LINGUE, REGNO DI GERMANIA
Il periodo compreso tra il 1170 e il 1250 è indicato nella storia linguistica tedesca come '(alto) tedesco medio classico' o '(alto) tedesco medio cortese'. Nella storia della letteratura è infatti considerato l'epoca aurea dell'età medievale (höfische Blütezeit) o l'età della letteratura cortese e cavalleresca (Ritterzeit, ritterlich-höfische Literatur, höfische Klassik). Lo stesso periodo è associato anche al nome della dinastia sveva, per cui si parla di staufische Blüte, staufische Literatur, staufische Klassik, ritterlich-höfische Dichtung der Stauferzeit. Il riferimento agli Svevi non va tuttavia considerato come una periodizzazione basata semplicemente sulla successione delle dinastie, quanto piuttosto come un riconoscimento del ruolo che gli Hohenstaufen hanno avuto nell'introduzione di modelli culturali francesi e delle relative conseguenze che ciò ha comportato sul piano sociale e culturale. Inoltre l'anno 1250, che corrisponde alla morte di Federico II, ultimo grande imperatore svevo, rappresenta certamente una netta frattura anche nella storia culturale della Germania.
In particolare, negli ultimi anni del regno di Federico II e nel ventennio dell'interregno si determinò un contesto favorevole alla creazione di centri di potere autonomi, si rafforzò l'autonomia delle città e si creò un apparato burocratico legato ai poteri locali, con la conseguente ascesa di nuovi gruppi sociali. Allo stesso tempo si modificò l'organizzazione dei processi produttivi e, accanto a una struttura basata sulla circolazione delle merci, si sviluppò un'economia basata sulla circolazione del denaro che sarà poi decisiva per lo sviluppo delle città mercantili.
Elementi rilevanti in questo periodo furono: da un lato lo sviluppo delle città, l'ascesa sociale della piccola nobiltà e la formazione di un ceto medio urbano costituito da commercianti, artigiani, funzionari; dall'altro l'aumento della produzione scritta in latino e in volgare, lo sviluppo di centri scrittori laici nelle città e nelle corti e l'aumento dei fruitori del testo scritto. Il minimo comune denominatore di tutti questi fattori è la presenza di una cultura laica che rese accessibile la produzione scritta a strati più ampi della popolazione, laddove fino al sec. XII gli unici detentori del sapere e degli strumenti della sua trasmissione erano stati i religiosi che operavano nei centri monastici. Questi ultimi mantennero ancora per lungo tempo la loro funzione di luoghi di produzione della cultura e della scrittura, ma ad essi si aggiunsero presto le scuole istituite presso le sedi vescovili e presso le corti dei principi, maggiormente rispondenti alle nuove esigenze della mutata struttura sociale.
In questo periodo la geografia dell'area linguistica tedesca si modifica per il consolidamento dell'espansione tedesca rivolta verso territori occupati da popolazioni slave e baltiche che comporterà un significativo ampliamento verso est dell'area tedescofona. Già nel sec. X aveva avuto luogo un primo movimento verso i territori a est della Saale e dell'Elba, ma è soprattutto con la seconda fase della colonizzazione, iniziata intorno al 1100 e interrotta dalla peste del 1348, che la presenza tedesca si consolidò e si spostò oltre l'Elba e l'Oder. Crescita demografica e motivazioni economiche spinsero contadini, boscaioli, artigiani, ai quali si unirono i ministeriali attratti dalla promessa di assegnazione di feudi, a insediarsi nelle regioni orientali (Brandeburgo, Meclemburgo, Pomerania, Slesia, Boemia e Moravia) accogliendo l'invito di principi slavi e margravi.
Sulla base di dati desunti da registri e documenti e dall'analisi linguistica di elementi onomastici è possibile ricostruire gli itinerari di questi movimenti migratori che hanno interessato in larga parte abitanti dei Paesi Bassi, della Bassa Sassonia, della Vestfalia, della Renania, oltre a gruppi provenienti dalla Turingia e da altri territori della regione della Saale colonizzati nel sec. X. Oltre alla presenza di coloni e rappresentanti della piccola nobiltà, mossi da motivazioni di ordine economico, contribuirono all'opera di tedeschizzazione di quelle regioni anche la fondazione di monasteri dell'Ordine dei Premostratensi e dei Cistercensi nonché i matrimoni misti tra principi slavi e donne della nobiltà tedesca, il cui seguito di dame e cavalieri favorì la diffusione della lingua e cultura tedesca anche nell'ambiente delle corti.
Caratteri diversi ha invece l'occupazione dei territori ancora più a est, lungo il corso inferiore della Vistola e le coste del Mar Baltico, da parte dell'Ordine dei Cavalieri teutonici, guidati dal Gran Maestro Ermanno di Salza. Lo scopo di queste spedizioni era la conversione e sottomissione delle popolazioni baltiche e slave ancora pagane. Federico II assicurò con la Bolla d'oro di Rimini (1226) il riconoscimento ufficiale all'espansione verso i territori della Prussia e si crearono così le basi per la costituzione del futuro stato dell'Ordine teutonico. Questo conquistò i territori della fascia costiera che andava dalla Vistola fino al Neman, ma la sua espansione verso l'interno fu bloccata dall'avanzata dei mongoli e soprattutto dalla sconfitta subita presso il lago Peipus (1242) nello scontro con le milizie russe guidate dal duca di Novgorod Aleksandr Nevskij. Intorno alla metà del secolo i possedimenti dell'Ordine teutonico si estendevano fino all'Estonia (ad esclusione della Lituania) includendo quelli dell'Ordine dei Cavalieri portaspada (Fratres militiae Christi) che nel 1237 era stato assorbito dall'Ordine teutonico.
In seguito agli eventi ricordati sopra si delinearono dunque, nel corso del secolo, i confini e l'articolazione interna dell'intera area linguistica tedesca e al tempo stesso si crearono le premesse per gli sviluppi futuri della lingua moderna e dei suoi dialetti. Il 1170 è indicato convenzionalmente come anno di inizio di questo periodo, caratterizzato appunto dalla trasformazione della società, che segna allo stesso tempo la fine del monopolio culturale da parte della Chiesa e l'inizio di una letteratura laica ispirata non soltanto alla tradizione latina quanto anche ai modelli francesi, i cui destinatari appartenevano al mondo delle corti.
Nel corso del Duecento si registra un sempre maggior ricorso alla lingua scritta per finalità pratiche, come l'amministrazione di beni o la gestione di attività commerciali, e per questo la parola scritta, necessaria per l'esercizio del potere e delle funzioni sociali, era diventata indispensabile anche nel mondo secolare. L'importanza crescente del testo scritto in diversi settori della società determinò o comunque accelerò il passaggio all'uso del volgare anche in ambiti tradizionalmente riservati al latino, quali quello religioso e giuridico. La considerazione del destinatario, piuttosto che l'argomento o l'autore, determinava in genere la scelta della lingua. Destinatari del testo scritto erano infatti ormai sempre più spesso laici con nessuna conoscenza del latino, i quali (e questo rappresenta una novità importante) anche se illitterati erano considerati potenziali fruitori del testo scritto, pur se attraverso la lettura da parte di terzi. Si è ritenuto perciò opportuno individuare una terza categoria, i semi litterati (quasi literate), accanto a quelle dei litterati e degli illitterati, per designare coloro (in genere nobili) che avevano una fruizione mediata della parola scritta, in quanto la loro capacità di accesso al testo era subordinata alla necessità di affidarsi ad altre persone.
Inizialmente la diglossia latino/volgare si manifesta essenzialmente come una distinzione tra tradizione orale in volgare e tradizione scritta in latino, ragion per cui è legittimo sostenere che i primi testi scritti in tedesco nel Medioevo rappresentino in realtà il prodotto di una mediazione tra la cultura orale in volgare e la cultura monastica in latino. Né va peraltro dimenticato che spesso dietro la redazione di un testo in volgare vi era comunque un testo redatto in latino, assunto quanto meno a modello stilistico. Esemplare per l'interferenza tra trasmissione orale di tradizione germanica, cultura latina e tradizione scritta in volgare è la storia della redazione dello Spegel der Sassen (Specchio dei Sassoni), di Eike von Repgow (v. oltre).
Nell'area tedesca l'introduzione del volgare e il graduale abbandono del latino avvengono in modi e tempi diversi nelle singole aree dialettali e per le singole tipologie testuali. Nelle regioni settentrionali, dove peraltro durante il sec. XII il latino era stato l'unica lingua della comunicazione scritta, agli inizi del sec. XIII riprende la tradizione in basso tedesco con una notevole letteratura in prosa, che comprende anche la stesura di statuti cittadini e raccolte di leggi. Ciononostante i documenti delle cancellerie cittadine fino alla fine del secolo continuarono a essere redatti in latino, così come tutta la corrispondenza commerciale della Lega anseatica, la cui organizzazione richiedeva necessariamente l'impiego di una lingua scritta che fosse sovraregionale. Il documento in volgare si diffuse pertanto soltanto nella metà del Trecento, un secolo dopo rispetto all'area altotedesca e a quella nederlandese, e comparve prima nelle cancellerie dei nobili e dei principi e solo in un secondo momento nelle cancellerie delle città. Nelle regioni meridionali invece furono le cancellerie delle città a redigere, già nei primi decenni del Duecento, documenti in tedesco. In queste stesse regioni il tedesco, pur rappresentando la lingua della grande produzione poetica, venne tuttavia adoperato più raramente per i testi in prosa, per i quali si continuò a preferire il latino. Ciò poteva in parte essere legato alla monopolizzazione da parte del clero e dei monaci, ancora per tutto il sec. XIII, di alcuni generi letterari prosastici come ad esempio la storiografia.
L'area tedesca era, ed è tuttora, divisa in due macroaree, basso tedesco nelle regioni settentrionali e alto tedesco nelle regioni centromeridionali, distinte sulla base di diversi criteri linguistici, il più importante dei quali è quello del consonantismo. La relativa isoglossa che separa in due parti l'area linguistica tedesca attraversandola da ovest ad est partiva a sud di Aquisgrana, attraversava Olpe nei pressi del massiccio del Rothaar, proseguiva toccando Kassel, Nordhausen, Eisleben, Merseburgo, superava il fiume Saale e arrivava fino a Bautzen. Si trattava di un'area inizialmente piuttosto estesa che nel corso del sec. XIV si ridusse nelle regioni a est dei monti dello Harz e lungo il corso superiore dei fiumi Elba e Saale per la pressione del dialetto centrorientale. Per questo motivo la frontiera linguistica tra le due aree attualmente è più a nord rispetto al periodo medievale.
Queste aree linguistiche non erano omogenee: infatti al loro interno si individuano ulteriori suddivisioni dialettali determinate da altre isoglosse, distinguendo per esempio tra regioni occidentali, corrispondenti a grandi linee alle antiche sedi dei germani, e territori orientali, colonizzati tra il sec. X e il XIV. Alla fine del periodo medievale l'area dialettale altotedesca comprende il tedesco superiore (alemanno, bavarese e francone orientale) e il tedesco centrale distinto in tedesco centroccidentale (francone renano e francone centrale suddiviso in francone ripuario e francone mosellano) e tedesco centrorientale (turingio, sassone superiore, slesiano, alto prussiano). I dialetti basso tedeschi si dividono in due sottogruppi: basso tedesco occidentale (vestfalico, ostfalico, basso tedesco settentrionale) e basso tedesco orientale rappresentato dai dialetti delle nuove colonie che si vengono via via costituendo (meclemburghese e pomerano occidentale, pomerano orientale, brandeburghese, basso prussiano).
I dialetti basso tedeschi orientali sono definiti anche Siedlungsmundarten 'dialetti della colonizzazione' o Kolonialdialekte 'dialetti delle colonie', in quanto sono dialetti misti senza tratti dialettali marcati, che si sono sviluppati dalle varietà parlate dai coloni provenienti dalle regioni occidentali, prevalentemente di lingua nederlandese o basso tedesca. Tra questi dialetti il vestfalico ebbe un ruolo rilevante, in quanto l'ondata migratoria proveniente dalla Vestfalia interessò anche rappresentanti del ceto medio cittadino e fu caratterizzata da insediamenti distribuiti su tutti i nuovi territori. Un'altra componente rilevante nella formazione di queste Siedlungsdmundarten è rappresentata dal nederlandese, soprattutto nella regione del Brandeburgo. Ad esempio Moll, cf. nederlandese mol, è il sostantivo che designa, ancora oggi, la talpa nel dialetto brandeburghese, laddove nel resto dell'area basso tedesca si registrano le varianti Mul(l)wurm o Mul(l)warp. Anche Sane entra dal dialetto brabantino, che a sua volta aveva probabilmente preso la voce dal francese antico saime 'crema del latte'. In questo caso però la voce non rimase circoscritta al dialetto brandeburghese e infatti è attestata già nel sec. XIV nell'alto tedesco Sane (cf. tedesco moderno Sahne). Oltre alle caratteristiche linguistiche dei dialetti basso tedeschi orientali, anche la toponomastica di queste regioni fornisce indicazioni sulla provenienza dei coloni. Così ad esempio i nomi di due nuovi insediamenti sull'Oder e sull'Elba, Frankfurt an der Oder e Aken an der Elbe, furono scelti dai coloni in ricordo delle loro città di origine Frankfurt am Main e Aachen.
L'articolazione dei confini dialettali tedeschi descritta sopra offre tuttavia una rappresentazione estremamente schematica della reale situazione linguistica dell'area tedescofona in quanto all'interno di queste stesse aree dialettali, sulla base delle caratteristiche linguistiche dei singoli dialetti, si possono individuare ulteriori suddivisioni: nell'alemanno, ad esempio, si distinguono tre sottovarietà (basso alemanno, alto alemanno e svevo). Inoltre l'ovvia considerazione che le aree dialettali non possano essere realisticamente considerate entità discrete ma rappresentino piuttosto un continuum con aree di transizione tra una varietà e l'altra rende ancor più difficile delimitare i confini delle aree dialettali stesse. Ciò è esemplarmente dimostrato dai dialetti alto tedeschi centrali che costituiscono una vasta e complessa area di transizione tra basso tedesco e tedesco superiore, oppure dall'area linguistica compresa tra i dialetti del basso tedesco occidentale da un lato e le varietà dei dialetti nederlandesi dall'altro. Infine bisogna considerare che la descrizione della situazione linguistica nel Medioevo è inevitabilmente soggetta ad alcune restrizioni determinate dalla documentazione scritta che ci è pervenuta, di-somogenea per la distribuzione geolinguistica, per la tipologia dei testi e per la loro cronologia.
Nella prospettiva diacronica il tedesco dell'età fridericiana appartiene al periodo del 'tedesco medio' ossia alla fase intermedia tra quella delle origini, il tedesco antico, e quella moderna. Secondo la periodizzazione oggi comunemente accettata questo periodo va dalla metà del sec. XI alla metà del XIV per l'alto tedesco e dagli inizi del sec. XIII alla metà del XVII per il basso tedesco. Tra il periodo antico e quello medio si osserva per tutte e due le aree linguistiche un'interruzione nella documentazione in quanto per circa un secolo si abbandona l'uso del tedesco in letteratura; per questo motivo l'inizio del periodo medio segna la ripresa della tradizione in volgare, dopo un periodo di uso esclusivo del latino, benché ciò si verifichi in tempi diversi per l'alto e il basso tedesco. Conseguentemente le vicende del basso tedesco non procedono parallelamente a quelle dell'alto tedesco né sotto il profilo cronologico né tantomeno sotto quello sociolinguistico. Definizioni come 'tedesco medio classico' o 'tedesco medio cortese' non sono pertanto applicabili all'intera area tedescofona dell'Impero, in quanto generalmente riferite alla sola produzione dell'area altotedesca, mentre per l'intera area linguistica tedesca è preferibile parlare di tedesco medievale (hochmittel-alterliches Deutsch). Con quest'ultimo termine, così come con quello di 'tedesco medio', si designa pertanto una molteplicità di dialetti, con caratteristiche linguistiche anche radicalmente diverse tra loro e differenti ambiti d'uso.
Tali dialetti non vanno considerati in rapporto a una lingua standard di riferimento, che ancora non sussisteva, quanto piuttosto come manifestazioni del continuum linguistico dell'area tedesca. Nei testi dell'epoca si individuano tuttavia riferimenti alla lingua 'tedesca' che fanno ipotizzare il sorgere nei parlanti quanto meno della consapevolezza di una realtà linguistica comune entro i confini dell'Impero, pur se questa trovava ancora espressione in una molteplicità di dialetti.
Nel Duecento non esiste dunque una varietà che possa essere considerata lingua alta (Hochsprache) con funzioni di lingua standard, intesa in senso moderno, in quanto nessuna varietà si impone come modello sulle altre e tutte le varietà dialettali sono adoperate per la comunicazione scritta. Una sola lingua, quella della poesia epico-cortese con diffusione sovraregionale in età sveva, avrebbe potuto rappresentare la premessa per l'avvio del processo di formazione della lingua unitaria. Prevalsero invece, soprattutto dopo la morte di Federico II, particolarismi politici e il centralismo imperiale fu sostituito da numerosi centri di potere a carattere provinciale i quali, anziché favorire i processi di unificazione linguistica, diedero vita ad altrettanti centri linguistici, contribuendo tra l'altro a determinare le frontiere dialettali moderne.
Di questa variabilità le grammatiche e i repertori lessicografici fino a qualche decennio fa non davano sempre conto, concentrando piuttosto l'analisi sulla produzione della letteratura epico-cortese, peraltro notevole per qualità e quantità, la cui lingua non può tuttavia essere considerata rappresentativa di tutto il tedesco medio né corrisponde a una varietà adoperata nella realtà. L'analisi di altre tipologie testuali, soprattutto testi d'uso, corrispondenze di mercanti, statuti cittadini, resoconti di processi e documenti, mostra invece un quadro linguistico molto frammentario e vitale, la cui indagine consente di avere una descrizione completa ed esauriente del tedesco medio, basata su tutte le tipologie testuali e rappresentativa di tutte le aree dialettali (Sprachlandschaften).
La descrizione dei fenomeni linguistici e dei cambiamenti che si registrano nel corso del sec. XIII non può pertanto non tenere conto di questa pluralità dialettale. Le divergenze sono particolarmente evidenti ad esempio per i fenomeni di dittongazione e monottongazione, peculiari proprio di questo periodo, che si realizzano tuttavia in tempi diversi e con una distribuzione geolinguistica differenziata.
La monottongazione dei dittonghi (dal tedesco medio lieber, bruoder, güete al tedesco moderno lieber, Bruder, Güte), peraltro non sempre registrata dalla grafia (cf. lieber), si osserva infatti inizialmente soltanto nel tedesco centroccidentale, mentre la dittongazione delle vocali lunghe (dal tedesco medio mîn, hûs, niun al tedesco moderno mein, Haus, neun) occorre prima in testi bavaresi e dalla fine del sec. XIII si diffonde nelle varietà di tedesco centrorientale.
Un caso esemplare della variabilità in morfologia è la coniugazione del verbo haben 'avere'. La prima persona singolare dell'indicativo passato (preterito) presenta infatti molteplici varianti nei dialetti alto tedeschi: le forme piene habete e hebete oltre a forme contratte quali hæte, het(e), hette, oppure hât(e) che è la variante più diffusa, hêt(e) che si registra in testi bavaresi e franconi orientali, hiet(e) che è prevalentemente bavarese, heite che è tipica dell'area alemanna, hadde e hat(t)e presenti nei dialetti centroccidentali.
Pur nella varietà dei sistemi linguistici, si individuano tuttavia caratteristiche comuni a tutta l'area tedesca, come la mancanza di norme ortografiche unitarie, la registrazione scritta degli esiti della metafonia palatale, l'indebolimento delle vocali in sillaba atona.
I dialetti tedeschi non erano le uniche lingue germaniche parlate nei confini dell'Impero. Nell'estrema parte nordoccidentale erano presenti anche altre lingue del gruppo germanico occidentale: il frisone e i dialetti nederlandesi, a eccezione del fiammingo.
Agli inizi del sec. XIII la regione in cui si parlava frisone era costituita da una larga fascia costiera affacciata sul Mare del Nord, compresa tra Reno e Weser. L'area linguistica frisone era dunque piuttosto vasta e compatta, tuttavia le testimonianze del frisone sono molto lacunose, anche perché delle tre aree dialettali (frisone occidentale, orientale e settentrionale) soltanto il frisone occidentale aveva una tradizione scritta autonoma, mentre nell'area frisone orientale all'uso del latino venne sostituito l'uso del basso tedesco.
La documentazione è comunque tarda, il primo manoscritto in frisone risale infatti alla seconda metà del sec. XIII, ed è inizialmente costituita soltanto da testi di ambito giuridico. Si tratta della rielaborazione di materiali di epoche e aree diverse, che risalgono a una tradizione orale molto antica, come fanno ritenere elementi quali i riferimenti al diritto germanico antico e alcuni tratti arcaici della lingua, tanto nella morfologia quanto nel lessico. Va infine ricordato che i frisoni parteciparono alla colonizzazione orientale, ma la loro presenza non ha lasciato tracce linguistiche significative.
Fino al sec. XIII anche le testimonianze provenienti dall'area nederlandese sono molto scarse e comunque trasmesse in manoscritti dei quali spesso si ignorano datazione e provenienza. L'elemento che caratterizza il nederlandese di questo secolo è l'influenza della letteratura francese, soprattutto tramite la contea delle Fiandre, politicamente e culturalmente dipendente dalla Francia, e la vicina regione meridionale del Brabante. Queste hanno un ruolo centrale per la diffusione di testi e temi della letteratura francese nel resto dell'Impero che si verifica spesso attraverso la mediazione culturale e linguistica dell'area basso tedesca. I confini linguistici tra nederlandese medio e basso tedesco occidentale medio non sono sempre ben definiti, anche per la scarsità delle fonti che rende più complessa la ricostruzione delle caratteristiche linguistiche delle singole varietà. Si può tuttavia affermare che in questo periodo nel nederlandese si è già avviato un processo di sviluppo autonomo della lingua, che presenta tratti fonetici e morfologici non condivisi dai confinanti dialetti occidentali, oltre a innovazioni soprattutto lessicali dovute all'influsso del francese. L'intera produzione in nederlandese fino al 1300 consiste di circa duemila testi ed è raccolta nel cosiddetto Corpus Gysseling, dal nome dello studioso che ne ha curato l'edizione. Si tratta prevalentemente di documenti, mentre i testi letterari sono pochi e non rilevanti soprattutto nella prima metà del secolo. L'analisi linguistica dei testi del corpus non sempre offre elementi interessanti, in quanto molti testi non sono originali ma tramandati in copie posteriori. Quanto questo dato abbia influito sulla lingua del testo pervenuto è difficile stabilirlo, in considerazione della tradizione lacunosa e frammentaria dell'area nederlandese nel Medioevo. Questa documentazione colpisce tuttavia per la presenza di tratti linguistici non sempre riconducibili a una sola varietà che potrebbero essere dovuti all'intervento di copisti di altre aree dialettali oppure a mutamenti diacronici oppure infine, soprattutto nel caso di testi giuridici, ad adattamenti del testo al dialetto dei destinatari.
Con jiddisch (variante tedesca) o yiddish (forma inglese, attestata a partire dalla fine del sec. XIX) si designa la lingua delle comunità ebraiche stanziate nelle valli del Reno e della Mosella, dove sono presenti già dal sec. IX, e nelle regioni nordorientali, i cui insediamenti risalgono agli inizi del XIII.
Questi gruppi rimasero nelle loro sedi fino a quando, con il IV concilio lateranense (1215), gli episodi di intolleranza si inasprirono e si determinò una situazione di isolamento culturale e sociale, che costrinse all'emigrazione verso i paesi dell'Europa orientale, soprattutto Polonia, Ucraina, Bielorussia. Qui i profughi continuarono ad usare la loro lingua, ma assimilarono dalle lingue slave nuovi elementi lessicali e tratti linguistici. Per questo attualmente si distingue tra jiddisch occidentale, varietà parlata nell'Europa centrale, e jiddisch orientale, che rappresenta l'evoluzione successiva della lingua.
Lo jiddisch occidentale, la varietà medievale parlata nell'Impero, si sviluppa in ambito renano e mostra in modo evidente il rapporto con l'alto tedesco medio. Fino alla metà del sec. XIII i caratteri condivisi con i dialetti tedeschi erano tali che le stesse comunità ebraiche definivano la propria lingua tajtsch (dal tedesco medio tiutsch 'tedesco') o anche jidisch tajtsch, distinguendola dall'ebraico, la lingua sacra. Tuttavia accanto ai tratti comuni ai dialetti tedesco superiori e a quelli centroccidentali, la lingua presentava caratteristiche autonome quali elementi semitici derivanti dall'ebraico e dall'aramaico, alcune voci lessicali romanze, uso del sistema di scrittura ebraico adattato al sistema fonetico del tedesco. Il documento più antico pervenuto è un brano di appena due righe trascritto negli spazi bianchi all'interno delle maiuscole iniziali che costituiscono l'inizio di un testo ebraico, il ciclo delle preghiere da recitare nei giorni festivi, conservato in un manoscritto del 1272 ca. proveniente da Worms. La letteratura degli inizi è peraltro poco rilevante e tramandata prevalentemente in manoscritti tardi, dalla fine del sec. XIV in poi. Si tratta in genere di opere collegate all'attività esegetica, libri di preghiere, traduzioni di testi sacri, ma sono pervenuti anche testi destinati a usi laici quali documenti e atti ufficiali oppure opere letterarie ispirate a personaggi della Bibbia o a cicli epici tedeschi.
Accanto ai diversi sistemi linguistici dialettali tedeschi, nelle corti di tutto l'Impero tra la metà del sec. XII e la metà del XIII circola una lingua letteraria sovraregionale, a base meridionale, prevalentemente alemanna con forti influssi del francone orientale: è la lingua della poesia cavalleresca, dell'epica e della poesia cortese, adoperata da tutti i poeti, indipendentemente dal loro ambito regionale d'origine. Si tratta di una varietà che non corrisponde a nessuna lingua parlata, una specie di koinè letteraria impiegata per questo unico scopo e destinata alla fruizione di un unico ristretto gruppo sociale, il ceto nobiliare nella sua nuova composizione. Si tratta pertanto di una lingua con una circolazione molto limitata sia rispetto ai destinatari sia rispetto alle sue funzioni, fattori questi che spiegano il suo rapido declino, nel momento in cui la società feudale della quale era espressione scompare e, con il tramonto della casa sveva, si affermano le varietà regionali delle cancellerie. Pur rappresentando un momento importante della storia tedesca, questa lingua sovraregionale rimane dunque un fenomeno circoscritto sia cronologicamente sia diastraticamente e non ha nessuna rilevanza per gli sviluppi futuri dell'area linguistica tedesca né per il processo di formazione della lingua standard moderna, che inizierà più tardi e su altre basi.
L'unità linguistica di questa sorta di lingua artificiale, necessaria per garantire la diffusione delle opere poetiche in tutte le regioni dell'Impero, veniva ricercata soprattutto attraverso la tecnica di versificazione e accurate scelte lessicali piuttosto che attraverso l'uniformità a livello grafico, fonetico e morfosintattico. In particolare si mirava a ridimensionare o annullare le divergenze dialettali evitando tratti marcatamente regionali oppure voci lessicali di limitata circolazione. Inoltre la scelta lessicale in funzione delle esigenze della versificazione portava a privilegiare quei termini la cui realizzazione fonetica non fosse condizionata da tratti dialettali specifici, in modo da garantire comunque la rima, in qualsiasi regione dell'Impero fosse letto il testo. Ad esempio due forme verbali come kam 'venne' e nam 'prese' che rimavano in alemanno non potevano rimare anche in un dialetto molto simile a questo come il bavarese, nel quale suonavano piuttosto kom e nam.
I generi letterari più coltivati in questo periodo sono il romanzo epico-cortese, che attinge ai temi dell'epica eroica francese e del ciclo arturiano, e il Minnesang, il cui modello è la lirica dei trovatori. Questi temi furono introdotti in Germania dalle regioni nor-doccidentali dell'Impero, Brabante e Bassa Renania, attraverso la mediazione delle Fiandre. Da queste stesse regioni provengono i primi rifacimenti e le prime traduzioni di opere francesi, dando l'avvio a una produzione letteraria in tedesco che si sposterà a sud e conoscerà il periodo di massima fioritura nelle corti delle regioni meridionali tra la fine del sec. XII e i primi decenni del XIII.
Nella lingua della letteratura ricorrono molti francesismi, ma ciò non sorprende soprattutto in considerazione del ruolo svolto dalla cultura cavalleresca francese che in questo periodo rappresentava un modello in tutta l'Europa. Nel corso del sec. XIII nel lessico tedesco entrarono circa settecento parole dal francese e alla fine del XIV i prestiti erano in totale duemila.
Con il tramonto della società cavalleresca molti di questi vocaboli, come ad esempio zimier 'cimiero', puneiz 'scontro tra due o più cavalieri armati di lancia', bûhurt 'scontro tra più cavalieri', sono scomparsi dall'uso comune in quanto lessico specialistico espressione dell'ideale cavalleresco e cortese. Altri prestiti invece sono rimasti nel vocabolario del tedesco, come l'alto tedesco medio tel(l)er 'piatto', lampe 'lampada, torcia', partie 'parte di un tutto', rispettivamente dal francese antico tailleor 'piatto da portata', lampe 'lampada, torcia' e partie 'parte'. L'influsso francese si osserva anche nella morfologia, ad esempio il suffisso -ieren dal francese antico -eir, -ire compare in prestiti come il tedesco medio turnieren 'partecipare a un torneo, ad una giostra' e parlieren 'parlare', dal francese antico tornier e parler, e diventa presto produttivo anche per neoformazioni da base tedesca come halbieren 'dimezzare' da halb 'mezzo'. Oltre ai francesismi si registrano anche alcuni prestiti dal nederlandese, a conferma del ruolo centrale di quest'area nella ricezione della cultura cavalleresca, come l'alto tedesco medio wâpen 'insegna, arma' (accanto a wâfen con consonantismo alto tedesco), prestito dall'area nederlandese/basso tedesca, oppure l'alto tedesco medio dörper 'uomo rozzo, villano' dal medio nederlandese dorper, letteralmente 'abitante del villaggio', calco dal francese vilain.
Gli inizi della letteratura cavalleresca e cortese in area tedesca si fanno coincidere con quelli del regno degli Hohenstaufen, dinastia che promosse i valori della società feudale e della cultura cortese. Il famoso manoscritto di Heidelberg (Heidelberger Liederhandschrift C o anche Große Heidelberger Liederhandschrift) della prima metà del sec. XIV, noto anche come Codice Manesse, che rappresenta la più importante raccolta della lirica medievale tedesca dalla seconda metà del sec. XII fino alla prima metà del XIV, contiene le liriche di ben due esponenti della dinastia sveva. Il manoscritto si apre infatti proprio con la miniatura dell'imperatore Enrico VI, al quale sono attribuite liriche d'amore, e l'autore che segue subito dopo nella raccolta indicato con il nome di Kuinig Chuonrat der Junge è probabilmente Corradino, l'ultimo discendente della casa di Svevia.
Quanto alla provenienza geografica dei poeti, colpisce la quasi totale assenza di esponenti delle regioni settentrionali, ma questo dato potrebbe essere dovuto alle modalità della trasmissione delle raccolte di liriche d'amore, tramandate prevalentemente in manoscritti provenienti dalle regioni sudoccidentali, evento che potrebbe aver condizionato la scelta delle opere da inserire. Il fatto che centri letterari importanti come la corte di Meißen e la corte boema siano presenti nelle raccolte con un paio di componimenti soltanto fa supporre piuttosto che probabilmente una grande parte della lirica cortese sia andata perduta.
L'età di Federico II segna il tramonto di questa grande stagione della letteratura tedesca, evento del resto prevedibile, dal momento in cui questi generi letterari sono espressione dell'aristocrazia, anzi spesso, come si è visto, sono gli stessi rappresentanti della nobiltà gli autori delle liriche. Con la trasformazione della società feudale e il sorgere della civiltà urbana questo genere si riduce alla ripetizione di stereotipi e di mere tecniche di versificazione, esercizio stilistico per dilettanti della nobiltà. L'ultimo grande Minnesänger è infatti considerato Walther von der Vogelweide (v.), poeta di professione di origini non nobili. Dopo la sua morte, verso il 1230, questo genere continuò tuttavia a essere coltivato fino ai primi decenni del Trecento: sono circa un centinaio i Minnesänger (v.) dei quali conosciamo il nome e di questi una settantina hanno probabilmente svolto la loro attività nella seconda metà del sec. XIII.
Il filone letterario della poesia epico-cortese è invece associato ai nomi di tre grandi poeti, autori tra l'altro anche di liriche d'amore: Hartmann von Aue, la cui produzione letteraria (Erec, Iwein) si colloca tra la fine del sec. XII e gli inizi del XIII, Wolfram von Eschenbach che compose i suoi poemi (Parzival, Titurel, Willehalm) nei primi decenni del Duecento, e Gottfried von Strassburg che interruppe la stesura del Tristan tra il 1210 e il 1220. I modelli di questi poemi cavallereschi sono state le grandi opere della letteratura francese del sec. XII, come i versi di Chrétien de Troyes (Erec et Enide, Le Chevalier au lion, Le conte du Graal), la 'chanson de geste' Aliscans, il Tristan di Thomas.
Come si è già osservato per la lirica, anche in questo caso la fioritura dell'epica cortese si esaurisce in appena una ventina di anni; i componimenti di questo genere scritti nei decenni successivi da autori che appartengono soprattutto alla classe dei ministeriali sono tuttavia interessanti in quanto testimonianze del graduale processo di trasformazione dalla cultura cortese della società feudale alla cultura borghese delle città. I cavalieri della società feudale sono sostituiti ora da nuovi personaggi, come il mercante tedesco di Colonia protagonista della leggenda epica Der guote Gêrhart, composta intorno al 1220 dal principale rappresentante di questo periodo tardo cortese, Rudolf von Ems. Lo schema centrale della storia è il confronto tra un personaggio di alto rango, un imperatore, e una persona umile ma nobilitata dalla sua condotta, tanto da risultare alla fine moralmente superiore. L'opera non ha uno specifico modello letterario ma è concepita come exemplum e il tema è di ispirazione religiosa, anche se trasferito nella sfera della letteratura cortese. Lo schema è infatti quello del romanzo arturiano e si individuano collegamenti tematici con la tradizione classico-cortese, anche se la scelta di un mercante quale eroe di un poema rappresenta certamente un elemento di rottura rispetto al passato ed è stato variamente interpretato dalla critica. Secondo alcuni infatti l'opera, riflesso dei cambiamenti nella società del sec. XIII, sarebbe una esaltazione della borghesia emergente e dei suoi valori. Il testo riflette certamente la realtà sociale dell'epoca, ma in un senso diverso, infatti la borghesia emergente inizialmente aveva come modello la vita delle corti e il protagonista Gêrhart, le cui azioni mirano appunto a mantenere o a ripristinare l'ordine feudale, è idealizzato secondo gli schemi tipici della società cortese. L'elemento dirompente è rappresentato dunque piuttosto dal fatto che queste 'nobili' azioni sono state compiute da un umile commerciante invece che da un rappresentante della nobiltà.
La varietà dialettale che non emerge nella produzione poetica destinata alle corti si riscontra invece nella letteratura in prosa, rivolta a fini pratici, come opere storiografiche, testi di diritto, statuti, cronache cittadine, registri di conti. I fruitori di questi testi erano i nobili delle corti dei principi, ma anche i membri delle ricche famiglie del ceto mercantile e cittadino.
A differenza della produzione poetica legata soprattutto alle corti delle regioni centromeridionali dell'Impero e quindi redatta in alto tedesco, i generi letterari in prosa sono diffusi inizialmente nelle regioni settentrionali. Non esistendo una tradizione alto tedesca, la lingua di questi testi, per lo più di ambito storico-giuridico, era il basso tedesco, molto spesso il dialetto ostfalico. Ma è interessante osservare che laddove i testi in prosa avevano una prefazione in versi, questi erano composti in alto tedesco, come nel caso della Sächsische Weltchronik (nota anche come Sachsenchronik o Sächsische Kaiserchronik). Quest'opera, completata nel 1230 o nel 1260 secondo la datazione proposta più di recente, rappresenta il primo testo di storia scritto in prosa volgare, in particolare in dialetto ostfalico, ed è un genere che ebbe peraltro una larga diffusione ma esclusivamente in area basso tedesca.
Dalla stessa area proviene il primo testo di diritto in volgare, lo Spegel der Sassen (o Sachsenspiegel nella variante alto tedesca) di Eike von Repgow, codificazione del diritto sassone, redatto in ostfalico tra il 1220 e il 1235. La storia di questo testo esemplifica molto bene la complessità della situazione linguistica del periodo, anche rispetto agli ambiti d'uso delle singole lingue. La sua prima versione infatti, redatta da Eike von Repgow in latino, si ispirava alla tradizione latina dello speculum pur ricollegandosi allo stesso tempo alla tradizione orale del diritto sassone, come viene dichiarato nella premessa. Successivamente lo stesso autore tradusse il testo latino in prosa basso tedesca, ma adoperò l'alto tedesco per la premessa in versi nella quale illustrò la genesi e lo scopo della sua opera. Nella versione tedesca la materia giuridica resta strutturata e presentata secondo il modello del diritto romano, ma nel testo affiorano formule e tratti tipici della trasmissione orale del diritto germanico. Lo Spegel der Sassen venne poi tradotto nella maggior parte dei dialetti tedeschi ed ebbe una notevole diffusione, come attestano i circa quattrocento manoscritti pervenuti.
Verso la fine del sec. XIII il basso tedesco comincia a diffondersi anche come lingua franca del commercio, grazie al potere economico della Lega anseatica. In questo contesto si sviluppa una sorta di koinè commerciale senza connotazioni dialettali particolarmente marcate e a partire dalla metà del Trecento questa varietà basata sul dialetto di Lubecca ebbe largo impiego anche nella comunicazione scritta per la stesura di testi di carattere giuridico o amministrativo (contratti, libri di conti, lettere commerciali, documenti) che circolavano nei centri anseatici.
La necessità di una varietà sovraregionale per la comunicazione scritta fu avvertita anche nei possedimenti dell'Ordine teutonico: in Lettonia si diffuse una varietà basso tedesca, mentre nella Prussia, dove molto forte era la presenza di coloni provenienti dalle regioni centrali, la lingua scritta era rappresentata da una varietà centrorientale.
A differenza delle altre tipologie testuali in prosa, il documento in lingua volgare, pubblico e privato, compare molto presto nell'area alto tedesca superiore, e precisamente prima nell'area alemanna (da cui proviene il più antico documento privato, datato 1238) e successivamente in quella bavarese. I documenti originali in tedesco del sec. XIII sono circa quattromila, dei quali appena un centinaio redatti fino al 1266, ma il loro numero aumenta rapidamente tanto che sono circa duemilacinquecento i documenti risalenti agli ultimi dieci anni del secolo (1290-1299). Queste cifre vanno lette considerando anche l'aumento in assoluto dei documenti, infatti negli stessi anni cresce parallelamente anche il numero dei documenti in latino, dei quali ce ne sono pervenuti circa mezzo milione. Non è inoltre possibile stabilire con certezza in che misura questo corpus possa essere considerato rappresentativo della totalità dei documenti effettivamente redatti in quegli anni. La distribuzione dei testi nelle diverse aree dialettali resta comunque un dato significativo, soprattutto rispetto all'area basso tedesca, dalla quale provengono soltanto circa trecento documenti, il più antico dei quali risale al 1272. È sorpren-dente che laddove nasce e si afferma presto una tradizione di testi giuridici in tedesco, come si verifica appunto in queste regioni, l'esigenza del documento in volgare venga avvertita come meno pressante. D'altra parte la tutela dei diritti del singolo era garantita dalle norme giuridiche e dalle disposizioni amministrative che si cominciarono a redigere nel dialetto locale già dai primi decenni del 1200, come il cosiddetto Jus Ottonianum (forse del 1227) che fissa per iscritto, in dialetto ostfalico, le norme giuridiche riguardanti la città di Braunschweig e rappresenta il più antico testo del genere.
Il latino non scompare tuttavia completamente dall'uso se non agli inizi del sec. XV, mentre la scelta della lingua nella quale redigere il documento veniva certamente determinata anche dal livello di istruzione del destinatario. Si ha infatti notizia di cancellerie che adottavano il volgare o il latino a seconda che la controparte nelle trattative fosse costituita da laici o da rappresentanti del clero.
Negli stessi anni in cui compaiono i primi documenti in tedesco viene inoltre emanata la prima legge imperiale in lingua volgare; infatti in occasione della dieta di Magonza (1235) Federico II proclama 'la pace territoriale' con un testo bilingue (Constitutio Maguntina / Mainzer Reichslandfriede). Questa, in quanto legge di ordine pubblico, fu redatta anche in tedesco per garantirne la massima diffusione anche tra la piccola nobiltà, assicurando in tal modo il rispetto di quanto prescritto nel testo.
L'uso del tedesco nella stesura dei documenti è dunque collegato alla trasformazione della struttura della società con una ridefinizione dei rapporti giuridici ed economici e l'ascesa di ceti sociali che non conoscevano il latino né disponevano di una propria cancelleria. Ma è la stessa funzione del documento che si modifica nel corso del sec. XIII. Il testo non è più un semplice promemoria ad uso dei testimoni in quanto unici garanti del contenuto dell'atto, ma quest'ultimo acquista valore sotto il profilo giuridico proprio in virtù dell'atto scrittorio, che per questo deve necessariamente essere chiaro e comprensibile a tutti gli interessati.
Questa tipologia di testi è particolarmente interessante per la descrizione della realtà linguistica medievale. Le conoscenze del tedesco di questo periodo infatti si basano prevalentemente sulla tradizione manoscritta di opere letterarie in versi, con tutti i limiti di questo tipo di documentazione, soprattutto per quanto riguarda le modalità di trasmissione, in quanto i manoscritti non sono sempre databili e/o localizzabili e spesso si tratta anche di copie posteriori. Inoltre, come si è osservato sopra, la lingua letteraria rappresenta una varietà di tedesco medio standardizzato, che non può pertanto essere considerata rappresentativa della realtà linguistica del tempo. I documenti invece sono quasi sempre originali, contengono indicazioni precise sulla data e il luogo in cui sono stati redatti, sull'estensore materiale del testo e, soprattutto, sono scritti in una lingua che riflette i tratti dialettali, consentendo così di recuperare dati utili per lo studio della variazione geolinguistica e diacronica che nella tradizione poetica in genere non emergono o emergono soltanto in misura ridotta.
Nei primi decenni del sec. XIII in Germania si assiste alla diffusione di movimenti religiosi femminili e all'opera missionaria dei Francescani e Domenicani, i due grandi Ordini mendicanti fondati rispettivamente nel 1210 e 1215.
I movimenti religiosi femminili danno vita a comunità religiose delle quali potevano entrare a far parte donne di tutti i ceti sociali. Questo fenomeno nasce nelle Fiandre alla fine del sec. XII, ma si diffonde rapidamente nelle regioni confinanti dell'Impero, rimanendo tuttavia circoscritto nella parte settentrionale, ossia Brabante e regioni renane basso tedesche. Le religiose, alle quali era preclusa qualsiasi forma di istruzione canonica, non conoscevano il latino e quindi adoperavano il volgare nella descrizione delle loro esperienze religiose. La letteratura mistica si svilupperà soprattutto a partire dalla seconda metà del Duecento, ma nei primi decenni del secolo si crearono le premesse per lo sviluppo di questa tipologia testuale, che avrà un influsso notevole sulla lingua tedesca arricchendone il lessico e le potenzialità espressive.
La prima rappresentante di questo genere letterario è la beghina Hadewijch, donna colta e di origini nobili, che raccontò in versi basso franconi le sue Visioenen (1240 ca.) tramandate in manoscritti del sec. XIV. Ma la maggiore esponente della mistica tedesca è considerata la nobildonna Mechthild von Magdeburg (1207 ca.-1282), beghina e poi monaca cistercense, che con la sua opera esercitò una notevole influenza sui contemporanei e diede inizio alla letteratura mistica in tedesco autonoma da modelli latini. Nel suo testo Das fließende Licht der Gottheit (La luce fluente della divinità) Mechthild registrò sotto forma di diario le sue esperienze mistiche dal 1250 fino alla sua morte. Il manoscritto originale, redatto in basso tedesco medio con tratti del tedesco centrale, è andato perduto ma sono conservate traduzioni e rielaborazioni in latino (la prima traduzione è della fine del sec. XIII) e in alto tedesco anche se tarde in quanto la più antica versione, in alemanno, risale alla metà del sec. XIV.
Nella stessa regione in cui si andavano moltiplicando le comunità religiose femminili furono fondati i primi conventi dell'Ordine domenicano. I Frati domenicani, ai quali tra l'altro era affidata la cura spirituale delle religiose, si stabilirono infatti inizialmente nelle città renane, mentre le prime sedi dei Francescani furono in città della Baviera. La scelta di centri abitati invece di luoghi tranquilli e appartati rispecchia bene le finalità dei due Ordini mendicanti, i quali davano grande importanza alla cura delle anime e alla predicazione. La loro attività missionaria era rivolta soprattutto al popolo, alla nuova borghesia cittadina e alle religiose, e per questo ricorsero al volgare in modo da raggiungere un ampio uditorio e ottenere la maggior comprensione possibile. I testi delle prediche sono esemplari per la tecnica oratoria che concilia chiarezza e vivacità con rigore scientifico e profondità delle riflessioni teologiche. I più grandi predicatori del sec. XIII sono David von Augsburg (1200 ca.-1272) e Berthold von Regensburg (1210 ca.-1272), entrambi francescani, mentre il secolo successivo sarà dominato dalle figure di tre rappresentanti dell'Ordine domenicano: Meister Eckhart (1260 ca.-1328), Heinrich Seuse (1295 ca.-1366) e Johannes Tauler (1300 ca.-1361).
Le raccolte di sermoni di David von Augsburg sono andate perdute, ma restano i suoi trattati mistico-didattici in latino e in volgare. Questi testi, la cui lingua colpisce per lo stile e la chiarezza, sono i primi del genere scritti in tedesco e hanno contribuito in modo determinante allo sviluppo di questa prosa specialistica in volgare.
Di Berthold von Regensburg, considerato il più grande predicatore tedesco del Medioevo, ci sono rimaste raccolte di prediche in latino e un centinaio di prediche in volgare, di diversa lunghezza e in parte rielaborazioni tarde. Nonostante le questioni ancora controverse sul rapporto tra prediche in latino e in volgare, sul rapporto più o meno mediato tra parlato e trascrizione, questi sermoni sono considerati capolavori di arte oratoria soprattutto per la vivacità dello stile volto a catturare l'attenzione dell'uditorio e a garantire l'efficacia della predicazione.
La letteratura religiosa è rappresentata anche da altri generi, che hanno peraltro minore diffusione, come leggende di santi in versi, per esempio Heinrich und Kunigunde scritto in dialetto turingio dal monaco Ebernand von Erfurt nei primi decenni del sec. XIII.
Allo stesso periodo risale la stesura del primo dramma pasquale interamente in tedesco, noto come Osterspiel von Muri (Dramma pasquale di Muri), scritto in alto alemanno da un autore anonimo. Per la sua complessa struttura, la metrica e lo stile il testo deve essere stato influenzato dall'epica cortese, ma l'opera inaugura un nuovo genere che avrà grande diffusione nei due secoli seguenti.
La descrizione della situazione linguistica dell'Impero si basa necessariamente su testimonianze scritte. Se e in quale misura sia possibile ricostruire anche alcuni aspetti del parlato è una questione molto dibattuta tra i germanisti. I più ottimisti ritengono che nelle fasi iniziali della tradizione, quando non sono ancora in atto processi di standardizzazione che potrebbero favorire il divario tra scritto e parlato, il testo scritto potrebbe registrare tratti del parlato. Altri invece ritengono che proprio la mancanza di una norma renda più difficile il lavoro del linguista nella valutazione delle variabili, in quanto mancano parametri di riferimento. È stata anche suggerita l'analisi di alcune tipologie testuali specifiche, ad esempio la predica, come fonte per l'individuazione di tratti del parlato. Si è molto discusso infine su quanto il documento privato possa rappresentare una testimonianza di parlato, in quanto verbalizzazione di una trattativa orale. Ma anche in questo caso non vanno sottovalutati gli interventi nella stesura scritta né va trascurata la considerazione che questo tipo di comunicazione seguiva probabilmente degli schemi anche nelle parti libere del documento.
Certamente l'osservazione di fasi più recenti e meglio documentate delle lingue mostra come l'espressione e l'organizzazione di un testo siano condizionate anche dalla modalità della comunicazione. Inoltre anche accettando l'ipotesi secondo la quale la lingua parlata comunque filtri attraverso il documento scritto, non si può escludere che alcuni suoi tratti vengano perduti nell'uso scritto ma permangano in quello parlato oppure, viceversa, che la grafia non registri o registri molto in ritardo fenomeni nuovi della lingua parlata. Va inoltre considerato che tratti linguistici informali o colloquiali potrebbero essere assegnati all'ambito della variazione diastratica piuttosto che interpretati come riflessi del parlato.
Altra questione è il rapporto tra oralità e scrittura, un ambito di ricerca interdisciplinare che soltanto da un paio di decenni è considerato anche in una prospettiva diacronica. Va ricordato che nella cultura germanica alcuni generi, come il diritto e la poesia epica, hanno avuto una lunga tradizione di trasmissione orale. Si può pertanto ipotizzare che alcune tipologie testuali scritte siano in qualche modo il risultato di una fusione o comunque di una sovrapposizione tra oralità e letterarietà.
In ogni caso nell'analisi del testo medievale bisogna sempre tenere presente che questo era recepito attraverso l'ascolto spesso collegiale e non attraverso la lettura individuale. Le liriche del Minnesang, la cui lingua e struttura metrica sono in funzione appunto della recitazione e del canto, rappresentano in questo senso un caso estremo.
In seguito alla colonizzazione dei territori orientali e alle conquiste degli Ordini religiosi cavallereschi si crearono situazioni di contatto linguistico tra tedeschi e popolazioni di lingua slava o baltica.
Alla fine del sec. XII le lingue slave erano già scomparse nel territorio compreso tra Elba e Oder che era stato completamente germanizzato. Ma nelle regioni più orientali dell'Impero vivevano ancora popolazioni slave, che furono gradualmente assimilate in seguito alla nuova situazione demografica determinata dalle migrazioni dei tedeschi e dallo sviluppo delle città. L'abbandono della propria lingua da parte della popolazione locale fu un processo lento, caratterizzato probabilmente da un periodo di bilinguismo slavo / tedesco durato fino al sec. XV, che si verificò in tempi diversi nelle singole regioni, certamente più rapidamente in quelle meno densamente abitate come i Sudeti e l'Erzgebirge.
In alcuni casi invece il tedesco non si affermò affatto, come in Boemia e Moravia, che rimasero territori imperiali abitati da slavi, situazione che fu favorita dallo status politico speciale del Regno di Boemia. Lingue slave continuarono ad essere parlate in territori circoscritti che rimasero isole linguistiche in regioni ormai interamente di lingua tedesca: il casciubo nella Pomerania orientale, il sorabo nella Lusazia, il masuro nella Prussia sudorientale, il polabo nella regione del Wendland (nei pressi di Hannover).
Ma questi casi rappresentano delle eccezioni in quanto nel resto dei territori a est dell'Oder la lingua tedesca sostituì del tutto quella locale spostando ancora più ad est la frontiera linguistica tra germanico e slavo, che già dopo le vicende del sec. X aveva raggiun-to il fiume Oder.
Le lingue slave presenti nei confini dell'Impero erano lo sloveno, unica lingua dello slavo meridionale, e alcune lingue del gruppo dello slavo occidentale (slovacco, ceco, sorabo inferiore e superiore, casciubo, polabo). L'inizio della tradizione scritta delle singole lingue slave comincia in tempi diversi e comunque molto dopo l'età fridericiana, se si escludono alcune parole isolate, toponimi e frasi inserite in documenti di altre lingue. Della presenza delle lingue slave nei territori dell'Impero restano tuttavia numerose testimonianze nella toponomastica, che tra l'altro contribuisce a definire gli antichi confini linguistici, come nel caso del casciubo, i cui relitti toponomastici sono presenti in un'area molto vasta che va dalla regione dell'estuario della Vistola fino al Parse¸ta che sfocia nel golfo di Pomerania.
Sono toponimi slavi i nomi di numerose città tedesche: Berlin dall'antico polabo *birl- / *berl- 'palude', Dresden dal sorabo superiore *Drežd'ane 'coloro che abitano presso il bosco', Leipzig attestato come Lipzc, Lipz (1213), esito tedesco del nome slavo del preesistente insediamento sorabo slavo *Lipsk(o), dall'antico sorabo lipa 'tiglio'. Sono toponimi di origine slava anche tutti i nomi terminanti in -itz, che rappresentano forme tedeschizzate di toponimi slavi formati con i suffissi -ica, -nica, ad esempio Cameniz (oggi Chemnitz) dall'antico sorabo Kamenica. Nelle regioni intorno all'Elba si registrano invece molti toponimi formati con l'aggettivo tedesco medio windisch, windesch che deriva dall'etnonimo alto tedesco medio Wint, basso tedesco medio Wende, con cui venivano denominate le tribù slave. Wentland, nome assegnato nel Medioevo all'intera regione a est dell'Elba, significava dunque 'terra degli slavi'. Sono perciò testimonianze della presenza slava in queste regioni toponimi del tipo Wendisch Sula (oggi Wünschensuhl in Turingia) registrato nel 1283, oppure forme come zue windisch Eschenbach (oggi Windischeschenbach in Baviera) attestato anche come Eschenbach Slavorum in un documento latino, risalenti alla prima metà del Quattrocento (questa datazione tarda documenta la gradualità del processo di tedeschizzazione).
Nei territori della colonizzazione orientale rimasero anche moltissimi cognomi slavi, la popolazione slava adottò infatti il tedesco ma, almeno inizialmente, non modificò i propri nomi. Si registrano perciò patronimici come Janosch 'figlio di Giovanni' oppure cognomi come Wit(z)schas e Lehnick / Lehnig(k) 'possessore di un feudo', che hanno una notevole concentrazione nella regione della Sprea.
Una testimonianza delle lingue slave parlate nelle regioni orientali dell'Impero si possono considerare infine i relitti lessicali nei dialetti tedeschi centrorientali, che appartengono per lo più al lessico agricolo o marinaresco. A questi si possono aggiungere alcune voci del dialetto prussiano dell'Ordine teutonico, come greniz(e) 'frontiera', da cui il tedesco moderno Grenze, attestata nel sec. XIII come prestito dallo slavo granǐ 'angolo'.
Nelle regioni baltiche a est della Vistola gli insediamenti tedeschi ebbero un carattere diverso in quanto l'occupazione da parte dell'Ordine teutonico non fu una colonizzazione pacifica ma una conquista con le armi. In queste terre non si trasferirono contadini ma la nobiltà e la borghesia cittadina proveniente dalle regioni basso tedesche, pertanto la presenza tedesca era rappresentata prevalentemente dalla classe dirigente e la popolazione rurale rimase quella locale.
Così in Prussia, che nella prima metà del secolo era diventata feudo dei Cavalieri teutonici, si continuò a parlare il prussiano antico, una varietà del baltico occidentale che scomparirà soltanto agli inizi del sec. XVIII. La documentazione scritta di questa lingua, i cui inizi risalgono forse al sec. XIV, consiste in liste di parole e in traduzioni di brani catechetici pubblicate nel sec. XVI. A queste fonti si possono aggiungere dati onomastici e qualche isolato relitto lessicale nei dialetti tedeschi come Kaddig 'ginepro' dal prussiano antico kadegis. Si ha notizia anche di altre lingue baltiche occidentali, galindio e sudavo (o jatvingio), parlate nella parte meridionale della regione prussiana.
La tradizione scritta delle lingue baltiche comincia dunque molto tardi, in età moderna, e per la documentazione del periodo medievale si può pertanto contare soltanto su toponomi, antroponimi e qualche glossa isolata. Questo vale anche per le principali lingue del baltico orientale, lituano e lettone, e per le altre lingue minori come selo, zemgaliano e curone, che scompariranno più tardi, rispettivamente nei secc. XIV, XV e XVII, assimilate da lettone e lituano.
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