi contro gli Ebrei estremizzandoli e dando loro una sanzione religiosa. Nel corso dei secoli, se non dei millenni, tali pregiudizi subirono un processo di autonomizzazione, cosicché in seguito gli esponenti dell'antigiudaismo persero memoria della situazione storica originaria da cui erano scaturiti. Per contro l'antigiudaismo/antisemitismo cristiano dei secoli successivi fu alimentato soprattutto dai complessi di inferiorità in campo economico, sociale e culturale delle società prima contadine e poi industrializzate nei confronti degli Ebrei. In quanto più antico popolo letterato e urbanizzato nella storia mondiale, dopo il declino del mondo antico, gli Ebrei rappresentarono sempre anche un modello di continuità culturale rispetto ai 'popoli ospiti', rimasti per lungo tempo analfabeti. Agli occhi degli abitanti delle campagne, di conseguenza, gli Ebrei urbanizzati che svolgevano professioni intellettuali non erano altro che 'parassiti'.
Il razzismo contro i negri tipico dei 'bianchi' - ma anche dei 'gialli' (cinesi e giapponesi) - si fonda sulla superiorità tecnico-materiale degli europei rispetto a 'razze' di colore diverso, e a differenza dell'antisemitismo riguarda i rapporti dei 'bianchi' con l'esterno. Suo presupposto storico essenziale è lo schiavismo; sin dall'antichità infatti l'Africa Nera aveva rappresentato una importante riserva di schiavi per il mondo occidentale, cosicché in genere al di fuori dell'Africa gli africani erano conosciuti solo come schiavi. La tratta dei neri nel Nuovo Mondo non fece che riattivare, rafforzare e diffondere nell'età moderna tali meccanismi più antichi.
Ad alimentare l'orgoglio razziale dei bianchi contribuì anche il 'mito ariano' - gli indoeuropei sarebbero stati gli unici o i più antichi creatori e portatori di cultura, e ciò solo perché tra alcuni popoli indoeuropei, come gli Indoari, i Germani e i Celti, predominava probabilmente il tipo biondo di pelle chiara. D'altro canto il sistema castale indiano che si andò affermando nel millennio successivo alla conquista indoaria dell'India settentrionale (1500 a.C. circa) è il primo esempio di apartheid istituzionalizzato praticato in modo continuato. Il sistema delle caste poté fare a meno di una fondazione teorica fissata in testi scritti poiché era ed è tuttora sancito sul piano religioso attraverso la credenza nella metempsicosi.
Ogni società antica, qualunque fosse il suo livello di sviluppo, considerava solo i propri membri (di sesso maschile) come esseri umani a pieno titolo, escludendo dal genere umano le donne, i servi, gli schiavi e i gruppi culturalmente inferiori. La negazione della dignità umana e quindi dei diritti dell'uomo era generalizzata nella prassi irriflessa di tutte le società: l'estraneo era identificato senz'altro con il nemico, e in quanto isolato e privo di tutela facilmente riducibile in schiavitù. Quale forma estrema di lavoro coatto lo schiavismo perpetuava la negazione dello status di esseri umani. Dopo l'emancipazione, il disprezzo per gli schiavi, considerati esseri subumani, si estese anche ai loro discendenti quando questi, come accadeva in America, erano fisicamente e quindi 'razzialmente' diversi dal resto della popolazione bianca. Il moderno razzismo contro i negri si sviluppò dalla problematica degli ex schiavi, che prima della emancipazione universale del 1863-1865 erano perlopiù meticci. La discriminazione razziale, soprattutto negli Stati Uniti, fu una conseguenza immediata dell'emancipazione; analogamente, l'emancipazione degli Ebrei portò all'antisemitismo, sebbene perlopiù solo dopo secoli di tentata assimilazione.
Per delineare un quadro storico del razzismo è necessario istituire un collegamento tra il piano delle teorie e delle idee e quello dei fatti storici concreti, perché solo così si può evitare che l'esposizione delle dottrine dei vari autori nella loro successione cronologica si trasformi in un mero esercizio accademico-scolastico fine a se stesso. Le teorie infatti avevano una duplice funzione: da un lato sistematizzavano ed esplicitavano il sapere dell'epoca, inquadrandolo in edifici concettuali preesistenti o creandone di nuovi; dall'altro contenevano indicazioni per un'azione politica concreta da attuarsi in un futuro imprecisato, influenzando il pensiero delle élites e prima o poi anche l'opinione pubblica più ampia. Nel fornire direttive politiche alla loro società, i teorici del razzismo influenzarono, seppure indirettamente, anche il corso della storia; nello stesso tempo le teorie gettano luce sulla realtà storica stessa. Esiste dunque una stretta interdipendenza tra sviluppi teorici ed eventi storici, cosicché non si possono comprendere appieno gli uni senza gli altri.
Solo nell'età moderna emergono singoli autori cui ricondurre le teorie razziali. I primi tentativi di spiegare le divisioni dell'umanità si mossero dapprima sul terreno dei miti collettivi o delle rappresentazioni religiose, e si collocavano quindi nel contesto delle concezioni generali relative alle origini del mondo (cosmogenesi) e alla sua fine, nonché al posto dell'uomo nell'accadere cosmico.Le distinzioni tra 'razze' erano estranee alla visione del mondo egizio, poiché dopo la conquista della Nubia la popolazione di pelle nera venne integrata saldamente nella civiltà dell'antico Egitto. I negri dunque non erano conosciuti unicamente come schiavi. Di conseguenza i confini tra il gruppo di appartenenza e il mondo esterno - come avviene del resto in tutte le grandi civiltà, dalla Cina all'antica Grecia - erano concepiti come confini tra civiltà e 'caos' della 'barbarie', a prescindere dal colore della pelle di quelli che di volta in volta assumevano i ruoli di popoli 'civilizzati' e di 'barbari'. Successivamente la concezione non razzistica propria dell'antico Egitto venne ripresa dai Greci, anche se l'orgoglio di questo popolo per la propria civiltà poteva assumere connotazioni quasi o protorazzistiche.
La concezione egizio-greca fu soppiantata dal racconto mitico-religioso del libro della Genesi dell'Antico Testamento, in cui la divisione dell'umanità viene ricondotta alla maledizione di Noè: "Maledetto sia Canaan il figlio di Cam! Sarà l'infimo servo dei suoi fratelli!" (Genesi, 9, 24-27). La tripartizione dell'umanità nei discendenti dei figli di Noè: Jafet, Sem e Cam rispecchiava i tre grandi gruppi conosciuti all'epoca in Occidente - i bianchi (figli di Jafet), i semiti e i figli di Cam, che (in seguito) vennero identificati con i neri e già da allora associati perpetuamente, ossia in modo intrinseco-strutturale, alla schiavitù. Successivamente, il cristianesimo e l'islamismo ripresero e accentuarono questa interpretazione, che diverrà l'argomentazione standard di tutti gli esponenti del razzismo moderno che si richiamano alla Bibbia. Alle latenti implicazioni razzistiche della maledizione di Noè si contrapponeva però il superiore principio dell'uguaglianza di tutti gli uomini davanti a Dio enunciato all'inizio della Genesi: "E Iddio creò l'uomo a sua immagine" (1, 27). Sarà questo il principio fondamentale cui si richiameranno in seguito tutte le argomentazioni non razzistiche o antirazzistiche che l'Europa oppose al razzismo da cui fu dominata per lungo tempo.
Solo l'espansione europea oltreoceano, a partire dalla scoperta di Cristoforo Colombo nel 1492 e dal viaggio di Vasco da Gama nelle Indie nel 1498, mandò in frantumi la visione eurocentrica del mondo e dell'umanità che aveva dominato sino a quel momento, portando a conoscenza l'esistenza di gruppi umani che non rientravano nella classificazione biblica. Si cercò allora di concettualizzare la nuova situazione creando nuove categorie in grado di fissare la posizione degli occidentali rispetto a un'umanità diversa e sino ad allora sconosciuta. Si trattava ancora di invenzioni collettive e anonime, ma la loro comparsa è databile con certezza e in sé assai istruttiva: di 'negri' si comincia a parlare intorno al 1516, ossia quando comincia la tratta degli schiavi nelle terre d'oltreoceano; 'mulatto' compare verso il 1604; 'casta' e 'meticcio' risalgono al 1615; 'bianchi' diventa d'uso corrente nelle colonie inglesi del Nordamerica verso il 1689 circa, ossia all'inizio dell'espansione coloniale britannica.Nello sviluppo delle dottrine razziali moderne emerge in modo particolarmente evidente l'interazione tra la sfera delle idee e quella della realtà storica. Allo spostamento dei centri di gravità nazionali in Europa nel corso dell'espansione oltreoceano fa riscontro un analogo processo sul terreno delle dottrine razzistiche. All'inizio l'egemonia in questo campo fu detenuta dagli Spagnoli, che dibattevano sul posto da assegnare nell'umanità agli Indios trovati in America e ai negri importati come schiavi dall'Africa.
Con il declino politico-coloniale della penisola iberica, a partire dalla metà del XVII secolo, furono la Francia e la Gran Bretagna ad assumere un ruolo di primo piano sia nel campo dell'espansione coloniale, sia in quello delle teorie razziali. Da allora in poi Francesi e Inglesi fornirono significativi contributi alla sistematizzazione teorica delle nuove conoscenze, e ciò fu nello stesso tempo un riflesso della loro crescente partecipazione alla tratta degli schiavi e alla produzione di zucchero basata sul lavoro schiavile nei Caraibi. Solo verso la fine del XVIII secolo nel dibattito cominciarono a inserirsi anche autori tedeschi - preannunzio, dapprima solo teorico-accademico, della futura espansione del nuovo Impero tedesco al principio del Novecento, e del ruolo preminente che la Germania avrebbe avuto da allora nella teorizzazione, nella prassi e nella propaganda del razzismo sino al 1945.
Egualmente degna di nota è la 'divisione del lavoro' tra Vecchio e Nuovo Mondo per quanto concerne il razzismo contro i negri. Con la scoperta dell'America vennero creati i presupposti storici per la nascita di questa forma di razzismo: acquisizione da parte dei 'bianchi' europei dello status di padroni degli schiavi nelle piantagioni del Nuovo Mondo e del dominio mondiale da un lato, riduzione del resto del mondo a riserve di schiavi, colonie, fonti di materie prime e mercati di sbocco per gli europei dall'altro. La sistematizzazione teorica delle notizie sui paesi e sui popoli dei lontani territori d'oltremare che affluivano nelle metropoli degli imperi coloniali continuò in Europa sino alle soglie del razzismo moderno. Fu comunque nelle colonie del Nuovo Mondo che il razzismo esplose per la prima volta e nella sua forma più massiccia. Dalla Giamaica, uno dei centri di produzione dello zucchero basata sul lavoro schiavile, esso si diffuse a partire dal 1788, ossia all'inizio del movimento abolizionista e dell'emancipazione degli schiavi, anche negli Stati Uniti di recente formazione.Nel frattempo nel Vecchio Mondo continuava la tendenza razzistica presente già da lunga data, e venne rafforzata dal razzismo del Nuovo Mondo, dove prassi (schiavismo, discriminazione razziale) e teoria procedevano di pari passo. Se nel Vecchio Mondo il razzismo contro i negri era conosciuto in via essenzialmente teorica e per sentito dire, nella seconda metà del XIX secolo, con il pieno affermarsi dell'industrializzazione e del nazionalismo, ebbe uno sviluppo impetuoso la seconda forma di razzismo, storicamente più antica, ossia l'antisemitismo.
Sotto un altro aspetto ancora la storia delle dottrine razziali può rivestire un interesse particolare che va ben oltre il tema specifico. Secondo una interpretazione piuttosto formalistica del progresso, quella che di volta in volta si presenta come la teoria o la concezione più nuova, e dunque più moderna, costituirebbe lo 'stadio più avanzato della ricerca' e in quanto tale è considerata automaticamente migliore di quelle precedenti. La storia delle teorie razziali dimostra peraltro che può essere vero anche il contrario: dacché, a partire dal 1774-1785, cominciarono ad argomentare in senso razzistico, gli esponenti di tale 'scienza' apparentemente moderna per due secoli hanno prodotto conseguenze sempre più catastrofiche.Nel quadro dello sviluppo generale del razzismo si può citare un esempio che illustra assai bene questo punto. Alla fine del XVIII secolo si affermò la teoria poligenetica, secondo la quale l'umanità avrebbe avuto un'origine molteplice, sarebbe derivata da una varietà di ceppi. Tale teoria forniva una risposta apparentemente plausibile alla antiquata divisione biblica dell'umanità seguita alla maledizione di Noè, e offriva una sistematizzazione 'scientifica' delle nuove informazioni sull'esistenza di gruppi umani che non rientravano nello schema della Genesi. Il primo illustre esponente della teoria poligenetica, l'inglese lord Monboddo, salutò addirittura l'Orang-Utan, allora recentemente scoperto, come "fratello dell'uomo". Si trattava probabilmente di eccesso di entusiasmo per la riscoperta della 'grande catena dell'essere' - teorizzata da Aristotele e poi caduta nell'oblio nel mondo occidentale - che va dalla materia inerte, inorganica, sino all'uomo dotato di piena coscienza (cfr. A. Lovejoy, The great chain of being, Cambridge, Mass., 1936). Ma già un anno dopo, in Giamaica, Edward Long associò le due idee - l'ipotesi poligenetica e l'attribuzione dell'Orang-Utan alla specie umana - e attribuì loro una chiara impronta razzistica, in quanto interrompeva la 'catena dell'essere' al di sotto degli europei e collocava i negri al livello degli Orang-Utan: le teorie più nuove non sono sempre automaticamente le migliori, o anche solo valide.
L'urgenza di sistematizzare il flusso caotico di nuove conoscenze nelle metropoli dell'Europa coloniale segnò l'inizio di una serie di teorie razziali formulate individualmente. Nel 1684 il medico e viaggiatore francese François Bernier usò per la prima volta il concetto chiave di 'razza' in senso moderno per indicare le divisioni tra gruppi umani. Il suo trattato, intitolato appunto Nouvelle division de la Terre par les différentes éspèces ou races d'homme qui l'habitent, rappresenta il primo tentativo autonomo e individuale di ordinare le nuove conoscenze sulle terre d'oltremare e sui loro abitanti in un sistema razionale, non più legato allo schema biblico. La nuova categoria della 'razza' non implicava ancora alcun giudizio di valore morale, non era 'razzistica' nel senso ristretto, ma aveva un carattere quasi scientifico. Per quasi un secolo dominò un concetto di 'razza' non razzistico, usato prevalentemente ai fini di una classificazione scientifica dell'umanità che le scoperte più recenti rendevano una necessità pragmatica. Ma a partire dal 1775, allorché l'Europa e il Nordamerica andarono consolidando il loro status di potenze mondiali, la categoria introdotta da Bernier assunse gradatamente connotazioni prettamente razzistiche. Passo dopo passo i vari autori apportarono i singoli elementi che successivamente avrebbero formato il razzismo.
Con Bernier hanno inizio le moderne teorie razziali in senso più ampio: nello stesso tempo, egli aprì la strada alle controversie sul numero (arbitrario) delle 'razze' e sui criteri per distinguerle. Lo stesso Bernier non era ben sicuro se le razze fossero quattro o cinque: europei (più egiziani e indiani); africani; cinesi; giapponesi e lapponi; amerindiani - che egli tuttavia assimilava agli europei. Fu ancora un medico, lo svedese Carl von Linné (Linneo), a elaborare nel suo Systema naturae (1735) il successivo, grande progetto di classificazione. Per la prima volta dopo Aristotele, Linneo inseriva nuovamente l'uomo nel sistema della natura, considerandolo parte del regno animale. Egli fu il primo a utilizzare come criterio distintivo il colore della pelle, dividendo i gruppi umani in bianchi, rossi, gialli e neri. Così facendo, però, diede inizio anche all'associazione di valori morali alle 'razze' - positivi nel caso dei bianchi, negativi per i neri.Gli illuministi europei ebbero una posizione ambivalente su quello che un secolo più tardi diventerà noto come 'problema delle razze'. Ancora in piena sintonia con l'antica concezione cristiana non razzistica, il francese G. L. L. Buffon asserì la fondamentale unità del genere umano, che solo in un secondo tempo si sarebbe differenziato in molteplici 'variétés'.
Contro la nuova teoria poligenetica, Buffon si attenne all'antiquata ma più umana monogenesi, alla teoria dell'origine unitaria dell'uomo che in seguito la scienza moderna ha confermato. Coerentemente con questa posizione Buffon, al pari di alcuni illuministi tedeschi (tra cui Herder), rifiutò il concetto di razza, dando così avvio a quella corrente minoritaria fermamente antirazzistica che si affermò soprattutto in Francia e in Inghilterra.
Sul versante opposto si colloca invece il filosofo razionalista scozzese David Hume, che in una nota per l'edizione del 1754 dei suoi Essays (1741) presentò in forma già condensata gli argomenti tipici del razzismo moderno: i 'negri' sarebbero per natura inferiori, privi di civiltà, e perlomeno in Giamaica privi di un ingegno superiore (ingenuity).Fu Immanuel Kant a introdurre in Germania il concetto di 'razze' distinguendone quattro: bianca, negra, mongolica o calmucca, indù o indostanica (Von der verschiedenen Racen der Menschen, 1775), ma senza conferirgli ancora alcuna connotazione razzistica.Già in bilico verso l'incipiente razzismo fu invece l'antropologo tedesco Johann Friedrich Blumenbach, che nel trattato in latino De generis humani varietate nativa (1775) riprese la precedente suddivisione pragmatica dei gruppi umani - caucasici, mongoli, etiopi, americani (Indiani d'America), malesi - introducendo però un ordinamento gerarchico delle razze basato su criteri estetici, in cui naturalmente il primo posto era assegnato al proprio gruppo di appartenenza. Indubbiamente contro la sua volontà - poiché va detto che Blumenbach fu uno dei principali sostenitori in Germania dell'abolizione dello schiavismo, la forma più brutale di razzismo dell'epoca -, le sue teorie slittarono fatalmente verso posizioni razzistiche: fu Blumenbach a introdurre il concetto della 'razza caucasica', partendo dall'ipotesi che il Caucaso fosse la terra d'origine degli europei, e fu sempre lui a inventare la categoria della 'razza ebraica'.
In Blumenbach confluiscono quindi sul piano teorico le due principali forme del razzismo moderno: l'antigiudaismo/antisemitismo e il razzismo contro i negri. Sebbene le sue categorie non fossero intese come strumenti di lotta contro determinati gruppi identificati come nemici, tuttavia i futuri razzisti poterono abusarne utilizzandole come slogan e armi contro le razze considerate 'inferiori'.
Al pari di Hume, anche Rousseau e Voltaire sostennero l'intrinseca inferiorità dei 'negri' rispetto agli europei. Voltaire espresse giudizi improntati prevalentemente al rifiuto e al disprezzo degli ebrei, considerati incalliti seguaci di superstizioni medievali. La posizione di Voltaire esemplifica nel modo più chiaro la dialettica o l'ambivalenza dell'illuminismo, che da un lato propugnava l'eguaglianza tra gli europei, dall'altro ne rivendicava la superiorità manifestando un disprezzo razzistico nei confronti dei negri e carico di implicazioni antisemite nei confronti degli ebrei. L'emancipazione degli schiavi di cui si fecero sostenitori gli illuministi contribuì direttamente all'affermarsi del razzismo contro i negri, indirettamente e in modo più sottile all'antisemitismo: l'emancipazione degli ebrei infatti era vista con favore solo a condizione che essi si adeguassero agli altri popoli europei illuminati, il che significava l'annullamento attraverso l'assimilazione. Il rifiuto dell'assimilazione da parte degli ebrei, o la sua negazione da parte dei 'popoli ospiti', ad esempio attraverso una nuova discriminazione, ebbe come inevitabile conseguenza l'antisemitismo.
Negli stessi anni il razzismo moderno si era già manifestato in tutta la sua pienezza nel Nuovo Mondo, per così dire al primo posto del 'fronte razziale', come verrà chiamato in seguito. In Giamaica - il centro della produzione dello zucchero e dello schiavismo britannici nei Caraibi - Edward Long, in un capitolo del secondo dei tre volumi della sua History of Jamaica (1774) intitolato Negroes, ripropose tutti i vecchi pregiudizi contro i negri dando loro una veste pseudoscientifica. Nell'opera di Long, che in Giamaica aveva potuto conoscere solo negri ridotti in schiavitù, riemerge la secolare equiparazione tra neri e schiavi. In base alla sua classificazione delle 'razze', che raggiunge livelli di grossolanità sino allora sconosciuti, esisterebbero solo tre specie del genere umano: gli europei e i loro affini, i negri e gli Orang-Utan (la cui esistenza era nota solo di recente in Europa) sino a tutte le scimmie senza coda. L'integrazione dell'uomo nel regno animale inaugurata da Linneo veniva spinta dunque sino all'assurda conseguenza di collocare i neri tra i bianchi e le scimmie antropomorfe. Le idee di Long rimasero in auge nelle dottrine dei razzisti per circa un secolo, e continuarono a essere riproposte dalla propaganda razzistica di minimo livello morale e intellettuale sino al XX secolo.
Long era un sostenitore della nuova teoria poligenetica, che da allora in poi riemergerà solo come argomento razzistico. Fu Long ad asserire che i mulatti sono sterili (al pari dei muli, da cui probabilmente il termine deriva), sebbene egli avesse quotidianamente sotto gli occhi la dimostrazione concreta della falsità di questa ipotesi. Hitler in Mein Kampf avrebbe ripreso e divulgato la favola della infecondità delle razze miste, che nel quadro della sua politica razziale e demografica era destinata ad avere le più funeste conseguenze. Nel 1788, con la ristampa sulla rivista newyorkese "Columbia magazine" del capitolo dedicato ai negroes, Long divenne il principale punto di riferimento del razzismo nordamericano dopo l'emancipazione degli schiavi.A soli undici anni di distanza dall'importante contributo di Long, le nuove idee, dopo una lunga preparazione, penetrarono anche nel Vecchio Mondo, investendo ora anche la Germania. Sebbene all'epoca questa non fosse ancora direttamente coinvolta nella politica coloniale, tuttavia beneficiava indirettamente della generale ripresa economica che il processo di espansione europea nelle terre d'oltreoceano da ormai quasi tre secoli aveva contribuito a determinare. I Tedeschi non potevano e non volevano restare estranei alle nuove conoscenze e alle nuove dottrine. Gli intellettuali che per primi se ne fecero interpreti erano attivi in quegli anni in due università, direttamente o indirettamente collegate alle nuove correnti: quella di Königsberg e quella di Gottinga, fondata come università riformata nel 1734 nell'elettorato di Hannover, legato all'Inghilterra da un'unione personale. A Gottinga venivano coltivate soprattutto le scienze naturali, il cui spirito pervadeva peraltro anche le altre facoltà. Fu qui che gli storici illuministi istituirono la storia come disciplina accademica. Blumenbach vi deteneva la cattedra di antropologia.
Il filosofo di Gottinga Christoph Meiners aprì la strada al razzismo anche in Europa con il suo Grundriss der Geschichte der Menschheit (1785), la prima storia universale in una prospettiva razziale. Fu Meiners il primo a sviluppare in forma generalizzata le conseguenze razzistiche della tesi poligenetica, postulando l'esistenza di una pluralità di "razze umane originariamente diverse" con "caratteri ereditari e indelebili", ordinate gerarchicamente in base a giudizi di valore: gli Europei (eccettuati gli Slavi) sarebbero superiori a tutti gli altri popoli. La concezione di Meiners è improntata a un dualismo razzistico fondato su criteri estetici (vi sarebbero sostanzialmente solo due 'razze', una "chiara e bella", l'altra "scura e brutta"), che arriva al punto di paventare una mescolanza tra razze nobili e razze vili che porterebbe alla degenerazione delle prime. Nelle tesi di Meiners si ritrovano già alcuni elementi chiave delle teorie razziali di Gobineau. Poiché questi fu fortemente influenzato dalla cultura tedesca ed ebbe in Germania la massima risonanza, si può affermare che Meiners pose i fondamenti teorici del razzismo europeo in senso proprio, inaugurando la serie cumulativa degli apporti tedeschi che ebbero Auschwitz come punto terminale.
Per onestà e correttezza intellettuale va detto peraltro che Meiners impiegò anche un altro schema categoriale il quale, epurato da ogni connotazione peggiorativa o autoglorificante, si rivela utile per una analisi razionale dell'evoluzione storica dell'umanità.
Secondo tale schema, ai 'selvaggi' (i cacciatori e raccoglitori) sarebbero succeduti i 'barbari' (che Meiners identificava solo con i pastori nomadi, escludendo il primo stadio di un'agricoltura intensiva), e infine la 'civiltà'. Con l'imparzialità derivatagli da una formazione classica, Marx usò tali categorie in senso oggettivo, come formule abbreviative per designare complesse strutture socioeconomiche. Epurato da ogni giudizio di valore e inteso come schema categoriale definito con precisione e quindi oggettivo, la triade stato selvaggio-barbarie-civiltà può risultare (nuovamente) valida, poiché coglie effettivamente alcuni aspetti essenziali dell'evoluzione dell'umanità. D'altro canto tale oggettivazione di concetti altrimenti sospetti aiuta a isolare, perlomeno sul piano teorico, il nucleo essenziale del razzismo - poiché questo si alimenta sostanzialmente della superbia culturale dei popoli 'civilizzati' nei confronti di quelli non civilizzati, o che lo sono in misura minore.
Da Meiners in poi continueranno a essere sviluppate senza sosta le reali implicazioni del dogma razzistico: gerarchizzazione dell'umanità e degradazione delle 'razze' non bianche. L'anatomista olandese Peter Camper inventò la craniometria per quantificare la bellezza fisica del volto umano, istituendo una correlazione tra la maggiore o minore inclinazione dell'angolo che misura l'aggetto del bordo alveolare verso l'innanzi (il cosiddetto 'angolo facciale di Camper') e un ordinamento gerarchico di 'razze' superiori e inferiori - dagli europei ai calmucchi sino ai negri e alle scimmie.Julien-Joseph Virey nella sua Histoire naturelle du genre humain (1801) sviluppò coerentemente le argomentazioni di Meiners, contrapponendo le 'razze' 'bianche e belle' a quelle 'nere e brutte'. Lorenz Oken nobilitò la propria teoria razziale combinandola con la dottrina classica degli elementi: la razza nera sarebbe 'terrestre' o 'scimmiesca'; quella bianca 'umana' e caratterizzata dall'elemento igneo; i mongoli sarebbero associati all'aria, gli indiani all'acqua.
Nella sua Anthropologie (1822) in due volumi, Henrik Steffens sostituì il termine razza con il neologismo 'lei'. Per il resto riprese con poche modifiche le tesi di Oken, sicché ogni lei risultava associato a uno dei quattro elementi, in una progressione gerarchica crescente articolata nel modo seguente: terra (negri), acqua (indiani), aria (asiatici mongolici), luce (europei). Analogamente Carl Gustav Carus, nella sua opera Über die ungleiche Befähigung der verschiedenen Menschenstämme für höhere geistige Entwicklung (1848), distinse quattro 'razze' - aurorale (gialla), diurna (bianca), crepuscolare (rossa) e notturna (nera).
Nel corso del XIX secolo anche il razzismo risentì in vario modo dell'influsso di diverse scoperte scientifiche che davano il colpo di grazia alla spiegazione del mondo propria del cristianesimo ortodosso, già scossa dall'illuminismo. In primo luogo la scoperta delle lingue indoeuropee - cui a partire dal 1816 il linguista tedesco Franz Bopp diede con le sue ricerche un ampio fondamento scientifico- fornì il materiale per il 'mito ariano', la falsa credenza che tutte le culture evolute siano derivate dagli indoeuropei, identificati con gli ariani (v. Poliakov, 1971). Dapprima l'interesse si concentrò in forma ancora nebulosamente romantica sull'India, che dalla fine del XVII secolo aveva soppiantato la Cina nelle predilezioni esotiche degli europei. Nello stesso tempo all'indoeuropeo venne attribuito lo status di lingua originaria dell'umanità, detenuto in passato dall'ebraico. In seguito la rosa dei popoli che potevano fregiarsi del titolo di unici creatori e portatori della civiltà si restrinse agli indoeuropei del Nord (gli 'indogermani'), ai Germani, ai Celti e agli Slavi (così sosteneva ancora H. S. Chamberlain), per ridursi poi in Germania ai soli Germani e ai loro discendenti, i Tedeschi: nobiltà e bellezza vennero considerati prerogativa esclusiva della razza bionda con la pelle chiara e gli occhi azzurri
A partire dalla Vita di Gesù (1835) di David Strauss lo studio scientifico della Bibbia demolì definitivamente l'autorità delle Scritture come rivelazione diretta di Dio e indebolì la posizione di tutti coloro che, seguendo il racconto della Genesi, sostenevano la teoria monogenetica con le sue implicazioni antirazzistiche (davanti a Dio tutti gli uomini sono eguali). La geologia moderna tolse ogni fondamento alla cronologia biblica, estendendo gli spazi temporali entro cui situare l'origine della Terra e delle specie animali e vegetali; l'astronomia e l'astrofisica moderne fecero lo stesso per quanto riguarda la nascita dell'universo. Con la scoperta dell'Uomo di Neanderthal a Düsseldorf (1856) furono poste le basi dello studio scientifico della preistoria e dell'origine dell'uomo, proiettata sempre più indietro nel tempo quanto più 'progrediva' la scienza.
Nel giro di pochi anni due autori posero le teorie razziali su nuove basi 'scientifiche' apparentemente inattaccabili: Gobineau, soprattutto attraverso la rielaborazione di teorie precedenti, e Darwin con la nuova teoria della selezione naturale. Sebbene Darwin non mirasse esplicitamente a costruire una teoria razziale, tuttavia la sua opera, che in sé si muoveva sul terreno strettamente biologico, ebbe un impatto rivoluzionario che influenzò anche il successivo sviluppo delle teorie razziali.Il più importante esponente delle teorie razziali prima della svolta segnata da Darwin, il francese Joseph-Arthur de Gobineau, apportò pochi elementi originali, ma riuscì a sistematizzare e a dare una veste organica alle idee sino a quel momento disperse e contraddittorie del razzismo ancora in fase di sviluppo. Già nel titolo della sua opera principale in due volumi, Essai sur l'inégalité des races humaines (1854), è preannunciato l'intero suo programma. Sebbene in quanto cattolico fosse ancora formalmente legato alla narrazione biblica della creazione, Gobineau destituì di ogni validità la tesi monogenetica della Genesi postulando l'esistenza di un 'uomo primitivo' ('adamitico'), da cui in seguito sarebbero derivate le diverse 'razze'. Pur riproponendo l'idea di un ordinamento gerarchico tra 'razze' superiori (bianca) e inferiori (nera), Gobineau attribuì ai negri e agli ebrei considerevoli facoltà; tra i bianchi, veri creatori di cultura e civiltà sarebbero gli 'ariani', finché si mantengono 'puri'. Nuove razze potrebbero nascere da una mescolanza, ma quelle superiori dovrebbero preservare il loro nuovo status mantenendosi 'pure', per scongiurare il pericolo di una degenerazione che determinerebbe la loro estinzione, e in ultimo quella dell'umanità intera. Il pessimismo misantropico di Gobineau in seguito poté essere interpretato in senso attivistico, come esortazione alle 'razze superiori' a difendersi da quelle inferiori attraverso una 'guerra razziale' all'esterno e, all'interno, con la 'selezione', l''eugenetica' e il genocidio.
Come aveva giustamente previsto, con la teoria evoluzionistica sviluppata in On the origin of species (1859) Charles Darwin risolse la controversia tra poligenesi e monogenesi in favore di quest'ultima. Tuttavia anche la teoria monogenetica lasciava ampio spazio a conclusioni razzistiche. Con il concetto di 'lotta per l'esistenza' introdotto da Herbert Spencer, il socialdarwinismo traeva conseguenze razzistiche dal principio dell'evoluzione sociale attraverso la selezione: le razze più forti e più valide avrebbero dovuto tenere a freno quelle inferiori ma numericamente preponderanti. All'epoca dell'imperialismo era chiaro a chi ci si riferiva, tanto più che Darwin stesso, in The descent of man (1871), aveva parlato di "razze con diversi caratteri" - espressione che, avulsa dal contesto, venne ben presto interpretata come un riferimento alle cosiddette 'qualità razziali'.
Francis Galton, cugino di Darwin, sviluppò ulteriormente il socialdarwinismo creando con l''eugenetica' una nuova disciplina che si proponeva il miglioramento della specie umana. Al di là della preoccupazione moralmente giustificata di migliorare le condizioni di salute e di vita delle masse nelle città industriali, l'eugenetica, attribuendo un peso maggiore ai fattori ereditari rispetto a quelli ambientali, conteneva implicitamente l'idea che fosse necessario impedire la riproduzione dei membri della società affetti da malattie ereditarie. Da qui al loro isolamento e al loro sterminio il passo era breve, come accadde nel Terzo Reich con il programma di 'eutanasia'. Anche se Galton era inglese, le sue idee, al pari di quelle di Gobineau, ebbero in Germania la loro massima risonanza.
Con Spencer, Darwin, Gobineau e Chamberlain il socialdarwinismo divenne un movimento di massa talmente diffuso sia in Europa che in America, che risulta difficile isolare altri autori. Numerosi studiosi con pretese scientifiche - sia biologi (come Ernst Häckel) che storici e filosofi - applicarono i principî e le idee dell'evoluzionismo al proprio ambito disciplinare. Anche la letteratura, sia di alto che di basso livello, contribuì a divulgare le nuove dottrine, da cui i movimenti di agitazione poterono trarre i loro slogan politici. Come ideologia di legittimazione fondata su presunte basi scientifiche dell'imperialismo bianco, il socialdarwinismo poteva servire a giustificare la lotta contro le 'razze inferiori' all'esterno, e all'interno le rivalità nazionali nell'ambito del sistema europeo nonché il conflitto tra le classi. Pertanto anche l'ideologia del nascente socialismo, che si sentiva autorizzato a "gettare la borghesia nel mondezzaio della storia", come si espressero in seguito i comunisti, non era altro che un socialdarwinismo applicato alla lotta di classe. Anche l'antisemitismo trovò dunque accesso in una corrente del movimento socialista, soprattutto in Francia e in Russia, mentre un'altra corrente lo contrastò in via di principio o in generale, soprattutto in Germania.
Fu comunque in Germania, divenuta intorno al Novecento una delle maggiori potenze industriali e che aspirava tenacemente al ruolo di potenza mondiale, che il socialdarwinismo nelle sue estremizzazioni razzistiche ebbe la massima diffusione. L'esaltazione della razza tedesca era già cominciata come reazione contro la Rivoluzione francese e le imprese napoleoniche - una variante tedesca dell'idealizzazione romantica dei popoli nazionali delle origini (i Galli per i Francesi, i Britanni per gli Inglesi, i Visigoti per gli Spagnoli, ecc.). Con il mito della razza ariana cominciò la restrizione quasi razzistica della rosa dei popoli superiori ai soli Germani, che escludeva persino altri popoli europei, in particolare gli Slavi, dalla comunità dei 'bianchi' europei ('indogermani'), per arrivare infine sotto Hitler alla degradazione degli Slavi a esseri inferiori che meritavano lo sterminio. Nell'epoca dell'imperialismo il mito ariano divenne a tutti gli effetti l'ideologia di legittimazione dell'ascesa fulminea della Germania a massima potenza del continente europeo, che per due volte fu sul punto di "afferrare il dominio mondiale" (Fritz Fischer). Ai lampi di genio nel campo intellettuale - come già aveva predetto con chiaroveggenza Heinrich Heine nella sua Geschichte der Religion und Philosophie in Deutschland (1835) - i Tedeschi fecero seguire di fatto lampi e tuoni, in due guerre mondiali, con tutti i loro misfatti.
Dopo la crisi mondiale (il 'grande crollo') del 1873, le idee di Gobineau raggiunsero la massima influenza nel Reich tedesco, dove vennero promosse, divulgate e popolarizzate soprattutto da Richard Wagner e dalla cerchia di Bayreuth, sino ad arrivare al genero di Wagner, Houston Stewart Chamberlain, che può essere considerato l'autentico successore di Gobineau. In Germania, sua patria d'elezione, Chamberlain poté offrire al suo pubblico colto, aggiornato sulle acquisizioni più recenti della ricerca scientifica in molti campi, una Weltanschauung affascinante anche sul piano letterario, che doveva lusingare le aspirazioni di 'politica mondiale' dei Tedeschi (v. Chamberlain, 1899). Fu Chamberlain ad associare per la prima volta l'antisemitismo con il razzismo contro i negri. Tuttavia, se questi sono definiti "una razza inferiore e in sé incapace di cultura", il vero e proprio nemico è identificato con 'Giuda' (assieme al 'Rom'). È 'Giuda' che contende ai 'Germani' (ossia ai 'Tedeschi') il dominio mondiale che spetta loro di diritto, diventando per ciò stesso il nemico mondiale. Il dualismo razziale di Chamberlain si spinge sino alla prefigurazione di un conflitto finale a livello mondiale tra 'bene' e 'male', tra 'Germani' e 'Giuda/Rom'. Guglielmo II e Hitler furono tra gli ammiratori di Chamberlain, che è altresì considerato dal razzismo nazista suo padre fondatore e precursore ideologico.
Sebbene sino alla prima guerra mondiale il razzismo di impronta antisemita restasse in Germania una sottocorrente di estremisti, tuttavia riuscì a farsi strada sino ai vertici dello Stato. La crisi generale seguita alla prima guerra mondiale e la disfatta tedesca nel novembre 1918 contro un 'mondo di nemici' contribuirono a trasformare il razzismo in una sorta di ideologia di resistenza teutonica per la rinascita della Germania come potenza mondiale. Data l'assenza di una 'popolazione di colore' in Germania, destò particolare scandalo l'occupazione del territorio della Ruhr nel 1923 da parte dell'esercito francese, in cui erano arruolati tra gli altri anche marocchini e africani (l''oltraggio nero').
Progressivamente il razzismo tedesco, che dapprima si era incentrato soprattutto sugli Ebrei, cominciò a investire anche gli europei 'inferiori' (Slavi e Francesi 'negrizzati'), nonché gli Italiani, sia pure in misura minore dopo l'avvento del fascismo. La vittoria del nazionalsocialismo diede una sanzione ufficiale alla 'dottrina razziale' che propugnava la superiorità dell'uomo ariano, 'nordico'. Attraverso l'indottrinamento e l'agitazione politica essa divenne nel corso della seconda guerra mondiale l'ideologia di legittimazione del programma di eutanasia all'interno, e della 'soluzione finale' della questione ebraica all'esterno, con lo sterminio di milioni di Ebrei e la riduzione in schiavitù degli Slavi.
Negli stessi anni il razzismo si affermò anche in Giappone, mentre l'Italia fascista, l'altro paese alleato della Germania, non sviluppò un proprio razzismo autonomo.
Dopo la sconfitta delle potenze dell'Asse nel 1945, il fascismo sembrò messo al bando in tutto il mondo, e trovò una esplicita condanna in vari documenti delle Nazioni Unite e dell'UNESCO. L'opposizione al razzismo in Europa, sino ad allora sostenuta da una minoranza, divenne sul piano teorico la posizione della maggioranza. In pratica, tuttavia, il razzismo continuò a sopravvivere in varie forme per legittimare la discriminazione. Negli Stati Uniti esso rimase sino al 1965 una tangibile realtà politica - nel Sud ufficialmente approvata anche dallo Stato - e da allora ha continuato a sussistere in forma latente con conseguenze esplosive. Nell'ideologia dell'apartheid in Sudafrica si mescola una credenza biblico-calvinistica nella predestinazione, che avrebbe attuato la sua 'selezione' per così dire in forma concreta, sfociando nella segregazione dei 'neri'. Accanto ai parallelismi con il razzismo degli Stati del Sud americani, il razzismo dei boeri presenta innegabili affinità e simpatie con quello di stampo nazista.
D'altro canto, dopo il processo di decolonizzazione in ampie aree del Terzo Mondo sono emerse in modo tangibile forme autoctone di protorazzismo che, prive di una controparte teorica sotto forma di specifiche dottrine razziali, si configurano principalmente come prassi discriminatoria nel quadro di conflitti interni. Esiste un contrasto stridente tra la condanna ufficiale del razzismo e la discriminazione praticata in varie parti del mondo contemporaneo (dopo la caduta del comunismo anche nell'ex blocco orientale), che sfocia talvolta in veri e propri pogrom e massacri.Il razzismo dunque non è una idea astratta propugnata da singoli individui, ma lo spietato risultato di un antichissimo meccanismo sociale che ha portato nel corso dei secoli alla costruzione di una 'teoria razziale' fondata su una corrente della scienza moderna che allora si proclamava progressista: l'idea germogliata nella mente di un singolo si diffuse diventando l'idea di molti; l'idea di molti venne messa poi in pratica da altri. Nel loro aspetto rivolto al futuro, le teorie sviluppate per fondare e definire il razzismo avevano una funzione analoga a quella della fantascienza moderna: si trattava di direttive per l'azione politica coniugate con utopie pseudoscientifiche che prefiguravano l'avvento di un presunto 'brave new world' migliore di quello attuale. Nelle epoche segnate da gravi crisi - la formazione di nuovi Stati nazionali nel XIX e nel XX secolo, e attualmente la crisi mondiale dell'industrialismo - riaffiorano antiche angosce esistenziali che trovano nelle teorie razzistiche una legittimazione pseudoscientifica per una prassi discriminatoria e per l'odio verso i rivali nella lotta per l'appropriazione di risorse sempre più scarse in questa nostra Terra minacciata sul piano ecologico.(
V. anche Antisemitismo; Discriminazione razziale; Etnocentrismo; Genocidio; Ghetto; Nazionalsocialismo).
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