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Congo, Repubblica democratica del

Dizionario di Storia (2010)
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Congo, Repubblica democratica del (RDC)


Congo, Repubblica democratica del

(RDC) Stato dell’Africa centrale (già Congo Belga, Repubblica del C. nel 1960-66, Repubblica democratica del C. nel 1966-71, Zaire nel 1971-97). È uno dei più grandi Stati africani e occupa gran parte del bacino del fiume Congo (o Zaire), con le sue grandi foreste e risorse minerarie. La capitale Kinshasa (già Léopoldville) e l’esiguo sbocco oceanico sono nell’estremo Occidente, mentre la massa territoriale della RDC è un insieme composito sotto il profilo ambientale e umano, fortemente regionalizzato e con problemi di fondo in termini di omogeneità nazionale che si riflettono nella sua storia tormentata. Popolato in origine da comunità pigmoidi (➔ ), il Paese vide dal 1° millennio a.C. l’insediamento di gruppi . Fra il 15° e il 20° sec. vi fiorirono diversi grandi regni (Luba, Lunda, Congo, Kuba, Kazembe, Mwata Yamvo, Azande, Mangbetu, Tippu Tib, Msiri). Fu oggetto dal 1876 degli interessi minerari e forestali di re Leopoldo II del Belgio, che vi creò un possedimento personale, lo Stato libero del Congo (1885), la cui amministrazione, dopo gli scandali causati dallo sfruttamento selvaggio della manodopera locale, passò al Parlamento del Belgio (1908). Il colonialismo belga, basato su grandi concessioni minerarie e agricole, una burocrazia amministrativa bianca e il ruolo sociale e assistenziale della Chiesa cattolica, non favorì la crescita di ceti intermedi indigeni. L’anticolonialismo fu dapprima espresso dal movimento etnico delle popolazioni kongo, l’Alliance des Ba Kongo (ABAKO) di J. Kasavubu. Altre formazioni etnico-regionali auspicavano uno Stato federale, osteggiato invece dal Mouvement national congolais (MNC) di P. Lumumba, di ispirazione socialista. Raggiunto un accordo per uno Stato unitario con autonomie provinciali, Kasavubu divenne presidente della Repubblica del Congo, divenuta indipendente il 30 giugno 1960, mentre Lumumba, vincitore nelle elezioni, fu capo del governo. Tuttavia un ammutinamento militare (agosto) determinò l’intervento di truppe belghe, mentre la regione mineraria del Katanga, guidata da M. Tshombe, proclamava la secessione, sostenuta di fatto dal Belgio, e il generale J.D. Mobutu (➔ Mobutu Sese Seko) assumeva un ruolo di tutela del governo. Ottenuto l’intervento dell’ONU, Lumumba chiese assistenza logistica all’URSS, facendo della crisi uno scenario di guerra fredda. Lumumba fu ucciso (1961) nella durissima guerra civile che si protrasse fino al 1963, quando la secessione rientrò. Instabilità e ribellioni (➔ Mulele, Pierre) condussero al colpo militare di Mobutu (1965), che attuò una svolta autocratica e centralista. Nel 1971 impose il partito unico, rinominò il Paese (che nel 1966 aveva già mutato nome in RDC) Zaire e formulò una dottrina di «autenticità» culturale nazionale. Francia e Marocco aiutarono Mobutu a reprimere nuovi scoppi secessionistici in Katanga (1977 e 1978). Cliente-alleato africano cruciale per gli USA, Mobutu godeva di sostegni esterni ma guidava un sistema corrotto e violento. Pressioni dal basso per una riforma si intensificarono a fine anni Ottanta e nel 1990 Mobutu si disse pronto a tornare al multi-partitismo, ma attuò nuove sanguinose repressioni che gli alienarono i vecchi sostenitori esterni (Stati Uniti e Belgio innanzitutto), i quali, chiusa la Guerra fredda, lo stavano abbandonando. La Conferenza nazionale costituente convocata nel 1991 naufragò a causa della frammentazione dell’opposizione (su basi etnico-regionali) e delle resistenze del presidente, nonostante le forti proteste guidate dalla Chiesa cattolica. Nel 1994 Mobutu, sempre più isolato, accettò formali mutamenti costituzionali, mentre il Paese scivolava verso l’anarchia. A fine 1996 Laurent Kabila, un vecchio dissidente, sostenuto da milizie tutsi del Kivu e da forze di Uganda e Ruanda, marciò su Kinshasa e la occupò nel maggio 1997, mentre Mobutu fuggiva. Assunta la presidenza, Kabila ristabilì la denominazione RDC e sembrò avviare riforme democratiche, ma in realtà consolidò il proprio potere. Nel 1998 ruppe con Ruanda e Uganda, che rifiutavano di evacuare le aree (minerarie) occupate nell’Est e che gli suscitarono contro i suoi ex alleati locali, mentre forze di Zimbabwe, Angola e Namibia intervenivano a sostenere Kabila. La RDC precipitò in un devastante conflitto interno e internazionale, complicato da mire incrociate sulle sue ingenti risorse naturali. Nel 2001 Kabila fu assassinato. Gli successe il figlio, Joseph. La guerra civile si protrasse fino all’accordo di Pretoria (dicembre 2002) – proposto dall’ONU e mediato dal Sudafrica – che prevedeva una spartizione del potere, il ritiro delle truppe straniere e una transizione democratica. Il Paese era devastato, oltre 3 milioni i morti, distrutta l’economia. Si è trattato del conflitto più sanguinoso dalla Seconda guerra mondiale. In una situazione di estrema fragilità interna, violenza crescente, debolezza del potere centrale, corruzione dilagante, Kabila vinse nel 2006 libere elezioni sotto supervisione internazionale. Il Kivu, nell’Est, rimase area di conflitto e l’accordo di pace del dicembre 2008 fra governo e milizie locali fu presto rotto dall’ufficiale ribelle Laurent Nkunda, poi arrestato grazie a un’intesa col Ruanda (2009).

Vedi anche
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