Abstract
La voce analizza il sistema pubblicitario imperniato sul registro delle imprese, soffermandosi, in particolare, sui diversi effetti di volta in volta ricollegati dalla legge agli adempimenti pubblicitari, sui principi che li regolano e su alcuni problemi interpretativi ad essi correlati.
Il registro delle imprese è, innanzi tutto, uno strumento di informazione del mercato; ed è appunto ciò a spiegare che richiedere gli adempimenti pubblicitari, là dove previsti (cfr. la voce Registro delle imprese 1. Soggetti atti, adempimenti) costituisce non solo un onere ma un obbligo (e v. gli artt. 2194 e 2630 c.c.). Oltre alla primaria funzione informativa, alla quale si allude comunemente discorrendo di ‘pubblicità-notizia’, la pubblicità delle imprese svolge ulteriori funzioni che si colgono osservando gli specifici effetti – dichiarativi, costitutivi, sananti – di volta in volta ricollegati ai vari adempimenti pubblicitari.
L’art. 2193 c.c. – norma generale regolatrice degli effetti della pubblicità nel sistema del registro delle imprese – stabilisce che, in assenza di norme di legge che dispongano diversamente (co. 3), gli atti soggetti a iscrizione, se iscritti, sono opponibili ai terzi (co. 2; e si parla al riguardo di efficacia positiva dell’iscrizione); se non iscritti, non sono opponibili da colui che è tenuto all’iscrizione se non provando la loro effettiva conoscenza da parte dei terzi (efficacia negativa dell’iscrizione, sancita nel co. 1).
È così evidenziata la funzione del registro quale strumento di opponibilità, al servizio dunque di interessi degli imprenditori, la cui realizzazione peraltro è ‘tecnicamente’ subordinata alla soddisfazione dell’interesse generale all’informazione del mercato, dal momento che, per ottenere il risultato dell’opponibilità, occorre rendere conoscibili (id est: accessibili ai terzi mediante consultazione dello strumento pubblicitario) gli atti o fatti che si ha interesse ad opporre.
Quanto detto circa la normale efficacia dichiarativa della pubblicità non vale con riferimento agli atti assoggettati al semplice deposito nel registro delle imprese, non essendovi alcuna norma di legge che ad esso, in via generale, ricolleghi alcun particolare effetto. Il deposito dà dunque luogo, in linea di principio, ad una semplice pubblicità-notizia, salvo che diversamente risulti dalle singole norme che lo prevedono.
Come si accennava, altre norme di legge possono ricollegare all’iscrizione effetti diversi rispetto a quelli normalmente ad essa ricondotti dai primi due commi dell’art. 2193. Così, ad esempio, l’efficacia positiva e negativa sopra descritta è stata esclusa, per i piccoli imprenditori, gli imprenditori agricoli, gli artigiani e le società semplici, dall’art. 8, co. 5, l. 29.12.1993, n. 580, definendo l’iscrizione nella relativa sezione speciale quale mera pubblicità-notizia; e poi recuperata, per i soli imprenditori agricoli, piccoli e non, e per le società semplici esercenti attività agricola, dall’art. 2 d. lgs. 18.5.2001, n. 228, che attribuisce alle relative iscrizioni «l’efficacia di cui all’art. 2193».
Altre volte la legge ricollega all’iscrizione effetti che inducono a parlare, richiamando classificazioni già note alla teoria generale della pubblicità, di pubblicità costitutiva, là dove alla sua attuazione sono subordinati il perfezionamento di un determinato atto o comunque la produzione dei suoi effetti o di alcuni suoi effetti, erga omnes o nei confronti di alcuni soggetti; e di pubblicità sanante, quando essa preclude l’accertamento dei vizi dell’atto (o di alcuni di essi) o quanto meno la declaratoria di nullità (per certi vizi) dello stesso. Entrambe queste funzioni, in omaggio a obiettivi di certezza, stabilità e funzionalità dell’attività sociale, sono state accentuate dalla riforma societaria, che in relazione a svariate fattispecie ha previsto effetti costitutivi o sananti prima insussistenti.
Sotto il primo profilo possono segnalarsi l’art. 2436, co. 5, per il quale la delibera modificativa dello statuto «non produce effetti se non dopo l’iscrizione», pur se qui l’efficacia costitutiva viene messa in dubbio e talvolta disconosciuta, malgrado la formula appena riportata, per evitare alcune controindicazioni che ne discenderebbero; e l’art. 2484, co. 3, per il quale «gli effetti dello scioglimento si determinano … alla data dell’iscrizione» della causa di scioglimento, pur se la presenza di disposizioni che ricollegano al solo verificarsi di una causa di scioglimento – prescindendo dunque dalla sua avvenuta pubblicizzazione – il sorgere di determinati obblighi degli amministratori e il contenimento del loro potere gestorio a finalità meramente conservative (artt. 2485 e 2486) induce a escludere la già ricordata natura costitutiva della pubblicità ai fini appena indicati, circoscrivendola agli altri profili della (messa in) liquidazione (cfr. Donativi, V., La pubblicità legale delle società di capitali - Tensioni evolutive e nuove fattispecie, Milano, 2006, 240 ss.; e v. anche oltre, § 3.2).
Quanto all’efficacia sanante – il cui riconoscimento, per la particolare gravità delle sue conseguenze, è giustificato solo in presenza di chiari indici testuali –, vanno menzionate quanto meno la riduzione delle cause di nullità invocabili dopo l’iscrizione della società ai sensi dell’art. 2332 e l’estensione alla trasformazione, ad opera dell’art. 2500 bis, degli effetti sananti già ricollegati al perfezionamento degli adempimenti pubblicitari in materia di fusione e di scissione.
La riforma societaria ha altresì attribuito alla pubblicità il compito di concorrere a risolvere i conflitti fra più acquirenti della medesima quota di s.r.l., introducendo una norma (l’art. 2470, co. 3) che peraltro – per la rilevanza attribuita all’elemento psicologico della buona fede e per altre ragioni – non è affatto in grado di assicurare la sicurezza e la rapidità della circolazione (cfr. Ibba, C., La pubblicità delle imprese, II ed.,Padova, 2012, 323 ss.).
Quando, come di regola, produce l’effetto dell’opponibilità, l’iscrizione nel registro delle imprese è idonea a «comporre una lite tra imprenditore e terzo il cui esito dipenderebbe dalla conoscenza nel terzo di un fatto da iscriversi, rimpiazzando la conoscenza con una formalità» e rendendo così irrilevante l’eventuale, concreta ignoranza del fatto iscritto (Rescio, G., La pubblicità della cessione d’azienda: modalità di attuazione ed effetti, in Riv. notar., 1995, 180 ss.; le parole tra virgolette sono di Spada, P., Consenso e indici di circolazione, in Riv. dir. civ., 2014, 399).
Essa, dunque, è correttamente classificabile tra le forme di pubblicità dichiarativa, in quanto non incide sul perfezionamento o sulla validità dell’atto né sulla produzione dei suoi effetti inter partes. Va subito chiarito, però, che la dichiaratività dell’art. 2193 è diversa da quella predicata in materia di trascrizione con riferimento all’art. 2644 c.c., sia perché, diversamente da questa, non è finalizzata alla soluzione di conflitti circolatori (la pubblicità d’impresa concerne più che altro vicende organizzative, e solo marginalmente vicende circolatorie); sia perché, verosimilmente proprio per questo, in relazione ad essa all’eventuale mancanza dell’adempimento pubblicitario, come si è visto nel § prec., può sopperirsi fornendo la prova della conoscenza del fatto non pubblicizzato da parte del terzo, cosa che l’art. 2644 non ammette.
Non è invece consentito rendere opponibili atti o fatti soggetti a iscrizione nel registro delle imprese, qualora questa non sia avvenuta, mediante l’utilizzo di altri strumenti pubblicitari. Dal co. 1 dell’art. 2193 si desume infatti il principio della unicità dello strumento di opponibilità, finalizzato a non render troppo onerosa la posizione dei terzi, che altrimenti nemmeno consultando il registro sarebbero certi di non vedersi opposti quel che dal registro non risulta (ma che è stato magari pubblicizzato su un quotidiano o su un sito internet). Devono pertanto ritenersi non più applicabili alle società semplici agricole per sopravvenuta incompatibilità con l’art. 2193, co. 1, a seguito del citato d.lgs. n. 228/2001 (v. sopra, nel § prec.), le norme del codice civile che, nel presupposto dell’estraneità della società semplice al sistema di pubblicità legale, consentono di raggiungere il risultato dell’opponibilità mediante l’utilizzo di «mezzi idonei» (artt. 2266, 2267 e 2290) piuttosto che tramite prova dell’effettiva conoscenza.
Altro principio – attendibilmente desumibile dal combinato disposto degli artt. 2188, co. 3, e 2193 c.c. – è quello secondo cui l’opponibilità presuppone la conoscibilità: ciò che rende un determinato atto opponibile, infatti, è la sua iscrizione in un registro espressamente qualificato come pubblico in quanto accessibile a chiunque. Possono opporsi ai terzi, insomma, solo quegli atti o fatti di cui essi possano venire a conoscenza attraverso la consultazione del registro.
Da questo punto di vista pone qualche problema la disciplina regolamentare che, discostandosi dall’impostazione del codice civile, distingue fra l’iscrizione (intesa come inserimento nella memoria dell’elaboratore elettronico, e messa a disposizione del pubblico sui terminali per la visura diretta, dei soli dati contenuti nel modello di domanda: art. 11, co. 8, d.P.R. n. 581/1995) e l’archiviazione (avente ad oggetto gli atti soggetti a pubblicità integralmente considerati: art. 8 d.P.R. n. 581/1995), diversificando contenuti e tempi dell’una e dell’altra e aprendo la strada a possibili dissociazioni fra l’opponibilità e la conoscibilità dei dati iscritti ma non ancora archiviati. Ad evitare ciò si è proposta un’interpretazione correttiva delle previsioni regolamentari, secondo la quale l’archiviazione costituisce parte essenziale del procedimento di iscrizione, che potrà dirsi completato solo quando tutte le sue fasi (inclusa, appunto, l’archiviazione) saranno state completate (Ibba, C., La pubblicità delle imprese, cit., 17 s., 27 ss., 58 s., 89 ss., 295 ss., ove è pure sottolineata l’esigenza di informare gli utenti del registro che solo la consultazione dell’atto archiviato assicura la conoscenza integrale del suo contenuto).
Va ancora ricordato che, secondo quanto testualmente previsto dall’art. 2193, gli atti iscritti sono opponibili «dal momento in cui l’iscrizione è avvenuta», senza alcun periodo di vacatio. Per quanto riguarda gli atti relativi a società per azioni, tuttavia, l’efficacia positiva dell’iscrizione è temperata nei primi quindici giorni dall’iscrizione, essendo consentito ai terzi di sottrarsi all’opponibilità dando la prova dell’impossibilità di conoscenza dell’atto in questione (art. 2448 c.c., verosimilmente applicabile per analogia alle s.r.l.: Ibba, C., La pubblicità delle imprese, cit., 298 ss.).
È infine da sottolineare che l’iscrizione, in quanto (semplicemente) dichiarativa, consente di opporre un determinato fatto solo se effettivamente esistente, ossia nei limiti in cui ciò che è stato dichiarato e iscritto trovi corrispondenza nella realtà (per tutti già Pavone La Rosa, A., Il registro delle imprese - Contributo alla teoria della pubblicità, Milano, 1954, 126 s.). Così, ad esempio, se Tizio intraprende l’esercizio di un’impresa commerciale ma dichiara di essere un imprenditore agricolo e ottiene l’iscrizione come tale, non potrà certo giovarsene per assicurarsi l’esenzione dal fallimento. Quanto precede comporta che i terzi, se vi hanno interesse, possono sempre invocare la situazione realea discapito di quella falsamente o erroneamente pubblicizzata (nel nostro caso, la natura commerciale dell’impresa piuttosto che quella agricola risultante dall’iscrizione).
Nel sistema della pubblicità d’impresa si parla dipubblicità costitutiva con riferimento alle ipotesi in cui la legge non ammette la surrogabilità dell’iscrizione al fine del perfezionamento, della validità o dell’efficacia di un determinato atto, sottolineando così la necessarietà dell’adempimento pubblicitario e differenziando tali ipotesi da quelle regolate nei primi due commi dell’art. 2193 c.c.
L’esempio più ricorrente è offerto dall’iscrizione dell’atto costitutivo delle società di capitali, cui si riconosce – a seconda delle diverse vedute circa la condizione giuridica della società anteriormente all’iscrizione – efficacia costitutiva della società ovvero della sola personalità giuridica; fermo restando che nel primo caso gli effetti nei quali si concretizza la ‘nascita’ della società, nel secondo quelli evocati dalla formula dell’acquisto della personalità giuridica da parte della già esistente società, si producono solo con l’iscrizione nel registro delle imprese (art. 2331 c.c.).
Più in generale, l’essenzialità – e dunque la costitutività – degli adempimenti pubblicitari è prevista in ordine alla produzione dei fenomeni di autonomia o separazione patrimoniale (fatta eccezione per quel grado minimo di autonomia patrimoniale proprio della società semplice e delle società in nome collettivo e in accomandita irregolari, svincolato da qualsivoglia adempimento pubblicitario) cui consegue l’attivazione di regimi di responsabilità patrimoniale che possiamo considerare speciali rispetto alla regola generale codificata all’art. 2740 c.c.
In tali casi la pubblicità è essenziale innanzi tutto nel momento genetico dell’autonomia o separazione patrimoniale: essa, cioè, serve non solo a far conoscere, come talvolta si legge, e neanche solo a rendere opponibile ai terzi, ma a produrre (quello che può definirsi) l’effetto separativo. Allo stesso modo, essa dovrebbe rivelarsi essenziale anche nella fase estintiva, simmetricamente, al fine di produrre – o concorrere a produrre – il venir meno di quell’effetto; cosa di cui non tiene conto quella giurisprudenza (cfr. ad es. Cass., S.U., 22.2.2010, n. 4060; e da ultimo Cass., S.U., 12.3.2013, n. 6070) che qualifica come dichiarativi gli effetti della cancellazione delle società di persone, non accorgendosi che, nella prospettiva dell’opponibilità, alla mancata cancellazione dovrebbe potersi ovviare con la prova della conoscenza dell’estinzione, la qual cosa è per più ragioni da escludere.
Non pare individuare realmente una diversa categoria di effetti della pubblicità la formula della pubblicità c.d. normativa (per la quale v. Campobasso, G.F., Diritto commerciale, I, Diritto dell’impresa, VII ed., Torino, 2013, 122), che si connoterebbe per il fatto di fungere da presupposto di applicazione di un determinato regime giuridico, quello delle così dette società regolari (ex artt. 2297 e 2317 c.c.), trattandosi solo di un diverso modo per descrivere il prodursi di effetti comunque riconducibili alla categoria della pubblicità costitutiva: costitutiva, nel caso di specie, di quel grado di autonomia patrimoniale che è riconosciuto, appunto, solo alle società di persone (diverse dalla società semplice) iscritte (come delineato già in Oppo, G. Forma e pubblicità nelle società di capitali, ora in Scritti giuridici, II, Diritto delle società, Padova, 1992, specie 230 s.).
Più ampiamente, sono ascrivibili alla categoria della pubblicità costitutiva o, se si vuole, di tipo costitutivo, tutte le ipotesi in cui la legge, a determinati fini, non ammette la surrogabilità dell’iscrizione con la prova della conoscenza del fatto non iscritto.
A soluzioni del genere il legislatore ricorre (o dovrebbe ricorrere), almeno in linea di principio, là dove non sono in gioco gli interessi di due o più soggetti singolarmente considerati, nel qual caso i meccanismi della pubblicità dichiarativa funzionerebbero adeguatamente, bensì quelli di una generalità di soggetti. In casi del genere, a esigenze di certezza si accompagnano spesso esigenze di uniformità di disciplina nei confronti di qualunque terzo; ed è appunto questo a escludere la possibilità di dare rilevanza all’effettiva conoscenza che di un determinato fatto questo o quel terzo possano aver conseguito in uno od altro momento ed a rendere appropriata l’attivazione di meccanismi pubblicitari di tipo costitutivo. La pubblicità diventa allora necessaria (tale, dunque, da non ammettere equipollenti) al fine del prodursi di un determinato effetto.
In questa prospettiva si comprende l’opzione per una pubblicità di tipo costitutivo al fine di individuare il dies a quo di un determinato termine che interessa o può interessare una pluralità di soggetti. Talvolta, determinandosi in tal modo l’arco temporale entro il quale è possibile l’esercizio di un diritto, s’incide solo sulla posizione individuale dei singoli, come accade in ordine al diritto di recesso; tanto che – là dove l’evento che legittima l’esercizio del diritto non sia soggetto a pubblicità – può darsi rilievo alla conoscenza di quell’evento da parte dell’interessato (art. 2437 bis, co. 1, parte finale), invece che all’iscrizione nel registro delle imprese, ammettendosi così la possibilità di una pluralità di termini diversi.
Altre volte, invece, questa possibilità non può ammettersi, perché al decorso del termine è correlato il perfezionamento di un’operazione straordinaria (cfr. gli artt. 2500 novies, 2503 e 2506 ter c.c.) o l’apertura di una procedura concorsuale: il momento iniziale, dunque, deve necessariamente essere uno solo, eguale per tutti e individuabile con certezza. Si pensi in particolare al termine di un anno oltre il quale non è più dichiarabile il fallimento dell’imprenditore cessato (art. 10 l. fall.); termine che decorre da un adempimento pubblicitario – la cancellazione dal registro delle imprese – mancando il quale la fattispecie non può completarsi e l’effetto non può prodursi (regola a mio avviso valevole anche nei confronti del socio cessato o non più illimitatamente responsabile, decorrendo il termine – malgrado l’ambiguità dell’art. 147, co. 2, l. fall. – dall’iscrizione dell’evento che determina la cessazione della qualità di socio o del regime di responsabilità illimitata): Ibba, C., La pubblicità delle imprese, cit., 281 ss., 284 s.
Con la particolarità che, qualora la cancellazione della società non costituisca l’esito del procedimento di liquidazione ma sia stata disposta d’ufficio, ex art. 2490, ult. co., c.c. o ex art. 3 d.P.R. 23.7.2004, n. 24 (e sia avvenuta, dunque, semplicemente sulla base di indici presuntivi dell’avvenuta cessazione dell’attività), è fatta salva, per i creditori e per il pubblico ministero, la facoltà di dimostrare che l’attività è proseguita pur dopo la cancellazione. Ai fini del decorso del termine, dunque, l’adempimento pubblicitario della cancellazione è necessario, ma può non essere sufficiente là dove si provi che ad esso non ha fatto riscontro l’effettiva cessazione dell’attività (Ibba, C., La pubblicità delle imprese, cit., 282 ss.).
Quanto appena detto pone, su un piano più generale, il problema del rapporto fra adempimento pubblicitario e presupposto sostanziale in ordine alla produzione degli effetti di una determinata fattispecie; problema la cui soluzione può evidentemente variare da caso a caso, in relazione alle varie fattispecie sottoposte a pubblicità, e sul quale ci si limiterà a un’indicazione di carattere generale e a due esemplificazioni in materia di scioglimento delle società.
In linea di principio può dirsi – sulla base della nozione di pubblicità costitutiva sopra accolta – che la costitutività implica la necessità dell’iscrizione ma non anche la sua sufficienza, intesa come idoneità a determinare la produzione di determinati effetti a prescindere dalla presenza dell’elemento sostanziale di una determinata fattispecie.
Ipotizziamo ad esempio che, in relazione a una società di capitali, venga iscritta una causa di scioglimento in realtà insussistente, e chiediamoci se tale iscrizione sia idonea a determinare l’apertura dello stato di liquidazione. La risposta non può che essere negativa, se non altro perché nulla induce ad accreditare l’iscrizione di un’efficacia in un certo senso sanante, capace cioè di sopperire alla mancanza dell’elemento sostanziale della fattispecie. Né deve trarre in inganno la già ricordata natura costitutiva dell’iscrizione (v. sopra, § 3.1): essa, per quanto detto, comporta che gli effetti nei quali si concreta l’apertura dello stato di liquidazione non si producono in assenza dell’iscrizione, ma non anche che essi si producano, per effetto dell’iscrizione, in mancanza della causa di scioglimento.
Ne discende che, mancando questa, l’iscrizione dovrà essere rimossa mediante cancellazione d’ufficio ex art. 2191 c.c., in quanto avvenuta in assenza delle condizioni richieste dalla legge (e v. Giud. reg. Cagliari, 7-10.1.2013, decr., in Riv. giur. sarda, 2013, 111 ss., con nota di Cattani, L., Iscrizione di una causa di scioglimento e successivo accertamento della sua insussistenza), senza che si renda necessario il più complesso procedimento di revoca dello stato di liquidazione (art. 2487 ter), previsto per la ben diversa ipotesi in cui una causa di scioglimento originariamente sussistente sia poi venuta meno o sia stata eliminata.
Nel caso esaminato, dunque, l’adempimento pubblicitario è solo uno degli elementi della fattispecie, che deve aggiungersi (e non può sostituirsi) al requisito sostanziale consistente nell’effettivo sussistere di una causa di scioglimento.
Problema analogo – sul quale i dati normativi sono assai più incerti – si pone a proposito dell’estinzione delle società, così come disciplinata, a seguito della riforma societaria, dall’art. 2495. La formulazione del secondo comma, con l’affermare che l’estinzione della società (di capitali) resta ferma, a cancellazione avvenuta, pur in presenza di creditori sociali insoddisfatti, ha inizialmente indotto a ravvisarvi l’enunciazione di un effetto costitutivo-estintivo irreversibile e del tutto svincolato da qualunque presupposto sostanziale. Le gravissime controindicazioni pratiche di questa soluzione, che ha originato una imponente casistica giurisprudenziale, hanno però indotto a cercare dei correttivi e ad esplorare altre possibilità interpretative. Ci si domanda, insomma, se la cancellazione, oltre ad essere necessaria, sia sempre da sola sufficiente a determinare l’estinzione della società o se invece, a tal fine, sia richiesto il concorso di una od altra condizione sostanziale, in assenza della quale la cancellazione non escluda il persistere di un centro d’imputazione giuridica; nonché se, e in quali casi, essa possa essere rimossa mediante cancellazione d’ufficio ex art. 2191. E il problema è ancora lontano dall’aver trovato una soluzione condivisa (cfr., anche per gli opportuni riferimenti giurisprudenziali, Sanna, V., Cancellazione ed estinzione nelle società di capitali, Torino, 2013; e Zorzi, A., L’estinzione delle società di capitali, Milano, 2014).
Il medesimo adempimento pubblicitario può produrre, e normalmente produce, effetti diversi.
S’immagini, ad esempio, che sia stato iscritto nel registro delle imprese l’atto costitutivo della s.p.a. Alfa con il conferimento, da parte dell’unico socio fondatore, di una quota da lui posseduta nella s.r.l. Beta. È agevole constatare che in questo caso l’iscrizione esplica – oltre alla generica finalità informativa su tutto quanto risulta iscritto – un’efficacia che è costitutiva (della società o quanto meno della personalità giuridica: art. 2331), dichiarativa (del contenuto dell’atto costitutivo: artt. 2193 e 2448) ed eventualmente sanante (precludendo la dichiarazione di nullità per tutti i vizi diversi da quelli indicati all’art. 2332). L’iscrizione non è invece idonea ad attivare il regime di responsabilità limitata del socio unico (occorrendo a tal fine, ex art. 2325, l’autonoma pubblicità prescritta dall’art. 2362; e v. Trib. Roma, 26.3.2012, n. 6194, in Giur. comm., 2014, II, 525 ss.); né a risolvere un eventuale conflitto fra la società Alfa, conferitaria della quota nella società Beta, ed altro soggetto acquirente di quella quota (rilevante essendo a tal fine l’adempimento pubblicitario da eseguirsi ai sensi dell’art. 2470).
È necessario isolare il profilo che interessa, dunque, per cogliere il ruolo di volta in volta svolto dalla pubblicità, individuandone così anche la relativa disciplina. Diversamente dalla pubblicità dichiarativa, infatti, quella costitutiva e quella sanante non solo non ammettono equipollenti ma, altresì, non subiscono il temperamento sancito, in ordine all’efficacia positiva dell’iscrizione, dall’art. 2448, co. 2 (che come si è visto consente ai terzi, nei primi quindici giorni dall’iscrizione di un determinato atto, di sottrarsi all’opponibilità dando la prova dell’impossibilità di conoscenza dell’atto stesso).
Qualora sia stata iscritta una situazione non corrispondente al vero (come tale, non opponibile ai terzi: v. sopra, § 2, in fine) c’è da chiedersi se essa possa essere invocata dai terzi, qualora ciò corrisponda al loro interesse, o se invece essi corrano il rischio di vedersene eccepire l’inesistenza.
Il problema in sostanza è quello di verificare se le risultanze del registro delle imprese, da sole o in concorso con altre circostanze, siano capaci di generare nei terzi un affidamento meritevole di tutela. E la risposta è in linea di principio affermativa (Ibba, C., Iscrizione nel registro delle imprese e difformità fra situazione iscritta e situazione reale, in Riv. soc., 2013, specie 880 ss.), nei limiti in cui tale affidamento sia incolpevole, anche perché l’utilità dello strumento pubblicitario, e la stessa ragion d’essere del sistema di pubblicità come mezzo di diffusione di conoscenze, verrebbero meno se i terzi dovessero di volta in volta verificare l’esattezza delle informazioni ottenute attraverso la consultazione del registro.
Così, ad esempio, ipotizzando che Tizio sia iscritto come amministratore di una s.n.c. e che agisca spendendo il nome della società, non dovrebbero esservi dubbi nel ritenere la società vincolata dalla sua attività contrattuale nei confronti dei terzi in buona fede pur quando risulti che, in realtà, egli non era mai stato nominato amministratore.
In ipotesi del genere può parlarsi, quanto meno sul piano descrittivo, di una apparenza generata (anche) dalla pubblicità, essendo proprio le non veritiere informazioni diffuse dal sistema pubblicitario a (concorrere a) indurre in errore i terzi.
Non può invece ammettersi che l’apparenza si fondi, in relazione a situazioni assoggettate a pubblicità, su indici fattuali in contrasto con le risultanze pubblicitarie. Come si legge in una diffusa massima giurisprudenziale, «il principio dell’apparenza del diritto e dell’affidamento – traendo origine dalla legittima e, quindi, incolpevole aspettativa del terzo di fronte ad una situazione ragionevolmente attendibile (anche se non conforme alla realtà), non altrimenti accertabile se non attraverso le sue esteriori manifestazioni – non è invocabile nei casi in cui la legge prescrive speciali mezzi di pubblicità mediante i quali sia possibile controllare con l’ordinaria diligenza la reale consistenza dell’altrui potere, come accade in ipotesi di organi di società di capitali regolarmente costituite» (così, fra le tante, Cass., 19.1.2004, n. 703; Cass., 27.1.1983, n. 742; ma v. anche Cass.,18.5.2005, n. 10375; Cass. 16.8.1990, n. 8309).
Occorre tuttavia distinguere i casi in cui i terzi invochino una situazione (non reale) incompatibile con quella pubblicizzata da quelli nei quali il loro affidamento si fondi su una situazione diversa ma compatibile con quella pubblicizzata (spunto sviluppato in Ibba, C., Iscrizione nel registro delle imprese e difformità fra situazione iscritta e situazione reale, cit., 884 ss.).
Così, ad esempio, l’iscrizione di Tizio come amministratore dotato della rappresentanza legale non esclude che Caio o Sempronio possano essere investiti di poteri rappresentativi basati su un titolo diverso da quello pubblicizzato (poteri, cioè, non connessi con la carica di amministratore). Conseguentemente, l’avvenuta pubblicizzazione delle generalità degli amministratori dotati del potere di rappresentanza non vale da sola ad escludere che un terzo possa incolpevolmente aver fatto affidamento sull’esistenza del potere rappresentativo in capo a un soggetto diverso, qualora sussistano adeguati indici di apparenza (quali il ripetuto compimento di operazioni analoghe a quella oggetto della lite e l’adempimento da parte della società delle obbligazioni così assunte). Ed è a fattispecie del genere che risulta appropriata la massima giurisprudenziale – prima facie contrapposta a quella riportata sopra – secondo cui «il principio dell’apparenza del diritto può essere invocato anche nel caso in cui il terzo, contrattando con una società di capitali, sia in grado di verificare, sulla base dei pubblici registri, l’esistenza dei poteri di rappresentanza del soggetto che agisce in nome e per conto della società» (Cass., 12.1.2006, n. 408; come pure Cass., 13.8.2004, n. 15743; nello stesso senso Cass., 19.9.1995, n. 9902; Cass., 3.3.1994, n. 2123; Cass., 28.2.1992, n. 2494).
In sintesi, dunque, una situazione apparente è suscettibile di generare affidamenti incolpevoli, e dunque tutelabili, in due serie di ipotesi, ovvero: a) quando essi si fondino su dati iscritti non veritieri (Tizio non è amministratore ma è iscritto [e si comporta] come tale: apparenza generata [anche] dalla pubblicità); b) quando essi si fondino su indici fattuali diversi ma non in contrasto con i dati iscritti (Tizio amministratore iscritto, altri che operano abitualmente per la società: apparenza non esclusa dalla pubblicità).
Non possono invece mai dirsi incolpevoli, e non sono dunque mai tutelabili, affidamenti fondati su dati fattuali smentiti dai dati iscritti (se Tizio è iscritto come institore con determinate limitazioni dei suoi poteri, certamente i terzi non possono invocare un potere eccedente le limitazioni iscritte; ed è questa, e solo questa, l’apparenza esclusa dalla pubblicità).
Artt. 2188 ss. c.c.; art. 8, l. 29.12.1993, n. 580; d.P.R. 7.12.1995, n. 581.
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