Vedi Repubblica Dominicana dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2016
La Repubblica Dominicana è situata sull’isola di Hispaniola, a est dello stato di Haiti. Quest’ultimo, ottenuta l’indipendenza dalla Francia nel 1804, conquistò la parte dominicana dell’isola nel 1822 e ne mantenne il controllo sino al 1844, anno in cui i dominicani sconfissero gli haitiani sancendo la propria sovranità sulla parte orientale. Nella genesi dei due stati possono così cogliersi i motivi della rivalità, non ancora del tutto sopita, che ha contraddistinto i rapporti tra Haiti e Repubblica Dominicana. L’occupazione haitiana e gli scontri perpetuatisi nei decenni successivi hanno compromesso le relazioni tra i due paesi; la rivalità si è rinnovata e acuita più volte nel corso della storia recente, soprattutto in seguito agli aumenti dei flussi migratori clandestini della popolazione haitiana verso il territorio dominicano. Nel 1998, l’allora presidente Leonel Fernández fu ricevuto in visita ad Haiti, un avvenimento che non si verificava da 62 anni e che gettò le basi per un’inedita fase di cooperazione bilaterale. Lo scambio si è concretizzato in particolare dopo il terremoto del 2010 a Haiti, in occasione del quale la Repubblica Dominicana è stata il primo paese a inviare soccorsi.
Il 16 agosto 2012 Fernández ha lasciato la guida del paese a Danilo Medina, esponente del medesimo fronte centrista del suo predecessore, il Partido de la Liberación Dominicana. Avendo ereditato un preoccupante deficit fiscale dalla precedente amministrazione (pari al 6,8% del pil), il nuovo presidente ha dovuto approntare importanti riforme sociali, per ridurre la povertà e migliorare i settori sanitario e scolastico. In tema di relazioni internazionali, Medina si mostra meno interessato di Fernández a un ruolo attivo. Gli Usa, che occuparono l’isola dal 1916 al 1924 e poi nel 1965, si confermano il più importante partner del paese. La Repubblica Dominicana ha contribuito con un significativo contingente militare (300 soldati) alla missione statunitense in Iraq e i due paesi hanno concordato nuove strategie per la sicurezza aerea e marittima e per la lotta al traffico di stupefacenti e di persone. Nel 2004, inoltre, hanno concluso l’accordo di libero scambio Dr-Cafta (Dominican Republic-Central America Free Trade Agreement). Gli Stati Uniti hanno anche appoggiato l’accordo, firmato nel 2009, tra la Repubblica Dominicana e il Fondo monetario internazionale (Imf) per la concessione di finanziamenti pari a 1,7 miliardi di dollari e hanno insistito affinché venisse rinegoziato l’accordo sul debito, che vigeva tra il Club di Parigi e la Repubblica Dominicana, in favore di quest’ultima (2004).
Nell’ambito della regione latinoamericana, Medina cerca di avvicinarsi alle economie liberiste in rapida crescita di Brasile, Colombia e Panama. Il Venezuela, invece, riveste un ruolo importante sul piano energetico: la Repubblica Dominicana ha siglato nel 2005 l’accordo Petrocaribe, con il quale si assicura il rifornimento di petrolio venezuelano a prezzi vantaggiosi. Il paese, ancorandosi da un lato alla politica energetica venezuelana, e mantenendo dall’altro la partnership con gli Stati Uniti, riesce a rimanere equidistante dalle contrastanti sfere d’influenza dell’Alleanza bolivariana (Alba) e degli Usa. Anche l’Unione Europea (Eu) è diventata un partner commerciale in seguito all’accordo di partenariato economico del 2008, che ha favorito la liberalizzazione del commercio di beni, servizi e investimenti tra i due contraenti.
La Repubblica Dominicana è composta da più di 10,5 milioni di abitanti, per lo più di giovane età e mulatti, di origine africana ed europea. Quasi un terzo dei dominicani abita a Santo Domingo, la più antica città europea del nuovo mondo (fondata nel 1496), e a Santiago. Il resto della popolazione vive in centri urbani più piccoli, mentre il 21,9% risiede nelle zone rurali. Le statistiche rilevano che circa un milione di dominicani sono emigrati all’estero – soprattutto negli Stati Uniti – e che, viceversa, 1,2 milioni di stranieri sono immigrati nella Repubblica Dominicana. Il 41% della popolazione vive sotto la soglia di povertà e possiede complessivamente un quinto del pil del paese. Viceversa, il 10% della popolazione detiene il 40% della ricchezza nazionale. Tale disparità economico-sociale, che dura da diversi decenni, è fonte di tensioni interne. La povertà fa sì che il lavoro minorile si attesti al 10% della popolazione. La mancanza di occupazione e i salari bassi, inoltre, incoraggiano il dilagare della corruzione, piaga sociale che colpisce il sistema giudiziario e il regolare svolgimento dell’attività della polizia. All’aggravarsi della crisi economica si è registrato un aumento della prostituzione che coinvolge la popolazione adulta, sia femminile che maschile, e i minori. Secondo i dati disponibili, pubblicati da Unicef ed Ecpat, sono circa 30.000 i minori della Repubblica Dominicana, tra gli 8 e 17 anni, coinvolti nel mercato della prostituzione. In quest’ambito molto diffuso è il cosiddetto turismo sessuale. Esiste inoltre un vero traffico internazionale di donne dominicane, condannate a essere sfruttate soprattutto in Europa occidentale, Argentina, Brasile e Costa Rica. Il governo dominicano non è stato in grado di contrastare la tratta degli esseri umani, nonostante abbia attuato una legislazione molto severa (sino a 20 anni di carcere per gli sfruttatori), avviato una serie di indagini investigative per intercettare il traffico lungo le principali rotte e ratificato i protocolli internazionali contro il traffico di persone e lo sfruttamento dei minori.
La Repubblica Dominicana punta alla modernizzazione delle infrastrutture e all’approfondimento delle reti di scambio internazionale ma, al contempo, la sua economia è frenata da elementi che ostacolano la creazione di un sistema competitivo: corruzione, povertà e vulnerabilità alle circostanze esterne. La crisi internazionale del 2008, che ha colpito profondamente gli Usa, si è riflessa sull’economia dello stato caraibico. Le rimesse degli emigrati dominicani residenti negli Stati Uniti sono sensibilmente diminuite e, di conseguenza, è calato anche il consumo privato della popolazione dell’isola. Anche i flussi turistici, colonna portante dell’economia dominicana – che contribuisce per poco meno del 5% del pil – sono diminuiti a causa della lenta ripresa statunitense e della crisi economica globale. Ad oggi tuttavia proprio le rimesse e il turismo stanno invertendo la loro tendenza e rappresentano i due principali settori di espansione economica dominicana. L’iniqua distribuzione delle ricchezze, per lo più in mano a una ristretta cerchia di origine prevalentemente europea, è invece un problema endemico che affligge da sempre la popolazione dominicana e che può risolversi solo con grandi riforme strutturali capaci di allargare il mercato del lavoro (il tasso di disoccupazione è al 15%) e di ridurre il tasso di inflazione (pari al 5%). Non mancano però i dati postivi. Il settore primario, che contribuisce solo per il 6,2% al pil nazionale, ha registrato una cospicua crescita delle esportazioni, in particolare zucchero e tabacco. Attraverso piani governativi per la costruzione di infrastrutture sono inoltre affluiti nel paese nuovi investimenti diretti esteri, che hanno generato una crescita pari al 4,6% del pil nel 2013, cresciuto al 5,3% nel 2014. È però a livello regionale che la Repubblica Dominicana aveva ottenuto i migliori risultati economici. L’accordo intergovernativo con Caracas permetteva ai dominicani di ricevere fino a 185.000 barili di petrolio al giorno a condizioni di pagamento preferenziali. La Repubblica Dominicana aveva persino la possibilità di scambiare gli idrocarburi venezuelani con i propri prodotti agricoli (banane, riso e soprattutto zucchero). In seguito al peggioramento dello stato dell’economia venezuelana la quota di petrolio concessa al paese è diminuita sensibilmente.
L’accordo di libero scambio Dr-Cafta prevede l’abbattimento dell’80% delle barriere doganali tra i paesi contraenti e garantisce al paese caraibico un accesso preferenziale al mercato nordamericano.
Sul piano della sicurezza interna l’attenzione del governo dominicano è assorbita prevalentemente dal problema dell’immigrazione clandestina, soprattutto haitiana. Il fenomeno aveva già indotto la Repubblica Dominicana a inasprire le politiche migratorie e inserire nella Costituzione del 2010 alcune norme che rendono più restrittivi i requisiti per ottenere la cittadinanza dominicana. Tali misure, unite all’innalzamento della soglia di sicurezza frontaliera, hanno però ridotto solo parzialmente i flussi migratori.
Endemica è anche la lotta al traffico di cocaina, che accomuna la maggior parte dei paesi caraibici: per la loro posizione geografica costituiscono per i narcotrafficanti un’importante base di approdo. Il mercato della cocaina nordamericano è alimentato dai trafficanti sudamericani, che smistano le proprie commesse proprio nei Caraibi. Per combattere il fenomeno, la Repubblica Dominicana non solo ha creato una forza di polizia ad hoc, ma ha anche stretto un accordo di cooperazione con gli Usa, i quali, più in generale, hanno avviato una serie di partnership militari con i paesi caraibici più afflitti dal problema.
La stragrande maggioranza degli stranieri che abitano nella Repubblica Dominicana è composta da haitiani. Secondo le stime ufficiali, se ne contano circa 800.000. La maggior parte varca il confine in maniera illegale e per lo più trova lavoro nei campi di zucchero, di caffè e di tabacco. Le frequenti ondate migratorie e la conseguente concorrenza tra dominicani e haitiani per trovare un’occupazione delineano una situazione di difficile convivenza, viziata da un crescente sentimento razzista e discriminatorio. Il governo dominicano ha risposto finora aumentando i controlli frontalieri. Ciò è accaduto in particolare nel 2010, per evitare la diffusione in tutta l’isola dell’epidemia di colera che aveva colpito Haiti. Una nuova sentenza, emessa il 23 settembre 2013 dalla Corte costituzionale dominicana, ha introdotto un provvedimento radicale in materia di immigrazione, che rischia di esasperare le tensioni e deteriorare anche i rapporti commerciali. Tale sentenza prevede la revoca della cittadinanza a tutti i discendenti di immigrati che al momento della nascita si trovavano nel paese in una condizione di irregolarità. La decisione, con effetto retroattivo al 1929, colpisce soprattutto i discendenti dei lavoratori migranti haitiani, circa 200.000 persone. La sentenza colpisce anche coloro che hanno ottenuto un regolare certificato di nascita e i cui familiari vivono da cittadini dominicani da alcune generazioni. Nonostante le persone colpite siano in prevalenza di origine haitiana, la maggior parte di loro non ha la cittadinanza neppure nel paese di origine e rimarrebbe di conseguenza apolide. La comunità internazionale ha criticato aspramente il provvedimento, la cui applicazione letterale da parte del governo potrebbe provocare una crisi umanitaria senza precedenti e rappresentare una seria minaccia per la stabilità della regione.