Stato dell’Europa orientale. Confina con la Polonia a O, con la Lituania e la Lettonia a NO, con la Russia a NE e a E, con l’Ucraina a S.
I geologi includono la regione nella parte meridionale dello scudo baltico di età precambriana, anche se le formazioni di quell’era affiorano solo in modesti rilievi nella regione centrale; più recenti, invece, e di non grande spessore, le formazioni nel territorio rimanente. Tutto è stato notevolmente rimaneggiato dai grandi ghiacciai quaternari che, nelle fasi di maggiore estensione, si spingevano molto più a S di Minsk, e alla cui azione si deve in parte l’aver riportato in superficie le formazioni arcaiche.
I rilievi si limitano a modeste colline, lungo un allineamento ( Alture della Bielorussia) che taglia il territorio da SO a NE, frazionato peraltro in alcune serie di dossi che prendono nome dalle città più vicine; solo nella regione della capitale, al centro del territorio, tali alture superano i 300 metri.
Il clima è spiccatamente continentale, con inverni molto rigidi e lunghi ed estati brevi e calde. La regione è influenzata dalle masse d’aria atlantiche e conta su un apporto annuo di circa 600-700 mm di precipitazioni, distribuite nel corso dell’anno. L’escursione annua aumenta verso E, dove minore è l’influsso atlantico e dove più marcati si fanno invece i caratteri della continentalità.
Le foreste coprono quasi un terzo del territorio; a S prevalgono latifoglie decidue (querce, olmi), che formano la maggior parte del patrimonio boschivo. Tra i Mammiferi predominano i roditori, quali gli scoiattoli, ma numerosi sono ancora gli ermellini; notevole la presenza di alcuni esemplari degli ultimi bisonti europei nel Parco nazionale della Foresta di Białowieża (continuazione in territorio bielorusso dell’omonimo parco polacco).
Il territorio della Bielorussia è ricco di laghi, paludi e corsi d’acqua. Presso il confine con la Lettonia, scorre la Dvina Occidentale, diretta al Baltico; poco a O del confine orientale scorre per lungo tratto il Dnepr, che giunge dalla Russia a monte della cittadina di Orša e volge a S, e nel territorio del paese percorre quasi 500 km, ricevendo da sinistra la Beresina, che accoglie le acque del versante orientale. La regione meridionale, denominata Polessia, è un bassopiano in gran parte occupato dalle Paludi del Pripjat′, il cui nome deriva da quello del fiume che scorre, molto lentamente, da O, verso il Dnepr. Un canale navigabile artificiale attraversa la Polessia dalla città di Pinsk, nella parte centrale, a Brest, sul confine polacco (mettendo in comunicazione il Bug col Dnepr). Il deflusso dalle Alture centrali si raccoglie verso O negli alti corsi del Neman, che poco a valle di Grodno entra in territorio lituano (con il nome di Nemunas) e, verso NO, del Vilija, che esce dalla Bielorussia appena a monte della capitale lituana Vilnius; un canale navigabile unisce il Neman con il Pripjat′ e il Dnepr. I laghi, dovuti all’escavazione glaciale, sono numerosissimi, ma di estensione molto limitata; il maggiore è il Naroč´ (80 km2), 150 km a NO della capitale.
La popolazione è per circa l’80% di etnia bielorussa; il resto è costituito dal cospicuo gruppo russo (11,4%) e da altre minoranze, delle quali le più consistenti sono quella polacca e quella ucraina. Diversamente dalle altre repubbliche dell’Europa orientale formatesi dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica, la Bielorussia ha conservato rapporti di collaborazione con la Russia, e l’uso del russo, cui è stata restituita dignità di lingua ufficiale accanto a quella bielorussa, è tuttora assai diffuso. Circa un terzo della popolazione segue la religione cristiana ortodossa, la restante parte è costituita soprattutto da cattolici e da modeste comunità di protestanti, ebrei e musulmani. Dopo una costante crescita fino alla metà degli anni 1990 (era di 10.045.237 ab. nel 1999), la popolazione ha iniziato a diminuire con un ritmo sempre più veloce a causa del raggiungimento di un modello demografico maturo, con tasso di mortalità ormai nettamente superiore a quello di natalità. La densità media non presenta grandi differenze tra le varie parti del territorio, sebbene si rilevino una discreta concentrazione nella regione della capitale, al centro del paese, e una marcata rarefazione nella zona nord-orientale, presso il confine con la Russia, e soprattutto a S, nella Polessia. La popolazione urbana ammonta a poco meno dei tre quarti di quella totale, e una notevole parte di essa vive nella grande agglomerazione della capitale, Minsk. Oltre alla capitale, le città maggiori sono Gomel′, a SE, l’unica a superare mezzo milione di abitanti, e più a N Mogilëv, sul Dnepr, e Vitebsk, sulla Dvina; a O, presso il confine, si trovano Grodno, sul Neman, e Brest, sul Bug.
La Bielorussia ha risentito assai pesantemente del distacco dal sistema economico che si era costituito tra i paesi socialisti. Continuano a pesare sull’economia, inoltre, le conseguenze dell’esplosione del reattore nucleare di Černobyl´, avvenuta nel 1986 nella vicina Ucraina, che ha contaminato ampie parti del suolo agrario (soprattutto nella zona sud-orientale del paese) e che costituiscono tuttora un fattore limitante dell’attività agricola, oltre che del decollo di un’economia turistica. L’agricoltura, che assorbe quasi l’11% e contribuisce alla formazione del PIL per una quota di poco inferiore, fornisce rilevanti quantità di orzo (18.000 t nel 2005), segale (12.500 t), patate (86.000 t), barbabietole da zucchero (31.700 t) e lino (40.000 t; ai primissimi posti nella scala internazionale); intenso lo sfruttamento delle estese foreste, che forniscono una cospicua quantità di legname (oltre 7,5 milioni di m3 nel 2004); l’allevamento contribuisce per il 60% al settore primario. La struttura agraria in precedenza si basava su quasi 1700 fattorie di proprietà collettiva e oltre 900 di proprietà statale; dal 1991 è stata permessa la proprietà privata di appezzamenti di terra, con la possibilità di lasciarla in eredità, ma non di venderla. Alle tradizionali industrie tessili e alimentari si aggiungono soprattutto quelle metallurgiche, meccaniche, e chimiche. Dopo il conseguimento dell’indipendenza tali industrie sono state penalizzate dall’insufficienza delle fonti di energia nazionali. La Bielorussia dispone infatti di piccoli giacimenti di gas naturale e di petrolio (raffinerie a Mazyr e Navapolack), che tuttavia non sono sufficienti a soddisfare il fabbisogno energetico. Al fine di diminuire la dipendenza energetica viene utilizzata al massimo la torba che, dopo l’estrazione, viene compressa in mattonelle; il potere calorifico per volume in tal modo aumenta, ma rimane ben inferiore a quello del carbone. I principali scambi commerciali avvengono con la Russia e altri paesi ex URSS.
Le comunicazioni si basano su una rete di strade asfaltate di oltre 90.000 km e su circa 5500 km di ferrovie; Minsk, in particolare, si trova all’intersezione delle due linee principali, una che la collega con Mosca a NE e Varsavia a SO, l’altra con Kiev a SE e Vilnius e Riga a NO.
Dalla fine del 10° sec., parte del granducato di Kiev, il territorio dell’attuale Bielorussia, fu progressivamente annesso alla Lituania. Occupato dai Tedeschi (1918), passò sotto il controllo dei bolscevichi che proclamarono, il 1° gennaio 1919, la Repubblica Socialista Sovietica Bielorussa. Nel 1922 la Bielorussia partecipò alla costituzione dell’URSS, seguendone poi le vicende politiche.
La tendenza nazionalista emersa anche in Bielorussia in connessione con la crisi dell’URSS portò il 25 agosto 1991 alla proclamazione dell’indipendenza; la Bielorussia aderì poi alla Comunità degli Stati Indipendenti (➔ CSI). Potenza nucleare dopo lo scioglimento dell’URSS, la Bielorussia aderì nel 1992 al trattato di non proliferazione delle armi nucleari. Negli anni 1990 i contrasti sull’assetto istituzionale e i rapporti con la Russia dominarono la politica interna. Prevalse la posizione del presidente della Repubblica A. Lukašenko, eletto, per la prima volta a suffragio diretto, nel 1994, dopo l’approvazione della nuova Costituzione. Lukašenko costituì un regime accentrato e autoritario e consolidò i legami con Mosca; peggiorarono invece quelli con l’Europa per le misure repressive adottate nel paese. Le elezioni legislative (2000) sancirono la vittoria dei candidati vicini al presidente, ma opposizione e osservatori internazionali denunciarono intimidazioni e brogli. La correttezza del voto fu rimessa in discussione alle presidenziali (2001), che riconfermarono Lukašenko. La crisi nei rapporti con i paesi europei, sempre più acuta, sfociò nel 2004 in una nuova condanna da parte del Consiglio d’Europa delle violazioni dei diritti umani in Bielorussia. Nello stesso anno, una modifica costituzionale ha permesso a Lukašenko di candidarsi per un terzo mandato e le elezioni parlamentari hanno visto la disfatta delle forze di opposizione: le gravi irregolarità nel voto hanno prodotto scontri di piazza con numerosi arresti. Gli osservatori internazionali hanno giudicato irregolari sia le presidenziali del 2006 e del 2010, che hanno sancito la quarta vittoria di Lukašenko, sia le parlamentari del 2008 e del 2012, in cui tutti i seggi del Parlamento sono stati assegnati a esponenti del suo partito; nell'ottobre 2015 Lukašenko ha prevedibilmente ottenuto il quinto mandato presidenziale, ricevendo l'83,4% dei consensi. Storico risultato si è registrato alle consultazioni parlamentari tenutesi nel settembre 2016, alle quali - per la prima volta dopo un ventennio, e su pressione della comunità internazionale - sono stati eletti in Parlamento due rappresentanti dell'opposizione, mentre alle consultazioni del novembre 2019 tutti i 110 seggi della Camera bassa sono stati vinti da candidati considerati legati al presidente Lukašenko, e l’opposizione non ha ottenuto alcun seggio. Le consultazioni presidenziali tenutesi nell'agosto 2020 hanno confermato il presidente in carica per un sesto mandato (80,2%), la rielezione di Lukašenko suscitando un vasto movimento di protesta, duramente represso dalle autorità. Nel febbraio 2022, con il violento scontro militare in atto tra Federazione Russa e Ucraina, un referendum popolare ha approvato ad ampia maggioranza (oltre il 65%) le riforme costituzionali promosse da Lukašenko in merito all'adozione di provvedimenti che ne rafforzano la leadership, abolendo inoltre l'obbligo per il Paese di rimanere zona denuclearizzata; nel marzo successivo il Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa, a seguito dell'appoggio fornito alla Russia nel conflitto bellico, ha sospeso il diritto del Paese a prendere parte a riunioni e attività dell’Organizzazione.
Il bielorusso fa parte, insieme al russo e all’ucraino, del gruppo delle lingue slave orientali. Tratti tipici del bielorusso sono già presenti negli scritti slavo-ecclesiastici a partire dal 13° sec.; nei sec. 15°-17° fu la lingua ufficiale del granducato di Lituania. Una vera codificazione della lingua iniziò però solo a cavallo tra i sec. 19° e 20°, e fu portata a termine in epoca sovietica. La lingua letteraria si basa prevalentemente sui dialetti centrali, in particolare su quello di Minsk.
A livello fonologico fenomeni caratteristici del bielorusso sono lo dzekanie (passaggio della dentale sonora d ad affricata sonora dolce dz davanti a vocale palatale), lo cekanie (passaggio della dentale sorda t ad affricata sorda dolce c in condizioni analoghe), lo jakanie (passaggio di e pretonica a ja) e lo akanie (passaggio di o atona ad a).
Per quanto concerne la morfologia, particolari sono: il nominativo plurale dei sostantivi neutri in -y/-i; il genitivo plurale dei sostantivi femminili in -au/-jau; il locativo singolare dei sostantivi maschili e il dativo e locativo singolare dei femminili in -i.
Nella sintassi è da notare la costruzione di verbi con le preposizioni z (più genitivo), pa (più locativo), u (più accusativo). Molto forte è stata l’influenza del polacco a livello sintattico, lessicale e fraseologico.
Assai controversa si presenta la questione riguardante il periodo della letteratura bielorussa delle origini (sec. 11°-13°), poiché a esso appartiene un grande complesso di opere letterarie parimenti rivendicate dalla letteratura ucraina e da quella russa. Si tratta in realtà di un’epoca di lingua comune, sia pure con varianti vernacolari, e di letteratura comune, che tale rimane per tutto il periodo della Rus′ di Kiev, per poi dividersi e svilupparsi in maniera più o meno autonoma solo dopo la sua caduta (1240). Tre sono in questo primo periodo i generi letterari che caratterizzano la produzione più propriamente autoctona: le opere omiletiche, le vite e i diari di pellegrinaggio; della seconda metà del 13° sec. è lo Slovo o Merkurij Smolenskom («Canto di Mercurio di Smolensk»). Di particolare rilievo è l’attività letteraria legata alla città di Turov, documentata già nell’11° sec. dal Vangelo Turovense, che trova la sua più matura espressione nelle opere del vescovo Cirillo di Turov (sec. 12°), quali gli Slova («Sermoni»).
Con i sec. 14°-15° si affermò sulle terre bielorusse la potenza lituana, ma la perdita della libertà politica fu compensata dal predominio bielorusso in campo culturale e linguistico. Ne sono testimonianza le cronache (scritte in lingua bielorussa nella sua variante volgare, quella in uso per la cancelleria e per la letteratura laica), che ci sono pervenute attraverso tre redazioni, giunte a maturità tra il 15° sec. e il 16°.
Dalla fine del 15° sec. l’Umanesimo e poi la Riforma protestante determinarono nella Bielorussia un forte risveglio spirituale, permeato di cultura europea grazie alle esperienze maturate all’estero, in particolare in Italia, dagli uomini di cultura del tempo. Di questi il più illustre fu l’umanista F. Skaryna (sec. 15°-16°); fra le sue opere spiccano la traduzione e il commento di alcuni libri dell’Antico Testamento (Bivlja ruska, 1517-19), Atti e lettere degli apostoli (Apostol, 1525) e la Malaja podorožnaja knižica («Piccolo libro per il viaggio», 1530). Skaryna fu anche uno dei precursori della tecnica versificatoria fra gli scrittori slavo-orientali.
Questo periodo della storia letteraria bielorussa è noto come lituano-polacco. A esso appartengono opere di carattere laico, estranee ai temi religiosi che dominano la tradizione slavo-ortodossa, come le Dopisy («Lettere», 1572-74) di F. Kmita Čarnabyl′skyi e lo Dzënnik («Diario», 1564-1604) di F. Eulašoŭski. Nonostante l’intenso processo di polonizzazione, resistette una tradizione linguistico-letteraria locale, grazie alla consolidata tradizione scrittoria del bielorusso, che s’impose in un primo momento come lingua ufficiale dell’amministrazione. Ne conseguì la codificazione delle innovazioni lessicali, grammaticali e stilistiche della lingua vernacolare con le sue varianti locali, per cui per l’età tardo-umanistica si può legittimamente parlare di medio bielorusso (considerando antico bielorusso le forme più arcaiche, già presenti in testi slavo-ecclesiastici del sec. 13°), lingua in cui furono redatte le tre versioni (1529, 1566 e 1588) dello Statut Velikoho knjaz′stva Litovskoho («Statuto del granducato lituano»), considerato il più completo e progredito documento giuridico dell’Europa orientale del tempo. La letteratura si sviluppa seguendo due filoni: uno latino-polacco, occidentale, quasi sempre cattolico, e l’altro slavo-ecclesiastico, in genere di area ortodossa. Il carattere bielorusso di questo secondo filone è indiscutibile; difficile invece assegnare a una letteratura nazionale gli scritti e gli scrittori in latino e in polacco. È il caso di S. Budny (sec. 16°), teologo e traduttore, che in slavone scrisse un catechismo (1562), di V. Cjapinski, sostenitore della Riforma e traduttore del Vangelo (1570 circa), nonché del grande poeta latino, di formazione polacca, M. Hussowski (sec. 15°-16°). Un’ulteriore testimonianza dell’apertura alla cultura occidentale è data dalla ricca e diffusa presenza di traduzioni di opere medievali e umanistiche europee.
Nel 17° sec. si determina un arresto nello sviluppo della cultura bielorussa, che porta quasi all’estinzione della tradizione nazionale di matrice slavo-ecclesiastica. Rappresentanti della cultura dotta in slavo ecclesiastico, come S. Polockij e J.A. Belobockij, si trasferiscono in Moscovia; il polacco viene imposto come unica lingua ufficiale (1697) e il medio bielorusso scompare come lingua letteraria, riducendosi a dialetto popolare.
Nel 1807 con la pace di Tilsit la Russia portò a termine il processo di annessione delle terre bielorusse iniziato nel 1772 con la prima spartizione della Polonia, che aveva significato la fine del processo di polonizzazione, ma l’inizio di un ancor più sistematico processo di russificazione. Ogni espressione letteraria locale veniva interpretata come espressione di tendenze separatistiche; di qui la proibizione della lingua bielorussa. Eppure, dopo un primo periodo di ristagno, proprio l’inizio del sec. 19° segna una ripresa della letteratura bielorussa, che si orienta sulla lingua viva e sul folclore; l’attività degli scrittori inizia spesso con la raccolta e la rielaborazione di poesie popolari. Si afferma una produzione anonima di vario genere, fra cui spiccano i poemi eroicomici Eneida navyvarat («Eneide travestita»), ispirato all’opera dell’ucraino I.P. Kotljarevs′kyi, e Taras na Parnase («Taras in Parnaso»). Una prima scuola letteraria si ha grazie all’opera del polacco J. Czeczot, la cui produzione (canzoni, ballate, poesie) è prevalentemente di carattere popolare. Come lui, animati dallo spirito del Romanticismo, altri nobili locali, polacchi o polonizzati coltivano lettere bielorusse prediligendo il genere popolare-folcloristico; particolare valore letterario presenta l’opera di J. Barszczewski, composta da poesie, racconti e studi, e quella di A. Plug, prevalentemente prosastica. Sempre imperniata sui motivi popolari è la poesia di P. Bachrym, uno dei primi ‘poeti contadini’. Da questi fermenti si sviluppano le nuove correnti di pensiero che trovano i migliori interpreti in scrittori quali V. I. Dunin-Marcinkevič, autore di popolarissimi canti e opere teatrali, il polacco A. Rypinski, geologo e rutenologo, e il poeta A. Hrosa. Altri scrittori pubblicano in russo, con lo scopo di diffondere la conoscenza della Bielorussia; fra questi J. Grigorovič, editore di raccolte di antichi documenti, O. Turcinovič, storico delle origini della Bielorussia, e P. Spileŭski, autore di numerosi studi di carattere geografico ed etnografico. Nello stesso clima ideologico maturò l’attività letteraria della seconda metà del secolo, che ebbe la sua migliore espressione nelle opere di K. Kalinouski, F. Bahuševič, J. Lučyna, A. Hurynovič e A. Abuchovič, considerati i padri della letteratura nazionale. Ma le loro opere, a causa della sempre più restrittiva censura zarista, furono pubblicate all’estero, e in patria poterono circolare solo clandestinamente.
Dopo la rivoluzione del 1905 sorse una nuova scuola nazional-popolare che ebbe i suoi maggiori esponenti in J. Kupala e J. Kolas, fondatori della rivista Nasa niva («Il nostro campo», 1906), attorno alla quale fiorì una pleiade di giovani letterati, fra cui A. Paškevič Kejrys, nota con lo pseudonimo di Cëtka. Le diffidenze del governo zarista determinarono la dispersione del gruppo, ma la sua eredità fu raccolta da Z. Bjadulja-Jasakar, A. Harun e M. Bahdanovič. Con la nuova spartizione delle terre bielorusse sancita dalla pace di Riga (1921) venne operato, da parte sia polacca sia russa, un progressivo procedimento di assimilazione culturale che ostacolò lo sviluppo letterario in lingua nazionale. La letteratura bielorussa entrò a far parte, pur mantenendo una relativa autonomia culturale e linguistica, di un sistema letterario dominato dalla dottrina del realismo socialista. Al di là dei rapsodi del regime e della guerra patriottica (I. Šamjakin, M. Melež, I. Gurski), figure significative del periodo bellico e postbellico sono M. Tank, A. Kulešov, A. Balevič, K. Kraŭčenko, P. E. Pančenko; tra gli autori di novelle si ricordano J. Bryl′, E. Vasilenko, V. Bykov, R. Sobolenko, A. Ryl′ko. In particolare la poesia seppe trovare una ispirazione più pura e autentica, nell’opera di A. Kulešov, A. Zaricki, e più tardi N. Gilevič, R. Baradulin, V. Nedzvedzki. Negli anni 1960 l’orizzonte letterario, superando i limiti delle precedenti posizioni patriottico-ideologiche, si apre a una tematica storica ed esistenziale di più ampio respiro; tra i poeti, nati in gran parte dopo la guerra, si distinguono R. Semaškievič, J. Janiščyč, N. Sklarava, V. Ipatava, A. Razanaŭ, L. Dajnieka. Tra gli scrittori operanti fuori dei confini nazionali è da ricordare S. Janovič, bielorusso di Polonia.
Foresta di Białowieza (1979, 1992); castello di Mir (2000); complesso architettonico, residenziale e culturale della famiglia Radziwill a Nesvizh (2005); arco geodetico di Struve (2005).