Retorica
L'elaborazione e l'uso di una retorica latina raffinata è una componente fondamentale della cultura della corte di Federico II almeno per tre motivi. La pratica della retorica rispecchia un vivissimo interesse per tutti gli aspetti del linguaggio, ma la retorica latina coltivata a corte e nello Studium napoletano (v. Studio di Napoli) assume anche un orientamento fondamentalmente pratico, che ne fa uno strumento di persuasione nelle lotte politiche che contrappongono l'imperatore al papato o alle città lombarde. Infine, lo stile dei documenti e delle lettere prodotte dalla cancelleria di Federico II, variante dello stylus altus che la cancelleria imperiale condivide con la Curia, qualificato dal giurista Odofredo Denari come stylus obscurus, ha influenzato notevolmente la pratica e la riflessione dei letterati italiani, poi europei, via via che sono state diffuse le lettere di Federico II, prima isolatamente e in seguito sotto forma di raccolta nell'epistolario di Pier della Vigna.
La cornice teorica di questa retorica non è originale. Riprende infatti gli insegnamenti dell'ars dictaminis di tradizione francese del XII sec., ampiamente diffusi e rimaneggiati nell'Italia settentrionale al principio del XIII sec., e associati allo studio del diritto. Se pure non possediamo alcun manuale di retorica compiutamente rappresentativo dell'insegnamento praticato nelle scuole campane, e in seguito a Napoli, il Candelabrum, manuale di ars dictaminis del maestro Bene di Firenze, che sarebbe stato invitato a insegnare nella nuova università da Federico II, può dare un'idea adeguata delle teorie epistolografiche allora in auge nella cancelleria siciliana, e largamente influenzate dalle scelte della Curia all'epoca di Innocenzo III. L'adattamento delle teorie della retorica antica agli schemi della società medievale, operato a partire dall'XI sec. in Francia e in Italia, si accompagna quindi a una ricerca formale sulle figure della retorica, ma anche sul ritmo (cursus), in cui i notai della cancelleria raggiungono l'eccellenza a partire dal 1220. È la complessità delle ornamentazioni e dei periodi, che tendono al gioco letterario negli scambi epistolari tra notai, professori e prelati ‒ così come sono documentati da una parte delle lettere raccolte nel terzo libro dell'epistolario di Pier della Vigna ‒, ad aver contribuito a creare la fama di oscurità della retorica federiciana. Nell'ottica linguistica del XIII sec., tuttavia, la ricerca di una perfezione formale e propriamente musicale per documenti in maggioranza di natura politica, ben lungi dall'essere una contraddizione, era associata direttamente all'idea di efficacia.
Se la produzione di quei documenti d'apparato, che sono le grandi lettere politiche della cancelleria siciliana, è rimasta legata innanzitutto al nome di Pier della Vigna, è l'ambiente professionale e sociale formato dai notai della cancelleria siciliana nel suo complesso a dover essere studiato, al fine di individuare le modalità di produzione di questi documenti. Agli inizi del XX sec. la ricerca ha ricondotto la tradizione retorica dell'Italia meridionale, che gravitava intorno alla cancelleria di Federico II, sotto il nome di comodo di "scuola di Capua", ma si tratta senz'altro di una denominazione riduttiva ed esagerata. Una forte percentuale di notai, soprattutto nella seconda metà del regno di Federico II, era in effetti originaria della Campania, e più precisamente della Terra di Lavoro. L'analisi prosopografica circostanziata di questo ambiente, condotta efficacemente da Hans Martin Schaller (1957, 1958), ha mostrato l'esistenza di solide reti familiari, ma anche gli stretti rapporti fra alcuni di questi notai e i loro colleghi della Curia che provenivano dallo stesso bacino di reclutamento. Sarebbe quindi più giusto parlare di una vivace tradizione retorica campana, condivisa dalla Curia e dalla corte siciliana, che si sviluppa con l'istituzione dello Studium di Napoli e la formazione di notai all'interno della stessa corte imperiale, per approdare alla creazione di una coscienza identitaria, professionale e letteraria nella generazione di notai che erano stati addestrati alla pratica retorica da Pier della Vigna, dopo il 1230. A tale proposito, la ricchissima collezione di lettere di Nicola da Rocca, notaio della cancelleria negli ultimi anni di regno e professore di ars dictaminis nello Studium di Napoli sotto Manfredi, che sarà pubblicata da Fulvio Delle Donne, fornisce nuove preziose informazioni sull'ambiente dei notai siciliani (v. Notai, Regno di Sicilia) e dei professori dello Studium napoletano negli ultimi anni di Federico II e sotto i suoi successori, Corrado e Manfredi.
Gli esordi della presunta "scuola di Capua", nei primi anni del XIII sec., sono tuttora avvolti da ampie zone d'ombra. Si può comunque cercare di ricostruire con una certa precisione il funzionamento della cancelleria, la sua prosopografia e lo sviluppo delle sue tradizioni retoriche nell'ultima parte del regno di Federico II. Viene così a delinearsi l'immagine complessa di un ambiente ristretto, attraversato da acerrime rivalità ma profondamente cosciente della sua identità professionale e determinato ad esaltare i celebrati valori della retorica. I riferimenti antichi e biblici, negli anni della giovinezza di Pier della Vigna e sotto la penna dei suoi discepoli, restano tuttavia squisitamente tradizionali (Lucano, Ovidio, ecc.), e abbastanza diversi rispetto alle tendenze che si profileranno alcuni anni più tardi con la prima generazione dell'Umanesimo italiano.
L'attività retorica alla corte di Federico II non si limitava alla redazione di lettere e pamphlets prodotti da quest'ambiente di notai specializzati. Vi era largamente coltivata anche la retorica oratoria, intimamente legata alla retorica epistolare, da cui senza dubbio era alquanto dipendente. Corrispondendo a un'evoluzione generale ugualmente percettibile nel mondo comunale delle città lombarde e toscane, questa retorica oratoria doveva comunque presentare tratti particolari, che l'accomunavano più fortemente alla tradizione stilistica della cancelleria. Salimbene mostra nella sua cronaca l'imperatore mentre contraffà insieme ai suoi familiari i discorsi degli ambasciatori cremonesi, o anche mentre approva, a dispetto dei timori del suo entourage, il tema scelto dal domenicano Luca da Bitonto per predicare sulla tragica morte del figlio Enrico (VII). Senza dubbio l'arte oratoria alla corte di Federico II, riprendendo alcune basi comuni alla redazione delle lettere ‒ documenti recitati piuttosto che letti ‒ e alla pratica dei sermoni politici, o addirittura religiosi, mostra una dipendenza nelle tecniche di composizione sia dalle prime che dai secondi.
Se questa parte fondamentale della retorica esercitata alla corte di Federico II ci sfugge, si può misurare in compenso l'importanza della retorica di tradizione federiciana nella posterità immediata e in quella più lontana. L'eccezionale diffusione, su scala europea, della raccolta delle lettere di Pier della Vigna, probabilmente riunite dal suo discepolo Nicola da Rocca dopo la caduta di Manfredi (contiene peraltro numerose lettere attribuibili a quest'ultimo notaio), l'importanza accordata a questo stile dai letterati italiani della generazione di Brunetto Latini e poi di Dante, i numerosi reimpieghi e le tante imitazioni delle lettere di Federico II nelle diverse cancellerie europee attestano l'impatto di una retorica che, pur rientrando negli schemi convenzionali della pratica epistolare e oratoria medievale, ha comunque colpito sia gli ascoltatori coevi che i lettori successivi per la sua perfezione formale e la sua complessità.
fonti e bibliografia
Pier della Vigna, Friderici II imperatoris epistolarum libri VI, I, a cura di J.R. Iselins, Basileae 1740 (riprod. anast. Hildesheim 1991, con un'introduzione di H.M. Schaller).
Salimbene de Adam, Cronica, a cura di G. Scalia, Bari 1966.
Bene da Firenze, Candelabrum, a cura di G.C. Alessio, Patavii 1983.
J.-L.-A. Huillard-Bréholles, Vie et correspondance de Pierre de la Vigne, Paris 1865.
H.M. Schaller, Die Kanzlei Kaiser Friedrichs II. Ihr Personal und ihr Sprachstil, "Archiv für Diplomatik", 3, 1957, pp. 207-286; 4, 1958, pp. 264-327.
L. Shepard, Courting Power. Persuasion and Politics in the Early Thirteenth Century, New York 1999.
(traduzione di Maria Paola Arena)