Magritte, Rene
Dipingere l’assurdo della realtà quotidiana
L’artista belga René Magritte è uno dei pittori del Novecento che meglio ha saputo raccontare con le immagini lo spaesamento e l’inquietudine dell’uomo moderno quando cerca di dare una spiegazione al mistero della vita. La sua opera è collegata al movimento artistico del surrealismo
René Magritte, nato in una piccola provincia del Belgio nel 1898 e morto a Bruxelles nel 1967, era un pittore che non amava dipingere. Tuttavia riteneva che la pittura fosse il mezzo migliore per indagare sui temi che più gli stavano a cuore, il segreto dell’esistenza umana, il mistero del funzionamento del pensiero e della percezione. Che cosa è la realtà? Che cosa siamo davvero in grado di vedere? E chi o che cosa è in grado di spiegare almeno in parte questo mistero?
Per Magritte è la pittura che può aiutare in questa ricerca. Però egli sa anche che le risposte trovate non potranno mai essere esaurienti, anzi, più si cerca di dire l’ultima parola, più il mistero e l’enigma si fanno grandi.
Per visualizzare questa impossibilità, Magritte crea immagini assurde, che colgono di sorpresa lo spettatore, e lo lasciano spaesato. Si tratta di quadri che si collocano lungo l’arco dell’intera carriera artistica del pittore, dagli anni Trenta fino agli anni Sessanta del secolo scorso. Pensiamo all’enorme foglia con un albero al suo interno, all’uomo con la bombetta in testa e una succosa mela verde davanti alla faccia, all’ironica copia del quadro del pittore francese Jacques-Louis David, Madame Récamier, in cui la donna dell’originale è sostituita da una bara che ne ripropone la posa. E ancora: paesaggi notturni ma con il sole, cieli di legno, scarpe con le punte che sono dita dei piedi, un castello su una pietra gigantesca sospesa nel vuoto.
L’immagine non è soltanto una fedele riproduzione di ciò che esiste: può essere anche un inganno, un gioco, uno scherzo. Ma non sarà invece il mondo intero (e la percezione che abbiamo di esso) a essere un grande inganno? Magritte mette davanti agli occhi degli spettatori queste domande, grazie a immagini che non sono logiche e a titoli che non servono a spiegare, ma sembrano custodire ancora meglio il senso del mistero.
Il linguaggio stesso è messo in discussione: nel mondo moderno le parole si sono irrimediabilmente staccate dall’oggetto cui si riferiscono, si sono perse la fiducia e la certezza che un nome possa confermare la reale esistenza dell’oggetto corrispondente. Quando Magritte dipinge, per esempio, una pipa è come se sotto scrivesse in aggiunta: «Questo dipinto non è una pipa». Il pittore intende cioè affermare che scrittura e figura sono una indipendente dall’altra e ognuna vive nel proprio isolamento.
Magritte è collegato al movimento artistico del surrealismo, fondato da André Breton nel 1924. I surrealisti, in cerca di contatti con una realtà diversa da quella quotidiana, dipingono scene dichiaratamente irreali, che trasportano lo spettatore in mondi misteriosi e lontani, nati da sogni o da incubi.
Magritte, invece, non fugge in altre dimensioni, l’assurdo per lui non abita mondi sconosciuti ma è qui, nella realtà di tutti giorni. La sensazione che l’enigma sia presente nel quotidiano avvicina Magritte alla metafisica dell’artista italiano Giorgio De Chirico, di cui era un grande ammiratore. Scrive il pittore stesso: «Tutte queste cose ignorate che pervengono alla luce mi fanno credere che la nostra felicità dipenda anch’essa da un enigma associato all’uomo e che il nostro compito sia quello di sforzarci di conoscerlo».