REFERENDUM (XXVIII, p. 976; App. II, 11, p. 674)
La legge di attuazione dei r. popolari previsti dalla Costituzione è stata approvata con grande ritardo rispetto all'entrata in vigore della Costituzione stessa (1° genn. 1948): essa porta infatti la data del 25 maggio 1970, n. 352. Nella prima parte essa disciplina in dettaglio il r. previsto dall'art. 138 Cost. (cioè il r. che può inserirsi nel procedimento di revisione costituzionale); nella seconda il r. previsto dall'art. 75 Cost. (cioè il r. abrogativo di leggi o di atti aventi valore di legge); nella terza il r. previsto dall'art. 132 Cost. (cioè quello sulla proposta di modificazioni territoriali delle Regioni).
Quasi nella stessa epoca, essendo nate le Regioni ordinarie, gli statuti di esse (approvati con leggi della repubblica tutte datate 22 maggio 1971) disciplinarono i r. su leggi e provvedimenti amministrativi di ciascuna Regione, previsti dall'art. 123 Cost. nell'ambito, appunto, dell'ordinamento regionale. Ma già in precedenza, delle cinque Regioni a statuto speciale avevano previsto r. la Sardegna, la Valle d'Aosta, il Trentino-Alto Adige, il Friuli-Venezia Giulia.
Il r. sulle leggi di revisione della costituzione e, più in generale, su tutte le leggi costituzionali, è previsto in via eventuale, qualora concorrano due circostanze: primo, che, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, di tali leggi (votate dal Parlamento secondo un procedimento "aggravato", cioè in due deliberazioni per ciascuna Camera e a maggioranza assoluta nella seconda votazione) venga richiesta la sottoposizione a r. da parte: a) di un quinto dei membri di una Camera, oppure b) di 500.000 elettori, oppure c) di cinque consigli regionali; secondo, che le leggi stesse non siano state approvate nella seconda votazione da parte di ciascuna delle Camere a maggioranza dei due terzi dei componenti (nel qual caso, appunto, la norma costituzionale - sul presupposto dell'ampiezza del consenso manifestato dai parlamentari - non ammette la sottoposizione a referendum). In caso di r., la legge ad esso sottoposta non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi.
La l. n. 352/1970 citata regola nei dettagli questo tipo di r., stabilendo tra l'altro che la raccolta delle 500.000 firme di elettori deve avvenire a mezzo di "promotori", che fanno registrare la loro iniziativa presso la Corte di cassazione, ottenendo così l'effetto di far pubblicare la notizia dell'iniziativa stessa nella Gazzetta ufficiale: che le firme dei richiedenti il r. debbono essere autenticate, e che ad esse debbono essere acclusi i certificati attestanti la qualità di elettori nei firmatari; che il deposito di tali firme corredate dai certificati elettorali vale come richiesta di r.; che qualora l'iniziativa parta da cinque consigli regionali, le relative deliberazioni devono essere approvate a maggioranza assoluta; che presso la Corte di cassazione è costituito un Ufficio centrale per il r., chiamato anzitutto a verificare la conformità alla costituzione e alla legge della richiesta di r., e (alla fine del procedimento) ai conteggi e alla proclamazione dei risultati. L'indizione del r. avviene con decreto del presidente della Repubblica; il quesito che viene posto agli elettori è di approvazione o no della legge; le votazioni si svolgono coi consueti criteri di ogni votazione politica.
Le alternative di esito sono perciò le seguenti: il presidente della Repubblica a) promulga la legge dando atto che nei tre mesi dalla sua pubblicazione nessuna richiesta di r. è stata presentata; oppure b) promulga la legge dando atto che la richiesta (o le richieste) di r. è stata (o sono state) dichiarate illegittime dall'Ufficio centrale della Corte di cassazione; oppure c) promulga la legge dando atto che il r. ha dato un risultato favorevole; oppure d) non promulga la legge (che quindi non viene a giuridica esistenza) qualora il r. abbia dato un risultato sfavorevole all'approvazione di essa, nel qual caso di questo risultato viene data notizia, a cura del ministro per la Grazia e la Giustizia, nella Gazzetta ufficiale.
L'alterazione del regime parlamentare classico che il r. abrogativo di leggi e di atti aventi valore di legge presenta, è di tutta evidenza. D'altronde, esso s'inquadra perfettamente nel regime di sovranità popolare, previsto in costituzione in forme non necessariamente coincidenti col regime parlamentare (art. 1 II co.). E inoltre esso appare dettato anche a tutela di un altro interesse ben vivo in costituzione, e cioè quello diretto alla tutela delle minoranze. Le minoranze, che sono tali in Parlamento ma che possono presumere di non essere tali nel corpo elettorale, almeno in merito a singole questioni, possono chiedere di appellarsi al popolo per accertare se questo, pur non mettendo in discussione le sue scelte di fondo, approvi o meno un singolo atto che la maggioranza intende imporre. Non solo; il corpo elettorale può essere chiamato a pronunciarsi anche su questioni che sono nuove rispetto al momento in cui furono eletti i suoi rappresentanti, in modo che su di esse costoro siano messi in grado di conoscere la scelta degli elettori.
La citata legge n. 352/1970 regola oggi l'attuazione anche di questo tipo di r., sulla base delle norme del primo comma dell'art. 75 Cost. ("è indetto referendum popolare per deliberare l'abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge, quando lo richiedono 500.000 elettori o cinque consigli regionali"), e di quelle contenute nel terzo e quarto comma dell'art. 75 ("hanno diritto di partecipare al referendum tutti i cittadini chiamati ad eleggere la Camera dei deputati. La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi"). Si noti l'altezza del quorum di partecipazione voluto dalla costituzione: ciò è stato fatto perché il corpo elettorale sia costretto a partecipare in cospicuo numero alla decisione: una legge non può essere abrogata da una maggioranza calcolata su un'irrisoria partecipazione degli aventi diritto al voto, perché essa in realtà esprimerebbe l'opinione di una ridotta minoranza del corpo elettorale.
Le norme di attuazione coincidono parzialmente con quelle dettate sul r. costituzionale. La formula del quesito è se l'elettore voglia che la legge sia abrogata oppure no: il che è di certo corretto, anche se il risultato - un poco sconcertante per l'elettore medio - è che la risposta affermativa significa "no alla legge", e la negativa l'opposto. I tempi del procedimento sono fissati perentoriamente dalla legge: al trasparente scopo di evitare il ripetersi troppo frequente di consultazioni elettorali, non può essere depositata richiesta di r. nell'anno anteriore alla scadenza di una delle Camere e nei sei mesi successivi alla data di convocazione dei comizi elettorali per l'elezione di una di esse; le richieste devono essere depositate dal 10 gennaio al 30 settembre di ciascun anno; entro il 15 dicembre l'Ufficio centrale per il r. decide sulla legittimità delle richieste depositate. La Corte costituzionale, chiamata a decidere sull'ammissibilità del r. (v. oltre), deve deliberare entro il 20 gennaio successivo e pubblicare la sentenza entro il 10 febbraio. Il presidente della Repubblica, infine, indice il r. su deliberazione del consiglio dei ministri, fissando la data di convocazione degli elettori in una domenica compresa fra il 15 aprile e il 15 giugno (questa norma viene assai criticata, in quanto inutilmente vessatoria); ma il r. già indetto resta automaticamente sospeso nel caso di anticipato scioglimento delle Camere o di una di esse (ciò allo scopo di evitare il sovrapporsi di una doppia chiamata alle urne), riprendendo i termini a decorrere dal 365° giorno successivo alla data dell'elezione. Se il risultato del r. è favorevole all'abrogazione della norma, il presidente della Repubblica lo dichiara con decreto, che viene pubblicato sulla Gazzetta ufficiale: l'abrogazione ha effetto dal giorno successivo a tale pubblicazione, a meno che il presidente non si avvalga di uno speciale potere concessogli, di ritardare l'entrata in vigore dell'abrogazione per un termine non superiore a 60 giorni dalla pubblicazione stessa. Se il r. dà esito contrario all'abrogazione, ne viene data egualmente notizia e per cinque anni non può proporsi richiesta di r. per l'abrogazione delle disposizioni che ne furono oggetto. Infine, una norma assai discussa stabilisce che se, prima della data dello svolgimento del r., le disposizioni di legge da sottoporsi a esso siano state abrogate, l'Ufficio centrale per il r. dichiara che le operazioni relative non hanno più corso: le perplessità investono sia la conformità di questa norma di "riserva di sovranità al Parlamento con il pluralismo di espressione della sovranità popolare, tipico della nostra costituzione, sia l'interpretazione da dare a essa (l'abrogazione dev'essere parziale o totale? se è parziale, quanta parte della norma deve investire perché sia inficiato il referendum? può essere implicita? ecc.; nella sentenza n. 68/1978 la Corte costituzionale ha dato alcune risposte a tali quesiti), sia la titolarità della decisione, attribuita a un organo giudiziario anziché a un organo politico-costituzionale.
La costituzione dice che il r. non è ammesso contro qualsiasi legge ordinaria: l'art. 752 dice infatti che non è ammesso "per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali". Mentre discende dai principi del sistema l'inammissibilità del r. per le leggi di bilancio, di amnistia e d'indulto e di autorizzazione a ratificare trattati internazionali, dato che si tratta di atti d'indirizzo politico, cioè di leggi in senso puramente formale, l'inammissibilità del r. per le leggi tributarie discende da un principio completamente diverso, e cioè dalla necessità di frenare la spinta verso l'abrogazione di ogni legge che gravi sul patrimonio dei cittadini imponendo prestazioni patrimoniali.
Ma, mentre è facile distinguere le leggi della prima categoria da tutte le altre, non è facile distinguere le leggi tributarie da quelle non tributarie, dato che una gran quantità delle nostre leggi contengono norme fiscali anche quando sono dettate per altri oggetti. S'imponeva quindi che un organo costituzionale decidesse sull'ammissibilità del r.: con l'art. 2 della legge costituzionale n. 1 del 1953 fu deciso che tale organo dovesse essere la Corte costituzionale.
Fino al 1978 ha avuto luogo un solo r. abrogativo, quello richiesto contro la legge 1 dic. 1970, n. 898, introduttiva del divorzio. Il r. fu chiesto il 19 giugno 1971; l'Ufficio centrale per il r. dichiarò conforme a legge la richiesta con ordinanza 6 dic. 1971; la Corte costituzionale dichiarò ammissibile la richiesta stessa con sentenza n. 10/1972; il decreto presidenziale d'indizione fu emanato il 27 febbraio 1972; ma il 28 successivo venivano sciolti anticipatamente Camera e Senato, per cui il r. veniva automaticamente sospeso e spostato a decorrere dal 365° giorno successivo alla data di elezione delle nuove Camere. A questo momento insorse un'ampia polemica intorno alla nuova data del referendum. Il presidente Leone si attenne alla tesi secondo la quale egli non poteva intervenire per la nuova indizione prima della scadenza del 365° giorno. In tal modo, non era possibile far tenere il r. nel 1973, dato che i r. devono svolgersi fra il 15 aprile e il 15 giugno, e in quella occasione sarebbero mancati i 45 giorni necessari ai vari adempimenti di legge. Perciò il r. fu indetto per il 12 maggio 1974 (d.P.R. 2 marzo 1974,n. 31). Il r. diede esito negativo: quasi il 60% del corpo elettorale si pronunciò infatti contro l'abrogazione del divorzio. Nel 1978 avrebbero dovuto tenersi ben nove r., che poi si sono ridotti a due per effetto di interventi della Corte costituzionale e della Corte di cassazione. La prima infatti dichiarò inammissibili le proposte di abrogazione dei Patti lateranensi, di 97 articoli del codice penale, dei codici militari, dell'ordinamento giudiziario militare; la seconda escluse i r. sulla legge sulla Commissione inquirente e su quella sui manicomi e alienati, nonché sulle norme del codice penale in tema di aborto, in quanto tutte abrogate e sostituite validamente da nuove diverse discipline. I due r. rimasti ebbero luogo sulla cosiddetta legge Reale e sulla legge sul finanziamento pubblico dei partiti politici: entrambi diedero esito negativo, ma con alte percentuali di sì.
L'art. 132 Cost. stabilisce che "con legge costituzionale, sentiti i consigli regionali", si può disporre la fusione di Regioni esistenti, o la creazione di nuove Regioni con un minimo di un milione di abitanti, quando ne facciano richiesta tanti consigli comunali che rappresentino almeno un terzo delle popolazioni interessate, e la proposta sia approvata con referendum dalla maggioranza delle popolazioni stesse. L'art. XI disp. trans. Cost. stabiliva che fino a cinque anni dopo l'entrata in vigore della costituzione si potessero formare altre Regioni anche senza seguire tale procedimento, fermo rimanendo l'obbligo di sentire le popolazioni interessate. Questa norma transitoria non è stata mai utilizzata: ma l'esperienza sta dimostrando che l'avere attuato le Regioni secondo un tradizionale criterio di carattere storico-geografico non dà buoni risultati, soprattutto per effetto della piccolezza delle Regioni. Non è improbabile quindi che domani ci si renda conto della necessità di modificare le circoscrizioni attuali regionali, abbandonando quel criterio meccanico per adottare un criterio socio-economico più moderno, che ineluttabilmente porterà al raggruppamento di più Regioni in una.
L'art. 1322 Cost. consente il distacco da una Regione e l'aggregazione a un'altra di province e comuni che ne facciano richiesta, a patto che intervenga il parere dei consigli regionali, un r. e una legge delle repubblica.
La legge n. 352/1970 detta norme di attuazione anche in relazione a questo tipo di r., stabilendo una complessa formulazione di quesiti-tipo. Inoltre stabilisce, fra l'altro, che l'indizione del r. possa essere ritardata di non oltre un anno, allo scopo di raggruppare in un'unica votazione r. regionale e r. costituzionali. Nel caso di approvazione della proposta, il ministro per l'Interno è obbligato a presentare al Parlamento il disegno di legge costituzionale od ordinaria di cui all'art. 132 Cost., per l'attuazione della proposta approvata dal corpo elettorale.
I r. che possono svolgersi nell'ambito dell'ordinamento di ciascuna Regione, a statuto speciale o di diritto comune, sono disciplinati, come si è già detto, dai singoli statuti. La costituzione (art. 123) prevede che gli statuti regolino l'esercizio del r. "su leggi e provvedimenti amministrativi della Regione". La costituzione non precisa peraltro se questi r. debbano essere soltanto di carattere abrogativo, come quello previsto dall'art. 75 Cost., o se possano viceversa essere introdotti negli statuti regionali r. di natura diversa. Per es., ci si è domandati se potevano introdursi, in scala appunto regionale, r. costitutivi (che prevedano cioè l'intervento del corpo elettorale nel corso della formazione di una legge regionale), sospensivi, consultivi, preventivi. Alcuni statuti delle Regioni di diritto comune hanno in effetti previsto r. di tal genere.
Bibl.: M. Ruini, Il referendum popolare e la revisione della Costituzione, Milano 1953; C. Carbone, La competenza della Corte cost. sull'ammissibilità della richiesta di referendum abrogativo, in La Corte costituzionale, Roma 1957; V. Cuocolo, Note introduttive sul referendum, in Annali della Facoltà di Giurisprudenza dell'univ. di Genova, 1969; M. Capurso, Questioni sull'iter del referendum abrogativo, in Studi parlamentari e di politica costituzionale, 1971, n. 14; T. Martines, Il referendum negli ordinamenti particolari, in Scritti Salemi, Milano 1971; A. Pizzorusso, Prospettive del referendum dopo lo scioglimento delle Camere, in Studi parlamentari e di politica costituzionale, 1971, n. 14; A. Sorrentino, Effetti dell'abrogazione legislativa delle norme sottoposte a referendum, ibid.; C. Chiola, I presentatori della richiesta del referendum, in Diritto e società, 1973; A. Chiappetti, L'ammissibilità del referendum abrogativo, Milano 1974; E. De Marco, Contributo allo studio del referendum nel diritto pubblico italiano, Padova 1974; Autori vari, Referendum, ordine pubblico, costituzione, in Atti del 1° Convegno giuridico organizzato dal gruppo parlamentare radicale, Milano 1978; id., Il dettato costituzionale in tema di referendum, ecc., in Il Convegno giuridico promosso dal gruppo parlamentare radicale, Roma 1978; id., in Politica del diritto, n. 5, 1978.