REGGIO nell'Emilia (A. T., 24-25-26)
Città posta nella Pianura Emiliana, a 44° 42′ di lat. N. e a 1° 49′ 14″ di long. O. da Roma. Dista 27 km. da Parma e 65 da Bologna. Presso, a occidente, le scorre il Crostolo. Il nucleo principale di Reggio ha forma di un esagono irregolare, i cui lati sono percorsi dai viali Piave, dei Mille, Timavo e Isonzo: i due ultimi viali occupano due lati ciascuno. La Via Emilia attraversa la città dalla barriera Vittorio Emanuele a quella di S. Stefano e la divide in due trapezî quasi uguali. Un tempo Reggio era cinta di mura; ora non ha più che un tenue avanzo dell'antica cinta, il bastione di Porta Castello presso la barriera omonima. La parte più antica di Reggio è a sud della Via Emilia, là dove s'adunavano quasi tutti i monumenti maggiori della città, la basilica di S. Prospero e la cattedrale dove anche ora è la vita più intensa della città, dove s'intrecciano vie strette e brevi. Il quadrato che doveva costituire la città romana abbraccia un breve giro di edifici fra Piazza Cavour e Corso Garibaldi, fra Via Guido da Castello e Via Roma: intorno è la Reggio medievale, che le mura del sec. XIII circuirono. E oltre le mura, ora abbattute, il cui percorso è segnato dalla linea di viali sopra descritti, si estende la Reggio nuova, cominciata verso la fine del secolo XIX, ma sviluppatasi specialmente nel XX. Tutt'intorno la città è cresciuta di officine e di abitazioni: interi quartieri sono sorti, come quello fra la Via Emilia e la strada nazionale di Spezia, fatta a triangolo, come quello a N. della stazione, dove hanno trovato la loro sede adatta le Officine meccaniche reggiane e gli stabilimenti chimici Montecatini, come l'altro a occidente della città fra la ferrovia e la Via Emilia: solo la zona intorno al cimitero è povera di abitazioni.
Verso il 1826 a Reggio si attribuivano 22 mila abitanti circa, ma tale cifra si riferisce alla popolazione del comune; più tardi, nel 1894, la città vera e propria aveva 18.634 abitanti: ora (1931) il centro ne ha 47.989, e 40.118 ne aveva nel 1921.
Reggio è città che ha buone tradizioni di cultura e ha avuto letterati, artisti e scienziati di cui conserva viva la memoria: essa si gloria di aver dato i natali a Ludovico Ariosto. Possiede un archivio fornito di documenti numerosi e importanti, riguardanti i secoli dall'VIII al nostro; ha una biblioteca comunale, che è fra le più ricche e ha manoscritti e incunaboli; ha un museo civico che è un insieme di musei, ché in esso hanno trovato posto degno la raccolta di storia naturale di Lazzaro Spallanzani, reggiano, la raccolta paletnologica e di storia patria, fatta dal prof. Chierici, il museo d'arte industriale antica, la gliptoteca, la galleria Fontanesi e il museo del Risorgimento; possiede tre teatri, tra cui il Teatro Municipale per le opere liriche (v. sotto: Monumenti). Le scuole elementari, ben curate, le scuole medie di ogni grado, una scuola di belle arti, intitolata al pittore Gaetano Chierici, e una R. Scuola industriale costituiscono l'insieme delle istituzioni per l'istruzione della gioventù.
Reggio, per essere il centro di una plaga molto fertile, ha mercati affollati e frequenti, ed è il luogo di contrattazione di molti prodotti agricoli e di parecchie industrie derivate dall'agricoltura.
Il comune, il più vasto di tutta la provincia, poiché misura 231,55 kmq., giunge fino alle prime colline, ed è diviso in un numero grande di frazioni (31).
Nel 1921 gli abitanti erano 82.915, di cui 33.391 in case sparse; nel 1931, 91.040.
Monumenti. - Il più antico e maggior monumento della città è nel suo complesso il duomo, fondato nel sec. IX e ricostruito verso la metà del sec. XIII. La parte superiore della facciata conserva ancora tracce del rivestimento pittorico che la decorava tutta, ed è sormontata da un tiburio ottagonale, ove venne posta nel 1522 la grande Madonna in rame sbalzato, opera di Bartolomeo Spani. Il rivestimento marmoreo della parte inferiore della facciata (metà sec. XVI) è opera dell'architetto-scultore reggiano Prospero Sogari, detto il Clemente, seguace di Michelangelo.
L'interno subì una totale manomissione sul principio del secolo XVII; notevoli alcuni monumenti dello Spani (monumento a V. Malaguzzi, al vescovo Arlotti) e del nipote Prospero Sogari (monumento al vescovo Rangone, monumento Sforziani, monumento Fossa, ciborio) dei quali si conservano nel tesoro anche opere di oreficeria: finemente scolpito il coro attribuito alla scuola di Giovanni da Baiso, secolo XV. A lato del duomo è il battistero restaurato nel 1492. Sulla stessa piazza presso il palazzo del comune si erge la torre detta del Bordello, ricostruita dalle fondamenta da Gerolamo Casotti figlio dell'architetto reggiano Antonio Casotti, che, unitamente allo Spani, diffuse in Reggio l'arte del Rinascimento (chiostro delle Grazie, muro di cinta del convento del Corpus Domini, abside di Sant'Agostino) presto in sopravvento sulle tarde forme goticheggianti di cui resta tuttora qualche ricordo (palazzo Fossa ora Banco di San Prospero, palazzo Ruini, ecc.).
Le scarse e poco più che mediocri pitture che appartengono al secolo XV (F. Caprioli, Battesimo di Cristo nel battistero; B. Orsi, Madonna nella sagrestia del duomo; cassettina per reliquie al museo civico, ecc.) riflettono chiaramente l'influenza delle scuole vicine e principalmente della ferrarese, che attrasse nella sua orbita l'attività dei reggiani Antonio di Bartolomeo Maineri, Baldassare d'Este e Lorenzo Grimaldi.
Le fiorenti condizioni economiche nel sec. XVI favorirono il prosperare dell'arte. Di questo rinnovamento il Clemente è l'interprete più significativo, sicché nelle sue opere sembra compendiarsi il Rinascimento reggiano. Coadiuvato da un gruppo di allievi, egli scolpisce le statue per la facciata e per il transetto del duomo, numerosi ritratti (museo civico) e monumenti funebri nelle diverse chiese della città.
In quel tempo venne ricostruita più ampia la basilica di S. Prospero (facciata del sec. XVIII) fiancheggiata da una torre ottagonale in pietra e marmo (disegno di Cristoforo Ricci riveduto da Giulio Romano) rimasta incompiuta; nell'interno affreschi di Camillo Procaccini, di Bernardino Campi e di G. B. Tinti, oltre a notevoli sculture del Clemente.
Sulla fine del secolo Reggio con slancio di fede innalza il tempio della Madonna della Ghiara (architetto A. Baldi) nel gusto del tardo Rinascimento. L'interno venne decorato da affreschi e tele di maestri della scuola bolognese: Guercino, A. Tiarini, L. Spada, L. Ferrari.
Ricorderemo inoltre, tra le chiese, S. Giovanni Evangelista, con una Pietà attribuita a G. Mazzoni, S. Pietro e gli annessi ex-chiostri benedettini (il minore di B. Spani, il maggiore opera dei Pacchioni, allievi del Clemente), S. Gerolamo (architetto Vigarani) che si compone di tre costruzioni sovrapposte, S. Giorgio e l'oratorio del Cristo dalle eleganti facciate barocche; tra i palazzi, notevoli il palazzo Trotti, il cui bel fregio riflette forme del Rinascimento lombardo; il palazzo detto dei Boiardi, attribuito allo Spani, il palazzo Fontanelli, ora proprietà Terrachini.
Durante i sec. XVII e XVIII Reggio continuò a rinnovarsi; grandiosità di intenti mostrano il palazzo vescovile ed il palazzo Busetti su disegno attribuito al Bernini, ma rimasto incompiuto, e il palazzo Rocca-Saporiti. Della metà dell'Ottocento è il grande Teatro municipale neoclassico (architetto C. Costa).
È recente la ricostruzione, condotta su antiche tracce, del palazzo del Capitano del popolo (Albergo Posta) fondato nel 1281.
Il palazzo dei musei contiene un'importante gliptoteca con numerosi frammenti romani, sculture e resti di musaici pavimentali dell'età romanica, opere dello Spani (portale di casa Fontanelli) e del Clemente. La galleria Fontanesi raccoglie opere di Bartolomeo e Iacopo Maineri, frammenti di affreschi correggeschi, tele del Tiarini e di pittori reggiani tra cui A. Fontanesi, Gaetano Chierici, ecc. Il patrimonio artistico di Reggio si è notevolmente arricchito con la donazione di un'importante raccolta: la galleria Parmeggiani, che comprende rare pitture di primitivi spagnoli, un Redentore del Greco, quadri di maestri italiani e fiamminghi, preziosi ricami, sculture gotiche, mobili francesi, oggetti di oreficeria, ecc.: raccolta che forma una delle principali attrattive della città. (V. tavv. CXCI e CXCII).
Storia. - È l'antica Regium Lepidi, colonia fondata verosimilmente nei primi anni del sec. II a. C. da M. Emilio Lepido sulla destra del Crostolo (ove forse esisteva una terramara preistorica) lungo la nuova via Emilia costruita nel 187 a. C.; ricordata da Cicerone nel 78 e poi più volte durante la guerra di Modena, fu città modesta. Con i Longobardi divenne un ducato di confine sotto i Carolingi un comitato, tenuto per certo tempo dai Supponidi, che poi passò nel 961 ai Canossa, senza però la città in cui si era sviluppato il potere vescovile che nel 962 fu da Ottone I allargato a quattro miglia; nel 1027 da Corrado II il vescovo otteneva i diritti di messo imperiale e sotto di lui sorge il comune, di cui nel 1136 sono ricordati 7 consoli. Esso aderisce nel 1168 alla Lega Lombarda e nel 1183 partecipa alla pace di Costanza. Al principio del sec. XIII si trova in lotta con i comuni vicini, di Modena per le acque del Secchia, di Cremona e Mantova per Guastalla e Suzzara. Ghibellino con Federico II, vede tornarvi nel 1252 i Guelfi (Fogliani) che nel 1265 cacciarono i Ghibellini (da Sesso), aprendo un periodo di lotte fra le grandi famiglie che spinse le Arti a costituire un governo popolare, soffocato dalla signoria di Obizzo d'Este promossa dai Fogliani (1290).
Durante questo primo tempo di governo popolare era sorto uno studio di diritto (1188) ed erano state scritte le prime leggi, Consuetudini (1245), Statuti (1256).
Crollata la signoria di Azzo VIII d'Este nel 1306, pur ristabilendosi il governo popolare con la Società di S. Prospero si ebbe un succedersi rovinoso di governi: Enrico VII, i Fogliani, il cardinale Bertrando del Poggetto, Ludovico il Bavaro, Giovanni di Boemia, i Fogliani ancora, finché nel 1335 Reggio, arresasi a Mastino della Scala, era consegnata ai Gonzaga di Mantova, che nel 1371 la vendettero a Bernabò Visconti dopo averla così maltrattata che il governo visconteo parve quasi una resurrezione. Con lo sfasciarsi del ducato di G. G. Visconti nel 1404 passò a Ottobono Terzi, crudele tiranno, e ucciso questi a tradimento a Rubiera nel 1409, a Niccolò III d'Este. Ritorna così la signoria estense durata sino al 1796 (salvo gli anni 1512-23 in cui Reggio fu tenuta dai papi), periodo misero e neppure favorito da tranquillità interna, e interrotto nel '500 e nel '700 da guerre e invasioni. Occupata da Giulio II nel 1512, la città vide aggravarsi paurosamente le discordie sanguinose dette della Tvaja e della Cuseina, che in parte si riallacciavano a quelle antiche dei guelfi e ghibellini: ad esse, non completamente, pose freno dal 1517, quale governatore, Francesco Guicciardini. Rioccupata nel 1523 da Alfonso I d'Este, fu cinta di baluardi e munita di cittadella, ma, come città trascurata dai duchi e gelosa di Modena, covò un fermento che si rivelò alla venuta di Bonaparte nella ribellione del 26 agosto 1796 in cui, piantato l'albero di libertà fu proclamata la Repubblica Reggiana, fusa poi nel congresso di Reggio (v. oltre) il 30 dicembre 1796 nella Repubblica Cispadana, poi nella Cisalpina, in quella Italiana e nel Regno Italico. Restaurati gli Austro-Estensi nel 1814, Reggio ebbe parecchi suoi cittadini condannati nel processo del '21-22 quali carbonari, e fu della sua provincia l'unico giustiziato, don Giuseppe Andreoli. Nel febbraio del '31 costituì essa pure un governo provvisorio unitosi poi a quello di Modena, e con quello caduto. Reggiani furono due tra i più devoti seguaci del Mazzini, Giuseppe Lamberti e Giuditta Sidoli Bellerio. Il 20 marzo 1848 si costituiva un nuovo governo provvisorio che il 21 maggio faceva votare l'annessione al Piemonte. Dopo la nuova restaurazione 1848-59 e la nuova fuga del duca nel giugno 1859, Reggio fu governata dalla ferma mano di L. C. Farini, prima regio commissario e poi dittatore, che ne preparò l'annessione col plebiscito del marzo 1860.
Vita musicale. - La vita musicale reggiana si mostra dominata dalla passione per lo spettacolo e per l'azione teatrale, fino dal Medioevo. Una continuità costante è mantenuta fra drammi liturgici, sacre rappresentazioni, mascherate, corse, quintane, commedie, pastorali, ecc., e, appena se ne abbia sentore, drammi musicali; passando agevolmente dall'interno della chiesa sul sagrato, nelle piazze, quindi nelle sale, nei cortili dei palazzi per giungere presto a innalzare proprî teatri che inutilmente il fuoco più volte insidierà. Anche per le sale dei teatri non si sopporta interruzione. Arso un teatro, immediatamente si mette mano a erigerne un altro. Si dimostra poi una particolare esigenza per la dignità e bellezza degli spettacoli, sia come opera musicale sia come esecuzione vocale. Tanto che, all'epoca del bel canto, la stagione d'opera, solita ad allestirsi sontuosa nell'occasione della fiera, costituirà un'ambizione per i cantanti, e un titolo di merito avervi preso parte.
Da una Sala delle commedie, primo ritrovo teatrale risultante dall'adattamento dell'abbandonata Sala dei Pretori o del Pubblico Consiglio, e che funzionò dal 1568 al 1635, si passò a quello che sarà poi detto il Teatro Vecchio dove, nel carnevale del 1645, fece onorato ingresso lo spettacolo musicale con la tragicommedia di Carlo Calcagni, l'Innocente giustificato. Ma per la stagione della fiera dell'anno successivo si volle "un'opera tutta in musica", e si scelse la Vita di S. Alessio (stampata in Reggio Emilia in quello stesso anno da Flaminio Bartoli) come dramma stimato dagli intelligenti di somma perfetione per l'unità, per il costume " et altre rare qualità". Nel 1695 il teatro, che, pericolante, era stato rimesso a nuovo, ebbe come una seconda solenne inaugurazione. A decorarlo, per le scene ed il soffitto, erano stati chiamati i Bibbiena; per spettacolo si diede il dramma poetico di Giov. Matteo Giannini, l'Almansorre in Alimena musicato da Carlo Pollaroli; e da questa grandiosa festa ebbe inizio la reputazione tutta propria goduta dal teatro d'opera di Reggio. Il 6 marzo 1740 il teatro fu distrutto completamente da un incendio, ma il 29 aprile del 1741 se ne apriva uno nuovo, detto il Teatro della cittadella dal luogo dove era stato costruito, ed inaugurato con un adattamento fatto dal Lucarelli del Vologeso re dei Parti. In questo teatro, che durerà fino al 1851, ha inizio quella fusione della vita musicale con la vita civile e politica della città, che si ripeterà sì spesso fino a unità nazionale conseguita. Per la fiera del 1791 si era messa in scena l'opera di Pietro Guglielmi, la Bella pescatrice. Lo spettacolo non corrispose all'aspettativa, sembrando modesto; il pubblico lo interruppe con un clamore tumultuoso, che però recava in sé i riflessi dei fatti di Francia, e dilagò in piazza, con spargimetito di sangue. Dai movimenti repubblicani sorse, nel 1797, appunto un Teatro repubblicano di dilettanti, durato fino al 1804, per "rappresentazioni patriottiche". Il ritorno del duca Francesco IV fu solennizzato in teatro il z7 luglio del 1814 con una cantata del maestro Alfonso Savi di Parma su parole di Luigi Cagnoli. Nel 1848, il 3 giugno, come intermezzo allo spettacolo, vi si cantò il Grande inno dell'amnistia in onore di Pio IX musicato dal Verdi. Anche questo teatro venne distrutto dal fuoco nel 1851, proprio dopo la prova dell'opera con cui si doveva inaugurare la stagione della fiera di quel maggio. Provvisoriamente s'innalzò, subito, un nuovo piccolo teatro sull'atrio e i pochi ambienti risparmiati dal fuoco. Fu detto Teatro comunale filodrammatico, e inaugurato con molto entusiasmo il 10 gennaio del 1852 con l'opera semiseria La regina di Leone del maestro A. Villanis; ma il duca oppose un veto irremovibile al Rigoletto del Verdi, per quanto ribattezzato in Viscardello. Nel 1857 essendo ormai pronto il più grande Teatro municipale, al quale non si era indugiato a por mano, il Filodrammatico fu chiuso e poi alienato, destinandosi la sua area al Politeama Ariosto (1868). L'inaugurazione del Teatro Municipale, costruito da Cesare Costa, grande, elegante e ricco, avvenne il 21 aprile del 1857 fra molta aspettativa del pubblico che maggior successo decretò al ballo il Conte di Montecristo, del coreografo Giuseppe Rota, che non all'opera Vittore Pisani del maestro Achille Peri, su libretto di F. M. Piave. La stagione proseguì con l'Anna Bolena del Donizetti, con la Norma del Bellini (che suscitò ancora una clamorosa dimostrazione del pubblico contro la scadente esecuzione vocale), con un'accademia vocale strumentale in onore dell'arciduca Massimiliano, con altro ballo del Rota: Carlo il Guastatore, col Simone Boccanegra del Verdi (10 giugno) le cui prove furono concertate dallo stesso autore; e si chiuse (22 giugno) con un veglione. Così Reggio aprì le porte di quello che è rimasto il suo maggior tempio dell'arte. A Reggio Emilia cantarono il Tacchinardi, il Donzelli, il Velluti, il Crivelli, C. Unger, la Cortesi, A. Catalani, la Morandi, A. Tessero, R. Penco, ecc., e furono date opere di Rossini, Bellini, Donizetti, Verdi, Meyerbeer, Gounod, Mercadante, Petrella, Pacini, Ricci, Marchetti, Franchetti.
Arte della stampa. - Un documento del R. Archivio di Reggio Emilia farebbe risalire l'origine della stampa in questa città al 1478, con un'opera fin qui ignota dal titolo Al poverissimo. Ma il primo libro che si conosca stampato a Reggio sono i Rudimenta grammatices di Niccolò Perotti, usciti dalla tipografia di Bartolommeo e Lorenzo de' Bruschi, detti Bottoni, il 29 luglio 1480. Ad esso fanno seguito l'anno dopo un Catullo Tibullo e Properzio a cura di Alberto Mazzali e Prospero Odoardi, e le Genealogiae deorum gentilium del Boccaccio della tipografia dei Bottoni. Con gli Scriptores de re rustica del 1482 cessa ogni attività di quest'ultima officina, mentre la società del Mazzali con l'Odoardi si era fermata alla prima opera. Successivi tipografi che operarono a Reggio nel Quattrocento furono Andrea Portilia, Bazaliero e Marco de' Bazalieri, Dionisio Bertocchi (primo ad usare i caratteri greci con l'Esopo greco-latino e col Lexicon graeco-latinum del Crastoni) e, più attivo di tutti, Francesco Mazzali, cui si devono l'Appiano (1494) e il Dionigi d'Alicarnasso, in latino (1498), e Sonetti e canzone del Boiardo (1499).
Bibl.: Gu. Piccinini, Guida di Reggio nell'Emilia e provincia, 2ª ed., Reggio 1931. - Per i monumenti: G. Ferrari, Bartolomeo Spani, in L'Arte, II (1899), pp. 125-46; id., La cattedrale di Reggio Emilia, in Rass. d'arte, 1904, pp. 165-167; A. Venturi, Studi sul Correggio, in L'Arte, 1902, pp. 353-369; id., Storia dell'arte italiana (passim); id., La pittura del Quattrocento in Emilia, Bologna 1931, p. 55; F. Malaguzzi Valeri, La pittura reggiana nel Quattrocento, in Rass. d'arte, 1903, pp. 145-52; A. Balletti, A. Ruspaggiari e G. A. Signoretti medaglisti nel sec. XVI, in Rass. d'arte, IV (1927), pp. 59-80, 146-148, 231-55 (anche per la bibl.); A. Fulloni, La Galleria Parmeggiani di Reggio Emilia, in Le Vie d'Italia, 1932, p. 357 segg.; id., Reggio Emilia, Bergamo 1934. - Per la storia della città: Tiraboschi, Memorie stor. modenesi, Modena 1793; Taccoli, Memorie di Reggio Emilia, Parma 1748; A. Balletti, Storia di Reggio nell'Emilia, Reggio Emilia 1925; N. Grimaldi, La Signoria di B. Visconti e di Regina della Scala a Reggio, ivi 1922; U. Bassi, Reggio Emilia alla fine del sec. XVIII, ivi 1895. - Per la vita musicale: P. Fantuzzi, Catalogo delle rappresentazioni in musica esposte nei teatri di Reggio dal MDCCI al MDCCCXXV, Reggio 1826; E. Manzini, I teatri reggiani e i loro artisti, Reggio 1877; G. Crocioni, I teatri di Reggio nell'Emilia (sec. XVI-XX) - premessavi una Bibliografia ragionata, pp. vii a xxiii, Reggio Emilia 1907. - Per l'arte della stampa: V. Ferrari, I tipografi a Reggio nel sec. XV, in Tesori delle biblioteche d'Italia, I, Milano 1932, pp. 563-71.
La provincia di Reggio nell'Emilia. - È una delle più piccole dell'Emilia, la penultima, poiché ha 2291,34 kmq.: gli abitanti, nell'ultimo censimento (1931), erano 361.045 (nel 1806, 196.599, nel 1847, 215.798, nel 1911, 310.337), cioè 157,5 per ogni kmq., media superiore a quella complessiva dell'Emilia e terza fra le provincie emiliane.
Circa metà dell'area della provincia - 1113 kmq. - appartiene alla zona montuosa, 119 kmq. sono collinosi: il resto spetta alla pianura. Dal crinale appenninico il territorio della provincia giunge fino al Po, di cui possiede un tratto della riva destra. Parecchie cime o del crinale o dei contrafforti - Alpe di Succiso, M. Prado, M. Cusna - superano i 2000 m.; tre corsi d'acqua - l'Enza, il Crostolo e il Secchia - spettano in tutto o in parte al Reggiano, che contribuisce con affluenti, di destra per l'Enza e di sinistra per il Secchia, ad accrescerne le acque. Numerosi i laghetti, quasi tutti nella parte elevata: canali e cavi tagliano la parte bassa. Vantaggi ha tratto la bassa reggiana dalla bonifica Parmigiana-Moglia e ancor più ne attende dalla derivazione di acque dal Po, che permetterà l'irrigazione della provincia fin quasi alla Via Emilia. Provincia eminentemente agricola, predomina per l'alto prodotto di uve, ottime per vino, e per la grande produzione di piante foraggere, onde l'allevamento cospicuo di bovini e l'enorme produzione di latte. L'industria del vino e quella dei latticinî sono le prevalenti, ma anche le altre vi sono notevoli: vi lavorano molini; presso la città capoluogo sorgono officine meccaniche e nella valle dell'Ozola (comune di Ligonchio) è stata costruita una grande centrale elettrica.
Oltre la Via Emilia (km. 33,3 della provincia), il Reggiano ha la strada Reggio-Passo del Cerreto-La Spezia, e la Reggio-GuastallaMantova.
Mentre le ferrovie hanno uno sviluppo di 198 km. (linee Bologna-Milano e Parma-Suzzara e altre minori che irraggiano dal capoluogo), le strade - statali, provinciali e comunali - sommano a km. 1994.
La provincia è suddivisa in 45 comuni.
Congresso di Reggio.
Assemblea dei deputati delle quattro provincie di Bologna, Ferrara, Modena e Reggio (che formavano dal 16 ottobre 1796 la Confederazione Cispadana, con soli scopi di difesa), tenuta dal 27 dicembre 1796 al 9 gennaio 1797 per fondersi in uno stato unitario. I deputati destinativi furono 110 (Bologna 36, Ferrara 30, Modena 22, Reggio 20), eletti attraverso assemblee parrocchiali, centurionali e degli elettori diretti dei deputati. Malgrado le antiche antipatie e i contrasti di interessi il sentimento unitario prevalse. Presidente fu Carlo Facci ferrarese, sorteggiato fra i quattro eletti, uno per provincia. Assisteva in nome di Bonaparte il generale Marmont, e una deputazione di otto cittadini transpadani inviati dall'amministrazione generale di Lombardia. Le sedute si tennero in una sala a gallerie, allora adibita ad archivio generale, e che è ora detta del Tricolore, nel palazzo comunale. Fin dal primo giorno si convenne di formare una repubblica una e indivisibile che fu proclamata il 30 col nome di Repubblica Cispadana e il 7 gennaio si adottò come bandiera e coccarda (in luogo della francese sino allora portata) il tricolore, verde, bianco e rosso, su proposta del Compagnoni di Lugo: lo stemma della Cispadana fu un turcasso con quattro frecce. L'opera di unificazione proseguiva coraggiosa (anche se Bologna voleva mantenere la sua costituzione già votata dal popolo) e, nell'attesa della nuova costituzione, si stava per eleggere il comitato di governo provvisorio che sostituisse i quattro governi locali, quando, arrivato improvvisamente Bonaparte a Reggio il 9, il congresso in seduta segreta, col pretesto di accelerare la costituzione, sospendeva i suoi lavori mantenendo in carica i governi provvisorî locali; così il lavoro di 16 sedute diventava poco più che un voto. Chiaramente il Bonaparte, che aveva raccomandato al congresso di badare alle armi, nell'aggravarsi della situazione militare (seconda discesa dell'Alwinczy) e in vista delle prossime trattative col papa, preferiva conservare libere le mani, e mantenere al governo uomini a lui già noti. Il congresso fu lo stesso un notevole superamento dei pregiudizî particolaristici.
Bibl.: V. Fiorini, Gli atti del Congresso cispadano nella città di Reggio, Roma 1897; T. Casini, I deputati al Congresso cispadano 1796-97, in Riv. stor. Ris. it., II (1897), pp. 138-210; L. Rava, La costituzione della Repubblica Cispadana, in Memorie R. Acc. scienze di Bologna, VIII (1913-14), pp. 37-92.