VIGANÒ, Renata
– Nacque il 17 giugno 1900 a Bologna. Il padre Eugenio (Reggio nell’Emilia, 1848) venne da lei descritto come «socialista dolce, alla De Amicis, ma giusto e buono» (Matrimonio in brigata..., 1995, p. 98). La madre, Amelia Brassi, apparteneva a una ricca famiglia; la bisnonna materna, Caterina Mazzetti, fu proprietaria dell’Antica ditta Mazzetti che dava in affitto vetture (cfr. R. Viganò, La bisnonna, in l’Unità, 11 dicembre 1949, p. 3).
Dopo il matrimonio i genitori si trasferirono da Reggio nell’Emilia a Bologna, dove nacque il loro figlio Pietro (morto a soli due anni) e, dieci mesi più tardi, Renata che, dopo la prima formazione, lasciò gli studi tecnici per frequentare il liceo classico.
Assistita da una precoce vocazione letteraria, già all’età di tredici anni Renata pubblicò una prima raccolta poetica, Ginestra in fiore (con una lettera di P. Orano, Bologna 1913), che le procurò una moderata attenzione della stampa e della critica, cui seguì – presso la casa editrice Alfieri & Lacroix, con una nota di P. Zangarini – Piccola fiamma: liriche 1913-1915 (Milano 1916).
Purtroppo, a causa della guerra, la ditta familiare fallì, costringendo i Viganò a un periodo di dissesto economico: Renata dovette abbandonare il liceo e cominciò a lavorare, dapprima come inserviente e poi da infermiera, presso l’ospizio in via D’Azeglio dove prestò assistenza a bambini e malati.
Dopo aver esordito nella narrativa con Il lume spento (Milano 1933), nel dicembre del 1935 conobbe lo scrittore Antonio Meluschi, autore del romanzo resistenziale La morte non costa niente (1946), figura importante per la formazione intellettuale e politica di Viganò, con cui si unì in matrimonio nel settembre del 1937, e insieme al quale decise di adottare, nello stesso anno, un bambino presso l’ospedale brefotrofio di Bologna: Agostino.
La loro casa nel capoluogo emiliano, in via Mascarella 63, divenne punto di ritrovo di molti intellettuali, tra i quali Pier Paolo Pasolini, Luciano Serra, Enzo Biagi, Giorgio Bassani e Achille Ardigò. Con il marito e il figlio, ancora piccolo, la scrittrice partecipò alla lotta partigiana e collaborò alla stampa clandestina. Con il nome di Contessa, fece la staffetta e l’infermiera nella brigata partigiana, dapprima in Romagna e poi nelle valli di Comacchio, dove diresse il servizio sanitario dei partigiani. Nel gruppo comandato da suo marito, la scrittrice partecipò, dunque, attivamente alla Resistenza: «Io non sono nata dal popolo [...]. Ma la mia estrazione borghese non impedì che fossi portata a preferire le persone del popolo alla vellutata, stagnante, bigotta simulazione della classe a cui appartenevo» (R. Viganò, La mia guerra partigiana, in Ead., Matrimonio in brigata, Milano 1976, pp. 143 s.). Scrisse, in questi anni, per quotidiani e periodici tra cui l’Unità, Noi Donne, Il Ponte, Il Progresso d’Italia, Rinascita. Mentre con la famiglia si trovava sfollata a Imola, collaborò alla rivista clandestina La Comune, nata il 15 gennaio 1944, dove pubblicò alcuni scritti tra cui Le donne e i tedeschi, Le donne e i fascisti, Le donne e i partigiani: «scrissi cinque pezzi, tutti rivolti alle donne, a quelle cioè che avevano cuore e amore, che soffrivano per cento angustie, che tremavano per i loro cari, assenti o presenti ma tutti immersi nel pericolo».
Nella prima metà degli anni Cinquanta, tenne la rubrica «Fermo posta» per Noi Donne, ma già sul finire del decennio precedente aveva pubblicato per Einaudi L’Agnese va a morire (Torino 1949), romanzo legato al neorealismo, considerato tra i capolavori della narrativa ispirata alla Resistenza.
Alcune parti dell’opera erano apparse in rivista: su Il Progresso d’Italia nel 1947 e su l’Unità nel 1949 ove, in particolare, il 19 novembre uscì un ampio stralcio dell’opera con il titolo Mamma Agnese. La protagonista del romanzo è una donna del popolo, «grossa e ingombrante», che, dopo l’uccisione del marito Palita per mano dei tedeschi, prende attivamente parte alla lotta antifascista (per cui v. R. Viganò, La storia di Agnese non è una fantasia, in l’Unità, 17 novembre 1949). Agnese è un personaggio in evoluzione dagli evidenti tratti autobiografici, «è la contadina protagonista del romanzo ed è anche un’immagine collettiva, è uno e molti, è soggetto e oggetto del sacrificio, è un personaggio assai reale sotto certi punti di vista, ma poi disumano per la sua grandezza» (S. Vassalli, Introduzione a L’Agnese va a morire, Torino 2014, p. 4). Nell’ultima parte del libro, Agnese acquista maggiori responsabilità e gestisce e organizza il rifornimento della base partigiana: «Magòn era contento di adoperare l’Agnese per quelle cose; il suo aspetto duro e pacifico non attirava i tedeschi, non si interessavano di una vecchia grossa contadina, e lei passava tranquillamente in mezzo a loro» (L’Agnese va a morire, Torino 1954, p. 332). La nuova funzione, però, non corrisponde a un maggiore potere, ma crea le premesse per una nuova consapevolezza.
Tra memoriale, testimonianza e diario di una Resistenza vissuta in prima persona, il romanzo, apprezzato da Natalia Ginzburg, allora redattrice presso Einaudi, e definito da Maria Corti una delle opere sulla Resistenza dal reale carattere commemorativo, fu insignito con il premio Viareggio nel 1949 e tradotto in moltissime lingue.
Tra i numerosi romanzi italiani sulla Resistenza è, senza dubbio, quello in cui vi è la testimonianza più diretta del vissuto della protagonista: del modo in cui «il risentimento collettivo di fronte all’offesa dell’invasione» viene trasformato dal buon senso popolare in «volontà di giustizia e in capacità di lotta organizzata» (cfr. Nota, in L’Agnese va a morire, 1954, p. 8). La novità del romanzo è nell’aver guardato alla Resistenza da una prospettiva nuova, tramite lo sguardo di Agnese: «il contrasto tra la sua figura rozza e corpulenta e le movimentate vicende della lotta a cui partecipa, tra la sua abitudine ai ragionamenti pacati, pratici, elementari e le decisioni coraggiose che sa prendere, è il tema fondamentale del romanzo» (ibid.).
Nel 1949 Meluschi venne arrestato insieme con altri ex partigiani, e ciò comportò molte difficoltà per la scrittrice e il figlio (cfr. R. Viganò, Assolto in istruttoria, in Ead., Matrimonio in brigata, cit.). Negli anni Cinquanta la famiglia fece ritorno a Bologna, dove Viganò rimase anche in seguito. L’attenzione per la condizione sociale delle donne nel dopoguerra la portò a pubblicare Mondine (presentazione di L. Bigiaretti, Modena 1952) e Una storia di ragazze (Milano 1962).
In questi anni uscirono, inoltre, Arriva la cicogna (Roma 1954), Donne della Resistenza (introduzione di I. Barontini, Bologna 1955), Ho conosciuto Ciro (prefazione di C. Ghini, Bologna 1959) e, successivamente, la raccolta di racconti Matrimonio in brigata (cit.). Nel 1976, da L’Agnese va a morire, venne tratto l’omonimo film con la regia di Giuliano Montaldo, la sceneggiatura di Nicola Badalucco e Giuliano Montaldo, la fotografia di Giulio Albonico, le musiche di Ennio Morricone, e con Ingrid Thulin nella parte di Agnese e Massimo Girotti in quella di Palita (fra gli altri attori coinvolti: Stefano Satta Flores, Michele Placido, Aurore Clément, Ninetto Davoli, Eleonora Giorgi e Johnny Dorelli).
Come scrive Anna Folli, Viganò «arriva alla soglia degli anni Sessanta col sogno di un ultimo romanzo. Una storia di ragazze esce inosservato nel 1962 insieme al Giardino dei Finzi Contini di Giorgio Bassani destinato a ben altra gloria, boicottato dal Partito e certamente fuori epoca» (Riscoprendo Renata Viganò, in la Repubblica, 17 gennaio 2013).
Morì a Bologna il 23 aprile 1976, senza riuscire a vedere la trasposizione cinematografica del suo romanzo.
Viganò si era affermata negli anni successivi alla guerra come una tra le voci più incisive dell’Italia della ricostruzione, capace di rivolgersi a un ampio pubblico, non solo femminile, dalle pagine dell’Unità e di aprire le porte del suo salotto a intellettuali e scrittori, tra cui Roberto Roversi e Pier Paolo Pasolini. Bologna le ha dedicato un giardino con un piccolo monumento nel quartiere Savena, mentre il comune di San Lazzaro, quello di Pontecchio e la città di Ferrara le hanno intitolato una strada. Due mesi prima della morte, le era stato assegnato il premio giornalistico Bolognese del mese, per il suo stretto rapporto con la città di Bologna e la sua vivace vita culturale.
Opere. Fra le opere non citate nel testo, si ricordano: Rosario. Libera interpretazione dei quindici misteri del rosario scritta da me, non credente, per puro amore di leggenda e poesia, Bologna 1984; Sonetti inediti, Bologna 1984; La bambola brutta. Storia di Eloisa partigiana, illustrazioni di Viola Niccolai, a cura di Brigata Viganò (Dafne Carletti, Sofia Fiore, Margherita Occhilupo, Marta Selleri, Elena Sofia Tarozzi e Tiziana Roversi), Bologna 2017. E inoltre: Marzabotto città martire, in Il Secondo Risorgimento d’Italia, Milano 1955, pp. 225-228.
Fonti e Bibl.: Le carte della scrittrice sono conservate a Bologna, presso la Biblioteca dell’Archiginnasio, Fondo speciale Carte Viganò Meluschi: sono qui raccolti i manoscritti, la corrispondenza, i dattiloscritti, alcuni ritagli a stampa degli anni 1939-77.
Per una bibliografia critica: A. Battistini, Le parole in guerra, lingua e ideologia de «L’Agnese va a morire», Ferrara 1982; Matrimonio in brigata: le opere e i giorni di R. V. e Antonio Meluschi, a cura di E. Colombo, Bologna 1995; G. Pedullà, R. V., in Racconti della Resistenza, a cura di G. Pedullà, Torino 2005, pp. 261 s.; B. Manetti, Scrittrici oltrecortina. I reportage dall’Unione Sovietica di Sibilla Aleramo, R. V. e Anna Maria Ortese, in Comunicare letteratura, 2008, vol. 1, pp. 175-198; S. Bersani, 101 donne che hanno fatto grande Bologna, Roma 2012, pp. 227-232; F. Sancin, L’Agnese e le altre. R. V., in Donne della Repubblica, a cura di P. Cioni - D. Maraini, Bologna 2016, pp. 147-158; A. Sanna, Partigiane e scrittrici: «Si sentì più alto» di Ada Gobetti e «La grande occasione» di R. V., in Carte italiane, 2017, vol. 11, pp. 145-159; La contessa delle valli. Dedicato a R. V., a cura di D. Carletti et al., Bologna 2018. Si segnala, infine, nella collana La libreria dei miei ragazzi delle ed. Minerva: R. Viganò, Con parole sue, disegni di M. Matteucci, testi a cura di C. Alvisi - T. Roversi, Argelato 2018.