suono, registrazione e riproduzione del
Voce e musica conservate per sempre
A partire dalla fine dell’Ottocento sono state inventate diverse tecniche per conservare i suoni e riascoltarli a piacimento, proprio come si fa con le immagini mediante la fotografia. Dalla registrazione meccanica, realizzata con fonografi e grammofoni, si è passati a quella magnetica e infine a quella digitale che si serve dei compact disc. La registrazione sonora ha contribuito al grande sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa e ha soprattutto cambiato il modo di scrivere, produrre e ascoltare musica
Fin dalla nascita della fotografia, nel corso del 19° secolo, diversi inventori e scienziati iniziarono a cercare un modo per fissare e conservare i suoni così come avveniva per le immagini. Fu il fisico britannico Thomas Young a concepire per primo – ma non a realizzare – uno strumento in grado di disegnare le oscillazioni di pressione che generano il suono. Si trattava di una membrana messa in movimento dalle vibrazioni prodotte dal suono; alla membrana era fissato una sorta di pennino che tracciava sulla carta una linea corrispondente a tali vibrazioni.
Il primo a realizzare un sistema di registrazione e di riproduzione funzionante secondo i principi dettati da Young fu l’inventore statunitense Thomas Alva Edison, che nel 1878 brevettò il fonografo, uno strumento costituito da un rullo cilindrico di ottone montato su una vite scorrevole. Sul cilindro era tracciato un solco a spirale e la superficie del cilindro era ricoperta da un foglio di stagnola. Durante la registrazione il cilindro ruotava e la stagnola veniva sfiorata dalla puntina collegata a una membrana; il suono metteva in vibrazione la membrana e la puntina, seguendo le oscillazioni della membrana, incideva una traccia più o meno profonda nella stagnola che cedeva sotto la pressione, avendo sotto di sé lo spazio vuoto formato dal solco.
Per riprodurre i suoni con il dispositivo realizzato da Edison bastava invertire il processo. Il solco nella stagnola, con le sue variazioni di profondità, faceva vibrare la membrana restituendo il suono registrato. Il fonografo di Edison venne salutato da subito come un’invenzione geniale, ma stranamente il suo ideatore non pensò di utilizzarlo per vendere musica registrata. Piuttosto, pensò di commercializzare il fonografo come strumento da usare negli uffici, per esempio per dettare lettere; oppure in famiglia, per registrare la voce di persone care.
Pochi anni più tardi, Emil Berliner, un ingegnere tedesco appassionato di musica, suggerì una modifica dell’idea di Edison: usare al posto del cilindro un disco. L’uso di un disco permetteva di riprodurre più copie a partire da una matrice originale, cosa molto più complicata con i cilindri.
Rispetto al fonografo a cilindro, il grammofono – nome con cui venne brevettata nel 1888 la macchina di Berliner – era quindi una tecnologia molto più adatta alla vendita di musica registrata. Contrariamente alle previsioni di Edison, la vendita di musica registrata ebbe quasi immediatamente un grande successo. Già all’inizio del 20° secolo iniziarono a crescere le vendite di grammofoni, che funzionavano con due tipi di dischi a diverse velocità di registrazione: a 78 e a 16 giri al minuto; prima del 1920 il fonografo e i cilindri di Edison scomparvero dal mercato.
La tecnica di registrazione utilizzata fino a questo punto, di tipo meccanico, possedeva però un grande difetto: il volume della registrazione era lo stesso del suono originale e non c’era modo di accrescerlo. Per risolvere questo problema era necessario passare alla registrazione elettrica, in cui il suono viene trasformato in un segnale elettrico, che può essere amplificato. I primi esperimenti sull’incisione elettrica risalgono al 1919 e richiesero l’utilizzo di un microfono e l’applicazione di un trasduttore, un dispositivo che trasforma l’energia elettrica proveniente dal microfono in energia meccanica con cui far oscillare la punta di incisione.
Una volta realizzata l’incisione, non fu difficile compiere il processo inverso ed effettuare anche la riproduzione: la punta non azionava più una membrana, ma un trasduttore che trasformava le oscillazioni meccaniche in oscillazioni elettriche, poi amplificate e ritrasformate in vibrazioni sonore da un altoparlante.
La registrazione elettrica risultò molto vantaggiosa nella produzione dei dischi. Grazie al guadagno offerto dall’amplificatore, questa tecnica permise di ridurre la distanza tra una traccia e l’altra incise sul disco, aumentando la durata di quest’ultimo. Nel 1948 nacque così il microsolco: fu introdotto dalla casa discografica statunitense Columbia records nella versione a 33 giri e 1/3 al minuto, cui seguì nel 1949 quella a 45 giri della RCA (Radio corporation of America). Dopo alcuni anni di intenso scontro industriale, divenne evidente che la scelta più conveniente per tutti era adottare entrambe le soluzioni.
La prima macchina per la registrazione magnetica dei suoni fu realizzata da Valdemar Poulsen, danese, che vi lavorò a partire dal 1893 e nel 1898 brevettò il Telegraphone. Un filo d’acciaio era inserito in un solco a spirale praticato su un cilindro di ottone; un elettromagnete – un dispositivo che alimentato da corrente elettrica riesce a generare un campo magnetico – veniva spostato lungo la spirale e serviva a magnetizzare in modo variabile il filo durante la registrazione o a rilevarne lo stato magnetico durante la lettura. Non solo, ma Poulsen scoprì anche che facendo passare nel magnete una corrente continua si poteva cancellare quanto precedentemente registrato, riutilizzando così il filo.
Furono poi i tedeschi delle società AEG (Allgemeine Elektrizitäts Gesellschaft) e I.G. Farben a sperimentare la sostituzione del filo con un nastro, prima di carta poi di materiale plastico, coperto di ossido di ferro magnetizzabile, e nel 1935 fabbricarono il primo magnetofono.
A differenza della registrazione fonografica, che poteva essere fatta solo a livello industriale, la registrazione magnetica consentiva a chiunque di effettuare registrazioni in proprio. Inoltre, la durata della registrazione era potenzialmente di gran lunga superiore, perché dipendeva solo dalla lunghezza del nastro, che occupa molto meno spazio di un disco.
I primi a impiegare il magnetofono furono, durante la Seconda guerra mondiale, le radio tedesche. Dopo la guerra fu la Ampex, negli Stati Uniti, a portare un ulteriore sviluppo della registrazione su nastro, e questo sistema si affermò rapidamente nell’ambito professionale degli studi di registrazione. Tuttavia, le dimensioni e il costo delle apparecchiature ne rendevano difficoltosa l’applicazione al mercato di massa.
Per ovviare a questo problema, la casa olandese Philips decise di sacrificare un po’ la qualità del suono pur di ridurre il formato e semplificare il funzionamento dei dispositivi, e presentò nel 1963 la compact cassette, in italiano audiocassetta, il cui nastro scorreva a una velocità di 4,75 cm/s, inferiore rispetto alle registrazioni professionali. La cassetta sarebbe diventata, nel corso degli anni Ottanta, il supporto di registrazione più diffuso e usato del mondo.
All’inizio degli anni Ottanta, le società Philips e Sony hanno proposto un nuovo genere di supporto per la registrazione: il compact disc o CD, un disco su cui il suono è immagazzinato in formato digitale (digitalizzazione) e non più analogico come avveniva per tutti i supporti precedenti. Al posto di un’incisione o di un campo magnetico che seguono la forma dell’onda acustica originale, qui il suono registrato viene campionato – cioè suddiviso in intervalli, misurato a ogni intervallo e trasformato in una sequenza di numeri – e successivamente registrato sul disco come una sequenza di piccole incisioni leggibili da un sistema ottico, un raggio di luce laser proiettato sulla superficie del disco in rotazione. Introdotto nel 1982, questo nuovo supporto ha sostituito molto rapidamente il disco in vinile.
Tra gli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta sono arrivati sul mercato anche diversi tentativi di sostituire la vecchia audiocassetta con un formato basato sul sistema digitale, dal DAT (Digital audio tape) alla DCC (Digital compact cassette), ma nessuno di questi ha mai avuto davvero successo, e oggi il nastro audio digitale viene usato solo negli studi di registrazione.