DULBECCO, Renato
Nacque a Catanzaro il 22 Febbraio 1914 da Leonardo, ingegnere ligure del Genio Civile, e da Maria Virdia, proveniente da una famiglia di professionisti originari di Tropea. La famiglia, che oltre a un figlio primogenito scomparso prematuramente, ebbe dopo Renato la terzogenita Emma, si trasferì durante la prima guerra mondiale a Cuneo e Torino, per poi stabilirsi definitivamente a Imperia (allora Porto Maurizio).
Qui Dulbecco compì gli studi secondari, presso il Regio Liceo ginnasio Edmondo De Amicis, dove iniziò a mostrare una spiccata propensione per le materie scientifiche e una notevole manualità tecnica che lo portarono a costruire una radio e un sismografo elettronico (Dulbecco, 1989, pp. 38 s.). Seguendo le orme di uno zio materno, nel 1930, a soli sedici anni, fece il proprio ingresso nella facoltà di medicina dell’Università di Torino, nello stesso anno di Rita Levi Montalcini e un anno dopo l’iscrizione di Salvador Luria, compagni con cui condividerà negli anni a venire il magistero di Giuseppe Levi, l’emigrazione negli Stati uniti e il premio Nobel.
Fra i primi del corso, al secondo anno venne ammesso come interno nel laboratorio di Giuseppe Levi, anatomista di fama internazionale, nonché pioniere della coltura dei tessuti in vitro. Nell’Istituto di anatomia normale umana ebbe la possibilità di disporre «di un laboratorio e di un banco per poter lavorare» ai propri esperimenti, ma fu anche un’occasione per conoscere meglio la personalità carismatica del maestro, un docente che si era imposto alla sua attenzione per il rigore scientifico e l’«esplicito antifascismo» (Cohen, 1998, pp. 7 s. ). Il primo compito assegnatogli da Levi, a cui prese parte la stessa Montalcini (Levi Montalcini, 2000, p. 71), consistette nell’esaminare il numero di cellule nervose della colonna spinale dei ratti per valutarne l’eventuale fluttuazione in base alla nidiata. Nei mesi successivi si dedicò alle colture in vitro, una conoscenza che gli tornerà utile nei primi anni dell’esperienza americana quando metterà a punto un’originale tecnica per la coltura virale. Nonostante lo slancio iniziale e la pubblicazione dei primi risultati (Dulbecco - Magri, 1933) , l’interesse per l’istologia diminuì e giunto al terzo anno di corso decise «lasciare il laboratorio di Levi per quello di anatomia patologica di Vanzetti» (Dulbecco, 1989, p. 53).
Nei rimanenti quattro anni di corso, Dulbecco si dedicò a diversi ambiti della fisiopatologia, dall’elettrofisiologia del cuore alle disfunzioni epatiche (ibid., pp. 53-64), dividendo la propria attività clinica tra il reparto di cardiologia dell’ospedale Mauriziano e l’ospedale delle Molinette. Nel 1936, sotto la guida di Ferruccio Vanzetti, giunse alla laurea presentando una tesi sugli effetti degenerativi del fegato causati dalle ostruzioni dei condotti biliari, con cui ottenne «i premi dell’Università sia per il miglior laureando sia per la migliore tesi» (ibid., p. 66). Presso l’Istituto di anatomia patologica ricoprì l’incarico di aiuto volontario (1938), e poi di assistente di ruolo (1940); passò due anni nel servizio di leva come ufficiale medico (1936-1938). Nel 1939 si sposò con Giuseppina Salvo da cui ebbe due figli, Pietro (1941-1984) e Maria Vittoria (1943) , e nel 1943 ottenne la libera docenza (Torino, Arch. storico dell'Università, Cartella documenti personali, Renato Dulbecco).
Lo scoppio della guerra lo costrinse a indossare nuovamente l’uniforme e a partire per il fronte francese (1940-1941) e poi per la campagna di Russia (1942-1943). Fu una caduta sul ghiaccio e la lussazione di una spalla durante l’offensiva sul Don a garantirgli un provvidenziale periodo di congedo: una volta dimesso decise infatti di disertare le armi sino al giorno della liberazione per aiutare come medico i partigiani nascosti sulle colline torinesi (Dulbecco, 1989, pp. 118-123). Il periodo di clandestinità e la prematura morte di Vanzetti avvicinarono Dulbecco al giovane collega d’istituto Giacomo Mottura, con cui condivise un’iniziazione alla politica, che lo vide per un breve periodo membro del Comitati di liberazione nazionale, la compilazione di voci di un trattato di anatomia (Dulbecco - Mottura, 1949) e parte delle sue nuove ricerche su tumori neurogeni (Mottura - Dulbecco, 1942), le patologie polmonari (Dulbecco, 1945) e le ricostruzioni plastiche tridimensionali (ibid.; Mottura - Dulbecco, 1946; 1947).
Sul finire del ‘45, la forte delusione per i risultati di queste ricerche e il nuovo incontro con la compagna di corso Rita Levi Montalcini rappresentarono per il giovane scienziato un punto di svolta scientifico e umano. Nei successivi due anni Dulbecco, su consiglio della Montalcini, stravolse i propri progetti di ricerca e intraprese due nuovi percorsi disciplinari: ritornò come assistente (1946) nell’Istituto di anatomia normale di Levi per lavorare sugli effetti delle radiazioni ionizzanti sugli embrioni di pollo e si iscrisse alla facoltà di fisica per approfondire lo studio dei fenomeni radioattivi. Con i nuovi esperimenti, che rappresentano il primo passo dello scienziato verso la biofisica e la genetica, egli dimostrò che l’emissione radioattiva sugli embrioni di pollo veniva assorbita con maggiore intensità dalle cellule riproduttive (più sensibili perché ricche di materiale genetico e di dimensioni maggiori rispetto a quelle somatiche), causando nelle fasi successive dello sviluppo il fenomeno correlato dell’assenza di cellule germinali e della manifestazione del solo sesso maschile (Dulbecco 1946; 1947; 1948a; 1948b). Si tratta di esperimenti ingegnosi che Dulbecco pianificò mettendo insieme competenze e strumenti appartenenti ad ambiti disciplinari eterogenei: dalle ricerche della Montalcini e di Levi sui meccanismi di crescita e differenziazione cellulare mutuò l’embrione di pollo come organismo modello, da un collega radiologo ottenne in prestito la semplice strumentazione costituita da un ago di radium; sua fu invece l’idea di utilizzare le radiazioni per agire sulle gonadi e quindi influenzare lo sviluppo degli embrioni. Come già avvenuto durante il corso di laurea con gli esperimenti di fisiopatologia, ancora una volta egli sviluppò un modello sperimentale sui generis, apparentemente privo di progettualità perché incompatibile con le conoscenze e le dotazioni di laboratorio: né Levi né i suoi collaboratori possedevano infatti i rudimenti della genetica e della biofisica necessari per poter proseguire gli esperimenti sulla sterilizzazione degli embrioni di pollo.
Complice la mediazione della Montalcini, la soluzione per l’avvenire di Dulbecco giunse nell’estate del 1946 con l’arrivo a Torino di Luria, l’ex compagno di studi giunto dagli USA per visitare la famiglia dopo il conflitto, che gli propose una posizione all’Università dell’Indiana a Bloomington. Nell’autunno del 1947 Dulbecco si imbarcò con la Montalcini per gli Stati Uniti, un paese che gli offrì moderni laboratori, onori e cittadinanza (1953) e che divenne, a parte lunghe permanenze in Inghilterra e in Italia per lanciare nuovi progetti di ricerca, la sua residenza definitiva. Il periodo speso a Bloomington (1947-1949) fu per Dulbecco altamente formativo: si esercitò sui fagi studiandone la genetica, condivise il laboratorio di Luria con James D. Watson, che diverrà celebre nel 1953 per la scoperta della struttura del DNA ed entrò in contatto con importanti scienziati del medesimo ateneo, come i genetisti Tracy Sonneborn e Hermann J. Müller, recentemente insignito del premio Nobel (1946). Solo un anno dopo (1948), al suo debutto al Cold Spring Harbour, la scuola estiva fondata dal fisico tedesco Max Delbrück e dallo stesso Salvador Luria destinata a diventare 'la Mecca' della biologica molecolare, Dulbecco fu in grado di proporre i primi risultati sulla foto-riattivazione, inaugurando il campo di studi sui meccanismi di riparazione del DNA. Rielaborando una scoperta fatta due anni prima da Luria (Luria, 1947), che stabiliva la capacità dei fagi inattivati dalla luce ultravioletta di tornare in vita dopo l’ingresso nella cellula batterica (multiplicity reactivation), Dulbecco dimostrò, grazie a una casuale esposizione delle piastrine di coltura batterica ai raggi solari, che la reversibilità delle alterazioni da raggi UV sui fagi era svolta anche dalla luce naturale (Luria - Dulbecco, 1948; 1949; Dulbecco, 1949; 1952a).
Su invito di Max Delbrück, nell’estate del 1949 si trasferì al California Institute of Technology dove avviò ricerche pionieristiche sulla virologia animale e sulla genetica del cancro. Stimolato da Delbrück che aveva ricevuto un cospicuo finanziamento privato per occuparsi del virus dell’herpes, Dulbecco elaborò un procedimento per isolare e numerare i singoli processi infettivi dei virus utilizzando come ospiti cellule animali in coltura, dotando così la virologia di un formidabile strumento quantitativo che nel giro di un decennio l’avrebbe profondamente rinnovata. L’intuizione gli venne riadattando la 'tecnica delle placche' (plaque assay technique) recentemente messa a punto da Luria e Delbrück (Luria - Delbrück, 1943) per quantificare gli attacchi dei virus sui batteri e aggiornando, in un lungo viaggio nei laboratori americani, il metodo delle colture cellulari appreso alla scuola di Levi (Dulbecco, 1966; Kevles, 1993), mutuato dalla tecnica di sospensione in goccia di Ross G. Harrison.
Perfezionando la tecnica delle placche, Dulbecco riuscì in un primo momento a sviluppare un preciso metodo di isolamento e saggio del virus dell’encefalite equina (Dulbecco, 1952b), per poi dedicarsi, con l’aiuto della scienziata tedesca Marguerite Vogt, al ben più rilevante virus della poliomielite (Dulbecco - Vogt, 1954). Queste prime ricerche virologiche ebbero fondamentali ricadute anche in ambito tecnologico. Il medoto di coltura ideato da Dulbecco divenne un importante strumento, utilizzato anche da Albert Sabin, per lo sviluppo del vaccino antipolio. Così pure, la scoperta di uno specifico terreno di coltura noto come il Dulbecco's modified minimal essential medium (Dmem), ancora oggi uno dei più utilizzati al mondo, permise di far crescere cellule di origine diversa (del sistema immunitario, nervoso, o cellule cancerose) in modo più facile ed efficiente (Mantovani, 2012). Dalla metà degli anni Cinquanta, ispirato dalla collaborazione di giovani virologi come Howard Temin e Harry Rubin, Dulbecco dedicò la sua attenzione al virus oncogeno del sarcoma di Rous, in grado di sviluppare il tumore nei polli (Dulbecco, 1955). Dopo l’infezione tale virus aveva la capacità di entrare in una fase di latenza, in cui sembrava invisibile, per poi trasformare, anziché uccidere, le cellule ospiti facendole prima proliferare – creando come unità quantificabili centri di accumulo cellulare, detti foci, in luogo delle usuali placche – e poi diventare cancerose. Mettendo insieme le sue recenti conoscenze genetiche e l’esperienza con alcuni fagi temperati in grado di integrarsi nel genoma dei batteri, Dulbecco intuì che il Rous sarcoma virus alterava i geni dell’ospite causandone una proliferazione incontrollata e che tali geni nel periodo della latenza dovevano probabilmente associarsi ai geni della cellula infettata. Per approfondire tali ipotesi innovative, a partire dal 1958 Dulbecco abbandonò il virus del sarcoma di Rous, costituito da Rna, per nuovi virus oncogeni a base di Dna, come il polioma virus e il simian virus 40 (Dulbecco - Freeman, 1959; Dulbecco - Vogt, 1963; Hatanaka - Dulbecco, 1966). Questi virus, recentemente scoperti, possedevano infatti geni simili a quelli cellulari a cui sembravano associarsi, erano capaci di causare vari tipi di tumori e avevano il doppio vantaggio di produrre placche quantificabili sulle colture cellulari (in vitro) e di indurre tumori in animali di laboratorio (in vivo).
Nel 1962 ottenne il divorzio e si sposò con la ricercatrice di origine scozzese Maureen Muir, da cui ebbe la figlia Fiona Linsey (n. 1970). Nello stesso anno, su invito di Jonas Salk, fu tra i fondatori del Salk Intitute a La Jolla, nei pressi di San Diego (California), dove in collaborazione con David Baltimore continuò le sue ricerche sul rapporto tra il materiale genetico dei virus tumorali e quello delle cellule animali. Sul finire degli anni Sessanta, riuscì a dimostrare insieme a Joseph Sambrook che il Dna virale veniva integrato nei geni della cellula, trasmesso per alcune generazioni, sino a causare un’alterazione del ciclo riproduttivo responsabile della trasformazione maligna della cellula (Sambrook - Westphal - Srinivasan et al., 1968; Dulbecco, 1968).
Nel 1972 si trasferì all’Imperial Cancer Research Fund Laboratories di Londra dove rimase sino al 1977 per indagare in collaborazione con Michael Stoker lo sviluppo del cancro nei tessuti umani. Dopo l’assegnazione nel 1975 del premio Nobel insieme a Temin e Baltimore per le loro «scoperte riguardanti l’interazione tra i virus tumorali e il material genetico della cellula» (The Nobel Prize in Physiology or Medicine 1975. Nobelprize.org. Nobel Media AB 2013, http://www.nobelprize.org/nobel_prizes/medicine/laureates/1975/dulbecco-lecture.html, aggiornato al 10 Settembre 2013); Dulbecco tornò nel 1977 al Salk Intitute per reindirizzare le proprie ricerche sui meccanismi naturali dell’insorgenza del cancro, utilizzando come modello il carcinoma mammario murino. Accanto all’attività didattica nella facoltà di medicina della University of California (1977-1981), in questo periodo identificò, grazie agli anticorpi monoclonali, differenti tipi di cellule per confrontare lo sviluppo fisiologico e canceroso della ghiandola mammaria (Dulbecco, 1979). Seguendo un’intuizione già espressa nella sua Nobel Lecture, egli si andò sempre più persuadendo che per comprendere i meccanismi dell’insorgenza del cancro occorresse sequenziare l’intero genoma umano: definire tutti i geni espressi sia nelle cellule normali che in quelle cancerose e quindi individuare i mutamenti genetici specifici della malattia. Espresse questo pensiero in due letture del 1985 e 1986 e in una celebre lettera alla rivista Science (Id,1986). Il suo autorevole intervento ebbe il merito di portare all’attenzione pubblica un’idea già adombrata da altri e resa oramai possibile dalle avanzate tecnologie di sequenziamento e di attivare energie in questa direzione. L’idea di Dulbecco si concretizzò nel Progetto genoma umano, inaugurato nel 1990 e conclusosi nel 2000, che rappresenta uno dei maggiori programmi internazionali di ricerca del XX secolo.
Sospese le ricerche di laboratorio per ricoprire la carica di presidente del Salk Institute (1988-1992), Dulbecco trascorse i cinque anni successivi facendo la spola tra gli USA e l’Italia, dove era a capo del ramo italiano del Progetto genoma, su invito del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR) in collaborazione con l’Istituto di Tecnologie biomediche avanzate. In questi anni, come direttore del Progetto genoma umano del CNR, concentrò i suoi studi sul cancro al seno osservandone la differenziazione cellulare grazie alla coltura dei tessuti in vitro. Con lo scopo di identificare geni in grado di controllare positivamente o negativamente lo sviluppo del processo tumorale della ghiandola mammaria, il suo gruppo di ricerca fu in grado di isolare alcune linee pure di cellule tumorali, valutare l’espressione di alcuni oncogeni e individuare nelle presenza delle cellule staminali mammarie una possibile spiegazione della carcinogenesi.
Dopo alcuni anni di residenza nel Canton Ticino svizzero, nel 2006, all’età di 92 anni, decise di tornare definitivamente negli USA, a La Jolla; nel 2008, anno della pubblicazione del suo ultimo lavoro scientifico, si ritirò a vita privata.
Morì il 19 febbraio del 2012, a soli tre giorni dal novantottesimo compleanno.
Come quello dei suoi maestri Levi e Luria, anche il magistero di Dulbecco lasciò importanti tracce nelle scienze biomediche, potendo vantare nel novero degli allievi il Nobel Susumu Tonegawa, oltre ai già ricordati Baltimore e Temin, nonché scienziati di fama come Lee Hartwell, Robert Wienber e Joseph Sambrook.
Pur dotato di una personalità schiva, seppe intuire il ruolo dello scienziato nella società contemporanea schierandosi in prima fila nelle battaglie contro il fumo e altre sostanze oncogeniche (Id., 1975), a favore della ricerca sulle cellule staminali o per reintrodurre l’evoluzionismo nei libri scolastici italiani. Scrisse diversi testi di divulgazione scientifica, tra cui si ricordano The design of life (1987); Ingegneri della vita. Medicina e morale nell’era del Dna (1988); I geni e il nostro futuro (1995); e Scienza e società oggi: la tentazione della paura (2004). Per sostenere l’attività scientifica nelle istituzioni e sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza dei finanziamenti alla ricerca oncologica, comparve più volte in televisione come sostenitore del Progetto TELETHON e partecipò all’edizione del 1999 del Festival di San Remo.
Accanto alla scienza, l’altra grande passione di Dulbecco fu la musica classica, che egli sapeva interpretare al pianoforte eseguendo Bach e altri autori barocchi con notevole maestria.
Fu membro dell'Accademia dei Lincei, della National Academy of Sciences USA, e membro straniero della Royal Society. Oltre al Nobel, fu insignito del John Scott Award (1958), Albert Lasker Basic Medal Research Award (1964), Paul Ehrlich-Ludwige Darmstaedter Adj Prize (1967), Louisa Gross Horwitz Prize (1973), Selman A. Waksman Award (1974), e Mendel Golden Medal (1982). Ottenne la laurea honoris causa in scienze dalla Yale University (1968) e dalla Indiana University (1984), in medicina dalla Vrije Universiteit di Brussels (1978) e in legge dalla University of Glasgow (1970). In suo onore sono stati intitolati i Dulbecco Laboratories for Cancer Research e la Renato Dulbecco Endowed Chair presso il Salk Institute.
Con L. Magri, Ricerche sul numero dei neuroni sensitivi nei gangli dei metameri toracici dell’uomo, in Monitore zoologico italiano, XLIV (1933), pp. 126-131; Registratore sismografico a variazione di capacità, Roma 1933; con G. Palomba, Osservazioni su di una curva di volume del cuore umano: al pletismodiagramma, in Cuore e circolazione, XXI (1937), 86, p. 153; con G. Mottura, Sul neurinoma centrale, in Archivio scienze mediche, LXXVI (1942), 2, pp. 85-133; Ricerche sull'architettura dei bronchioli respiratori del polmone umano. Considerazioni sulla dinamica respiratoria e loro riflessi nella patologia, in Giornale della R. Accademia di medicina di Torino, CVIII (1945), pp. 7-12; Alcuni perfezionamenti tecnici al metodo delle ricostruzioni plastiche, in Archivio scienze mediche, LXXIX (1945), pp. 180-183; con G. Mottura, Ricostruzione plastica di parenchima polmonare in casi di Pneumoconiosi siderotica, in Rassegna di medicina industriale, XV (1946), pp. 82-88; Sviluppo di gonadi in assenza di cellule sessuali negli embrioni di pollo. Sterilizzazione completa mediante esposizione a raggi gamma allo stadio di linea primitiva, in Atti dell’Accademia nazionale dei Lincei. Rendiconti della classe di scienze matematiche, fisiche e naturali, I (1946), pp. 1211-13; con G. Mottura, Architectural characteristics of various types of pneumoconiosis by means of plastic models, in Bulletin d'histologie appliquée et de technique microscopique, vol. 24 (1947), pp. 11-17; Nuove ricerche sulla sterilizzazione di embrioni di pollo mediante irradiazione con raggi gamma. Costante determinazione del sesso femminile negli embrioni irradiati, in Atti dell’Accademia nazionale dei Lincei. Rendiconti della classe di scienze matematiche, fisiche e naturali, II (1947), pp. 659-662; Azione dei raggi gamma del radio sullo sviluppo della gonade e sui caratteri somatici del sesso nell’embrione di pollo, in Atti dell’Accademia nazionale dei Lincei. Memorie della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali, s. 8, II (1948), sez. 3, pp. 1-20; Développement de la gonade malgré la disparition totale des cellules sexuelles après irradiations par les rayons, in Schweizerische medizinische Wochenschrift, LXXVIII (1948), 17, p. 412; con S.E. Luria, Lethal mutations and inactivation of individual genetic determinants in bacteriophage, in Genetics, vol. 33 (1948), 6, pp. 618-619; con G. Mottura, Anatomia patologica dell’apparato locomotore, in Trattato italiano di anatomia patologica, a cura di F. Vanzetti, 3 ed., II, Torino 1949, pp. 3934-54; con S.E. Luria, Genetic Recombinations Leading to Production of Active Bacteriophage from Ultraviolet Inactivated Bacteriophage Particles, in Genetics, vol. 34 (1949), 2, pp. 93-125; Reactivation of ultra-violet-inactivated bacteriophage by visible light, in Nature, 163 (1949), 4155, pp. 949-950; A critical test of the recombination theory of multiplicity reactivation, in Journal of Bacteriology, vol. 63 (1952a), 2, pp. 199-207; Production of Plaques in Monolayer Tissue Cultures by Single Particles of an Animal Virus, in Proceedings of the National Academy of sciences USA, vol. 38 (1952b), 8, pp. 747-752; con M. Vogt, Plaque Formation and Isolation of Pure Lines with Poliomyelitis Viruses, in Journal of Experimental Medicine, vol. 99 (1954), pp. 167-182; Interaction of viruses and animal cells; a study of facts and interpretations, in Physiological reviews, vol. 35 (1955), 2, pp. 301-335; Clonal derivation of viruses, in Annals of the New York Academy of Sciences, vol. 68 (1957), 2, pp. 245-249; con G. Freeman, Plaque production by the polyoma virus, in Virology, vol. 8 (1959), 3, pp. 396-397; Induction of tumors in vitro with viruses, in National Cancer Institute monograph, vol. 4 (1960), pp. 355-361; con M. Vogt, Significance of Continued Virus Production in Tissue Cultures Rendered Neoplastic by Polyoma Virus, in Proceedings of the National Academy of sciences USA, vol. 46 (1960), 12, pp. 1617-1623; con M. Vogt, Properties of cells transformed by polyma virus, in Cold Spring Harbor symposia on quantitative biology, vol. 27 (1962), pp. 367-374; con M. 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