Vedi Repubblica Ceca dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2016
La Repubblica Ceca ha origine dalla divisione pacifica, avvenuta il 1° gennaio 1993, della Cecoslovacchia nelle sue due entità costituenti della Slovacchia e della Repubblica Ceca. Già nel dicembre 1992, la Repubblica Ceca aveva adottato una propria Costituzione improntata a principi e pratiche democratiche e, dunque, in aperta contrapposizione al regime a partito unico che aveva caratterizzato l’assetto politico-istituzionale della Cecoslovacchia a partire dal secondo dopoguerra, quando era entrata a far parte della sfera di influenza sovietica in Europa orientale. Libera dai rigidi vincoli imposti dalla logica bipolare, la Repubblica Ceca ha quindi avviato nei primi anni Novanta un processo di transizione verso la democrazia e l’economia di mercato, affiancato e sostenuto da una politica estera volta all’integrazione nei meccanismi di cooperazione euro-atlantica. Disciolto nel 1991 il Patto di Varsavia – l’alleanza difensiva del blocco filo-sovietico, di cui la Cecoslovacchia era membro fondatore – la Repubblica Ceca si è avvicinata innanzitutto all’Alleanza atlantica, aderendo al programma Partnership for Peace della Nato nel 1994 ed entrando a far parte dell’organizzazione nel 1999 con Polonia e Ungheria. L’ingresso nell’Unione Europea (Eu), nel 2004, ha completato il processo di integrazione ceco nel blocco euro-atlantico. Dal 2007 la Repubblica Ceca è inoltre parte dell’area Schengen e nel 2009 ha ricoperto per la prima volta la presidenza di turno del Consiglio dell’Eu. Praga ha ratificato il trattato di Lisbona nel novembre 2009, dopo che la corte costituzionale l’ha ritenuto compatibile con la Costituzione ceca, ma ha stabilito una clausola di opt out rispetto alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, così come hanno fatto Regno Unito e Polonia. Le relazioni con i paesi confinanti sono generalmente buone e, assieme a Slovacchia, Polonia e Ungheria, nel 1991 il paese ha fondato il gruppo di Visegrád, i cui membri cooperano in numerosi ambiti politici ed economici. Rimangono però alcuni elementi di tensione esterni, alimentati da un lato dagli impianti nucleari cechi costruiti vicino al confine austriaco, dall’altro dalla questione relativa ai migranti risaliti in Europa centro-orientale attraverso la cosiddetta ‘rotta balcanica’. In particolare, quest’ultimo tema ha rappresentato un forte momento di confronto/scontro tra il governo ceco e le istituzioni europee. Le relazioni con gli Usa sono diventate molto strette, nonostante le posizioni tendenzialmente più filo-russe di alcuni apparati delle istituzioni nazionali. La Repubblica Ceca ha sostenuto l’impegno di Washington in Afghanistan con proprie truppe e ha inoltre acconsentito alla proposta di ospitare una base missilistica statunitense nell’ambito del progetto dello scudo difensivo, sebbene sotto la presidenza di Barack Obama tale progetto si sia arenato.
La Repubblica Ceca è una repubblica parlamentare bicamerale e multipartitica. Il Senato (Senát) è composto da 81 eletti con sistema maggioritario uninominale a doppio turno e viene rinnovato ogni due anni di un terzo dei suoi membri. La Camera dei deputati (Poslanecká Sněmovna) è eletta ogni 4 anni con il sistema proporzionale ed è composta da 200 rappresentanti. Dalle elezioni anticipate del 25-26 novembre 2013, la nuova maggioranza di governo (111 su 200 parlamentari) è composta da una coalizione mista di forze di sinistra e liberali, costituita da Cssd (Česká Strana Sociálně Demokratická – Partito socialdemocratico ceco), i populisti di Ano 2011 (Akce Nespokojených Občanů – Azione dei cittadini insoddisfatti) del milionario Andrej Babiš e Kdu-Csl (Křesťanská a Demokratická Unie-Československá Strana Lidová – Unione democratica e cristiana). Il governo è guidato dal gennaio 2014 dal leader socialista Bohuslav Sobotka. L’estrema eterogeneità della coalizione di governo non ha risolto tuttavia il problema della stabilità dell’esecutivo, tanto da paventare nuove crisi soprattutto in materia economica – il principale motivo di scontro si è rivelata la questione riguardante la possibile adozione dell’euro –, dove si evidenziano visioni politiche distanti nella maggioranza.
All’opposizione si trovano i partiti conservatori Top09 (Tradice Odpovednost Prosperita 09 – Tradizione, responsabilità e prosperità 09) e Ods (Občanská Demokratická Strana – Partito democratico civico), i comunisti del Kscm (Komunistická Strana Čech a Moravy – Partito comunista di Boemia e Moravia), i populisti di Úsvit Přímé Demokracie (Alba della democrazia diretta) dell’imprenditore ceco-giapponese Tomio Okamura. Le elezioni si sono tenute con sette mesi di anticipo rispetto alla scadenza naturale del mandato (maggio 2014): a definire la caduta del governo avevano influito le accuse di corruzione nei confronti dell’esecutivo e, soprattutto, dell’entourage dell’allora premier Petr Necaš. Il capo dello stato è Miloš Zeman del Cssd, eletto il 26 gennaio 2013 per la prima volta attraverso consultazione popolare.
La popolazione ceca comprende 10,5 milioni di abitanti. Il tasso di crescita demografica è pressoché azzerato, similmente ad altre realtà dell’Europa centro-orientale. La divisione della Repubblica Ceca dalla Slovacchia ha reso la popolazione piuttosto omogenea: vi è una maggioranza di cechi (63,4%), seguita dai moravi (4,9%) e dalla minoranza slovacca (1,4%) che ha deciso di rimanere nel paese anche dopo la separazione. I rapporti tra l’etnia ceca e quella slovacca sono generalmente buoni e lo slovacco, lingua simile al ceco, è riconosciuto anche per usi ufficiali. Viceversa, la minoranza rom denuncia numerose discriminazioni, come dimostrato anche dalla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (‘D.H. e altri c. Repubblica Ceca’) che ha portato alla luce la pratica dell’inserimento di rom in scuole per bambini che presentano disabilità mentali. Vi è inoltre un’esigua minoranza tedesca, sebbene la gran parte dei tedeschi (circa tre milioni) sia stata espulsa dopo il 1945. Durante la Seconda guerra mondiale, l’allora presidente in esilio della Cecoslovacchia, Edvard Beneš, adottò una serie di decreti, che prevedevano la privazione della cittadinanza alle minoranze tedesche e ungheresi e l’espropriazione dei loro beni. Dopo il termine del conflitto, le norme vennero applicate e la misura investì incredibilmente anche gli ebrei di lingua tedesca sopravvissuti alla Shoah.
La negoziazione, da parte della Repubblica Ceca, della clausola di opt out sulla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea deriva anche dalla volontà di evitare di incappare in possibili rivendicazioni per la restituzione dei beni espropriati sulla base del decreto Beneš.
Con un pil pro capite di 31.480 dollari, il più elevato tra i membri del gruppo di Visegrád, la Repubblica Ceca rappresenta una delle economie più prospere, stabili e meno esposte alle crisi cicliche tra i paesi dell’area. Grazie a una forza lavoro qualificata, infrastrutture sviluppate e una posizione strategica al centro del continente, la Repubblica Ceca ha attratto ingenti flussi di investimenti esteri che hanno contribuito fortemente a consolidare la crescita economica nazionale. Dopo aver segnato tassi di crescita negativi nel biennio 2012-2013, il pil ha registrato prestazioni positive dal 2014, attestandosi sul 2,5%, con stime favorevoli anche negli anni a seguire. Decisivo per l’inversione di tendenza è stato l’aumento delle esportazioni, propiziato sia dalla ripresa economica dei principali partner commerciali della Repubblica Ceca (Germania, Polonia e Slovacchia, i quali rappresentano il 45% delle destinazioni), sia dal rilancio dei consumi privati nazionali. A favorire la ripresa hanno influito le misure di consolidamento fiscale (rialzo dell’iva) decise dal governo, nonché le riforme attuate nel campo della salute e del welfare, utili a garantire una maggiore liberalizzazione dell’economia. Cuore pulsante del sistema produttivo nazionale è ancora l’industria – in particolare i settori automobilistico, siderurgico, metallurgico, chimico ed elettronico – che contribuisce al 37,8% del pil e che incide fortemente anche sulle esportazioni. La tradizione industriale si è consolidata già a partire dal Diciannovesimo secolo quando le regioni della Boemia e della Moravia, nel cuore dell’Impero austro-ungarico, furono un centro vitale della rivoluzione industriale europea. La Germania è il maggiore partner commerciale della Repubblica Ceca (26% delle importazioni e 31% delle esportazioni), a seguire Polonia e Slovacchia.
Dal punto di vista energetico, in Repubblica Ceca si trovano notevoli riserve di carbone, che conta per circa il 40% dell’energia totale consumata. Tale abbondanza rende Praga il terzo esportatore netto nell’Eu di energia elettrica (circa il 60%), dopo Parigi e Berlino. Al fine di rispettare gli impegni presi per la riduzione delle emissioni di anidride carbonica, l’utilizzo di carbone dovrà essere però ridotto nel tempo. Il ridimensionamento dell’uso del carbone potrebbe esporre maggiormente Praga ad una dipendenza energetica dalle importazioni di idrocarburi, principalmente, dalla Russia (circa il 64% dal petrolio e dal gas). La Russia ha continuato a essere l’unica fonte di petrolio fino al completamento, nel 1995, dell’oleodotto che passa dalla Germania e fornisce petrolio proveniente dal porto italiano di Trieste. La Russia resta comunque il maggior fornitore di gas, sebbene nel 1997 la Repubblica Ceca abbia concluso un contratto con la Norvegia, che oggi contribuisce a circa il 36% del fabbisogno di gas del paese.
L’ufficio del ministero dell’interno che si occupa di analisi sul terrorismo ha concluso che nella Repubblica Ceca non c’è grave pericolo di attentati, anche se la situazione globale rimane imprevedibile: l’appartenenza del paese alla Nato, così come la sua presenza militare in Afghanistan, sono fattori di rischio che potrebbero esporre il paese ad attacchi. L’esercito è stato fortemente ridimensionato e riformato rispetto all’inizio degli anni Novanta. La Cecoslovacchia aveva 200.000 militari, mentre l’attuale Repubblica Ceca ne conta circa 21.000. L’obbligo del servizio militare è stato eliminato nel 2004 e la spesa per la difesa ammonta a poco più dell’1% del pil. La Repubblica Ceca è impegnata nelle missioni Nato in Afghanistan (Resolute Support) e in misura minore in Kosovo (Kfor), nell’ambito di un’operazione congiunta con la Slovacchia. Nel 2007 il paese aveva avviato un negoziato per la costruzione di una base missilistica statunitense sul suo territorio, ma il presidente Barack Obama ha deciso di non dar corso al progetto e di elaborare al suo posto un sistema finalizzato a intercettare i missili iraniani a corta gittata attraverso postazioni navali mobili.
Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria e Polonia sono paesi fortemente dipendenti dalle importazioni di idrocarburi russi (tra l’80% e il 100% del loro fabbisogno nazionale). Per accrescere la rispettiva sicurezza energetica, i membri del gruppo di Visegrád da tempo hanno adottato politiche e strategie nazionali mirate a ridurre la dipendenza dalla Russia, accrescendo i progetti di diversificazione delle infrastrutture e delle risorse. La crisi in Ucraina, l’imposizione di sanzioni europee nei confronti della Russia e l’interruzione dei flussi di petrolio e gas verso i paesi dell’Europa centro-orientale hanno reso urgente il tema della sicurezza energetica.
Tra i paesi del gruppo di Visegrád, la Repubblica Ceca è quella che per prima ha promosso una strategia di diversificazione impostata sempre più sul nucleare. Dal 2010, infatti, Praga ha ammodernato gli impianti di Dukovany, nel sud della Moravia, e di Temelín, nel sud della Boemia, dotandoli di sei reattori operativi. Dal 2011 la produzione nucleare dei due impianti ha garantito il 35% dei consumi elettrici nazionali. Per favorire un maggiore sviluppo di tale strategia e portare così il tasso di energia nucleare fino al 58% entro il 2040, Praga sta meditando la costruzione di nuovi reattori a Temelín e Dukovany dal biennio 2016-2017. Nelle intenzioni del governo gli investimenti nel nucleare potrebbero avere importanti ricadute socio-economiche, garantendo occupazione e sviluppo nelle regioni interessate.
Ciononostante, la scelta pro-nuclearista dell’esecutivo ha alimentato alcuni dubbi sul piano interno: la decisione di considerare l’atomo come la migliore o l’unica soluzione da valutare, mettendo così da parte l’idea del ricorso alle energie rinnovabili, ha accresciuto le proteste da parte di media e ambientalisti. Proprio queste considerazioni, miste a fattori di sicurezza – le centrali nucleari sono state costruite vicine ai confini austriaci –, hanno convinto il governo di Vienna ad intraprendere una linea anti-nuclearista e a minacciare denunce in Europa contro Praga nel caso di approvazione del nuovo piano energetico.